7
Codice di deontologia degli avvocati europei, approvato a Strasburgo il 28/29 ottobre
1988.
Ciò premesso si può dire che il lavoro intellettuale, con riguardo al contratto d'opera
intellettuale, è un negozio giuridico bilaterale, a prestazioni corrispettive,
essenzialmente oneroso, consensuale ad effetti obbligatori, poiché il professionista si
obbliga a compiere la prestazione d’opera intellettuale ed il cliente è tenuto a
corrispondere il relativo compenso.
Per quanto riguarda il consenso, questo è regolato secondo le disposizioni generali
dettate in materia di conclusione del contratto (art. 1326 c.c.).
Il negozio si conclude, dunque, nel momento in cui chi ha fatto la proposta prende
conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.
Pertanto, parte della dottrina2 sostiene che la professione intellettuale consiste in tutte
quelle attività caratterizzate dalla prestazione dell'opera puramente creativa. Attività che
sono di particolare pregio per il loro carattere intellettuale e la creatività della
prestazione dell'opera si riconosce, invece, nell'apporto offerto dall'intelligenza e dalla
cultura del professionista medesimo. Pertanto vale l’assunto che la professione è
intellettuale se la prestazione d’opera è creativa.
2. Le parti del contratto d'opera intellettuale.
II contratto d'opera intellettuale, come gli altri negozi giuridici bilaterali, è caratterizzato
dalla presenza di due parti: un soggetto creditore dell'obbligazione principale, il
cosiddetto “cliente”, e di un soggetto debitore, il professionista, nel nostro caso,
l'avvocato.
L’obbligazione principale consiste, nella fattispecie, in una prestazione di facere.
II concetto di parte trova numerosi richiami testuali nella trattazione della disciplina sui
contratti in generale.
Non è il caso di soffermarsi qui sulle singole ipotesi è opportuno chiarire brevemente,
invece, la portata di alcune di esse, in particolare da un lato gli artt. 1321 e 1322 e
dall’altro l’art. 1372.
2
Tra cui G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, Giuffrè, 1958.
8
I primi due articoli, sulla nozione di contratto e di autonomia contrattuale, individuano
nella “parte”, l’autore della regola contrattuale. Le parti, dunque, sono coloro che danno
giuridicamente vita al regolamento di interessi.
L’art. 1372, invece, identifica i destinatari del negozio giuridico. Infatti, prevedendo, al
primo comma, che il contratto ha la forza di leggi fra le parti, individua le forza del
vincolo contrattuale, mentre prevedendo, al secondo comma, che il contratto non
produce effetti nel riguardo dei terzi se non nelle fattispecie previste dalla legge,
individua l’ambito di espansione delle conseguenze che derivano dal regolamento di
interessi, determinato contrattualmente.
Pertanto, il ruolo di parte nel negozio giuridico sembra articolarsi in due diversi
momenti interdipendenti; “parte” è l’autore del regolamento di interessi negoziali, nel
senso succitato, e “parte” è anche il destinatario degli effetti che scaturiscono da tale
regolamento. Anche se la norma dell’articolo 1372 individua, al secondo comma, una
riserva che stabilisce la possibilità che gli effetti del contratto si possono produrre pure
rispetto ai terzi, anche se nelle fattispecie previste dalla legge, cioè nei confronti di che
“parte” non è.
3. Il rapporto professionale dell’avvocato.
Il rapporto professionale dell’avvocato ha natura contrattuale e può essere compreso
nell’ambito del contratto d’opera intellettuale, infatti, “l’avvocato o il procuratore
legale, che, in forza della procura conferita loro dal cliente, ne assumono il ruolo di
difensore, entrano con il cliente in un rapporto che ha per oggetto una prestazione
d’opera intellettuale” 3.
Qualche volta la giurisprudenza inquadra il rapporto tra avvocato e cliente anche nello
schema negoziale del mandato.4
3
Cass. Civ., 8 maggio 1993, n. 5325, in Foro it., 1994, I, 3188, con nota di BARONE C. M.; in Nuova
Giur. Civ. Comm., 1994, I, 266, con nota di MARINELLI; in Corr. giur., 1994, 1270, con nota di
PORCARI.
4
Trib. Roma, 2 giugno 2003, Corr. Giur., 2004, I, 243, con nota di FAVALE, “L’inadempimento
dell’avvocato alle obbligazioni scaturenti dal contratto di mandato professionale, trattandosi di
obbligazioni di mezzi e non di risultato, non può essere desunto automaticamente dal mancato
raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei
doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza, da
intendersi come diligenza professionale ai sensi dell’art. 1176, 2º comma, c.c., e quindi come diligenza
posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione
9
Considerato che il rapporto fra avvocato e cliente deve generalmente inquadrarsi nel
contratto d’opera intellettuale, si può ulteriormente specificare che tale rapporto si
concreta nel contratto di patrocinio.
Con il contratto di patrocinio l’avvocato si impegna, verso il cliente, al compimento di
prestazioni finalizzate al conseguimento del risultato utile che il cliente ha indicato al
professionista, mentre il cliente provvede al pagamento del compenso.
Il contratto in genere ha per oggetto due possibili attività, quella giudiziale e quella
extra giudiziale. La prima comporterà un'attività di rappresentanza e difesa; la seconda
un'attività di consiglio, informazione, redazione e/o assistenza nella stipulazione di
contratti o altri negozi.
Nell’ipotesi in cui l’avvocato assume il ruolo di difensore del cliente in una
controversia, il prestatore d’opera intellettuale assume l’obbligazione di svolgere la
propria attività professionale, compiendo gli atti ed esponendo le ragioni del cliente, in
vista di ottenerne l’esame e l’accoglimento.
medie (nella specie è stata ritenuta negligente la condotta dell’avvocato che non si sia attivato affinché il
giudizio di risarcimento danni intrapreso per conto del cliente giungesse ad una rapida ed utile
conclusione, avendo lasciato cancellare la causa dal ruolo per inattività delle parti ed omesso poi di
riassumerla o di iniziare tempestivamente un giudizio ex novo, in modo da impedire l’estinzione per
prescrizione del diritto fatto valere)”; Cass. Civ., 3 dicembre 1968, n. 3867, Giur. It., 1968,
Procedimento Civile, n. 292; Cass. Civ., 28 aprile 1994, n. 4044, in Giur. It., 1994, 635; con nota di
RUTA, “Rientra nei doveri di diligenza dell’avvocato, nella sua qualità di mandatario del cliente,
interpellare formalmente il proprio mandante al fine di conoscere se questo intenda o meno continuare a
servirsi della sua opera e nel contempo fargli presente, finché l’incarico non gli sia revocato, la necessità
del compimento di tutti gli adempimenti occorrenti per evitare che siano compromessi i suoi diritti”.
Ancora “L’affermazione della responsabilità dell’avvocato implica l’indagine - positivamente svolta - sul
sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e,
quindi, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più
vantaggiosi per il cliente”. Ancora “Il semplice, ancorché prolungato, silenzio del mandante non
comporta l’estinzione del mandato, né la revoca tacita dello stesso a norma dell’art. 1724 c.c.,
comportando bensì, per l’incertezza circa la prosecuzione o non del mandato, il dovere del mandatario
(art. 1710 c.c.) di interpellare formalmente il proprio mandante al fine di conoscere se questo intenda o
non continuare a servirsi della sua opera e nel contempo, fino a quando l’incarico non gli sia revocato, il
compimento di tutti gli adempimenti occorrenti per evitare che siano compromessi i suoi diritti”. Ancora
“In materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un
danno, ma che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè
dalla difettosa prestazione professionale; in particolare, trattandosi dell’attività del difensore,
l’affermazione della sua responsabilità implica l’indagine - positivamente svolta - sul sicuro e chiaro
fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, quindi, la
certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista medesimo sarebbero stati più
vantaggiosi per il cliente, rimanendo, in ogni caso, a carico del professionista l’onere di dimostrare
l’impossibilità a lui non imputabile della perfetta esecuzione della prestazione”. Infine “Anche con
riferimento al contratto di mandato intercorrente tra l’avvocato ed il cliente, il semplice silenzio di
quest’ultimo non può indurre il professionista a ritenere estinto il mandato non essendo il silenzio
giuridicamente rilevante ai fini dell’estinzione del mandato (ex art. 1722 c.c.) ovvero ai fini della revoca
tacita dello stesso (ex art. 1724 c.c.)”.
10
L’oggetto dell’obbligazione è appunto il compimento degli atti e l’esposizione delle
ragioni nella loro articolazione di fatto e di diritto.
A nulla rileva il risultato che il cliente attende.
All’oggetto dell’obbligazione va poi commisurato il grado di diligenza richiesto ed in
mancanza quello della colpa.
C’è da aggiungere che l’attività del professionista forense è necessaria al fine
dell’esercizio del diritto alla difesa dell’uomo, diritto garantito dalla costituzione.
4. L’avvocato come professionista protetto.
Per alcune professioni intellettuali il legislatore ha posto precisi criteri e requisiti di
ammissione.
La professione di avvocato rientra in questa categoria, infatti , sia le norme speciali di
riferimento per la professione di avvocato, che come detto si trovano nel r.d.l. 27
novembre 1933, n. 1578, sia il codice civile del 1942 all’art. 2229, stabiliscono che
l’esercizio di una professione intellettuale è subordinato all’iscrizione in appositi albi,
ruoli o elenchi.
Il legislatore ha voluto così introdurre la disciplina delle professioni cosiddette
“protette”, l’esercizio delle quali è interdetto a soggetti non iscritti negli appositi albi o
elenchi previsti dal legislatore5.
L’art. 1 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 recita: “nessuno può assumere il titolo, né
esercitare le funzioni di avvocato o di procuratore se non è iscritto nell'albo
professionale”.
L’art. 2229 del codice civile dispone che “la legge determina le professioni intellettuali
per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.
Inoltre, l’art. 2231, sulla mancata iscrizione, soggiunge che “quando l’esercizio di
un’attività professionale è condizionata all’iscrizione in un albo od elenco, la
prestazione eseguita non dà azione a chi non è iscritto per il pagamento della
retribuzione”.
Tale ultimo principio è stato confermato anche dalla giurisprudenza6 cosicché, nel
nostro ordinamento giuridico, le attività intellettuali possono essere liberamente
esplicate anche da coloro che riscuotono la semplice fiducia degli interessati.
5
Corte Cost., 22 gennaio 1976, n. 17, Rivista Dir. Lav., 1976, II, 47.
11
Ma, nella fattispecie, la professione di avvocato può essere svolta soltanto se si è iscritto
all’albo degli avvocati, infatti l’iscrizione all’albo è condicio sine qua non per
l’esercizio della professione.
Pertanto l’invalidità dei contratti, per difetto di iscrizione del professionista all’albo,
attiene unicamente alla prestazioni per le quali sia prevista l’iscrizione all’albo.
Per quanto riguarda altre attività trova piena applicazione il principio generale di libertà
di scegliere e svolgere la propria attività lavorativa, pure se abitualmente svolta da
professionisti iscritti.
Conseguenza alla disciplina delle professioni protette è la sanzione dell’esercizio
professionale abusivo.
5. Il Cliente.
5.1. Aspetti generali.
Il soggetto che conferisce al professionista l'incarico di svolgere una prestazione d'opera
intellettuale è normalmente il cliente del prestatore d'opera intellettuale.
Si tratta, quindi, del soggetto, avente la capacità di agire e di intendere e volere, che
conclude un contratto del tipo di quelli ricompresi nell'ampia disciplina ex art. 2230 c.c.
5.2. La nozione di cliente e la prestazione professionale richiesta nell’interesse
altrui.
Il principio generale, secondo cui per “cliente” del prestatore d'opera intellettuale si
deve intendere la persona fisica o giuridica che conferisce al professionista l'incarico,
stipulando il relativo contratto, presenta un’eccezione.
La persona che conferisce al professionista l'incarico non è necessariamente il soggetto
nel cui interesse il professionista esegue la prestazione d'opera intellettuale.
Tale orientamento è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo cui, fra
l'altro, l'incarico può essere conferito anche soltanto da alcuni dei soggetti nel cui
interesse la prestazione è svolta7.
6
Cass. Civ., 10 maggio 1957.
7
Cass. Civ., 29 settembre 2004, n. 19596, Foro It., 2004, 1479, Professioni intellettuali, 5230, n. 127,
2004, “Obbligato al pagamento dell’onorario per l’opera professionale svolta è il committente che non
12
In più occasioni, si è, infatti, ribadito che il “cliente” del professionista è colui che
richiede la prestazione professionale ed è legittimato passivo al pagamento del
compenso al professionista, anche quando non è il titolare dell'interesse che l'attività del
professionista deve perseguire. Chi deve corrispondere l’onorario non è il titolare
dell'interesse predetto, ma è colui il quale ha assunto l'impiego8.
Nello stesso senso, si è deciso che, nel contratto d'opera intellettuale, il “cliente” del
professionista è tenuto ad anticipare le spese occorrenti al compimento dell'opera ed a
corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso, nonché a saldare la parcella del
professionista. Cioè il “cliente” è colui che ha chiesto al professionista medesimo lo
svolgimento dell'attività professionale, a nulla rileva che non è il titolare dell'interesse
perseguito9.
Infatti, nel negozio di prestazione d'opera intellettuale la qualità di “cliente” non
coincide necessariamente con quella di soggetto direttamente titolare dell'interesse che
l'attività del professionista deve perseguire "per cui chiunque può, per i più svariati
motivi, assumere obbligazioni del genere verso un professionista, perché presti la
propria opera a favore di un terzo con la conseguenza che legittimato al pagamento del
compenso al professionista resta colui che verso il medesimo abbia assunto il relativo
impegno. Per stabilire il soggetto passivamente legittimato a corrispondere il compenso
al professionista l'unica indagine da compiere attiene alla individuazione del cliente, di
necessariamente è anche il beneficiario della prestazione potendo l’incarico esser conferito da un terzo o
soltanto da alcuni dei soggetti nel cui interesse la prestazione è svolta”.
8
Cass. Civ., 22 gennaio 1994, n. 626, Foro It., 1994, I, 76. Infatti, “Parte del contratto di prestazione
d’opera intellettuale, insieme con il professionista, è colui che gli ha conferito l’incarico (e che quindi è
obbligato al pagamento del corrispettivo) anche se interessato al suo compimento può essere un altro
soggetto”; nota di richiamo “Il principio che “cliente” del professionista – e quindi obbligato al
pagamento del compenso – deve essere considerato colui che gli ha conferito l’incarico, non la persona –
eventualmente diversa – nel cui interesse doveva essere compiuta la prestazione d’opera, è stato
costantemente affermato dalla giurisprudenza, nelle non numerose occasioni in cui la questione si è
posta; Cass. Civ., 6 dicembre 1988, n. 6631, in Foro it., Rep. 1988, voce Avvocato e procuratore, n. 69;
Cass. Civ., 17 gennaio 1986, n. 263, in Foro it., 1986, I, 551, con nota di richiamo. In dottrina,
MISCIONE, in Commentario al codice civile diretto da CENDON, Torino, 1991, V, 732.
9
Cass. Civ., 17 gennaio 1986, n. 263, in Foro it., 1986, I, 551, con nota di BALENA, “Nel contratto
d’opera intellettuale, “cliente”, cui fanno capo tutti gli obblighi derivanti dal contratto, è colui che ha
effettivamente conferito l’incarico in nome proprio, a nulla rilevando ch’egli non sia anche il titolare
dell’interesse perseguito attraverso l’attività richiesta al professionista”.
13
chi cioè ha effettivamente conferito l'incarico in nome proprio, a nulla rilevando
stabilire se si sarebbe avvantaggiato dell'incarico stesso"10.
È, dunque, acquisito che, nell'ipotesi in cui la qualità di “cliente” non coincida con
quella di interessato all'attività professionale, l'obbligo di pagare il compenso del
professionista grava esclusivamente sul committente, mentre a carico del terzo
beneficiario della prestazione non sorge, a questo titolo, alcun obbligo nei confronti del
prestatore d'opera intellettuale11
Si può dire che in tale ipotesi nascono tre tipi di rapporti:
a. fra il prestatore d'opera intellettuale e la persona che gli ha conferito l'incarico
(rapporto di clientela);
b. fra il prestatore d'opera intellettuale medesimo ed il beneficiario delle attività
professionali;
c. fra la persona che ha incaricato il professionista ed il terzo beneficiario della
prestazione.
II primo rapporto è regolato dalle norme sul contratto d'opera intellettuale in massima
parte contenute nel codice civile (artt. 2230 segg.) e fa sorgere l'obbligo, a carico di chi
conferisce l'incarico, di corrispondere il compenso e di rimborsare o anticipare le spese
occorrenti.
Nel secondo rapporto può darsi che il beneficiario delle prestazioni debba
necessariamente collaborare col professionista allo scopo di permettere la realizzazione
dell'oggetto del contratto, oppure debba rilasciargli un mandato a operare per lui, ad
esempio, se si tratta di lite promuovibile solo con il ministero di un avvocato o
procuratore.
10
Cass. Civ., 17 gennaio 1986, n. 263, in Foro it., 1986, I, 551, con nota di BALENA, “Nel contratto
d’opera intellettuale, la qualità di cliente, e quindi di soggetto obbligato al pagamento del compenso,
spetta a colui che ha richiesto al professionista il compimento dell’attività professionale, restando in
proposito irrilevante che tale attività sia rivolta al soddisfacimento dell’interesse di un terzo, ancorché
quest’ultimo abbia assunto l’impegno, verso detto richiedente di assumere su di sé gli oneri del contratto
stesso”.
11
Cass. Civ., 22 aprile 1995, n. 4592, in Settimana giuridica, 1995, II, 1387 e Professioni intellettuali,
5230, n. 114, 1995, “Cliente del professionista non è necessariamente il soggetto nel cui interesse viene
eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito
l’incarico al professionista ed è, conseguentemente, tenuto al pagamento del corrispettivo”; Cass. Civ., 5
dicembre 1975, n. 4023, Foro It., 1975, Professioni intellettuali, n. 32; Cass. Civ., 2 luglio 1974, n. 2098,
Foro It , 1974, Professioni intellettuali, n. 28.
14
Il terzo rapporto in esame si relaziona al di fuori di quello professionale e può
presentare varia natura.
5.3. Il Cliente dell’avvocato.
Quando il cliente investe un avvocato, abbiamo detto che, si richiama esplicitamente la
disciplina del contratto di prestazione d’opera intellettuale (Artt. 2229 e seguenti del
c.c.),
Nel rapporto di patrocinio il soggetto che ha conferito l'incarico è quello che chiede la
prestazione dell’opera al legale e può anche essere diverso da colui che ha rilasciato la
procura ad litem.
Si deve notare che, se l’incarico è stato accettato ed assolto, il soggetto obbligato a
corrispondere il compenso professionale al difensore è colui che conferisce l'incarico,
anche se il patrocinio è stato svolto a favore di un soggetto terzo12, altrimenti si presume
che il cliente è colui che ha rilasciato la procura13.
In definitiva, l'obbligo di corrispondere il compenso all'avvocato grava, in linea di
principio, sul soggetto che lo ha officiato, anche quando l'opera professionale sia stata
richiesta e sia svolta nell'interesse (anche) di un terzo14.
Anche i codici di deontologia degli avvocati, sia italiani e sia europei, ci offrono spunti
rilevanti sul rapporto dell’avvocato con i clienti, ma, anche nella fattispecie, non è il
12
Cass. Civ., 15 gennaio 2000, n. 405, 2000, Avvocato, 770, n. 73, “Tra la parte e il difensore si
stabilisce, in ordine al conferimento dell’incarico, un rapporto interno extraprocessuale che è ben
distinto dal mandato ad litem, ed è disciplinato dalle norme di un ordinario mandato di diritto
sostanziale; pertanto, cliente non è sempre chi rilascia la procura ad litem, ma colui che affida il
mandato di patrocinio al legale e che, avendogli chiesto la prestazione della sua opera, si obbliga
direttamente, quale soggetto del negozio, una volta che l’incarico sia stato accettato e assolto, alla
corresponsione del relativo compenso, anche se il patrocinio sia stato svolto a favore di un terzo”.
13
Cass. Civ., 27 dicembre 2004, n. 24010, Foro It., 2004, Avvocato 770, n. 117, “Ai fini di individuare il
soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra
rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ad litem e rapporto che si instaura tra il
professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da
colui che ha rilasciato la procura; in tal caso, chi agisce per il conseguimento del compenso ha l’onere
di provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente
sia colui che ha rilasciato la procura; né rileva, nell’ipotesi di procura ad litem rilasciata
congiuntamente a due diversi avvocati, il ruolo di dominus svolto dall’uno rispetto all’altro
nell’esecuzione concreta del mandato, il quale attiene alle modalità di svolgimento della difesa ad opera
dei due professionisti, e non all’incarico di patrocinio che, in base alla procura e in difetto di prova
contraria, deve presumersi conferito ad entrambi”.
14
Cass. Civ., 26 aprile 2004, n. 7926, Foro It., 2004, 596, Avvocato 770, n. 231 .
15
caso di soffermarsi sulle singole ipotesi è opportuno ricordare brevemente, invece, la
portata di alcune di esse.
Il codice di deontologia degli avvocati europei ci dice che “l'avvocato deve compiere
ogni sforzo ragionevole per assicurarsi dell'identità, della competenza e dei poteri della
persona oppure dell'ente che gli ha conferito il mandato, qualora circostanze specifiche
rivelino che questa identità è incerta”15.
Sempre con riguardo al cliente, il medesimo codice di deontologia degli avvocati
europei prescrive che “l'avvocato, rispettando le disposizioni legislative e
deontologiche, ha l'obbligo di difendere sempre nel modo migliore possibile gli interessi
del cliente, pure nel conflitto con i propri interessi”16.
Il codice deontologico italiano, invece, dispone che “l'avvocato, prima di accettare
l'incarico, deve accertare l'identità del cliente e dell'eventuale suo rappresentante e che,
in ogni caso, nel rispetto dei doveri professionali pure per ciò che riguarda il segreto, il
professionista legale deve rifiutare di ricevere o gestire fondi che non siano riferibili ad
un cliente esattamente individuato”17.
Infine, sempre in base all'art. 36 codice deontologico degli avvocati italiani, il
professionista legale deve rifiutare di prestare la propria attività, quando dagli elementi
conosciuti possa in maniera fondata desumere che essa sia finalizzata alla realizzazione
di un'operazione illecita.
6. I caratteri dell’attività del professionista e brevi considerazioni.
Sono diversi gli elementi che caratterizzano l’attività del professionista diretta a
soddisfare l’interesse mediato del creditore.
Oggi, professionista è quella persona che eroga a favore di terzi prestazioni di tipo
tecnico-intellettuale, e con una peculiarità di alcuni caratteri del rapporto fra cliente e
professionista, che pure sono comuni ad altri tipi di rapporti di diritto comune.
Essi si concretizzano nell’autonomia di azione o discrezionalità, nella personalità e nella
professionalità. Brevemente si procede all’analisi dei tre caratteri.
15
Codice di deontologia degli avvocati europei, art. 3.1.1, 2° comma.
16
Codice di deontologia degli avvocati europei, art. 2.7.
17
Codice deontologico italiano, art. 36.
16
6.1. Autonomia di azione o discrezionalità.
Il primo elemento caratterizzante è rappresentato dall'autonomia di azione o
discrezionalità cioè quella posizione giuridica nella cui sfera di attività non vi è
ingerenza da parte di altri.
Essa si concretizza, dunque, nella libertà di esercitare la propria professione con piena
autonomia in ordine alle modalità di estrinsecazione dell'attività stessa.
Tale principio, però, non va inteso in senso assoluto, altrimenti si corre il rischio di
rendere la prestazione d’opera intellettuale equivalente al concetto di libera professione.
Infatti, se è vero che il libero professionista è sempre anche professionista intellettuale,
non è vero il contrario, ben potendo quest'ultimo, come nella pratica spesso accade,
prestare la propria opera inquadrato in un rapporto di lavoro subordinato; su tutti
l'esempio del medico dipendente dell'ente ospedaliero.
6.2. Personalità.
Il secondo carattere è quello della personalità. Tale principio trova un riscontro
normativo immediato nell’art. 2232 c.c. "il prestatore d’opera deve eseguire
personalmente l’incarico assunto".
Esso è lo strumento giuridico generale che disciplina gli incarichi ai liberi professionisti,
eventualmente integrato da norme di settore. La scelta dei professionisti per consulenze
specialistiche, assistenza e rappresentanza legale, progetti di varia natura, ecc. è
avvenuta, per prassi storicamente consolidata, su base fiduciaria, per “intuitus
personae”.
E’ evidente, quindi, la relazione che corre fra personalità e fiducia nella disciplina del
rapporto professionale.
Si tratta, infatti, di un rapporto basato sull’ "intuitus personae" e nell’ipotesi di sua
violazione scatta l’operatività della disciplina dell’inadempimento.
La considerazione dell' intuitus personae, che non sempre ha eguale rilievo nel rapporto
di lavoro subordinato, fa catalogare il contratto del libero professionista fra i contratti di
fiducia, o di affidamento.
Il cliente, infatti, si rivolge a un determinato professionista, scegliendolo fra altri, perché
nutre fiducia in lui a causa delle sue doti professionali di capacità, di moralità, di
attitudine e altre.