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riprese dalla videocamera, che abbattano le frontiere e favoriscano una presa di
coscienza planetaria.
La scuola di Francoforte [Wallace e Wolf, 1994, 132], all’opposto, ritiene che il
bombardamento di informazione portato dalla nascita di così numerose tecnologie di
comunicazione produrrebbe uno stordimento apatico e un tacito consenso, lastricando
la strada alla manipolazione della coscienza individuale, tramite la quale il sistema
capitalistico diffonderebbe i valori del consumo e perpetuerebbe l’ideologia del
blocco storico dominante.
Le teorie di Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas potrebbero ritenersi verosimili
se riferite ad un tempo passato: la manipolazione delle notizie sulle battaglie della
seconda guerra mondiale di cui Lippman, in L’opinione Pubblica [1999], ci porta a
conoscenza, seppure avviene ancora oggi, non viene interiorizzata alla stessa maniera
di un secolo fa dal pubblico.
Oggi l’utente ha imparato a pensare al secondo fine cui può guardare un giornalista o
la sua fonte, ha imparato ad individuare i meccanismi attraverso i quali il giornalista
si sforza, invano, di tingere una notizia tutta di “rosa” o tutta di “nero”. Ha imparato
ad individuare l’uso della psicologia dei fattoidi; ha imparato a percepire quando il
messaggio vuole persuaderlo collocandolo in una categoria, in un target all’interno
del quale si riconosca, si gratifichi e si inorgoglisca, anche se non ha mai letto un
libro di psicologia della persuasione e non sa che questa tecnica si chiama, in gergo,
“granfaloon”.
In questo lavoro si partirà dall’idea che i media e i new media non sono né bene né
male, né apoteosi della mente dell’uomo, né causa della sua morte intellettuale. Bensì
che essi siano semplicemente parte integrante della vita di quest’epoca.
Si ritiene che non siano i media ad alimentare la passività; piuttosto che spesso ci si
serva di essi quando si decide di non essere troppo attivi e vigili, di riposare la mente
dopo una dura giornata.
Perciò, il nesso causale andrebbe capovolto.
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Con questo non si vuole affatto affermare la non influenza su atteggiamenti e
comportamenti da parte dei mass media ma, piuttosto, evidenziare come questa
influenza sia intermittente, non sia in grado di provocare cambiamenti di opinione né
su larga scala, né a lungo termine, tantomeno su questioni ritenute importanti dal
singolo individuo.
Soprattutto si intende inquadrare un’eventuale influenza mediale come conseguenza
della decisione o del momentaneo stato psicologico dell’utente e non delle capacità
dei media e, comunque, che tale influenza sia oggi assai inferiore a confronto con
l’epoca analizzata dalla scuola di Francoforte.
In quest’ottica, l’uomo sarebbe capace di servirsi dei media a piacimento, a seconda
delle esigenze di ogni preciso momento.
Uno stesso messaggio mediale potrebbe essere ignorato e deriso o, al contrario,
influente sulla condotta di un medesimo individuo, a seconda dell’attenzione che egli
intende rivolgergli, dell’interesse che suscita in lui l’argomento del messaggio in un
determinato frangente.
La Teoria della scelta razionale di Homans, [Wallace e Wolf, 1994, 208] afferma che
l’uomo è essenzialmente razionale e basa le sua azioni su ciò che percepisce come i
mezzi più efficaci per raggiungere i suoi scopi.
Blau e i teorici dello Scambio sociale [Wallace e Wolf, 1994, 236] specificano il
concetto inquadrando l’interazione sociale, il comportamento elettorale,
l’appartenenza al sindacato in termini di una scelta razionale, frutto dell’esame di
costi e vantaggi delle opportunità a disposizione; in termini di scambio tra voti o
adesioni e ricompense particolari.
Il comportamento sociale elementare, vale a dire il comportamento consuetudinario
non intenzionale, è spiegato per mezzo dei principi-base dello scambio sociale di tipo
economico.
Hechter, successore di Blau, afferma che l’azione o l’inazione dei gruppi non è il
risultato dell’interiorizzazione dell’ideologia dominante, come voleva Marx,
altrimenti non si spiegherebbe perché i gruppi spesso non agiscono di comune
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accordo, o perché si sia prodotto il movimento femminista dato che le ragazze
socializzavano il ruolo “femminile”, o perché i gruppi lottano per i propri interessi
dato che dovrebbero aver interiorizzato una “falsa coscienza”, una concezione
distorta della propria collocazione sociale [Wallace e Wolf, 1994, 236].
Operando una forzatura a questo punto di vista di Hechter, si potrebbe affermare che
l’azione o l’inazione dei gruppi non è il diretto risultato dell’interiorizzazione dei
modelli di comportamento suggeriti dai media, come vorrebbero la scuola di
Francoforte e tanti altri autori, altrimenti non si spiegherebbe perché tante campagne
pubblicitarie si siano rivelate un flop, perché molti utenti scelgano di vedere diversi
telegiornali per sentire una notizia nelle diverse sfaccettature, o perché molti altri
decidano di vedere il telegiornale che rispecchia le proprie idee politiche, o perché
altri utenti ancora preferiscano il quotidiano o la sua versione virtuale al telegiornale,
o perché solo una piccola percentuale delle ragazze adolescenti si ammala di
anoressia, dato che i modelli mediali ne sarebbero la causa.
Ogni individuo che fuma ha visto spot contro il fumo, ogni persona che acquista beni
di un marchio pubblicizzato è consapevole che non vi riscontrerà tutte le qualità
osannate dai media.
Lo stesso dovrebbe valere per le scelte in merito alle diverse tipologie di mezzo di
comunicazione: si ritiene che esse siano scelte razionali, frutto della ricerca del
soddisfacimento di bisogni personali.
Nel senso che, chi passa ore e ore in chat, sa che la vera vita sociale è lontana dal PC
ma sceglie arbitrariamente di estraniarvisi per un certo tempo; chi cambia modello di
cellulare ogni sei mesi sa che ha migliorato quasi niente delle sue funzioni e che ha
fatto una scelta puramente consumistica, indotta dalla pubblicità, ma non si ritiene
suo schiavo, bensì ritiene sia una sua libertà spendere per vanità i soldi che ha
guadagnato; se ciò è uno spreco o un’amoralità, la causa è di una socializzazione
primaria lacunosa, non della logica di mercato e, quindi, della pubblicità.
Se un individuo si identifica solo con gli oggetti che possiede, comprando ogni cosa
che vede in tv, forse manca di ancoraggi stabili per costruire la propria identità,
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magari ha problemi psicologici, magari è anche stordito dai modelli mediali, ma non
saranno questi le uniche cause della sua condotta.
Quasi ogni comportamento direttamente o indirettamente collegato ai mezzi di
comunicazione di massa è il risultato di un assai più complesso processo storico-
sociale, spesso anche psicologico.
Se un individuo non ama il proprio aspetto fisico, non imparerebbe ad amarlo
semplicemente se gli venisse tolta la possibilità di scavalcarlo attraverso la chat. Un
individuo che prende per oro colato tutto ciò che legge sui giornali, ascolta in radio,
vede in tv, legge, ascolta e vede in Rete, non ha avuto una socializzazione che gli
insegnasse a districarsi nel complesso mondo del 2000 e il suo comportamento ne
risentirebbe comunque, anche se non avesse i mass media ma un gruppo di pari a
influenzare la sua personalità labile; se le caratteristiche intrinseche della vita e della
socializzazione dell’epoca post-moderna non ci permettono più di interiorizzare i
“valori” di una volta, ciò non può essere addebitato ai mass media.
Se il sociocostruzionismo [Berger e Luckmann, 1969] ha ragione, come si crede,
nell’affermare che l’individuo costruisce la propria identità attraverso un rapporto
dialettico con un qualcosa d’altro, che un tempo era il gruppo primario e oggi, per
gran parte, sono i mass media, questo è imputabile all’esistenza dei media o
all’inesistenza di un qualcosa d’altro?
Con una socializzazione primaria onnipresente come quella di un secolo fa, i mass
media non avrebbero alcun ruolo nella costruzione del significato.
Invece oggi, a causa dei nuovi ritmi di vita, la socializzazione primaria spesso lascia
tali e tante lacune da permettere ai media di infiltrarsi, ma soprattutto manca di
un’adeguata educazione a questi.
Come conseguenza a quanto detto, non si condivide la tendenza a stereotipare i
giovani.
Anzi, si ritiene che essi subiscano etichettamenti incoerenti.
Oltre alle tecnologie che hanno avute disponibili, ci sono altre differenze tra i giovani
degli ultimi cinquant’anni?
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I cosiddetti “Baby boomers” furono denominati così perché erano i figli del boom
demografico che si verificò alla fine della guerra. Furono la prima generazione a
vivere sotto l’incubo della distruzione nucleare del Pianeta, a godere un’espansione
senza precedenti dei consumi privati, a frequentare in massa le Università. Furono i
protagonisti del ’68 e solo con l’indispensabile ausilio dei mass media hanno potuto
mettere in atto i movimenti e le rivolte di allora [Gozzini, 2000, 244]. Amavano gli
agi della golden age, la moto, l’erba, la moda.
I Freak avevano le stesse caratteristiche: una controcultura unita dall’odio per il
sistema, che però non sarebbe mai cresciuta senza tecnologia: senza radio FM, stereo,
tv, pillola anticoncezionale, chitarra elettrica, LSD, concerti rock [Davis, 2000, 144].
La generazione X, a confronto, sarebbe l’incognita? E perché? Perché adotta gli stessi
comportamenti delle generazioni precedenti, come far decrescere il numero di
matrimoni e la natalità, far crescere il numero di divorzi, di notti brave, il consumo di
droga, il disinteresse per la politica?
Ogni singola caratteristica di quelle elencate ha una precisa spiegazione storico-
sociale.
I giovani di ultima generazione, spesso definiti SMS generation, sono accusati delle
medesime cose, oltre che di passare più tempo con i media che con le persone.
Si ritiene questo un quadro assolutamente parziale, qualora considerabile verosimile.
I genitori rimproverano i figli delle stesse cose per cui venivano rimproverati loro
stessi, soprattutto ignorando un semplicissimo assunto: che i giovani sono i figli loro
e del tempo in cui vivono.
Walter Lippman, in L’opinione pubblica dice:” Ogni nuova generazione è la vittima
casuale del modo in cui la generazione precedente era condizionata, nonché l’erede
dell’ambiente risultante” [Lippman, 1999, 59].
Questo lavoro, quindi, studierà quella che è chiamata SMS generation non per
aggiungere alla sua definizione altri opinabili e personali giudizi di valore, ma solo
per guardare più da vicino come essa usa i new media, quanto tempo passa ad
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adoperarli, che genere di ripercussioni, oggettivamente osservabili o soggettivamente
avvertite (e non fantomaticamente previste) subisce da parte loro.
Si cercherà di dimostrare che le esigenze di comunicazione e di socialità della società
non sono state modificate dai new media, bensì che sono solo state aiutate ad
esprimersi più liberamente e con più facilità.
In particolar modo per ciò che riguarda il comportamento sessuale.
Si ritiene, infatti, che esso non abbia subìto alcuna epocale trasformazione sotto la
spinta delle possibilità offerte dai new media, ma che si sia semplicemente arricchito
di libertà e di riservatezza, attraverso Internet.
Il tanto dibattuto anonimato della rete avrebbe quindi una forte valenza sociale, la
stessa che ha sempre avuto il fenomeno della prostituzione: entrambi lasciano
invariato l’equilibrio delle famiglie e quindi della società, permettendo ad un coniuge
o fidanzato di evadere dalla vita di coppia senza, per questo, distruggerla.
Anzi, Internet permette un tradimento solo virtuale, senza nemmeno comportare il
rischio di trasmissione di malattie veneree.
Nella presente ricerca si analizzerà il fenomeno attuale della virtualizzazione della
comunità in generale, mettendo poi a fuoco l’approccio delle comunità virtuali al
sesso virtuale.
Lo scopo principale dell’indagine è capire se l’utilizzo di diverse tipologie di
comunicazione mediate dalla tecnologia avviene da parte di target d’utenza
sostanzialmente differenti. Se le giovani generazioni, che sono la parte più massiccia
degli utilizzatori di queste nuove forme di comunicazione, partono o no da una simile
esigenza di comunicare, se presentano lacune nella propria vita sociale o se avvertono
particolari ripercussioni su di essa in seguito all’utilizzo costante dei new media.
Se riscontrano un’allargamento delle proprie possibilità di vita di gruppo grazie alla
trasposizione delle conoscenze fatte on-line nella propria socialità reale.
Se è una motivazione ricorrente, di questo genere di comunicazione, la ricerca di un
nuovo gruppo amicale; se il fine è giocare a fare conoscenza, trovare un amico
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virtuale col quale interagire via chat o via SMS, o conoscere persone con le quali
stabilire un rapporto duraturo, reale.
D’altra parte, non sarebbe una necessità inedita: già molti anni fa, opportunità
alternative di fare conoscenza, addirittura di cercare moglie, si sono cercate
attraverso annunci sul giornale.
La raccolta di dati, tramite lo studio di due casi, sulla modalità di creazione di gruppi
di persone tramite l’uso di chat-line e forum, avrà lo scopo di osservarne la
configurazione strutturale e cogliere eventuali differenze rispetto ai gruppi di
interazione a faccia a faccia; inoltre cercherà di verificare se è plausibile riportare le
eventuali differenze riscontrate alla diversità di contesto comunicativo e di medium
usato per l’interazione.
Il lavoro sarà articolato in due parti. La prima verterà sui diversi modi di intendere il
termine “comunicazione” e analizzerà tre diversi modi di comunicare attraverso le
nuove tecnologie, scelti tra quelli ritenuti di maggior uso da parte dei giovani (le
chat-line, i forum, gli SMS)
1
.
Nella seconda parte si mostreranno i risultati di uno studio empirico attraverso
un’inedita comparazione tra le esigenze dell’utenza delle tre tecnologie di
comunicazione in esame. Si cercherà di dimostrare che, sebbene attraverso modalità
differenti, sono simili le esigenze che spingono le ultime generazioni al multitasking.
Le tematiche affrontate in rete dagli utenti dei new media sono innumerevoli:
dall’amore all’amicizia, dagli hobby allo sport, dall’attualità alla scienza alla storia.
Ma affinché potesse effettuarsi la comparazione tra le diverse modalità di
comunicazione prese in esame, è stato scelto un terreno comune su cui indagare: le
relazioni ed il sesso.
Dal momento che si svolgerà uno studio innovativo, per il quale non si è potuto far
riferimento a lavori precedenti, la parte empirica sarà inaugurata da alcune interviste
a testimoni privilegiati, figure chiave della gerarchia amministrativa di una chat-line
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del portale Libero.it. Attraverso di esse si cercherà di raccogliere più specifiche
informazioni circa i meccanismi di funzionamento delle comunità virtuali, argomento
del quinto capitolo.
Per avvalorare le conoscenze ottenute e per scendere nella scala di generalità, nel
sesto capitolo sarà condotta l’Analisi del Contenuto su un campione di 511 messaggi
rilevati da un forum sul sesso pubblicato su un sito web frequentato da studenti
italiani. Si cercherà di capire, attraverso lo studio del linguaggio e dei contenuti dei
messaggi, se tale forum è un mezzo di conoscenza o un luogo di perversione.
Un ultimo passaggio sarà rilevare dall’interno lo stato di cose: individuata una
comunità virtuale si cercherà di fare un identikit di chi la utilizza.
Così nel settimo capitolo verranno riportati i risultati di un’inchiesta campionaria
somministrata on-line. In particolare, il questionario mirerà a far luce sull’utilità
riscontrata dall’utenza nei nuovi modi di comunicare come le chat, i forum e i
messaggi SMS.
Inoltre si cercherà di individuare le caratteristiche socio-demografiche dell’utente che
pratica sesso virtuale. I risultati di quest’ultima indagine saranno poi confrontati con
una analoga inchiesta svoltasi in America nel 1998.
Si rivolge un doveroso ringraziamento alla community Digiland del portale Libero.it
per la preziosa collaborazione.
In particolare al webmaster Donatella Lauro e alla chat leader della stanza
Napoli&Napoli Antonella Liccardo.
Inoltre, si ringrazia il dott. Daniele Zanella per i preziosi suggerimenti e per la
pubblicazione del questionario on-line su un portale nazionale di tale caratura.
Un ringraziamento speciale va alla dott.ssa Amalia Caputo per l’aiuto costante,
particolarmente indispensabile per la costruzione delle analisi presentate in questo
lavoro.
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Abbiamo scelto di omettere nella nostra trattazione i MUD [v. Appendice C] poiché questa comunità virtuale è stata
ampiamente studiata, anche per quanto riguarda il tema del sesso, dalla studiosa del MIT Sherry Turkle nella sua
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Grazie a Laura per avermi guidato nell’osservazione delle comunità virtuali e a Luca,
che ha curato le diverse fasi della lavorazione e che mi ha sostenuto sempre.
celeberrima opera del 1995.
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Parte prima
Le chat line, i forum e i messaggi SMS
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Capitolo I
La comunicazione
1. La comunicazione: cenni storici
La radice etimologica di “comunicare” è latina e significa “far partecipi gli altri di ciò
che è proprio”, riferito oggi, per lo più, a cose non materiali.
La comunicazione è il presupposto fondamentale del vivere comune, sin da prima che
fosse inventato il linguaggio.
Quest’ultimo è una comunicazione che avviene attraverso la parola e che nasce
quando l’interazione e la comunicazione sono costanti in un gruppo stabile di
individui.
La comunicazione è la chiave di lettura della storia perché ha modificato la vita
dell’uomo e il carattere delle sue conoscenze.
L’avvento dell’alfabeto è stata una rivoluzione per aver svincolato l’uomo dalla
necessità dell’appartenenza ad un gruppo e dalla condivisione dell’esperienza come
presupposto fondamentale per comunicare. Ha individualizzato e democratizzato la
cultura, consentendo a sempre più persone di accedere a gruppi di potere.
Al contrario, la difficile padronanza del complesso sistema di ideogrammi ha
predestinato la vita del popolo cinese perché è rimasta appannaggio esclusivo di
pochi eruditi, ha bloccato lo sviluppo della stampa e ha fatto da baluardo alle
istituzioni imperiali. Particolarmente sintomatico che sia bastata l’introduzione della
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propaganda sui giornali, nel 1900, per preparare la caduta del Celeste Impero
[Gozzini, 2000, 3].
Allo stesso modo l’Impero Ottomano, l’India e l’America centrale rifiutarono la
stampa e persero rispettivamente la preminenza economica e militare e
l’indipendenza.
Kern [1999], in proposito, osserva come la cultura dei vecchi modi di pensare e
l’affermarsi del cinema e della radio appaiano inestricabilmente connessi.
Vivendo nell’epoca del potenziamento estremo dei mass media, si è fatto della
comunicazione il mezzo essenziale attraverso il quale i soggetti entrano in rapporto.
Alle relazioni sociali fondate sull’azione, si è sostituita la relazione sociale fondata
sulla comunicazione, l’agire si è trasformato in ciò che Habermas ha chiamato agire
comunicativo, l’atto umano per eccellenza rivolto all’intesa tra i soggetti [Habermas
in Crespi, 1998, 207].
Il concetto di comunicazione assume un ruolo importante con la nascita della stampa,
rendendo possibile la standardizzazione delle lingue nazionali, la fruizione
individuale, secolare, libera della cultura, diventando, cioè, “comunicazione di
massa” (termine con cui in seguito si indicheranno anche la comunicazione al
telefono, alla radio, alla televisione).
Per “comunicazione di massa” si intende ogni processo di produzione e trasmissione
di informazioni (suoni, immagini, dati, etc., cioè la cultura di massa), capace di
raggiungere in modo simultaneo, o in brevissimo tempo, una grande massa di
individui in differenti situazioni spaziali, attraverso un c.d. medium [v. Appendice C].
Per usare un’espressione di McLuhan, la comunicazione di massa “consente di
estendere i sensi e le potenzialità del corpo umano in modo da oltrepassare i vincoli
spazio-temporali” [da Capire i media. L’estensione dell’uomo in Cavicchia
Scalamonti e Pecchinenda, 1999, pag.33].
Il concetto è stato poi specificato dall’autore in Galassia Gutemberg [1976] :
l’alfabeto fonetico ha frantumato i sensi del tatto, del gusto, dell’udito soprattutto,
sostituendoli con la vista, e la stampa ha creato il c.d. uomo tipografico, individualista
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e razionale, che si realizza pienamente con Gutemberg ma muore con la nascita dei
media elettronici, che lo fanno tornare all’interdipendenza e al senso dell’udito.
Un nuovo tribalismo, che l’autore definisce villaggio globale, in cui è annullato
l’ostacolo dello spazio fisico e della lontananza attraverso la comunicazione.
Un villaggio che si è tramutato, nell’epoca dei new media, nella Galassia Internet di
Castells [2001].
Nella c.d. “società dell’informazione” non solo l’innovazione nella tecnologia delle
comunicazioni è occasione di sviluppo, ma la comunicazione stessa assume un ruolo
economico e antropologico centrale.
Nella sociologia odierna hanno un posto considerevole la sociolinguistica, le
rappresentazioni sociali del linguaggio, la semiotica, la semiologia, la cibernetica.
Essa inoltre studia l’organizzazione, il pubblico, il mercato, gli effetti, i contenuti, i
simboli della comunicazione di massa.
Perché possa aversi comunicazione di massa è necessario che siano presenti alcuni
fattori: la sorgente dell’informazione (che sceglie il messaggio e lo invia
all’emittente), l’emittente (che lo codifica in un segnale), il ricevitore (che
ricostruisce il messaggio iniziale e lo invia al destinatario), il destinatario (il
destinatario dell’informazione), il messaggio (ciò che si vuole comunicare), il
medium (il canale che consente il trasferimento dell’informazione).
Va inoltre aggiunto che, tanto l’emittente quanto il ricevente, devono condividere uno
stesso sistema di codifica e decodifica, così da essere in grado di trasmettere e
ricevere il messaggio.
Altri elementi da considerare sono il disturbo, dovuto ad insufficiente capacità del
canale di trasmettere l’informazione e il rumore, cioè quella serie di rumori talvolta
fisici, altre volte psicologici, che ostacolano la corretta ricezione del messaggio.
Ma se la codifica è stata fatta tenendo conto di tali variabili, se la capacità del canale
è adeguata e se il disturbo è probabilisticamente prevedibile si può ridurre il possibile
equivoco. Quindi sarebbe sufficiente l’esatta trasmissione del simbolo per
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determinare la comprensione del messaggio da parte del destinatario [Shannon e
Weaver, 1983].
Questo ultimo passaggio riduce la comunicazione ad un processo causale lineare
guidato dalla logica S=>R. In particolare il destinatario è qui dipinto come parte
passiva di questo processo.
A questo paradigma matematico dell’informazione si contrappongono ormai tutti gli
sviluppi recenti che tengono conto dell’interattività tra emittente e ricevente.
Promotrice di tali sviluppi è stata proprio la Sociologia, soprattutto quella che va
sotto il nome di Interazionismo simbolico (Goffman) e di Fenomenologia (Schutz).
Secondo tali studi, gli interlocutori interagiscono in canali bidirezionali, permettendo
il feedback (l’effetto di risposta del messaggio), quindi attribuiscono al destinatario
l’intenzionalità [Wallace e Wolf, 1994, 261, 315].
Nella realtà, infatti, è molto raro che si verifichi una relazione unidirezionale; per lo
più si assiste, invece, ad intrecci di influssi comunicativi che si influenzano
reciprocamente, nonostante sia spesso necessaria una preconoscenza della situazione,
della persona, o almeno della funzione esercitata dall’interlocutore.
La conoscenza del contesto sociale consente, infatti, all’emittente di rivolgersi al
destinatario adeguandosi al suo livello comunicativo.
La comunicazione di massa, oggi, riguarda la sfera personale, politica ed economica
quotidiana. Si è evoluta con la tecnologia fino a diventare sempre più immediata,
diretta e distante, attraverso i new media.
Secondo alcuni pensatori, questa evoluzione si è avuta ad un ritmo tale che quanti
fabbricano contenuti non sono riusciti a tenere il passo; secondo altri, al contrario, i
new media produrrebbero più comunicazione di quanta potrebbe essere consumata,
un sovraccarico informativo che eccederebbe la possibilità umana di filtrarlo e
memorizzarlo.
La “freddezza” del medium tecnologico ha portato molti studiosi ad implicare
demagogicamente la “freddezza” dell’utente, soprattutto dell’utente di comunità
virtuali.