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ogni arte ha la propria particolare incarnazione poetica e la propria
vocazione, il proprio destino; il cinematografo è nato per esprimere
una particolare, specifica parte della vita, una parte dell’Universo
che, fino ad allora, non era stata assimilata dal pensiero e che non
poteva essere espressa dalle altre arti
2
.
In Andrej Rublëv, il film che esemplifica meglio il suo pensiero, si
nota come il cinema tarkovskijano e il suo protagonista, siano
perennemente alla ricerca della Verità. Le vicende descritte
riguardano uno dei periodi più bui della storia russa dove numerose
battaglie da parte dei Tartari rasero al suolo intere città e villaggi.
Dalla disumana violenza, un pittore di icone, riuscì a creare una delle
più belle opere d’arte che sia mai stata realizzata, diventando simbolo
della Russia intera per le generazioni a venire: l’icona della Santa
Trinità. In quest’opera Rublëv volle conglobare tutte le sofferenze del
suo popolo e donarle in contemplazione a Dio al fine di lodarlo e
invocarlo affinché diffondesse la sua grazia sugli uomini, unica
apportatrice della pace e della serenità. Ecco quindi l’importanza per
me di riscoprire un film che ormai appartiene alla storia del cinema e
intravede nelle coscienze dell’uomo la possibile risoluzione all’eterno
dilemma sul senso della vita. È la ricerca di se stessi il primo passo
verso la conoscenza della verità che ci permette di pregustare la gioia
che un giorno ci apparterrà come l’icona di Rublëv lo fu per il popolo
russo del Cinquecento.
Il profondo attaccamento di Tarkovskij al suo paese lo investe di una
sensibilità artistica legata alle icone russe. Questo non solo dal punto
di vista narrativo, Andrej Rublëv è infatti una biografia di un pittore di
icone (biopic), ma anche da un punto di vista formale riguardante il
mezzo cinematografico e la sua concezione del mondo in un’ottica
filosofica. Ecco dunque che Tarkovskij comunica al mondo con un
nuovo mezzo per esprimere «una particolare parte della vita e
dell’Universo» con una sensibilità ed un attaccamento propri della sua
cultura. Tarkovskij usa la pittura delle icone in un contesto nuovo,
quello del mezzo cinematografico, dirigendo con uno stile che è
proprio dei monaci russi nel dipingere le immagini sacre. La mia
2
Tarkovskij Andrej, Scolpire il tempo, Milano, Ubulibri, 1988
7
analisi vuol togliere ogni confine tra Tarkovskij cultore
dell’iconografia e Tarkovskij regista cinematografico, evidenziando
così ogni possibile correlazione a carattere formale e filosofica che
intercorre tra le due discipline. Il tutto per riscoprire ancora una volta
attraverso la nostra personale esperienza quanto la conoscenza della
verità possa aiutare il nostro sguardo incapace di comprendere
l’efferata violenza che appartiene al nostro quotidiano.
8
- CAPITOLO I -
CENNI BIOGRAFICI
I. 1. Andrej Tarkovskij
È da molto che non vedo mio padre. Meno lo vedo, e più ho voglia
di vederlo e ho paura di andare da lui. Ho dei complessi
evidentemente nei miei rapporti con i genitori. Non mi sento adulto
quando sono con loro. E credo che loro non mi considerino adulto.
Sono rapporti tormentosi, complessi, mai sviscerati. È tutto
talmente intricato. Li amo molto, ma non mi sono mai sentito a mio
agio e alla pari con loro. Secondo me anche loro si sentono a
disagio con me, anche se mi amano. È strano.
Per alimentare quella stima reciproca e quella fiducia che dovrebbe
intercorrere tra padre e figlio in una normale situazione famigliare,
Arsenij Tarkvoskij, poeta affermato della Russia del secolo scorso, era
solito scrivere lettere e poesie al primogenito Andrej che vedeva poco,
specialmente durante l’arruolamento nell’esercito russo (tav. I). Il
bambino, curioso delle avventure militari del padre e desideroso di
una sua reale presenza, imparava a memoria ogni lettera e ogni lirica
portando il suo ricordo sempre con sé. Arsenij lascia la famiglia,
divorziando dalla moglie, quando il bambino ha solo tre anni, ma è
bastato questo scambio epistolare per far sì che Andrej Tarkovskij
ereditasse dal padre quel senso poetico che influenzerà la sua intera
vita di regista cinematografico e le sue altre occupazioni artistiche e
letterarie.
La madre Maja Ivanovna Visnjakova, al contrario, una presenza
costante nella sua vita, è diventata una figura fondamentale in tutte le
sue opere in particolar modo ne Lo Specchio a lei dedicato. E forse la
grande devozione della madre alla religione cristiana ha instaurato in
Andrej quella visione mistica e spirituale dell’esistenza che diventerà
il terreno in cui la sua opera affonderà le radici.
Tarkovskij nacque il 4 aprile 1932 a Zavroze (Gorki), un paesino sulle
rive del Volga che oggi è sepolto da un lago artificiale, nella casa del
nonno materno Ivan M. Petrov. Nella sua educazione Andrej vanta
9
una incredibile preparazione in campo artistico che spazia dalla
musica alla pittura frequentando numerosi corsi durante il liceo. In
queste varie esperienze risiede la ricchezza della sapienza artistica di
Tarkovskij verso una cultura, quella russa, piena di capolavori e
contraddizioni. Nel 1952, dopo l’iscrizione all’Università che non
porterà a termine, frequenta un corso di arabo presso l’Istituto di
Lingue Orientali di Mosca. All’età di 22 anni Andrej, seguendo il
consiglio della madre, va nella taiga siberiana ed inizia a lavorare per
tre anni come geologo raccoglitore. L’attenzione ossessiva alla natura,
che da sempre contraddistingue le immagini di Tarkovskij, richiama
quell’esperienza. Al suo ritorno a Mosca, Tarkovskij si iscrive al
Vsesojùznij Gosudàrstvennij Institùt Kinematogràfij (Istituto Statale
di Cinematografia), la più importante scuola di cinema dell’URSS e
segue i corsi di Mikhail Romm per il quale nutre una grandissima
stima anche se, il maestro, molto lontano dalla sua ideologia e
sensibilità è un esponente del “realismo socialista”. Nel 1960 con
l’aiuto del suo amico e compagno Andrej Mikhalkov Končalovskij
(con cui stringerà un lungo sodalizio produtttivo) Tarkovskij realizza
quello che verrà considerato il suo primo film Katok i skripka (Il rullo
compressore e il violino) che servirà al regista per passare gli esami
finali e finalmente diplomarsi.
Saša è un bambino di sette anni che suona il violino. Questa sua passione
però viene derisa dagli altri bambini. Un giorno strappano il violino dalle
mani di Saša e se lo passano con disprezzo. Sergej, l’autista di un rullo
compressore, vede l’agguato e decide di intervenire portando in salvo il
bambino e il suo violino. Saša prosegue il proprio percorso verso il
conservatorio dove deve tenere un esame, ma la prova ha esito negativo e il
bambino se ne ritorna a casa a testa bassa con la paura del rimprovero della
mamma; sulla strada, però, incontra Sergej che gli permette di guidare
insieme a lui il rullo compressore provocando l’invidia degli altri bambini
che prima lo prendevano in giro. I due fanno amicizia e si ripromettono di
andare a vedere un film al cinema insieme, ma arrivato a casa Saša viene
sgridato dalla mamma e gli viene proibito di uscire. Triste per il mancato
appuntamento, Sergej entra nel cinema con una sua collega e a Saša non
resta altro che continuare a sognare di guidare il rullo compressore.
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Questo però non è il suo effettivo primo film perché durante gli anni
passati al VGIK ha potuto realizzare altri cortometraggi tra cui
Segodnja Uvol’Nenija Ne Budet (Oggi non ci sarà libera uscita) e una
trasposizione del racconto di Hemingway The Killer (Ubijtsi). Il primo
lungometraggio, Ivanovo Detstvo (L’infanzia di Ivan) compare nelle
sale cinematografiche nel 1962 dopo il grande successo alla Mostra di
Arte Cinematografica di Venezia dello stesso anno dove si aggiudicò
il Leone d’oro ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini.
Ivan è un ragazzo dodicenne che ha perso i genitori in un’invasione nazista.
Per soddisfare il suo bisogno di affetto e di vendetta diventa collaboratore
dei partigiani, impegnandosi poi in pericolose missioni per conto
dell’esercito. Alcuni soldati dell’Armata Rossa lo accolgono con loro e lo
convincono a partecipare alla scuola di guerra, ma Ivan, dopo essere fuggito
da questa, ritorna dai compagni per una rischiosa missione oltre il fiume. I
soldati non sanno più nulla del ragazzo e nel momento in cui riordinano gli
archivi dei soldati prigionieri, torturati e deceduti in mano ai tedeschi,
ritrovano la fotografia del ragazzo. Il film termina con Ivan che vive la sua
infanzia felice brutalmente interrotta da un movimento di macchina su un
tronco di un albero.
Il film si inserisce in un contesto cinematografico particolare, quello
del cinema sovietico del disgelo post-staliniano in cui si esalta una
visione complessiva della società sacrificando una concezione
individualistica, come cercava di propagandare la politica del periodo.
L’opera infatti narra l’orrore della guerra dagli occhi di un bambino. E
per questo il film suscitò reazioni contraddittorie dividendo la critica
in entusiasti come Jean-Paul Sartre che ne evidenzia la schiettezza e la
poesia definendolo una linea feconda di «surrealismo socialista»
3
e
3
«In mezzo alla gioia di una nazione che ha pagato duramente il diritto di proseguire la
costruzione del socialismo, c’è – tra tanti – altri questo buco nero, una puntura d’ago irrimediabile:
la morte di un bambino nell’odio e nella disperazione. Nulla neppure il comunismo avvenire
riscatterà questo. Nulla: ci viene mostrata qui, senza via di mezzo, la gioia collettiva e questo
modesto disastro personale. Non c’è neppure una madre per confondere, dentro di sé, dolore e
fierezza: una perdita secca. La società degli uomini progredisce verso i suoi fini, i vivi
realizzeranno quegli scopi con le loro proprie forze e, tuttavia, quel piccolo morto, minuscola
spazzatura della Storia, rimane una domanda senza risposta, che non compromette nulla, ma che fa
vedere tutto sotto una luce nuova: la Storia è tragica» (dalla lettere di Jean Paul Sartre al direttore
de l’Unità, pubblicata dal quotidiano del PCI il 9 ottobre 1962, ripresa in Il nuovo spettatore
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diffidenti, come l’italiano Moravia che lo accusa di aver tradito il
«realismo socialista» insieme alla maggior parte dei critici russi.
Il film realizzato successivamente è stato forse quello produttivamente
più difficoltoso dovendo fronteggiare problemi di distribuzione e
censura. Andrej Rublëv, finito nel 1966 e distribuito tagliato al
Festival di Cannes del 1969, arriva nella sale cinematografiche alla
fine del 1972 e in quelle italiane nel 1975.
Il film è diviso in sei capitoli più un prologo ed un epilogo: nel prologo un
gruppo di uomini prepara una specie di aerostato con il quale uno di loro
prende involontariamente il volo, ma il rudimentale mezzo perde quota e
precipita provocando la morte dell’uomo. Il primo capitolo si intitola Il
buffone – anno 1940: Andrej Rublëv, Daniil il Nero e Kirill sono in viaggio
e quando li sorprende un temporale cercano riparo in un’isba dove un
buffone dà spettacolo con la sua esuberanza a dei contadini. Nel secondo
capitolo, Teofane il Greco – anno 1405, il famoso pittore riceve una visita
da Kirill che vorrebbe lavorare con lui; egli, però offrirà di dipingere la
Cattedrale dell’Annunciazione di Mosca ad Andrej Rublëv: questo fatto
provoca una reazione di gelosia in Daniil e soprattutto in Kirill che lascia
l’abito e se ne va. Nel terzo capitolo, La Passione secondo Andrej – anno
1406, Andrej e Teofane discutono sullo scopo della pittura e sul valore
dell’uomo presentando opinioni divergenti. Dall’incontro con Fomà, un
garzone bugiardo e trasandato, Andrej immagina la salita al Calvario di
Gesù. Il capitolo successivo si intitola La festa – 1408: Andrej Rublëv e
Daniil viaggiano in barca, finché scorgono delle luci sulla riva. Decidono di
fermarsi per trovare un posto in cui riposare, ma Andrej, incuriosito dalle
luci, si inoltra nel bosco fino a raggiungere un gruppo di giovani nudi che
celebra la festa pagana della fertilità. Viene catturato, torturato e
imprigionato, ma con l’aiuto di una ragazza con la quale ha una discussione
sull’importanza dell’amore sensuale, riesce a scappare e ritornare da Daniil.
Ne Il Giudizio Universale – estate 1408, Andrej Rublëv e Daniil il Nero
hanno avuto l’incarico di affrescare una cattedrale. Il pittore cade in uno
sgomento creativo, dovuto alla sua inadeguatezza nel svolgere il compito
che lo porta ad imbrattare la parete bianca su cui deve dipingere e ad avere
un atteggiamento ribelle ed ostile con i compagni di lavoro finché non entra
cinemaotografico, anno V, n. 3, giugno 1963, pag. 96 ss e riportata in nota in Claudio Siniscalchi
(a cura di), Sul cinema di Andrej Tarkovskij, Ente dello Spettacolo, Roma, 1996, pag. 43)
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nella chiesa una giovane sordomuta che, guardando Andrej, inizia a
piangere. Il capitolo de La scorreria – anno 1408 vede il popolo russo
provato da violente guerre ordinate da due fratelli gemelli, rivali per il titolo
di principe. Uno dei due si allea ai tartari di Khan e si dirige verso Vladimir.
Per sfuggire alla violenza della battaglia, la popolazione della città, tra cui
Andrej Rublëv che doveva dipingere la cattedrale, si rifugia in chiesa. La
ferocia della guerra però entra prepotentemente nella chiesa seminando
distruzione e morte. Per evitare che un soldato stupri e uccida la sordomuta,
Andrej è costretto ad ucciderlo. Successivamente Andrej ha una visione di
Teofane il Greco al quale manifesta la sua volontà di abbandonare la pittura
e di fare voto di silenzio. Nel penultimo capitolo Il silenzio – anno 1412,
Andrej Rublëv si è ritirato nel monastero di Andronikov dove passa il suo
tempo a compiere umili lavori. Un giorno Kirill si ripresenta al pittore per
invocargli richiesta di perdono e di essere riammesso al convento. Andrej lo
riaccoglie a costo di qualche sacrificio per scontare la sua pena. Al
convento arriva anche un gruppo di tartari che scherza con la sordomuta e la
porta con sé. Nell’ultimo e più intenso capitolo La campana – anno 1423,
gli incaricati del principe cercano un fonditore di campane. Il padre di
Boriška, deceduto da poco, era il solo fonditore della zona. Boriška accetta
però ugualmente il lavoro perché sostiene di aver ricevuto dal padre i
segreti giusti per costruire bene la campana. Dopo aver difficilmente trovato
l’argilla e il posto dove costruire la fornace, il ragazzo, dirige un gruppo di
contadini per la fusione. Dopo aver posto la campana su un sostegno,
numerose autorità arrivano da lontano per la prova del suono. Boriška,
molto preoccupato, assiste ai rintocchi della campana che si estendono
lungo tutta la valle. Vedendo riuscita la sua impresa, si apparta e quando
Andrej lo raggiunge, gli confida in un lungo pianto di aver accettato il
compito solamente per orgoglio e non per conoscenza dei trucchi della
fusione. Il pittore quindi rompendo il suo voto di silenzio chiede al ragazzo
di unirsi a lui nel suo viaggio verso il Monastero della Trinità in cui Andrej
continuerà a dipingere icone. Nell’epilogo che chiude il film appaiono sullo
schermo le opere più importanti di Rublëv, in un tripudio di grazia e colore.
Sempre al Festival di Cannes, nel 1972, ottiene il Premio Speciale
della Giuria con Solaris, film tratto dall’omonimo libro di Stanislaw
Lem, definito erroneamente da maggior parte della critica la risposta
sovietica a 2001: Odissea nello spazio. In effetti non è possibile fare
13
un paragone tra le due opere perché rispecchiano la diversità
ideologica dei pensieri di Tarkovskij e Stanley Kubrick. La
caratteristica principale del film di Tarkovskij è un’attenzione
particolare al soggetto e all’immagine senza la ricercatezza
tecnologica di un mondo scientificamente evoluto nel quale è presente
ancora un attaccamento alla natura come agente creatore e
rinnovatore. Infatti, Solaris è un pianeta interamente ricoperto da
acqua, una sorta di magma pensante che è capace di materializzare i
desideri degli uomini.
Kris Kelvin viene mandato, per una missione, sulla base spaziale orbitante
intorno al pianeta Solaris: deve studiare il comportamento degli scienziati
che vi sono già, perché sembra essere gestito da qualcosa di sovrannaturale,
capace di far rivivere i pensieri e le persone. Giunto alla base, Kelvin scopre
che il capo della spedizione si è suicidato lasciandogli una videolettera dove
lo mette in guardia circa i pericoli a cui andrà incontro e gli avvenimenti
strani successi agli altri membri dell’equipaggio Snaut, Sartorius e lo stesso
capo, Gibarjan. Kelvin riceve la visita di Harey, la sua compagna, che si
tolse la vita perché non riusciva a sopportare l’idea che Kelvin
l’abbandonasse. Egli cerca di liberarsene sperdendola nello spazio, ma la
ragazza si materializza di nuovo. Vista l’impossibilità di disfarsi del
pensiero materializzato Kelvin si prende cura di lei finché l’amore che li
aveva uniti ricompare. Nuovamente Harey tenta il suicidio perché si
accorge di essere un impedimento alla missione di Kelvin sulla base
spaziale. Sartorius, intanto, è alla ricerca di un metodo per sconfiggere il
magma pensante di Solaris mettendo a punto un annichilatore. Per fare ciò
egli deve spedire nell’oceano del pianeta l’encefalogramma di Kelvin.
Sottoposto alla registrazione Kelvin perde coscienza e quando si risveglia
apprende che Harey è sparita perché ha scelto di essere annientata
dall’annichilatore. Il film finisce con Kelvin sulla Terra in ginocchio
davanti al padre; la macchina da presa, però, retrocede fino a rivelare che
l’uomo è solamente su una delle tante isole del oceano pensante di Solaris.
Nel 1973 collabora con Bagrat Oganessian, per la sua opera prima,
Terkij vinogràd (Uva aspra) senza apprezzare il suo lavoro che
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Tarkovskij stesso definisce “mediocre, la sceneggiatura e i dialoghi
sono brutti, da far cascare le braccia.
4
”.
Uno degli elementi fondamentali del cinema tarkovskijano è senza
dubbio l’elemento autobiografico, presenza costante in tutte le sue
opere. Mentre nella maggior parte dei casi questo elemento era
presente in un personaggio o in una vicenda, nella sua opera
successiva, Zerkalo, girato nel 1974 dopo rielaborazioni della
sceneggiatura e vari problemi produttivi, diventa il nodo centrale, e
costituisce un viaggio a ritroso nel subconscio dell’autore stesso.
Tutto il film è sviluppato come un pensiero dell’autore che alterna ricordi
dell’infanzia e momenti del presente. La situazione che si presenta
all’autore è simile a quella che vissero i suoi genitori: l’abbandono del
padre viene rivisto dagli occhi della madre che rimase sola con i suoi
bambini. Dopo un incendio nel granaio la casa sembra crollare, ma è solo
un sogno. In uno specchio polveroso appare una donna anziana. In un
appartamento si sente la voce dell’autore parlare al telefono con la madre e
questa la informa della morte di Lisa, una sua vecchia collega. Si
materializza il ricordo della donna morta di un episodio che vede la madre
affannata mentre si dirige alla tipografia dove lavorava, convinta di aver
commesso un errore su una pubblicazione importante. Alcune immagini di
esuli spagnoli a Mosca che il ricordo dell’autore ci mostra pieni di
nostalgia. Il capofamiglia di un gruppo di esuli ama ricordare le imprese del
famoso matador Molinares e quando si accorge che la figlia si vergogna
delle proprie origini la schiaffeggia. Partono le immagini di bombardamenti
nelle principali città spagnole, gruppi di profughi che scappano, palloni
aerostatici che prendono il volo in URSS, e altre manifestazioni popolari. Il
figlio della donna, Ignat, sfoglia un antico libro di Leonardo da Vinci e
immagina una poetessa che gli legge una lettera di Puškin sul destino della
Russia che ha salvato il cristianesimo dai barbari. L’autore continua ad
identificarsi col figlio: gli telefona e lo consiglia di stringere amicizia con le
ragazze della sua età. A scuola Ignat si esercita con i suoi compagni al tiro
sotto la guida di un insegnante molto severo. Scorrono delle immagini dei
soldati dell’Armata Rossa, Hitler che muore, i festeggiamenti della fine
della guerra a Mosca, lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e il
4
Andrej Tarkovskij, Diari – Martirologio 1970-1986, Edizioni della Meridiana, Firenze, 2002,
pag. 97
15
fanatismo di massa della Cina di Mao. Ora l’autore immagina il padre che
ritorna dalla guerra e subito dopo sentiamo una sua telefonata di molti anni
più tardi, in cui egli discute con la moglie circa una sua possibile unione
con uno scrittore. L’autore ricorda ancora gli anni della guerra quando
viveva lontano da Mosca con la madre. Qui assistiamo alla crescita di Ignat
con le sue tante esperienze adolescenziali. Ancora un salto temporale nel
passato in cui vediamo la sorella e la nonna e il regista stesso bambino che
scopre i genitori distesi sull’erba che amoreggiano. I due parlano del
desiderio di avere figli. Il film finisce su una sequenza di immagini in cui si
vede la nonna con due bambini per mano intervallate da piani intensi sulla
natura e il primo piano della madre.
Mai come in questo film si risente dell’influsso che scrittori come
Cëchov e Dostojevskij hanno avuto sull’opera del regista: qui ne fa
principali maestri e li usa per descrivere con un linguaggio sempre più
lirico, onirico e nostalgico lo smarrimento dell’uomo russo di fronte
agli eventi della storia pubblica russa.
La ricezione da parte del pubblico fu varia: da un lato spettatori
entusiasti si congratulavano con lui per aver ricreato non soltanto un
momento particolare del passato sovietico, ma anche la stessa
atmosfera, con le paure e i sentimenti di un popolo che si preparava
alla sofferenza politica e personale ponendo le basi della II guerra
mondiale; dall’altro spettatori diffidenti vedevano Tarkovskij come un
regista che aveva già “fatto il suo tempo”: esauritosi la novità e
l’originalità del suo cinema, essi non accettavano la visione
dell’autore sulla società storica e presente e non comprendevano i
lunghi piani sequenza che lasciavano libero ingresso nell’anima dei
personaggi. La critica rifiutò decisamente il film anche per la
considerazione da parte del Goskino come opera di terza categoria e
film d’èlite: fu per questo motivo che non fu esportato subito
all’estero, dove invece in molti fremevano nell’attesa di un nuovo
lavoro del regista russo che aveva entusiasmato con i precedenti
capolavori. Questo fu solo l’inizio di una emarginazione artistica
destinata a perdurare nell’attività dell’autore che in patria lo porterà ad
assumere toni drastici arrivando all’esilio forzato in terra straniera che
Tarkovskij sentirà come una prigione a fin di bene per il popolo russo
16
dove la verità artistica cede il posto alla sofferenza che lo divorerà,
sopportando anche il dolore per la lontananza dalla famiglia. I
successivi lavori saranno vissuti dall’autore con estremo disagio vista
la mancanza di fiducia nei suoi confronti da parte del potere e delle
autorità russe. Questo malumore lo portò, in un primo momento, a
rifiutare la regia di un progetto teatrale sull’Amleto, per poi accettare,
convinto solo dalla presenza del suo attore preferito Anatòlij
Solonicyn
5
, che aveva recitato in tutti i suoi film. L’esperienza fu per
Tarkovskij l’occasione per rielaborare la tragedia classica di
Shakespeare, ponendo al centro del dramma il dubbio angoscioso
della scelta del protagonista, se vendicare o meno il padre. Questa
scelta gli permise di porre le basi di una eventuale sceneggiatura
cinematografica che avrebbe scritto più avanti nel corso della sua vita.
Essa però non fu realizzata a causa della sua morte precoce.
Tra la fine del 1978 e l’inizio del 1979 Tarkovskij gira Stalker, storia
filosofica-fantascientifica di uno scienziato e di uno scrittore che si
lasciano condurre da una guida (uno Stalker, appunto) in una Zona in
cui risiede la Verità, dove finalmente i tre potranno trovare la felicità e
l’esaudimento a tutti i loro desideri. Tratto dal racconto Picnic sul
ciglio della strada di Arkadij e Boris Strugackij, che curano anche la
sceneggiatura, il film è un percorso iniziatico verso questa Zona
oscura della coscienza che si rivelerà insufficiente per lo scrittore e lo
scienziato perché inadeguati a confrontarsi con la Verità.
Uno scrittore e uno scienziato cercano di farsi accompagnare da uno Stalker
nella Zona, luogo in cui risiedono forze soprannaturali in grado di far
avverare ogni desiderio a chiunque vi entri. Il viaggio verso la Zona è pieno
di insidie e false strade. Il paesaggio sembra modificarsi continuamente
cosicché è quasi impossibile ritornare indietro dalla stessa strada o
percorrere una scorciatoia senza perdersi. I tre uomini dopo aver passato un
5
«Che splendido attore era […] Anatolij Solonicyn! […] Anatolij Solonicyn era un attore
cinematografico nato. Egli era nervoso e facilmente emozionabile: era così facile influenzarlo dal
punto di vista emotivo, ottenere da lui lo stato d’animo necessario! Per me è molto importante che
l’attore non si ponga le domande (del tutto appropriate e fondamentali quando si lavora a uno
spettacolo teatrale) tradizionali per l’attore di teatro immancabilmente allevato in Unione Sovietica
nella tradizione del teatro di Stanislavskij: “Perché? A che scopo? Qual è il nucleo dell’immagine?
Qual è l’idea di fondo?” eccetera. Questi interrogativi, a mio parere assurdi per il cinema, Anatolij
Solonicyn non se li poneva mai… Egli, infatti, comprendeva la sostanziale differenza tra il teatro e
il cinema.» Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano, 1988, pag. 134-135
17
posto di blocco della polizia avanzano dentro tubi di fognatura e passaggi
putridi che permetteranno loro di raggiungere la Zona circondata da
macerie. Lo scrittore desidera poter trovare l’ispirazione per rinverdire la
sua fama e lo scienziato vuol trovare la scoperta che gli valga
riconoscimenti internazionali. Lo Stalker invece crede che la Zona sia un
miracolo e per questo un luogo degno del massimo rispetto perché ha il
potere di rendere più felice l’umanità. Lo scienziato però ha capito di
trovarsi in un bunker da cui un collega lo ha sempre tenuto lontano.
Approfitta di un telefono per dirgli di averlo trovato e riceve dal collega
un’accusa di essere invidioso e vendicativo nei suoi confronti mettendolo
comunque in guardia sulle possibili conseguenze. Inoltre, lo scienziato
trova una bomba e cerca di far saltare in aria la stanza dei desideri, ma, poi
cambiando opinione la getta in acqua. Entrambi decidono di non entrare
nella stanza magica perché, bloccati dalla loro razionalità, ne hanno paura.
Allo Stalker non resta che ritornare tra le braccia della moglie e della figlia
con la disperazione nel cuore perché gli uomini non riescono a credere più a
niente e non sono grati alla sua opera. Nessuno ha più bisogno di quella
stanza.
L’opera per Tarkovskij è costellata da molti problemi produttivi e
distributivi: in primo luogo deve ottenere il permesso dal Presidium
del Soviet Supremo per poter iniziare le riprese; lo stato russo, inoltre,
impedisce in ogni modo la partecipazione del film alla Mostra di
Venezia di quello stesso anno e indirettamente anche alla Palma d’oro
di Cannes perché viene fatto partecipare come evento speciale al
Festival di Rotterdam.
Nello stesso anno Tarkovskij partecipa come co-sceneggiatore al film
di Oganessian Beregis’Zmej! (Attento, un serpente!) e compie un
viaggio di due mesi in Italia per la realizzazione con Tonino Guerra e
Luciano Tovoli di Viaggio in Italia, una sorta di special per la
televisione su quello che sarà il suo prossimo film, Nostalghia. Al
ritorno dal viaggio, Tarkovskij, entra in una profonda crisi derivata
soprattutto dalla morte della madre avvenuta nell’ottobre del ’79 e
dalle difficoltà produttive con le quali si trova a dover combattere per
ogni suo nuovo progetto.
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Nel 1983 viene riconosciuto un premio alla sua persona: quello di
“Artista Emerito dell’URSS”. Successivamente il cineasta gira in
Italia Nostalghia, primo film degli anni dell’esilio di cui realizza
anche un documentario Tempo di Viaggio. Con questa opera si
aggiudica il Gran Premio del Cinema di Creazione al Festival di
Cannes.
Un poeta russo (Andrei) e la sua giovane interprete italiana (Eugenia)
viaggiano insieme e si fermano alla chiesa dove viene adorata la Madonna
del Parto. Assistono alla cerimonia ma lei non riesce a inginocchiarsi e lui
non entra neppure in chiesa. Il poeta è in Italia per scrivere la biografia di
un musicista russo. Nell’hotel in cui sono ospitati lui sfoglia una Bibbia, lei
legge le poesie di Tarkovskij. La mattina gli altri avventori dell’hotel
nuotano nel fiume e chiacchierano, avvolti nella bruma. Parlano del pazzo,
Domenico, che rimase chiuso per sette anni con la sua famiglia. La storia
affascina il russo che decide di incontrarlo. Quando rientra, la ragazza è
ancora all’hotel e gli fa una scenata di gelosia prima di abbandonarlo
definitivamente. Andrei si ubriaca e cammina nell’acqua parlando con una
bambina. Poi si addormenta di fianco al libro di poesie che brucia. Continua
a vedere immagini della basilica scoperchiata di Mosca. A Roma Eugenia
ha trovato un amante e, mentre telefona ad Andrej, in procinto di partire, gli
riferisce che Domenico è a Roma per una manifestazione. Andrei cancella il
viaggio di ritorno in Russia e si reca a Roma. Prima di arrivare fa sosta in
un paese in cui si trova un’enorme piscina in cui le persone possono
camminarci dentro. Intanto, a Roma, Domenico tiene un comizio alla fine
del quale si dà fuoco. Andrej protegge la fiamma del suo accendino mentre
attraversa la piscina per andare ad accendere una candela sull’altra sponda.
Il film si chiude con le immagini della basilica sotto la neve e un canto in
russo.
Il film è una grande metafora della situazione psicologica in cui si
trova Andrej Tarkovskij in terra straniera, lontano dalla sua casa. Roso
dal dolore per l’impossibilità di comunicare con il potere politico e
quello cinematografico della sua Russia, Tarkovskij decide di fare una
mossa provocatoria al sistema dichiarando in una conferenza stampa a
Milano la sua volontà di non ritornare più in patria per la mancanza di
un’accettazione del livello artistico delle sue opere («Per loro io non
19
esisto e con questo gesto pretendo che la mia esistenza sia
riconosciuta»). Questo fatto determinò una certa preoccupazione da
parte del governo sovietico che cercò di attutire in ogni modo lo
spirito ribelle di un artista scomodo che esaltava l’individualità in
un’epoca, quella post-staliniana, dove invece si cercava di restaurare
quel senso di patria e di comunità politica attraverso una
collettivizzazione di massa. Successivamente si occupa di teatro
curando la regia dell’opera lirica Boris Godunov di Mussorgskij. Dopo
aver scartato vari progetti (una versione cinematografica dell’Amleto,
un film su San Francesco, un altro progetto su La tentazione di
Sant’Agostino di Flaubert e un soggetto sulla vita di E. T. A.
Hoffman), tra cui varie possibilità di lavoro su Dostoevskij, decide di
girare Sacrificatio (Sacrificio).
Alexander è un intellettuale diventato tale grazie alla sua carriera di ex
attore e i vari studi di estetica e giornalismo. Vive nell’isola di Gotland
insieme alla moglie e al figlio, Ometto. Nel giorno del suo compleanno
passeggia con il figlio lungo la baia parlando in soliloquio perché Ometto,
ha subito un grosso intervento chirurgico alla gola e può emettere solamente
deboli e incomprensibili suoni. I due decidono di piantare un albero secco e
durante la fase di interramento Alexander colpisce involontariamente il
bambino facendogli perdere sangue dal naso. La cosa sciocca a tal punto il
padre che cade a terra svenuto. Egli vede poi, come in una visione, una città
devastata. I preparativi della cena di compleanno sono quasi terminati, e
arrivano gli invitati: Otto, il postino, che porta di regalo ad Alexander una
carta geografica dell’Europa, e Victor, medico e amico di famiglia. Ad un
certo punto un aereo a reazione passa vicinissimo alla casa scatenando il
panico tra gli invitati e brevi scosse di terremoto. Alla televisione, nel
frattempo arriva la notizia di una minaccia nucleare mentre, nella camera
vicina, Ometto dorme tranquillamente ignaro di quello che sta succedendo.
Alexander, quando nella casa torna una precaria quiete, inizia a pregare
offrendo a Dio la rinuncia alla parola, alla casa, alla famiglia, e al piccolo
Ometto. Il postino consiglia ad Alexander di recarsi da Maria, che vive in
una chiesa sconsacrata, e farci l’amore, perché solo consumando quel rito
potrà difendere la sua famiglia dall’imminente catastrofe. La donna lo fa
entrare e nota subito in lui i turbamenti che lo animano. Alexander le
racconta della madre malata e del suo giardino. Nel momento in cui si