3
Ogni tempo di passaggio è sempre occasione provvidenziale per un ritorno alle
sorgenti, per una potatura delle cose meno essenziali in vista di una riformulazione
creativa, con la fantasia dello Spirito, del dato perenne della Tradizione.
“Io sarò sempre con voi” è la promessa di Gesù ai suoi discepoli nell’inizio della vita
apostolica. E non può che essere anche la parola rivolta ad ogni sacerdote, di ogni tempo.
Una certezza che rasserena e impegna, che aiuta a guardare con fiducia alle travagliate
pieghe della storia.
Spiritualità sacerdotale diventa allora il nome comune che funge da sostrato
condiviso dell’essere del sacerdote, il modo concreto con il quale lo Spirito configura
sempre più attentamente il prete al suo Signore.
Nello sviluppo di questo elaborato, si è voluto porre al centro della spiritualità
sacerdotale la configurazione trinitaria cui ontologicamente l’essere umano in quanto tale e
quindi il presbitero sono chiamati. Non si tratta, come si può ben comprendere e anche in
ossequio alla tradizione ecclesiale e magisteriale, di uno sguardo contrario rispetto al
paradigma del “Buon Pastore”. Più opportunamente si potrebbe parlare di una
incastonatura del Buon Pastore all’interno dell’esistenza e della natura trinitaria che Cristo
stesso vero Dio e vero uomo ha vissuto.
Il mistero della Trinità, lungamente obliato nella riflessione spirituale, fatta
eccezione per i mistici, è verità centrale e specifica del cristianesimo. La Trinità economica
si è manifestata nel tempo e ci ha consentito di indagare sulla Trinità immanente. Ne è
emersa la necessità di una rilettura teologica dell’”imago Dei” a misura del quale siamo
stati creati. Si è sviluppata, così, tutta una riflessione propria e peculiare circa l’importanza
per la nostra vita della dinamica di amore che costituisce la vita di Dio, e quindi della
natura dell’amore, la logica del dono, l’oblatività, l’essere in relazione.
Tutto ciò può rimanere ai margini della riflessione circa la spiritualità sacerdotale?
Anche in considerazione del fatto che il sacerdote è tradizionalmente compreso come
l’uomo di Dio, Trinità aggiungiamo, e l’uomo della Chiesa che il Concilio Vaticano II ci
ha restituito in tutta la sua articolazione trinitaria di mistero, comunione e missione, non è
possibile tacere sulla valenza performativa della Trinità nella vita del prete.
Avvertita questa necessità si è pensato di lasciarsi accompagnare per un lungo tratto
da un pastore della Chiesa, il teologo Klaus Hemmerle
1
che ha molto contribuito a un
1
Ordinato sacerdote nel 1952, è stato direttore dell’Accademia cattolica dell’arcidiocesi di Friburgo
(1956-1961), professore di teologia fondamentale a Bochum (1970-1973) e di filosofia della religione a
Friburgo dal 1973 al 1975, anno in cui fu consacrato vescovo di Aquisgrana.
4
pensiero trinitario anche grazie alla stima che egli ha nutrito per il Movimento dei Focolari
il cui carisma dell’unità mette particolarmente in rilievo la comunione trinitaria.
E’ sembrato così di significato far nascere, da una felice contaminazione, la
riflessione attorno alla spiritualità sacerdotale. In questo l’opzione di metodo è chiara: il
ragionare teologicamente delle “cose” dello Spirito ha bisogno anche di una consistente
riflessione dogmatica. Questo autore ha saputo integrare efficacemente il momento più
fondativo-speculativo con quello esistenziale. Per questo la sua elezione a tutore in questo
scritto è stata di particolare significato.
L’articolazione della tesi mostra nel succedersi dei capitoli questa assunzione
metodologica per cui alla riflessione fondativa e dogmatica si fa seguire quella più di
carattere esistenziale.
Il primo capitolo muove i passi, a mo’ di cenni, da una riflessione attorno alla
Scrittura e alla Tradizione, specie quella liturgica, per mostrare la plausibilità di uno
sguardo trinitario sul sacerdote. Il momento magisteriale che completa questo primo
capitolo vuole evidenziare che questo è un tema acquisito nell’insegnamento ufficiale della
Chiesa e che tuttavia non appare ancora così immediato nella concretezza del vissuto.
Il capitolo secondo si muove tutto attorno a una sintesi del pensiero trinitario di
Klaus Hemmerle attingendo alle fonti dirette dei suoi scritti.
Fissati così i riferimenti essenziali, il capitolo successivo mostra alcune implicazioni
di carattere più concreto e spirituale sulla vita del sacerdote in chiave trinitaria.
Il suo lavoro di dottorato – Il pensiero filosofico sulla creazione di F. von Baader (1957) – gli offre
l’opportunità di approfondire un pensare ricco del mistero della Trinità come fonte e senso dell’essere creato
nella sua radicale struttura di unità e differenziazione.
Lo scritto per l’abilitazione – Dio e il pensiero secondo la filosofia dell’ultimo Schelling (1967) – gli
permette di mettere a fuoco l’ontologia della libertà, di Dio e dell’uomo, come via dialogica donata da Dio.
Il suo pensiero è tributario di San Bonaventura e Sant’Agostino, insieme a Pascal e Cusano. In lui il
mostrarsi dell’essere diventa sempre più fenomenologia dell’amore che si rivela nella sapienza del
Crocifisso. Tra i contemporanei deve molto a H. Urs von Balthasar. Il frutto di questi approfondimenti oltre a
un lavoro su Bonaventura, sarà Preludio alla teologia (1976), una introduzione al cristianesimo che, partendo
dalla fenomenologia dei giochi in cui si attua e si rivela l’esistenza umana, giunge alla loro illuminazione con
l’avvento di Dio in Gesù Cristo.
L’approccio che guida la sua riflessione è sempre più quello dell’unità che evidenzia nel suo
contributo più significativo: Tesi di ontologia trinitaria (1976). Qui tematizza la novità dell’essere e del
pensare umano alla luce del dischiudersi in Gesù Cristo, del mistero trinitario di Dio nella nostra storia e
come nostra storia. Questo suo contributo è unanimemente riconosciuto come un punto di novità nel
panorama della riflessione teologica cristiana.
Eletto vescovo ha potuto dare il suo contributo specifico nella Chiesa tedesca e in quella universale.
Gli va riconosciuto un apporto proprio in diversi Sinodi e nella successiva elaborazione di importanti
esortazioni post-sinodali come la Christifideles laici e la Pastores dabo vobis.
La sua opera in Italia non è ancora molto conosciuta, mentre in Germania i suoi contributi si stanno
raccogliendo in un’opera omnia. Autorevoli teologi come il cardinale Lehmann e Hunermann gli
riconoscono una originalità di pensiero, tra l’altro nel coniugare “pericoreticamente” la filosofia e la teologia.
5
L’ultimo capitolo volge lo sguardo, a modo di corollario applicativo, sulla recente
Ratio per la formazione dei futuri sacerdoti in Italia. Non si tratterà di una compiuta analisi
critica di quel testo, ma di una rilettura in chiave trinitaria per coglierne i riferimenti diretti
e quelli più impliciti che possono offrire importanti indicazioni per una formazione in
prospettiva trinitaria dei futuri sacerdoti italiani.
Le parole di Giovanni della Croce possono aiutare a cogliere il senso delle pagine
che seguono come tentativo di pensare al sacerdote come servo della Trinità che abita
dentro di sé e negli altri:
“Lo Spirito Santo dà all’anima la capacità di spirare in Dio la stessa spirazione d’amore che il Padre
spira nel Figlio e il Figlio nel Padre. E’ lo stesso Spirito Santo, che in questa trasformazione spira in
lei nel Padre e nel Figlio per unirla a sé. Trasformata in Dio e unita a lui spira a Dio in Dio la stessa
spirazione che Dio spira in lei, divinamente trasformata. Mi pare che ciò voglia dire s. Paolo quando
scrive: “Ed essendo figlio, Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà,
Padre” (Gal 4,6). Non c’è da meravigliarsi che l’anima sia capace di una cosa tanto sublime, cioè che
ella per partecipazione spiri in Dio come Dio spira in lei, Infatti, dato che Dio le faccia la grazia di
essere unita con la santissima Trinità, grazia per cui ella diventa deiforme e Dio per partecipazione,
non è più incredibile che ella compie in lei. Ecco che cosa vuol dire essere trasformati nelle tre
Persone in potenza, in sapienza e in amore, in cui l’anima è simile a Dio, che la creò a sua immagine e
somiglianza perché potesse giungere a questa meta”
2
.
2
GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico Spirituale 39, 3-4.
6
CAPITOLO I
“FORMA” TRINITARIA DELL’ESISTENZA SACERDOTALE NELLA
TRADIZIONE E NEL MAGISTERO
La spiritualità sacerdotale, ovvero il vivere dell’uomo consacrato a Dio attraverso il
dono del sacramento dell’ordine, ha trovato nella Rivelazione e, quindi, nel magistero un
nucleo tematico che ne ha costituito la sorgente di riflessione e di prassi pastorale: la carità
del pastore come identificazione a Gesù “Buon Pastore”. Attorno a questo specifico del
sacerdote, sacramento di Cristo Capo nella Chiesa, tutto l’agire concreto ha ricevuto
impulso e orientamento. Basti ricordare due titoli su tutti a conferma di questa centralità
ermeneutica del Pastore: “La Regola Pastorale” di Gregorio Magno per secoli utilizzata
nella formazione dei seminaristi, soprattutto in epoca post-tridentina, e più recentemente
l’esortazione apostolica post-sinodale Pastores Dabo Vobis, con la quale il papa Giovanni
Paolo II ha concluso i lavori del Sinodo dei vescovi sul sacerdozio e riconsegnato alla
Chiesa uno sguardo particolare alla luce dell’autorevole magistero del Concilio Vaticano
II.
Tuttavia
perché il riferimento cristologico non divenga cristomonismo, il ministero ordinato va però
collocato, in e per Cristo, dentro ad una dimensione trinitaria. E’ la stessa opera salvifica di
Cristo che rimanda al Padre e allo Spirito. E sono stati gli approfondimenti ecclesiologici sul
versante sia dell’opera del Padre che dell’azione dello Spirito ad allargare beneficamente
anche gli orizzonti della teologia del ministero, impedendone l’assorbimento cristomonistico.
Una ecclesiologia trinitaria plasma così una visione trinitaria del ministero ordinato.
3
Non mancano a ben vedere motivi che spingono a guardare con rinnovata fiducia al
sacerdote come immagine del Buon Pastore o del Pastore Bello per usare l’altro significato
della parola greca utilizzata in Luca, eppure occorre chiedersi se nella definizione di una
spiritualità sacerdotale non debba entrare più significativamente di quanto possa essere
avvenuto in passato, il dogma che il Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 234,
chiama “mistero centrale della fede e della vita cristiana”: il mistero trinitario.
Nei paragrafi che seguono si cercherà allora di cogliere quegli elementi non tanto di
una dogmatica trinitaria da cui far discendere eventuali conseguenze per la vita spirituale,
cosa che verrà meglio sottolineata nei capitoli successivi, ma la presenza di una
3
E. CASTELLUCCI, Il ministero ordinato, Queriniana, Brescia 2002, 307.
7
“contaminazione” trinitaria nella Rivelazione e nel Magistero che riguardi direttamente la
vita sacerdotale.
1.1 Il sacerdozio di Cristo nella Lettera agli Ebrei
Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote
misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del
popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è
in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
4
La sezione della lettera agli Ebrei riportata costituisce la conclusione della parte
dell’omelia circa la persona e l’identità di Gesù e al tempo stesso costituisce un sommario
che troverà esplicitazione nei successivi capitoli 3 e 4. In essa, a differenza di quanto
avviene nei Vangeli e nelle lettere di Paolo, la categoria di sacerdotalità è
abbondantemente utilizzata per descrivere la missione e la persona di Gesù in continuo
paragone con il sacerdozio levitico e con la mediazione di Mosè, per mostrarne la
superiorità ontologica e quindi la maggior efficacia salvifica. Gli elementi caratterizzanti
tutta la sezione sono due attributi riferiti al sacerdozio di Cristo: “misericordioso” e “degno
di fede”
5
.
Prima di entrare nella loro puntuale spiegazione, va certamente sottolineato come
entrambi sono qualificazioni che descrivono un modo di essere, un modo di relazionarsi ad
un altro. Non si parla infatti di qualità soggettive, come possono essere il coraggio o la
temperanza o la prudenza o altre virtù…ma di misericordia e fiducia che pongono la
relazionalità come costitutiva della mediazione sacerdotale.
Questo particolare non è di poco conto nell’orizzonte di una riflessione trinitaria sul
ministero sacerdotale perché consente di sottolinearne l’intima connotazione relazionale e
quindi rinviare intuitivamente alla sorgente ontologica di ogni relazione: la pericoresi
trinitaria.
Ogni mediazione sacerdotale in quanto partecipazione dell’unico sacerdozio di Cristo
esige, dunque, entrambe le caratteristiche. La misericordia rimanda al rapporto con gli
uomini, così come esplicita la lettera agli Ebrei
6
: Cristo, il Figlio di Dio, avendo condiviso
4
Eb 2,17-18. Per approfondimenti di carattere esegetico si può far riferimento a: F. MANZI, Lettera agli
Ebrei, Città Nuova, Roma 2001, 55-74; A. VANHOYE, “La novità del sacerdozio di Cristo”, in AA.VV., Il
sacerdozio della nuova alleanza, Ancora, Milano 1999, 45-63.
5
Per le discussioni esegetiche circa la corretta traduzione dal greco si rimanda ai precedenti studi.
6
“Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato
lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.” (Eb 4,5)
8
in tutto eccetto il peccato la condizione di uomo può davvero esercitare una mediazione
efficace, resa tale dalla umiliazione e dalla sofferenza della croce. Per questo ciascuno può
accostarsi a un simile mediatore, nella certa speranza che proprio in quei momenti di
ingiuste tribolazioni è possibile l’incontro con il Padre.
Se la misericordia attiene alle relazioni con i fratelli, l’essere degni di fede riguarda
invece il rapporto con Dio. Gesù, infatti, attraverso la croce ha acquistato quella
autorevolezza presso il Padre che gli consente di essere sommo sacerdote che trasmette la
parola di Dio, e addirittura stabilisce che la fede in Lui si basa sulla parola di Cristo.
Questo fugace excursus nella lettera gli Ebrei ci mostra già come la sacerdotalità di
Cristo tiene insieme in modo relazionale due polarità, il Padre e i fratelli, secondo un
orientamento ellittico che garantisce una spiritualità sacerdotale non schiacciata sull’uno o
sull’altro versante in un riduzionismo monistico che non salvaguarda da un lato
l’autorevolezza che nasce da una profonda intimità con il Padre nel Figlio attraverso lo
Spirito e che dall’altro rischia di dimenticare che i frutti di una vita spirituale sacerdotale
sono orientati al bene dei fratelli.
1.2 La tradizione liturgica
Il compiersi della santità si svolge, come la storia di salvezza, in una relazione fatta
di parole e di azioni, tra Dio che prende l’iniziativa e l’uomo che vi corrisponde
liberamente e personalmente. Ora, il modo ordinario con cui viene rivelato o comunicato a
noi il mistero della salvezza è la parola e il sacramento della Chiesa. Per questo tra le fonti
di una spiritualità sacerdotale in chiave trinitaria non si può non verificare il dettato dei
libri liturgici che ad essa possono riferirsi.
Dal Concilio Vaticano II si è avuta una forte ripresa trinitaria della liturgia. Infatti, al
cristocentrismo tipico di Sacrosanctum Concilium 7, occorre allargare lo sguardo verso il
Padre fonte della santificazione e destinatario di ogni azione liturgica; occorre contemplare
l’opera propria dello Spirito ancora carente peraltro nella Sacrosanctum Concilium
nonostante i riferimenti dei numeri 5 e 6
7
. Questa incompiuta visione della liturgia ha
trovato una completa sistemazione nel Catechismo della Chiesa Cattolica dove essa è
definita come “opera della Santissima Trinità”, presentando il Padre come fine e sorgente
7
Cfr. R. FALSINI, “La liturgia come “culmen e fons”. Genesi e sviluppo di un tema conciliare”, in AA.VV.,
Liturgia e Spiritualità. Atti della XX Settimana di Studio dell’Associazione professori di Liturgia, Fermo 25-
30 agosto 1991, CLV, Roma 1992, 27-49.
9
della liturgia (nn. 1077-1083); l’opera di Cristo nella liturgia (nn. 1084-1090); lo Spirito e
la Chiesa nella liturgia (nn. 1091-1109).
Avendo così sinteticamente delineato il quadro entro il quale si comprende un uso
“teologico” e “trinitario” della liturgia, appare necessario riferirsi più direttamente alla lex
orandi professata nel Rito per l’ordinazione dei presbiteri
8
.
Due elementi colpiscono l’attenzione, uno di carattere più generale e l’altro più
specifico. Il primo mostra lo stretto legame tra la divina Trinità, la celebrazione
dell’eucarestia e il sacramento dell’Ordine. Quest’ultimo è l’unico del settenario
sacramentale a doversi celebrare sempre all’interno della sinassi eucaristica. Il senso di ciò
richiama un immediato legame di orientamento dell’Ordine all’Eucarestia la quale è “il
culmine di tutti i sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante
l’identificazione col Figlio unigenito per opera dello Spirito Santo.”
9
Perciò il sacerdote è
fin dalla sua ordinazione orientato alla dimensione comunionale trinitaria considerato il
suo riferimento essenziale all’Eucarestia, sacramento fontale e culminante di ogni
comunione ecclesiale.
Non sfugge, per altro verso, il fatto che nella preghiera di consacrazione dei
presbiteri, l’orientamento iniziale è trinitario. Ci si rivolge al Padre creatore e dispensatore
di ogni bene e di ogni provvidenza. Ed è sempre alla volontà del Padre che deve riferirsi la
costituzione di diversi ordini nei quali l’opera dello Spirito suscita i ministri del Cristo.
Questa invocazione sottolinea chiaramente che il ministero ordinato, orientato al
servizio del popolo, nasce da una disposizione trinitaria. La stessa memoria della storia
della salvezza, che segue l’introduzione e che precede l’epiclesi, fa comprendere come il
sacerdozio è inserito nelle operazioni delle Persone della divina Trinità e continuazione
della Nuova Alleanza di Cristo.
La stessa invocazione relativa all’esercizio del ministero nel servizio alla Parola e
alla santificazione del popolo si configura chiaramente come epiclesi rivolta al Padre per
chiedere il dono dello Spirito.
Questa visione trinitaria è evidentemente incentrata sulla categoria di mediazione,
della cui radice biblica si è già accennato. Una visione quindi cristocentrica del quale tutti,
nel battesimo, partecipano del sacerdozio cosa che fonda il carattere comunionale della
Chiesa, del popolo di Dio. Vi è dunque innanzitutto un ordinamento orizzontale nella
8
Per uno studio teologico articolato del Rito di Ordinazione dei presbiteri si veda G. CAVAGNOLI, “Il rituale
dell’ordinazione: dalla lex credendi alla lex orandi”, in Credere Oggi, 23 (1/2003), 121-140.
9
GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia, 39.