5
alienazione ha avuto nel pensiero filosofico moderno sin dalle sue origini. Oltre
a ciò sarà delineato il profilo musicale dei Pink Floyd, contestualizzandone
l’inflorescenza del gruppo nel loro periodo storico-culturale, indicando inoltre
la discografia degli album pubblicati specificandone l'evoluzione tematica del
termine.
La seconda parte, che rappresenta il nucleo di questo studio, si articolerà
nell’analisi non solo dei testi dei brani dell'album “The Wall”, ma altresì verrà
scandagliata la struttura drammaturgica dell'opera nella sua complessità.
Sottoponendo ad indagine sia la sequenza filmica che lo spettacolo dal vivo
verranno delineate le caratteristiche dell'uomo ingessato dalla sua disumanità,
condannato come un ignavo dell'inferno dantesco a vagare in un’esistenza
priva di significato. L’esame olistico dell'opera “The Wall” (album, film,
spettacolo), avente necessariamente come pietra angolare il pensiero
“filosofico” di Roger Waters, ideatore dell’opera, ci consentirà così di
desumere un quadro completo di questo tipo di umanità alienata e fossilizzata
dentro il proprio muro. Inoltre, il profilo disumanizzato di Pink, il protagonista
dell'opera, sarà messo a confronto con quello dei personaggi causticamente
spersonalizzati presenti in opere come “Il Muro” di J. P. Sartre, “Lo
Straniero” di Camus e “La Metamorfosi” di Kafka. Personaggi fortemente
complementari a Pink, a causa dell’inconsistente leggerezza del loro essere
(per parafrasare il celebre romanzo di Milan Kundera). Proprio per questo
motivo, per fare un affresco il più possibile dettagliato di questo tipo di
umanità, ci siamo proposti di annoverare anche nel nostro studio autori non
canonici dal punto di vista filosofico, quello dei Pink Floyd è un classico
esempio.
La terza ed ultima parte si prefigge di mettere in evidenza un’umanità
incastonata al centro di un solido universo ontologico, dove l’anthropine
sophia del Socrate platonico e il percepire l'umano nei termini paolini di
anthrophos pneumatikòs possono essere le prerogative essenziali per ripensare
l’uomo nel suo divenire storicamente ed ontologicamente uomo.
Saranno inoltre presentati due generi diversi di solitarietà, corrispondenti a
due tipi eterogenei di muri: uno negativo e l'altro positivo. Il muro negativo,
6
velenosamente deleterio per l’autore della costruzione, esprime la totale
chiusura dagli altri. L’altro muro, dal significato eminentemente positivo,
equivale ad uno stato di raccoglimento interiore delle energie dell’anima, stato
di meditazione che viene a costituire la risorsa inestinguibile, il martello
frantumatore, la causa necessitante per l’abbattimento dei muri propri ed altrui.
A tal proposito, la meditazione e l'importanza della relazione di tipo
orizzontale (con gli uomini), e soprattutto quella di tipo verticale (con Dio),
fondante quella orizzontale, occuperà un posto rilevante nella stesura finale
dello studio.
E’ infatti la relazione con gli altri a costituire l’uomo come tale, e ciò che
accomuna gli scritti dei così detti autori filosoficamente non canonici presi in
esame (i testi di Roger Waters in “The Wall” ), con quelli dei grandi filosofi di
ogni tempo sta nell’evidenziare che non si è uomini se non si è fra gli uomini.
La domanda dei Pink Floyd: Is there anybody out there? – C’è qualcuno là
fuori? Non fa altro che confermare questa disperata richiesta di aiuto.
Ieri con Platone, oggi con i Pink Floyd si continua a tenere alta questa
affermazione: l’uomo da solo non si auto-umanizza. L’attenta analisi degli
scritti, mediante l’impiego del proprio flusso vitale, di autori asistematici come
Platone, Ebner e Waters (nel nostro caso s'intende l'analisi dei testi di "The
Wall"), rende possibile una migliore comprensione del concetto di umanazione.
Per questo motivo, poiché in filosofia è importante non costruire un sistema,
va sempre tenuto presente che il compito per antonomasia del filosofo è lungi
dal fornire ricette predefinite concernenti la fondazione di un’umanità perfetta,
altrimenti verrebbe a sconfinare nel mito della razza ariana. Infatti, il rischio è
quello di essere tentati di costituire un sistema di idee all’interno del quale
ingabbiare l’uomo in categorie e preconcetti. Scivolare così in mere
suggestioni sofistiche non avrebbe altro che come conseguenza il non arrivare
a chiedersi i perché ultimi delle cose. A questo punto c’è da precisare che, nella
maniera più assoluta, per questioni di coerenza metodologica, non sarà nostra
intenzione prevaricare questo paradigma di riferimento. Quindi, sulla base di
quanto detto sopra, non si tratta di giungere a puerili e infondate risposte
sull’essere dell'uomo. Quello che veramente occorre consiste nell’effettuare un
7
percorso avendo come “bussola” nient’altro che una sola domanda: chi è
l’uomo? Tale domanda (sostanzialmente equivale all'origine della filosofia), ci
servirà da orientamento per distinguere un’umanità totalmente deragliata, da
un’umanità aulica nella sua essenza. L’antropologia filosofica non solo
consente di identificare le differenze, ma come metodica ermeneutica è l’unica
in grado di porre la domanda sul chi è l’uomo. Infatti, la capacità
dell’antropologia filosofica consiste essenzialmente nel formalizzare una sorta
di antropologia fondamentale, che, a sua volta, permette di cogliere i
fondamenti del discorso antropologico. Il cerchio viene così a stringersi intorno
al grande tema: chi è l’uomo e qual è la sua verità. Ma affinché sia possibile
affrontare questo tema di enorme portata, occorre ritornare ad intendere la
filosofia nella maniera di Sant’Agostino e del Socrate platonico: cioè come una
profonda ricerca in cui l’uomo dovrà necessariamente sprofondare, ponendosi
come grande questione a se medesimo. Effettivamente, risulta essere
fortemente emblematico il modo in cui, mediante la forza del lògos, Socrate
tenta di comprendere sé a se medesimo, ripercorrendo il significato profondo
del suo essere uomo: «Di tutte le ricerche la più bella è proprio questa:
indagare quale debba essere l’uomo, cosa l’uomo debba fare»
1
.
1
Platone, Gorgia, 488 a.
8
Primo Capitolo
L’UOMO SPERSONALIZZATO
1.1 IL SIGNIFICATO FILOSOFICO DEL TERMINE ALIENAZIONE
Prima di entrare nello specifico del nostro studio, è doveroso compiere un
excursus storico sul significato del termine alienazione. «Dal significato
originario di vendita o cessione di un bene, quindi perdita di un possesso, di un
affetto o dei poteri mentali, questo termine ha assunto nella filosofia moderna
un significato pienamente filosofico. In questo senso, l'alienazione sta a
significare il non appartenersi, lo stato spirituale di estraneazione, di
smarrimento, di disperazione o di perdita dell'io nell'alterità fluente degli esseri
materiali, che tendono a rapirci alla nostra interiorità, all'autopossesso, alla
coscienza»
2
.
«Nel Medioevo il termine alienazione fu talora usato per indicare un grado
dell'ascesa mistica verso Dio. Così Riccardo di San Vittore considera
l'alienazione come il terzo grado dell'elevazione della mente a Dio (dopo la
dilatazione e la sollevazione) e ritiene che essa consista nell'abbandono della
memoria di tutte le cose finite e nella trasfigurazione della mente in uno stato
che non ha più nulla di umano. In questo senso l'alienazione non è che
l'estasi»
3
. Secondo Hegel l'alienazione consiste in un estraniarsi, un uscire da
sé. Non è una perdita, ma anzi porta ad un arricchimento finale.
«Hegel afferma che il mondo deriva dall' Idea Assoluta (l'Idea per sé) per
una alienazione della sostanza di questa nella Natura, concepita come estranea
e opposta alla ragione (Idea fuori di sé: alienazione cosmica). Questa
alienazione ha per Hegel valore positivo. Lo Spirito assoluto non prende
coscienza di sé, infatti, se non mediante la esteriorizzazione della sua essenza
(Spirito oggettivo) e la riaffermata interiorizzazione di quella in se stesso.
Senza la negazione dell'affermazione non si potrebbe dare la negazione della
negazione, che costituisce l'autoaffermazione di sé come Assoluto. La tesi
2
F. Borgato, Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze 1957, 147.
3
N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, 1998, 15.
9
superiore e suprema è la necessaria sintesi di una tesi inferiore e di una antitesi
(e questa è una alienazione)»
4
.
Per Feuerbach la teologia (studio di Dio) è in realtà antropologia (studio
dell'uomo). La religione può essere considerata in quanto è una prima forma di
autocoscienza dell'uomo, ma in realtà è falsa perché porta all'alienazione.
Scinde infatti l'uomo in: parte corporea, sensibile, finita, in contrapposizione
con la parte divina, assoluta, infinita. Feuerbach asserisce che l'uomo invece di
riflettere su se stesso, inventa un Dio proiettando in esso i caratteri migliori
dell'umanità, e in questo modo inconsapevolmente si aliena.
Possiamo affermare a questo punto che Feuerbach fa la prima grande
affermazione di ateismo. La religione è vista come una sorta di patologia
psichiatrica, perché porta all'immiserimento dell'uomo e del mondo terreno.
Essa va curata con la consapevolezza: attraverso un processo lungo e un
percorso teoretico l'uomo supererà la fede incondizionata e i dogmi sviluppatisi
in secoli di storia. Arriverà così a riappropiarsi di sé e a capire che l'infinito è
dentro di lui. In effetti, già, il messaggio cristiano può far capire che l'uomo e
Dio sono la stessa cosa: il Dio cristiano non è solo un essere onnisciente e
onnipotente, ma anche il Dio dell'amore, che per amore si è fatto uomo
simbolizzando così il ricongiungimento di essenza e individuo. Questo
messaggio positivo è però bloccato dalla fede, l'antitesi dell'amore: nella fede
infatti l'aspirazione legittima alla felicità si configura come un desiderio
egoistico di beatitudine individuale; e poiché l'uomo vive solo in vista della
propria salvezza ultraterrena, tralascia il lavoro comunitario e il progresso.
Obiettivo di Feuerbach è quindi liberare l'amore dalla fede.
Marx non si limitò a far propria la tesi di Feuerbach, circa la religione come
alienazione dell'essenza dell'uomo. Le differenze fra le concezioni dei due
filosofi infatti risultano essere molteplici. Mentre Feuerbach concepisce l'uomo
come astratto e astorico, Marx lo concepisce come concreto e storicamente
determinato. Inoltre, secondo Feuerbach, la religione scaturisce dallo squilibrio
4
V. Miano, Dizionario filosofico, Società Editrice Internazionale, Torino 1951, 13-14.
10
fra essenza infinita e individualità finita, invece, la tesi marxisista sostiene che
la religione sorge da una più profonda e originaria alienazione sociale.
Quindi, mentre per Feuerbach la religione è una prima forma di
autocoscienza dell'uomo, per Marx è l'espressione della sua miseria. Come è
stato detto, contro l'alienazione religiosa, Feuerbach propone come antidoto la
presa di coscienza che la teologia è antropologia. Invece, per Marx è
importante insegnare agli uomini che l'uomo è essenza suprema di se stesso,
giungendo così al rovesciamento dei rapporti sociali e alla fine dell'ingiustizia,
della degradazione e dell'assoggettamento. In definitiva, Feuerbach sembra
convinto di vivere nel periodo del tramonto del cristianesimo, sopraffatto dalla
secolarizzazione, mentre Marx arriva a sostenere che l'epoca in cui vive è
caratterizzata dal cristianesimo che è la religione specifica della borghesia
capitalista. Per Marx la religione consisterebbe in un trasferimento illusorio
nell'aldilà dei valori, delle speranze, della felicità (del paradiso), di fatto non
ancora realizzati, ma, tuttavia, realizzabili sulla terra. La liberazione della
miseria economica significherebbe naturalmente la liberazione dalla miseria
religiosa. Marx chiama la religione l'oppio dei popoli, in quanto si tratterebbe
di un'illusione creata dai potenti per sottomettere l'uomo, per far dimenticare i
problemi e le miserie. L'alienazione religiosa è in realtà un aspetto di una più
generale alienazione economica. Marx giunge ad evidenziare che l'economia, a
causa di tanti motivi, porta ad una generale alienazione. «Egli, critica
severamente l'interpretazione idealistica hegeliana, che presuppone la
identificazione dell'essere col pensiero, anche se poi conserva il valore
fondamentale di essa come perdita della coscienza nella molteplicità degli
oggetti. Marx infatti fa consistere nella coscienza di sé l'essenza umana e
definisce l'uomo come essere esistente per sé»
5
.
Ancora, secondo Marx, «Hegel ha avuto il torto di confondere
l'obiettivazione, che è il processo per il quale l'uomo si fa cosa, cioè si esprime
o si esteriorizza nella natura mediante il lavoro, con l'alienazione che è il
processo per cui l'uomo diviene estraneo a sé fino al punto di non riconoscere
se stesso. Mentre obiettivazione non è un male o una condanna perché è la sola
5
F. Borgato, Enciclopedia Filosofica, 147.
11
via attraverso la quale l'uomo può realizzare la sua unità con la natura,
l'alienazione è invece il danno o la condanna maggiore della società
capitalistica. La proprietà privata produce l'alienazione dell'operaio sia perché
essa scinde il rapporto dell'operaio col prodotto del suo lavoro (che appartiene
al capitalista) sia perché il lavoro rimane esterno all'operaio, non appartiene
alla sua personalità»
6
.
L'alienazione viene vista anche come il prodotto dell'unica relazione fra
l'uomo e le cose. Il possesso indiscriminato ha provocato quella che Simmel
definisce “la tragedia della modernità”.
La cultura dell'avere, altro non fa che alimentare l'egoismo nell'uomo in
modo che il pensiero umano diventerebbe così sempre più individualista. Egli,
nella sua opera dal titolo “Filosofia del denaro” del 1900, afferma che il
denaro, con lo sviluppo dell'economia monetaria si è diffuso notevolmente,
però, ha cambiato natura: il denaro che in sé non ha valore che come mezzo di
scambio, tende a trasformarsi in un valore in se stesso. Nella modernità si è
venuta a creare una cultura oggettiva, costituita da una crescita esponenziale di
prodotti tecnologici, domestici e artistici. Ma, il soggetto che non riesce a
trovare appagamento psichico, rivolgendosi ai contenuti della cultura oggettiva,
rimane frustrato in quanto non riesce ad incorporarli e farli propri, non è più in
grado di farli diventare cultura soggettiva.
L’inappropiazione equivarrebbe così ad alienazione. «Muovendosi sulla
stessa lunghezza d'onda, l'esistenzialismo e il personalismo contemporanei
insistono spesso su considerazioni analoghe, per illuminare di luce sinistra
l'alienazione della persona. Secondo la concezione esistenzialista, l'alienazione
inciderebbe nell'essenza stessa dell'uomo, come un male metafisico, come
un'erosione sotterranea che ne fa tragicamente dilaniata l'esistenza»
7
.
In merito a questo, G. Marcel istituì due categorie dell'esistenza: l'avere e
l'essere. Per Marcel, la persona per riscoprire se stessa deve fare una
conversione su se stessa e capovolgere la gerarchia che il mondo moderno e
contemporaneo hanno fissato tra la categoria dell'avere e quella dell'essere.
6
N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, 16.
7
F. Borgato, Enciclopedia Filosofica, 148.
12
Secondo la metafisica dell'avere, si vale per quel che si ha e non per quel che si
è, e il mondo e gli altri sono unicamente oggetti di un possesso sempre più
vasto, così che in base a questa logica, colui che possiede tenta, con ogni
mezzo, di trattenere, conservare ed aumentare la cosa posseduta, questa,
essendo soggetta al logorio e alle vicende del tempo, può sfuggire e diventa
così il centro dei timori e delle ansietà di chi vuole possederla. Il mondo della
categoria dell'avere è dunque un mondo in pezzi, è il mondo dell'alienazione,
della preoccupazione e della disperazione. L'alienazione diventa totale in
quanto: «L'avere produrrebbe una ingiustificabile alienazione del soggetto di
fronte a quell'oggetto, per cui il soggetto, più che possedere, si direbbe che è
posseduto. Questa specie di reciprocità fatale rischia di trasformare la vita
umana in una forma di schiavitù incomprensibile e intollerabile»
8
.
L'alienazione comunque si estrinseca nelle due forme: tra chi possiede molto e
che ne diventa alla fine il posseduto, e chi possiede troppo poco o addirittura
nulla. Per cui avremo: «lo spirito della tesaurizzazione, proprio dei ricchi, e lo
spirito del risparmio, proprio dei poveri. Ma ciò che ha prodotto tale
condizione di profondo alienamento spirituale della persona, è l'attuale
struttura sociale, in cui il possesso del danaro s'è reso indispensabile per tutti i
bisogni della vita. Da ciò deriva l'abissale distanza che divide il ricco dal
povero, perché per l'uno tutto si fa possibile e facile, mentre per l'altro anche il
soddisfacimento dei bisogni elementari della persona si fa sempre più difficile:
il proletario, cioè, non può realizzarsi umanamente e cade in una alienazione
tutta propria della sua condizione: alienazione del proletariato che si fa sempre
più dolorosa per la disumanizzazione dell'uomo nell'organizzazione attuale del
lavoro, per l'esasperarsi dell'antica opposizione fra padrone e servo, per la
crescente ingordigia del capitalismo, per la condizione infraumana cui la
miseria riduce l'operaio con la sua famiglia»
9
.
Gli effetti alienanti prodotti sull'uomo dall’industrializzazione,
dall'urbanizzazione, dal rapido processo tecnologico sono stati focalizzati
sempre di più da numerosi studiosi.
8
ibidem, 148.
9
ibidem, 148.
13
In modo particolare è stata evidenziata la disarmonia tipica del nostro tempo,
delle relazioni dell'individuo e la società. La rivoluzione industriale,
producendo infatti una meccanizzazione e una conseguente spersonalizzazione
del mondo del lavoro, ha condotto l'uomo a sentirsi spesso una specie di
automa occupato in qualcosa il cui valore risulta ineffabile, incomprensibile. Il
rapido progresso tecnologico, conducendo verso una crescente specializzazione
in tutte le aree della vita, lascia l'individuo immerso nella sensazione di non
poter in alcun modo influenzare gli eventi esterni, sempre più vissuti perciò
come potenzialmente pericolosi.
Si riscontra spesso nei rapporti sociali, un senso di solitudine e confusione
circa la propria identità. Questa forma di disagio è stata ben evidenziata da E.
Fromm in “Psicoanalisi della società contemporanea”, dove viene messa in
luce la crescente tendenza all'alienazione come caratteristica tipica dell'uomo
moderno.
«Dunque, l'uso del termine alienazione è diventato corrente nella cultura
contemporanea, non soltanto nella descrizione del lavoro operaio in certe fasi
della società capitalistica, ma anche a proposito del rapporto tra l'uomo e le
cose nell'età della tecnica: giacché sembra che il predominio della tecnica
“alieni l'uomo da se stesso” nel senso che tende a farne l'ingranaggio di una
macchina. Sartre è tuttavia ritornato, anche da questo punto di vista, al concetto
hegeliano dell'alienazione, intesa come un carattere costante
dell'oggettivazione qualunque essa sia: dove s'intende per “oggettivazione”
qualsiasi rapporto dell'uomo con le cose o con gli altri uomini»
10
.
L'uomo moderno, risucchiato nella voragine della così detta tragedia della
modernità, viene così ad essere assoggettato da una specie di autorità
autonoma, che lo guida verso un conformismo acritico: «Marcuse a sua volta
ha considerato l'alienazione come la caratteristica dell'uomo e della società a
una dimensione, cioè come la situazione nella quale non si distingue il dover
essere dall'essere e perciò il pensiero negativo, o la forza critica della Ragione,
è dimenticata o messa a tacere dalla forza onnipresente della struttura
10
N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, 16-17.
14
tecnologica della società»
11
. Egli, infatti, mette in rilievo come il potere dei
mass-media, possa condizionare gli individui inducendoli ad una sorta di
massificazione. Addirittura Marcuse arriva a paragonare la forza coercitiva
della Tecnologia che si impone, inconsapevolmente, sulla volontà delle
persone a quella del Terrore francese del '700.
«Nel linguaggio filosofico-politico oggi corrente il termine ha i significati
più disparati che dipendono dalla varietà dei caratteri su cui si insiste per la
definizione dell'uomo. Se l’uomo è ragione autocontemplativa (come riteneva
Hegel), ogni suo rapporto con un oggetto qualsiasi è alienazione. Se l’uomo è
un essere naturale e sociale (come riteneva Marx) è alienazione il suo ritirasi
nella contemplazione. Se l’uomo è istinto e volontà di vita, è alienazione ogni
repressione e diminuzione di tale istinto e volontà; se l’uomo è razionalità
operante o fattiva è alienazione il suo affidarsi all'istinto. Se l’uomo è ragione
(comunque intesa), è alienazione il suo rifugiarsi nella fantasia; ma se è
essenzialmente immaginazione e fantasia, è alienazione ogni sua disciplina
razionale. Infine, se l'individuo umano è una totalità autosufficiente e completa,
è alienazione ogni regola o norma che venga imposta, in qualsiasi modo, alla
sua espressione. L’equivocità del concetto di alienazione dipende dalla
problematicità della nozione di uomo»
12
.
Questo richiede una formalizzazione della nozione di uomo che prende in
considerazione la ricerca di una prospettiva integrale nella comprensione della
totalità dell’uomo.
11
ibidem, 17.
12
ibidem, 17.
15
1.2 L’UMANITA’ PENSATA DAI PINK FLOYD PRIMA DI “THE WALL”
In Inghilterra, nei primi anni sessanta del secolo scorso, antiche e austere
scuole diventarono teatro di dissacranti esperimenti musicali che modificarono
l'ordinario modo di concepire ed intendere la musica. Uno dei più importanti
luoghi di socializzazione di Londra è il Regent Street School of Architecture,
l'istituto sarà l'inconsapevole causa della nascita del nucleo base dei Pink
Floyd: è il 1965. Il gruppo ebbe origine quando Nicholas Berkeley Mason
(batteria), Richard William Wright (tastiere) e George Roger Waters (basso),
allora studenti di architettura, iniziarono a suonare nelle feste tra amici
adottando spesso nomi diversi. Fu, però, il nuovo membro della band, Roger
Keith Barrett detto Syd (chitarra, 1946-2006), a coniare letteralmente nel 1966
il marchio Pink Floyd. Nell’estate di quell’anno, a causa della vitalità culturale
e musicale in continuo fermento, la capitale venne ribattezzata dalla rivista
Time, la Swinging London (la Ritmica Londra), e i Floyd con i loro pirotecnici
light-shows eseguiti all'Ufo Club (la Mecca della controcultura londinese) ne
sono i protagonisti incontrastati.
Il primo racconto della saga dei Pink Floyd prende come titolo “The Piper At
The Gates OF Down”, dai contenuti fortemente psichedelici. L'album
pubblicato nell'agosto del 1967 diventa immediatamente emblema “dell'estate
dell'amore”. E' Syd Barrett a firmarne quasi tutti i brani, ma nell'aprile del
1968, la sua mente logorata dal verme
13
del successo e devastata dalle droghe,
lo costringerà ad abbandonare il gruppo e ancor peggio ad alienarsi
completamente dalla realtà, trovando definitivo rifugio in casa della madre.
A prendere le redini del gruppo sarà il bassista Roger Waters che dimostrerà
sin da subito ottime qualità liriche. Alla fine degli anni settanta, sarà infatti la
sua mente a partorire “The Wall”, l'opera magna dei Pink Floyd.
Con “A Saucerful Of Secrets”, pubblicato nel giugno del 1968, che vede
l'ingresso del nuovo chitarrista David Jon Gilmour, il gruppo intraprenderà
viaggi musicali di squisita archeologia futuribile. Nel 1969 i Pink Floyd
13
Termine fondamentale appartenente al lessico pinkfloydiano che incontreremo
frequentemente nei testi di The Wall.