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energetiche e minerarie; sviluppi tecnologici, che hanno reso
programmabile lo sfruttamento delle risorse marine a profondità
prima impensate. E’ dal clima internazionale, profondamente
innovato anche sul piano ideologico, - determinato da questi
elementi - che emerge la concezione che le risorse marine, site al
di là dei limiti della giurisdizione nazionale, siano comuni
all’intera umanità e debbano essere quindi utilizzate a suo
beneficio.
Già nel 1966, il Presidente Johnson sottolineava che
“occorre assicurare che le risorse marine dell’alto mare e degli
oceani siano e restino patrimonio dell’umanità tutta intera”. Tale
visione viene sviluppata nella proposta avanzata nel 1967 dal
Rappresentante maltese alle Nazioni Unite che auspica
“l’utilizzazione a fini esclusivamente pacifici dei fondi marini, al
di là dei limiti dell’attuale giurisdizione nazionale, e lo
sfruttamento delle loro risorse nell’interesse dell’umanità”; è,
quindi, riaffermata nel 1970 dalla Risoluzione 2749 (XXV)
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che proclama,
“patrimonio comune dell’umanità” le risorse summenzionate. La
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Risoluzione prevede, inoltre, che l’esplorazione e lo sfruttamento
dell’area internazionale dei fondi marini debbano avvenire
attraverso un particolare regime e meccanismo internazionale, da
instaurare mediante un Trattato di carattere universale,
generalmente accettato. Di qui prende avvio l’iter societario -
Risoluzione 2750/C (XXV) - per la convocazione della Terza
Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, apertasi nel
1973, e conclusasi, dopo undici sessioni, nel 1982 con la
Convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare.
Il meccanismo ed i regimi istituzionali auspicati dalla
Risoluzione delle Nazioni Unite 2479 (XXV) sono
concretamente prefigurati nella Parte XI e negli Annessi III e IV
della Convenzione di Montego Bay. Nella Parte XI si enunciano i
principi generali riguardanti l’Area1, definita come “patrimonio
comune dell’umanità” (art.136) , su cui “nessun Stato può
rivendicare o esercitare la sovranità o dei diritti sovrani”
(art.137). La conseguenza di ciò è che gli Stati possono sfruttare
1L’art.1 della Convenzione di Montego Bay definisce Area “il fondo del
mare, il fondo degli oceani ed il relativo sottosuolo, al di là dei limiti della
giurisdizione nazionale”.
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le risorse dell’Area solo attraverso un sistema accordato, che
include la compartecipazione di tutti gli Stati ai benefici ottenuti2.
Tutte le attività svolte nell’Area devono essere intraprese a
favore dell’umanità (art.140), ed inoltre l’Area può essere usata
soltanto per scopi pacifici (art.141). Dette attività “devono essere
condotte, con le misure necessarie ad assicurare, efficacemente,
la protezione dell’ambiente marino,...” (art.145).
Lo sviluppo delle risorse dell’Area deve essere
condotto “in maniera da favorire un sano sviluppo dell’economia
mondiale ed un’espansione equilibrata del commercio
internazionale, e promuovere la cooperazione internazionale per
uno sviluppo generale di tutti i paesi,...” (art.150).
Il sistema di esplorazione e sfruttamento dell’Area è
“condotto e controllato dall’Autorità3 per conto di tutta
l’umanità” (art.153). Tale sistema viene condotto secondo un
sistema “parallelo” da realizzare congiuntamente dall’Autorità
stessa - mediante il suo braccio operativo, l’Impresa
2L’Annesso III fornisce le modalità per le attività di esplorazione ed
estrazione nell’Area.
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In base all’art.156 “è costituita un’Autorità internazionale dei fondi
8
internazionale4 - e dagli Stati interessati, o dalle imprese da loro
patrocinate.
La III Conferenza sul Diritto del Mare ha cercato di far
confluire nel predetto sistema gli investimenti, di una certa
portata, dell’industria mineraria sottomarina, fatti prima della sua
conclusione. A tal fine, adottò la Risoluzione II che definisce un
regime provvisorio di sfruttamento dei fondi marini e qualifica
come potenziali titolari dello stesso gli “investitori pionieri”,
ossia quattro Paesi - Francia, Giappone, India e URSS - più
quattro consorzi internazionali composti da imprese aventi la
nazionalità di uno o più dei seguenti Stati: Belgio, Canada,
Giappone, Italia, Olanda, Regno Unito e USA; oltre ai Paesi in
via di sviluppo o loro imprese, qualora si determino particolari
condizioni.
Le prime Parti della Convenzione di Montego Bay
fanno riferimento a quelle aree di mare su cui gli Stati hanno ed
esercitano diritti sovrani.
marini...”di cui “...tutti gli Stati contraenti ne sono membri”.
4Costituita in base all’art.158. L’Annesso IV descrive gli scopi e la struttura
istituzionale dell’impresa.
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La Parte II definisce il mare territoriale; attraverso le
cosiddette linee di base5 viene misurata la larghezza del mare
territoriale, che in base all’art.3 può estendersi fino a 12 miglia
marine. Le acque all’interno delle linee di base fanno parte delle
“acque interne” dello Stato, sopra cui gli Stati hanno gli stessi
diritti come sulla terraferma; tuttavia gli Stati dovranno
consentire il “passaggio inoffensivo6” attraverso il loro mare
territoriale a tutte le navi. Nella zona contigua, quale definita
dall’art.33, che può estendersi fino a 12 miglia marine oltre il
limite del mare territoriale, gli Stati possono esercitare un
limitato controllo, per impedire violazioni di determinate
regolazioni, ad esempio sull’immigrazione, sanitarie ecc., che
possono avere ripercussioni all’interno del proprio territorio.
La Parte V riguarda la zona economica esclusiva;
questa è un’idea relativamente nuova ed importante per il diritto
5L’art.5 definisce la linea di base “normale”, identificandola con la linea di
bassa marea lungo la costa; l’art.7 definisce le linee di base “diritte”, che
vengono utilizzate qualora la costa presenti determinate caratteristiche
naturali, come ad esempio profonde insenature o è molto frastagliata.
6L’art.19 definisce il passaggio inoffensivo, che sommariamente significa
passare senza arrecare pregiudizio all Stato costiero, come inquinamento,
buon ordine ecc..
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internazionale. Gli Stati possono dichiarare zona economica
esclusiva un’area di mare fino a 200 miglia marine, misurate
dalle linee di base usate per misurare il mare territoriale (art.57).
All’interno della zona economica esclusiva, lo Stato costiero ha il
potere di controllare sia le risorse naturali non viventi che quelle
viventi (art.56).
La Parte VI si riferisce alle attività nella piattaforma
continentale7; conferendo allo Stato costiero “diritti sovrani allo
scopo di esplorarla e sfruttare le risorse naturali” (art.77).
L’esercizio di tali diritti , comunque, non deve pregiudicare il
regime giuridico delle acque e dello spazio aereo sovrastanti
(art.78). L’art.81 conferma allo Stato costiero un diritto esclusivo
per “autorizzare e regolamentare le perforazioni nella piattaforma
continentale, qualunque sia il loro scopo”.
Tuttavia lo sforzo fatto a Montego Bay non è stato
coronato dal successo, in fatti la Parte XI è stata fonte di notevoli
7L’art.76 definisce piattaforma continentale “il fondo e il sottosuolo delle
aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso
il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all’orlo esterno del
margine continentale, o fino a una distanza di 200 miglia marine dalle linee
di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale, nel caso che
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discussioni in merito al regime internazionale dell’Area,
sull’Autorità e sugli obblighi di ripartire la tecnologia ed i
benefici finanziari derivanti dalle estrazioni minerarie.
Soltanto dopo una lunga serie di consultazioni,
informali, da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite,
puntate a realizzare la partecipazione universale alla
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare, si è giunti
il 16 Novembre 1993 alla deposito della sessantesima ratifica,
che ha permesso 12 mesi dopo in conformità con l’art.308,
l’entrata in vigore della Convenzione.
Comunque, soltanto il 28 Luglio 1994 si è raggiunto un
accordo sulla Parte XI della Convenzione, che è entrato in vigore
il 28 Luglio 1996. Questo accordo, denominato “Accordo
sull’esecuzione della Parte XI”, è composto di dieci articoli che
si occupano principalmente delle funzioni procedurali quali la
firma, l’entrata in vigore e l’applicazione provvisoria. Il relativo
art.2 si occupa del rapporto fra l’Accordo e la Parte XI,
assicurando che entrambi saranno interpretati ed applicati
l’orlo esterno del margine continentale si trovi a una distanza inferiore”.
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insieme, come un singolo strumento. In caso di contraddizione
fra l’Accordo e la Parte XI, le disposizioni dell’Accordo
prevarranno.
L’Accordo ha un annesso, diviso in nove sezioni, che
si occupano delle varie questioni che sono state identificate come
settori problematici durante le consultazioni informali. Questi
includono i meccanismi per la soluzione delle controversie,
l’organizzazione finanziaria dell’Autorità, le disposizioni
istituzionali, e le correzioni future della Convenzione.
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1.2 Il Mare del Nord
Forse il Mare del Nord dovrebbe essere chiamato il
“bacino fortunato”; sebbene poche compagnie sarebbero pronte a
dichiararlo pubblicamente, il Mare del Nord fornisce
effettivamente tutto ciò che si vorrebbe avere da una provincia
petrolifera.
La provincia petrolifera perfetta deve avere governi
stabili, leggi e regolamenti stabili, regimi fiscali accettabili e
copiose risorse di idrocarburi. Il Mare del Nord ha tutto questo ed
inoltre ha delle affermate infrastrutture per la raffinazione e la
distribuzione, un ricco mercato consumistico per i prodotti
petroliferi, una sofisticata industria e una competente forza
lavoro a cui attingere.
Oggi il Mare del Nord è una tra le maggiori provincie
produttrici di petrolio, in grado di rivaleggiare con tutte le più
grandi aree produttrici del mondo, sebbene il primo petrolio fu
prodotto meno di trenta anni fa.
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La fortuna sembra esser stata un tema consistente nello
sviluppo del Mare del Nord. Anche se i primi campi petroliferi -
Ekofisk, Forties, Brent, Niniam - furono scoperti e sviluppati in
concomitanza del livello più basso dei prezzi petroliferi, la crisi
petrolifera del 1973/748 mandò i prezzi a livelli tali che resero il
Mare del Nord molto più attrattivo. Tali campi raggiunsero la
loro maggiore produzione sul finire degli anni ‘70, in
concomitanza con la seconda crisi petrolifera del 1979/809 che
portò i prezzi petroliferi a livelli drammatici. Tale crescita ha
avuto due importanti conseguenze: la riduzione della crescita e
dell’associata richiesta di petrolio; l’aumento della produzione
non-OPEC, principalmente dal Mare del Nord, pose i produttori
OPEC sotto pressione.
Lo sviluppo del Mare del Nord distrusse l’abilità
dell’OPEC di imporre i prezzi, non perché fosse capace di
rimpiazzare la produzione OPEC, cosa non possibile, ma perché
il Mare del Nord effettivamente potrebbe venire incontro a tutta
8
In concomitanza della guerra dello Yoman-Kippur.
9Dovuta alla Rivoluzione Iraniana.
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la richiesta aggiuntiva. Fu dunque la stessa OPEC che con le
proprie azioni contribuì al rapido sviluppo del Mare del Nord.
La dimensione e il volume delle infrastrutture installate
nel Mare del Nord, resero possibile la riduzione dei costi e il
continuo sviluppo, perfino dopo il collasso dei prezzi nel 1985.
Ciò fu possibile per due ragioni: la struttura delle tasse sulla
produzione del Mare del Nord era tale che, una volta che il
prezzo del petrolio andava sotto i 20$ a barile, il debito
d’imposta si riduceva rapidamente, i Governi perdevano sulle
tasse petrolifere, ma ne guadagnava la crescita economica,
stimolata dai prezzi bassi; la seconda ragione fu l’abilità delle
compagnie petrolifere di sviluppare le risorse del Mare del Nord.
La storia delle esplorazioni e dello sviluppo del Mare
del Nord ci ha insegnato che ciò che era impossibile ieri sarà
fatto oggi. Non ci sono dubbi sul fatto che il Mare del Nord è una
delle maggiori aree di produzione del XXI secolo.
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Definizione e poteri statuali
Il Mare del Nord è stato delimitato dal Trattato sulle
pescherie del Mare del Nord firmato il 6 Febbraio 1882, da
Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Regno Unito. Detta
delimitazione, sebbene concordata per lo scopo particolare
summenzionato, si ritiene possa essere considerata accettabile a
fini generali.
Essendo il fondale molto basso, virtualmente l’intera
area sottomarina del Mare del Nord rientra nel concetto di
piattaforma continentale quale definito nell’art. 1 della
Convenzione sulla piattaforma continentale adottata a Ginevra il
29 Aprile 195810, e nell’art. 76 della Convenzione sul Diritto del
Mare adottata a Montego Bay il 10 Dicembre 1982. In base
all’art. 77 della citata Convenzione “lo Stato Costiero esercita
10L’art. 1 dispone che: “ai fini delle disposizioni che seguono l’espressione
piattaforma continentale è utilizzata per riferirsi: a)al fondo ed al sottofondo
delle aree sottomarine adiacenti alla costa ma situate fuori del mare
territoriale, fino ad una profondità di 200 metri o, oltre detto limite, fino a
dove la profondità delle acque consente lo sfruttamento delle risorse naturali
di tali aree; b) al fondo ed al sottofondo di simili aree sottomarine adiacenti
alle coste delle isole”.
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sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di
esplorarla e sfruttarne le risorse naturali”. Tali diritti, in base al
comma 2 dello stesso articolo, sono “esclusivi”, nel senso che, se
lo “Stato costiero non esplora la piattaforma continentale, o non
ne sfrutta le risorse, nessun altro può intraprendere tali attività
senza il suo espresso consenso”.
Suddivisione della piattaforma continentale
Il crescente interesse per la ricerca petrolifera nel Mare
del Nord, dopo la scoperta del grande giacimento di gas naturale
a Slochten, nella provincia olandese di Groningen, rese
opportuno delimitare le zone della piattaforma continentale
spettanti a ciascuno dei diversi Stati interessati.
In base all’art. 83 della Convenzione di Montego Bay,
allorché la piattaforma continentale è situata tra due o più Stati le
cui coste si fronteggiano o sono adiacenti, i limiti devono essere
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determinati mediante accordo tra gli Stati stessi11. Nel caso
l’accordo non è raggiunto, il comma 2 dello stesso art. 83,
prevede l’applicazione della Parte XV, riguardante la soluzione
delle controversie. Tale soluzione dovrà avvenire attraverso
mezzi pacifici, previsti dall’art.33 della Carta delle Nazioni Unite
oppure scelti dalle parti; nel caso le parti non raggiungano
alcuna soluzione al conflitto, la controversia sarà sottoposta, “su
istanza di ciascuna delle parti della controversia, alla corte o al
tribunale competenti”.
Nella delimitazione della piattaforma continentale tra
Paesi Bassi e Repubblica Federale di Germania, e tra Danimarca
e Repubblica Federale di Germania, è intervenuta la Corte
Internazionale di Giustizia. La controversia è stata sottoposta alla
11Gli accordi tra Norvegia e Regno Unito, tra Paesi Bassi e Regno Unito, tra
Danimarca e Norvegia e quello tra Danimarca e Paesi Bassi, si basano sul
principio della linea mediana - la mediana viene definita come una linea “di
cui ciascun punto è equidistante dai punti più vicini delle linee di base dalle
quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale di ciascun Stato”-.Da
notare il fatto che nell’accordo tra Norvegia e Regno Unito e tra Norvegia e
Danimarca, l’esistenza di una fossa parallela alla costa norvegese è stata
ignorata. Essa, a condizione che le risorse naturali in essa esistenti siano
tecnicamente sfruttabili, è considerata parte della piattaforma continentale.
L’accordo tra Belgio e Paesi Bassi si basa sul principio dell’equidistanza,
misurando quest’ultima dalla linea di base normale, la quale è definita
dall’art. 5 della Convenzione di Montego Bay.
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Corte il 20 Febbraio 1967, le Parti hanno chiesto alla Corte di
determinare i principi e le regole di diritto internazionale
applicabili. La Danimarca e i Paesi Bassi chiedevano che le
delimitazioni dovevano essere effettuate in conformità con il
principio dell’equidistanza, come definito dall’art. 6 della
Convenzione di Ginevra del 1958. La RFG chiedeva che la
piattaforma continentale doveva essere suddivisa in modo che
ciascuna parte doveva avere una “giusta ed equa” zona della
piattaforma continentale disponibile, in proporzione alla
lunghezza delle loro coste.
La Corte ha rifiutato entrambi le tesi;
· quella danese e olandese, in quanto la RFG non avendo
ratificato la Convenzione, non era vincolata dall’art. 6, ed inoltre
il principio dell’equidistanza non era una conseguenza necessaria
del concetto di diritto sulla piattaforma continentale, e non era
una regola di diritto internazionale consuetudinario;
· quella tedesca, in quanto afferma che la questione ad essa
presentata non riguardava la suddivisione della piattaforma
continentale, ma il processo di delimitazione, il quale riguarda