5
Due secoli dopo Grozio, il diritto internazionale del mare viene costruito in 
base ad un tetto massimo di libertà, e con il riconoscimento di diritti sovrani a 
favore degli Stati, solo in quanto giustificati da indiscutibili esigenze di 
sicurezza. La nascita, poi, di nuovi Stati ex coloniali porta ad una 
contestazione sia del diritto internazionale occidentale, sia della 
incondizionata libertà dei mari. 
Viene istituito il mare territoriale, consistente in quella striscia di mare 
contigua alla costa, nella quale, per motivi di sicurezza, si riconosce allo Stato 
costiero un diritto assoluto. Inizialmente il limite del mare territoriale deriva 
da circostanze di fatto, legate ad esigenze di protezione invocate dallo Stato, 
solo fino a dove questo ha i mezzi per attuarle. Successivamente, con 
                                                                                                                                          
condurre inchieste a bordo di navi straniere e così via. Tuttavia, successivamente, tale principio inizia 
a mostrare i suoi aspetti positivi,  e si risolve in una eguaglianza d’uso, vale a dire che tutti gli Stati 
devono disporre di identici diritti in alto mare, e questo principio di eguaglianza costituisce il 
corollario della libertà. 
Nonostante la suddetta libertà sia a fondamento della disciplina delle attività svolte dagli Stati nell’alto 
mare, inizialmente da parte di alcuni Stati la si vuol negare per motivi puramente commerciali, 
soprattutto perchè intendevano esercitare il loro controllo sulle navi altrui per lo sfruttamento di 
alcune risorse che l’alto mare offriva.  
Sebbene attorno al secolo XII vi furono autori che cercano, a modo loro, di dare una definizione al 
principio della libertà dei mari, è solo Grozio che afferma tale principio attraverso le sue 
argomentazioni esposte nel Mare Liberum, (pubblicato nel 1609); per Grozio, infatti, i mari sono 
proprietà comune,  e tale comunione cessa nel momento in cui viene occupato il bene, ma nel caso 
specifico l’occupazione è impossibile, in quanto non vi può essere  l’occupazione da parte di un solo 
Stato dell’alto mare. 
C’è, però, chi respinge il principio della libertà di mari, come ad esempio la Gran Bretagna, che palesa 
la sua pretesa a disciplinare l’attività di pesca, anche in zone assai lontane dalle sue coste.  A 
dimostrazione di ciò, l’inglese Selden rispose a Grozio con l’opera Mare Clausum, nella quale si 
tentava di dimostrare l’appropriabilità del mare ed il diritto di proprietà del sovrano di Gran Bretagna 
sui mari che circondavano l’imperium britannico: i  mari inglesi venivano immensamente dilatati e 
non avevano altri limiti, a nord a sud, che quelli delle coste degli Stati vicini. 
La politica messa in atto dall’imperium britannico, rifletteva le stesse caratteristiche delle Repubbliche 
di Venezia e di Genova, rispettivamente nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure, fino a tutto il XVI° 
secolo. Le due Repubbliche, infatti, rivendicavano l’esercizio del controllo sulle navi altrui, per 
soddisfare le esigenze di difesa e per reprimere il contrabbando.  
Con il passare del tempo, la dottrina finì per seguire le idee di Grozio. Già dalla fine del XVII secolo 
la libertà dei mari era, infatti, incontestata. Tale principio si consolidò ulteriormente nel corso dei 
secoli XVIII e XIX, in base alla prassi instaurata dalle grandi potenze marittime tradizionali; LEANZA, 
Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, Torino 1999, pag. 227-230 
 
 6
l’aumento della portata delle artiglierie costiere, questa regola diviene 
impraticabile e sostituita da una misura fissa; ma, dal momento che non tutti 
gli Stati l’accettarono, non si è determinata la formazione di una norma 
consuetudinaria vincolante
2
. 
Nel mare territoriale le navi straniere, anche quelle da guerra, possono passare 
liberamente, a condizione che il loro passaggio sia inoffensivo, ossia non rechi 
danno alla comunità terrestre. 
Su questa concezione della libertà della navigazione marittima, pone le sue 
basi il regime della navigazione aerea, le cui analogie con il diritto marittimo, 
                                                 
2
 Di mare territoriale si inizia a parlare tra il XVI e XVIII secolo. Durante questo periodo, infatti, non 
esiste una nozione unitaria di mare territoriale, ma solamente una serie di pretese relative al controllo 
dei mari adiacenti da parte degli Stati costieri; pretese comprese entro esigui limiti, spaziali e 
funzionali, tanto da far pensare erroneamente che il regime di libertà della navigazione marittima si 
estenda anche ai mari adiacenti, ove gli Stati costieri esercitano eccezionali poteri sulla navigazione 
straniera, in particolare ai fini della pesca e del contrabbando.  
La teoria del “mare territoriale” viene, sulle prime, elaborata da Baldo degli Ubaldi (1327-1400), ma 
sarà Alberico Gentili ad introdurre nel 1598 l’espressione “mare territoriale” nella sua opera De Jure 
Belli. Tuttavia, anche se la nozione di “mare territoriale” sia emersa durante il medioevo, la 
determinazione del suo limite esterno viene delineata durante il XVII e XVIII secolo, quando venne 
adottato il limite delle tre miglia, che trova espressione nella dottrina della “gitttata del cannone”, 
propugnata dall’olandese Cornelius Bynkershoek (1638-1701).   
Tale limite viene confermato anche nel Territorial Waters Jurisdiction Act, emanato dalla Gran 
Bretagna nel 1878, conseguentemente al caso Franconia, (inerente la collisione tra una nave inglese 
ed una nave tedesca a due miglia e mezzo dalla costa britannica nella quale morì un cittadino inglese,  
laddove la Gran Bretagna si rifiutò di esercitare la propria giurisdizione sostenendo che alle acque 
adiacenti si estende il regime di libertà dei mari). Con tale atto la Gran Bretagna istituisce il mare 
territoriale, ed estende la giurisdizione ed il controllo esclusivo delle autorità britanniche sulla 
navigazione straniera che si svolgono entro il limite delle tre miglia marine dalla linea di bassa marea.  
La regola delle tre miglia è rimasta in vigore per tutto il XIX e l’inizio del XX secolo. Essa entra in 
crisi a causa del diverso atteggiamento di numerosi Stati, i quali mirano soprattutto a tutelare i propri 
interessi economici. Durante tale periodo, infatti, si sostiene che ciascuno Stato sia internazionalmente 
libero di determinare l’estensione del proprio mare territoriale in base ai propri interessi vitali, senza 
che altri Stati possano disconoscere la misura unilateralmente adottata; se tale misura rientra 
nell’ambito delle tre miglia, qualsiasi Stato diverso da quello costiero dovrebbe riconoscere 
l’estensione del mare territoriale da quest’ultimo adottata, se invece lo Stato costiero adottasse una 
misura superiore alle tre miglia, gli Stati terzi sarebbero liberi di riconoscere o disconoscere 
l’estensione prescelta. 
Attualmente, partendo proprio da una norma consuetudinaria internazionale, affermatasi nel corso 
degli anni, il limite dell’estensione massima del mare territoriale è fissato nella misura di dodici 
miglia, limite definitivamente stabilito nella Convenzione di Montego Bay del 1982; LEANZA, Il 
diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione,op. cit., pag. 98-106 
  
 7
sostenute da alcuni, sono invece fortemente contrastate da coloro i quali 
asseriscono che: 
a) vi sono degli Stati che non hanno accesso al mare, ma sono sormontati 
solo dall’aria; 
b) mentre il mare territoriale rappresenta una misura di sicurezza contro i 
pericoli che vengono dal largo, la colonna aerea non può avere questo 
ruolo, perché finisce dove – allora – non vi era navigazione, e quindi 
non circoscrivibile; 
c) non potendo essere individuata con precisione, l’aria non può costituire 
oggetto di un potere dello Stato, suscettibile di essere delimitato;  
d) l’esercizio effettivo dell’imperium dell’aria non è possibile e gli Stati 
restano vulnerabili a tutti gli attacchi aerei
3
. 
1.2  – LO SPAZIO SOVRASTANTE IL TERRITORIO: OSSERVAZIONI 
GENERALI 
La nascita dell’insieme di norme e regole inerenti la navigazione aerea – che 
ricordiamo ha avuto origine nel ventesimo secolo -  incontrò non pochi 
ostacoli, in particolare, il primo fu il riconoscimento dello spazio aereo 
sovrastante il territorio di uno Stato, come spazio ove lo Stato stesso potesse 
esercitare la sua sovranità.  
Lo spazio aereo, a differenza dell’aria intesa come elemento gassoso, non è 
oggetto di diritti o di altre situazioni giuridiche; non lo si può, pertanto,  
considerare come bene o cosa in senso giuridico. 
                                                 
3
 BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, Milano  1988, pag. 42-46; LEANZA, Il diritto 
degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione,op. cit., pag. 346-347 
 
 8
Lo spazio aereo assume rilievo giuridico sempre e solo come ambito di attività 
soggettive; viene, infatti, diversamente qualificato in base al tipo di attività che 
in esso vengono esplicate, dal grado di collegamento tra queste con la 
superficie sottostante, dalla natura dei rapporti giuridici che da esse 
scaturiscono e dalla situazione dei soggetti titolari di questi rapporti.  
Tali attività si definiscono come attività di navigazione aerea, che agli inizi 
suscitò polemiche e dinieghi da parte della dottrina soprattutto in relazione al 
riconoscimento della sovranità territoriale dello Stato sullo spazio aereo 
sovrastante
4
. 
Inizialmente la dottrina riteneva che il regime giuridico dello spazio aereo, 
collegato con il concetto di libertà dell’aria, fosse sottratto all’esercizio della 
sovranità da parte degli Stati in ogni sua parte. 
Questo perché, essa asseriva che non essendo l’atmosfera suscettibile di 
materiale possesso, nonché non essendo delimitabile in alcun modo, lo spazio 
aereo non poteva essere né individuato, né appropriato e quindi non 
suscettibile di essere sottoposto alla sovranità degli Stati. 
Successivamente, un opposto orientamento enunciò la c.d. teoria della 
sovranità dell’aria, la quale affermava che - al di sopra dei territori nazionali – 
il principio dello spazio aereo soccombeva al contrario principio della 
territorialità dello spazio
5
. 
                                                 
4
 LEANZA, Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 344-345 
5
 Tale orientamento ha decisamente influenzato le Convenzioni di Parigi del 1919, quella di Madrid 
del 1926, quella dell’Avana del 1928, nonché la più importante Convenzione di Chicago del 7 
dicembre del 1944 ove viene affermato il principio della piena sovranità degli Stati sullo spazio aereo 
ad essi sovrastante; LEANZA,  Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., 
pag 346-347 
 9
Il riconoscimento dell’esercizio della sovranità degli Stati sullo spazio aereo 
soprastante, oltre a rispondere ad interessi di ordine politico, militare, sanitario 
e doganali dei vari Stati, aderisce perfettamente alla libertà di traffico aereo. 
Libertà di traffico aereo significa sostanzialmente indipendenza del traffico nei 
confronti di qualsiasi limitazione atta ad impedirlo, ivi inclusi il libero sorvolo 
in transito ed il libero atterraggio. 
Tuttavia, il riconoscimento del principio della libertà di traffico, è solamente e 
puramente convenzionale. Come avremo modo di vedere in seguito, gli Stati, 
infatti, si sarebbero contrattualmente obbligati, nelle varie convenzioni sulla 
navigazione aerea, a garantirsi il reciproco diritto di passaggio inoffensivo sui 
rispettivi territori, riservandosi, però, il diritto di subordinare al loro previo 
assenso lo stabilimento e lo sfruttamento delle linee aeree regolari
6
. 
1.3  – TEORIE SULLA CONDIZIONE GIURIDICA DELL’ATMOSFERA 
Come conseguenza di quanto enunciato, vengono successivamente formulate 
alcune teorie che si riferiscono proprio alla condizione giuridica dell’aria, vista 
come un problema di rapporti tra gli Stati. La prima è la 
a) Teoria della libertà illimitata, sostenuta da coloro che, considerando i 
vantaggi che il principio dell’assoluta libertà dei mari aveva portato alla 
comunità internazionale, ritenevano opportuno applicare quegli stessi 
criteri alla disciplina nascente. Tuttavia, questa teoria perse credibilità, 
man mano che venivano perfezionati i mezzi di navigazione ed erano 
sempre più chiari i pericoli di una libertà di sorvolo senza limiti. 
                                                 
6
 LEANZA, Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 346-350 
 10
La seconda è la 
b) Teoria della sovranità assoluta, pienamente contrastante con la 
precedente, in quanto respingeva il principio di libertà, affermando 
viceversa la sovranità dello Stato sull’atmosfera. 
La terza è composta da 
c) Teorie intermedie, le quali cercavano di conciliare le pretese degli Stati 
con la creazione di un sistema efficiente di navigazione aerea 
internazionale. Tra di esse, troviamo la teoria elaborata nel 1901 dal 
giurista francese Paul Fauchille, il quale sosteneva che l’aria è libera, e 
la sua libertà può essere limitata solo da diritti strettamente determinati 
ed appartenenti allo Stato sottostante. Fauchille, argomentando che ogni 
diritto di sovranità deriva dalla possibilità di impossessarsi del suo 
oggetto, asseriva che il padrone della terra poteva appropriarsi dello 
spazio aereo fino all’altezza alla quale è in grado di erigere edifici ed 
altre costruzioni. Considerando che all’epoca l’edificio più alto era la 
Torre Eiffel, il limite massimo appropriabile era l’altezza di questa, 
ossia trecento metri. Oltre questo limite, l’atmosfera era libera, pertanto 
tutti la potevano utilizzare per la navigazione. 
 
Infine, un’altra teoria è la 
d) teoria della sovranità limitata, la quale muoveva dal principio che 
l’atmosfera è oggetto di un potere dello Stato, ma vi introduce delle 
limitazioni a favore del traffico aereo di mezzi provvisti di determinati 
requisiti di idoneità, comprovati da certificati aventi un riconoscimento 
 11
internazionale. Tale teoria anticipò il regime che poi è venuto ad 
affermarsi, fondato su una visione funzionale e non esclusivamente 
spaziale della navigazione aerea
7
. 
2.1– LA NASCITA CONVENZIONALE DEL DIRITTO AEREO 
2.2 – LA CONVENZIONE DI PARIGI DEL 1919 
Nella comunità internazionale, era sempre più crescente l’attenzione inerente 
alla navigazione aerea, nonché la volontà di giungere all’elaborazione di testi 
internazionali soddisfacenti. 
A tal proposito, nel 1910 a Parigi si riunì una conferenza internazionale sulla 
navigazione aerea, la quale però non ebbe il successo sperato, ma portò alla 
conclusione di accordi bilaterali e ad una attività legislativa interna degli Stati 
relativa alla condizione dell’atmosfera. 
La Convenzione di Parigi nasce a seguito della grande conferenza che pose 
fine alla prima guerra mondiale. Essa, ratificata da appena dodici Stati ed 
entrata in vigore nel 1922,  riconobbe il principio della piena e completa 
sovranità di ogni Stato sull’atmosfera sovrastante il suo territorio e le sue  
 
acque territoriali, ed il diritto di ogni Stato di esercitare la giurisdizione sullo 
spazio aereo al di sopra dello stesso territorio.  
Alla Convenzione di Parigi si deve riconoscere un merito importante, quale 
quello di essere riuscita a raccogliere l’assenso di molti Stati (nel 1939, infatti 
vi aderirono altre potenze) su di un testo internazionale e a creare 
un’Organizzazione internazionale permanente volta a regolare il volo aereo. 
                                                 
7
 BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale,op. cit., pag. 48-51; TURCO BULGHERINI, La 
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, Padova 1984, pag. 1-7 
 12
In essa troviamo enunciati i principi generali relativi alla navigazione aerea, 
fissati nei primi cinque articoli. All’articolo 1 viene riconosciuto un principio 
di diritto internazionale generale, quale quello della sovranità senza riserve di 
ciascuno Stato sul proprio spazio aereo. All’articolo 2, invece, viene sancita la 
regola del passaggio inoffensivo, secondo cui: 
“ogni Stato contraente si impegna in tempo di pace ad accordare libertà di 
passaggio inoffensivo al di sopra del suo territorio agli aerei degli altri Stati 
contraenti, purché siano rispettate le condizioni stabilite nella presente 
Convenzione”. 
La norma del presente articolo ha carattere prettamente convenzionale; è il 
prodotto della volontà dei contraenti e va a creare obblighi solo inter partes. 
Tale carattere convenzionale è ribadito dall’articolo 5, che stabilisce: 
“nessuno Stato contraente autorizzerà, se non in maniera speciale e 
temporanea, che il suo territorio sia sorvolato da un aereo che non ha la 
nazionalità di uno Stato contraente”.  
 
L’esercizio di questo diritto di passaggio inoffensivo è in ogni caso 
subordinato all’impiego di determinate rotte fissate dallo Stato sorvolato. 
La Convenzione di Parigi sembra non contenere alcuna menzione di quella 
che, in seguito, verrà chiamata la seconda libertà, ossia la libertà di atterraggio. 
Tuttavia, leggendola nel suo insieme, troviamo norme come negli articoli 22 e 
24 (secondo cui, l’uno accorda agli aeromobili degli Stati contraenti il diritto, 
in caso di atterraggio, alla stessa assistenza accordata agli aeromobili 
nazionali, l’altro stabilisce che per ciascuno degli aeroporti vi sarà una tariffa 
 13
di atterraggio e di soggiorno unica applicabile senza alcuna differenza agli 
aeromobili nazionali e stranieri), dalle quali si deduce che la libertà di 
atterraggio sia sottintesa dagli Stati contraenti. Inoltre, la stessa Convenzione 
riconosce il potere agli Stati sorvolati, di obbligare gli aerei stranieri ad 
atterrare su determinati aeroporti. 
La Convenzione di Parigi, inoltre, prevede un determinato regime inerente ai 
requisiti del volo
8
,  l’esistenza di certificati di navigabilità e di brevetti di 
attitudine per i piloti, nonché la creazione di un organismo permanente 
soggetto all’autorità della Società delle Nazioni, competente per le questioni 
amministrative nascenti dal volo e per gli altri aspetti tecnici inerenti alla 
navigazione aerea internazionale: la CINA (Commissione Internazionale di 
Navigazione Aerea)
9
. 
 
2.3 – LA CONVENZIONE DELL’AVANA DEL 1928 
Tuttavia, alla Convenzione di Parigi non segue la realizzazione di una univoca 
disciplina internazionale relativa alla navigazione aerea. 
Gli Stati non aderenti alla Convenzione (tra cui Stati Uniti e Russia), ne 
stipulano altre che riprendono sostanzialmente ciò che già viene menzionato in 
essa.  
Un qualche elemento di novità lo si evince nella Convenzione dell’Avana del 
1928, nella quale si prevede, fra le altre cose, che: 
                                                 
8
 L’immatricolazione è retta dalle leggi dello Stato che la concede; ogni Stato si obbliga 
convenzionalmente a far si che ogni aeromobile sia iscritto in un solo registro nazionale. 
9
 BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale,op. cit., pag. 51-55; TURCO BULGHERINI, La 
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 8-9 
 14
“ogni aeromobile appartenente ad uno Stato contraente ed operante il 
commercio aereo internazionale, potrà deporre dei passeggeri ed una parte 
delle sue merci, in un aeroporto di arrivo di un altro Stato contraente e recarsi 
in un altro o in altri aeroporti dello stesso Stato per depositarvi il resto dei 
passeggeri e delle merci e riprendervi dei passeggeri e delle merci a 
destinazione di uno Stato o più Stati stranieri”. 
Questa norma è un’anticipazione di ciò che nella successiva Convenzione di 
Chicago verranno definite come libertà commerciali
10
. 
 
2.4 -  LA CONVENZIONE DI CHICAGO DEL 1944  
Con la fine della seconda guerra mondiale, il fenomeno della navigazione 
aerea ebbe un notevole sviluppo ed una espansione tale che si sentì la 
necessità di dare a tale fenomeno una disciplina di dettaglio a livello 
internazionale. Tuttavia, ciò non risultò facile, in quanto si contrapponevano 
due istanze diverse, quella statunitense di tipo liberistico, ispirata 
all’introduzione della libera concorrenza senza restrizione alcuna, e quella 
europea (in particolare di Francia e Gran Bretagna) più protezionistica e 
nazionalistica
11
. 
Il 1° novembre 1944 venne convocata a Chicago una conferenza, alla quale 
parteciparono cinquantaquattro Stati, a seguito della quale venne elaborato un 
testo uniforme che ancor oggi rappresenta il punto di riferimento per la 
regolamentazione internazionale dei servizi di trasporto aereo. Tale testo 
                                                 
10
 BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 55 
11
  LEANZA, Il diritto degli spazi internazioni. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 401 
 15
prende il nome di Convenzione sull’aviazione civile internazionale ed è oggi 
praticamente accettata da tutti gli Stati
12
. 
Tale convenzione ebbe l’indiscusso merito di portare decisivi miglioramenti 
nel settore della navigazione aerea, introducendo le cosiddette cinque libertà 
dell’aria e creando l’International Civil Aviation Organization (ICAO)
13
, 
                                                 
12
 BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 59; TURCO BULGHERINI, La 
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., 8-10 
13
 ICAO, International Civil Aviation Organization, è un’organizzazione internazionale costituitasi nel 
1947, la cui sede permanente fu stabilita a Montreal. Gli obiettivi di tale organismo, sanciti 
dall’articolo 44 della Convenzione di Chicago, consistono nello sviluppare i principi e le tecniche 
della navigazione aerea internazionale e favorire i piani e lo sviluppo dei trasporti aerei internazionali. 
Le funzioni ed i compiti di tale organismo, possono essere riassunti  nel modo seguente: 
a) assicurare il sano ed ordinato progresso dell’aviazione civile; 
b) favorire lo sviluppo delle rotte aeree, degli aeroporti e delle installazioni per l’aviazione 
civile internazionale; 
c) soddisfare l’esigenza mondiale di avere aerei sicuri, regolari, efficienti ed economici; 
d) impedire danni economici derivanti dall’eccessiva concorrenza; 
e) assicurare il rispetto dei diritti degli Stati contraenti ed assicurare la giusta opportunità di 
gestione delle linee aeree internazionali da parte degli stessi Stati contraenti; 
f) evitare discriminazione tra Stati contraenti; 
g) promuovere lo sviluppo di tutti gli aspetti dell’aeronautica civile. 
Per realizzare tutto ciò, l’ICAO elabora degli standards internazionali e pratiche raccomandate che 
investono tutti gli aspetti tecnici dell’esercizio aereo previsti dall’articolo 37 della Convenzione e 
provvede allo scambio di informazioni. 
Gli standards e le pratiche raccomandate, sono contenute in Annessi, i quali vengono emanati dal 
Consiglio dell’ICAO ed il cui effetto si esplica se entro tre mesi dalla data di notifica agli Stati 
contraenti, la maggioranza di questi ultimi non manifesti al Consiglio stesso il proprio disaccordo. 
Pertanto, l’efficacia obbligatoria di tali Annessi è correlata al comportamento concludente da parte dei 
suddetti Stati contraenti, consistente nella mancata disapprovazione dello standard. Tuttavia, qualora 
gli Stati si trovino nell’obiettiva impossibilità di applicare lo standard o di conformarsi all’Annesso 
Tecnico, essi comunicano al Consiglio dell’ICAO le loro eventuali deroghe nazionali, ma nel caso di 
inosservanza degli standards relativi alla navigabilità degli aeromobili ed alle licenze del personale, 
ogni Stato contraente potrà rifiutare la penetrazione sia dell’aeromobile sia del personale di bordo 
dello Stato che ha effettuato la deroga o che non abbia rispettato le norme dell’Annesso Tecnico. Va 
precisato, inoltre, che gli Annessi Tecnici costituiscono oggetto di continua revisione da parte del 
Consiglio dell’ICAO in corrispondenza degli aspetti tecnologici dell’aviazione. 
In Italia, i suddetti Annessi sono stati recepiti nell’articolo 690 cod. navigazione; tale ricezione 
avviene sia per via amministrativa per le singole materie, in base ai principi generali stabiliti in 
attuazione delle norme legislative dal D.P. R. 4 luglio 1985 n. 461, sia attraverso l’emanazione dei 
regolamenti tecnici dell’ENAC. Tale impianto normativo risulta in linea con la previsione di delega ed 
in conformità dell’articolo 26 della L. 1° Agosto 2002 n. 166, nella prospettiva di individuare un 
regime semplificato e rapido di recepimento degli annessi tecnici nell’ordinamento interno. 
L’ICAO è costituita da quattro organi principali:  
a) l’Assemblea, organo sovrano nel quale tutti gli Stati contraenti sono rappresentati. Tra i suoi 
compiti principali (oltre a quelli interni, quali ad esempio l’elezione del proprio presidente, 
oppure la scelta degli Stati che compognono il Consiglio) svolge funzioni di sorveglianza 
tecnica sull’attività dell’Organizzazione, nonché può modificare la Convenzione di Chicago 
con delibera presa a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti; 
 16
organismo internazionale dotato di poteri quasi normativi, le cui funzioni 
principali concernono la disciplina delle attività di navigazione aerea negli 
aspetti prettamente tecnici. 
 Tale Convenzione, ratificata il 7 dicembre 1944, ed entrata in vigore in quasi 
tutti gli Stati del mondo il 4 aprile del 1947, rappresentò  un compromesso tra 
le suddette istanze liberistiche statunitensi e le istanze protezionistiche degli 
Stati europei, che vedevano nello sviluppo dell’aviazione, in particolare quella 
statunitense, una minaccia dei loro interessi economico-commerciali. 
                                                                                                                                          
b) il Consiglio, organo permanente responsabile dell’Assemblea. Tra i poteri più importanti 
attribuitigli vi è la conciliazione e l’istanza preliminare per le controversie che possono 
sorgere fra gli Stati membri relativamente alla Convenzione di Chicago, all’Accordo sul 
Transito e a quello sul Trasporto. Inoltre il Consiglio sottopone all’Assemblea dei rapporti 
annuali ed attua le sue direttive, istituisce il Comitato per i trasporti aerei (stabilendone i 
compiti) e la Commissione per la navigazione aerea, nomina il segretario generale 
dell’ICAO, riunisce, studia e pubblica tutte le informazioni inerenti ai progressi della 
navigazione aerea, avvisa gli Stati contraenti di ogni violazione della Convenzione, adotta gli 
standards internazionali, conduce ricerche su tutti gli aspetti dei trasporti e della navigazione 
aerea che siano di importanza internazionale e comunica i risultati di tali ricerche agli Stati 
contraenti, studia le questioni relative all’organizzazione e all’esercizio dei trasporti aerei 
internazionali (ivi inclusi la proprietà e l’esercizio internazionale dei servizi aerei 
internazionali sulle rotte principali); 
c) la Commissione per la navigazione aerea, il cui potere maggiore consiste nell’esaminare e 
raccomandare al Consiglio le modifiche da apportare agli Allegati alla Convenzione, per la 
loro adozione; 
d) il Comitato per il Trasporto Aereo, costituisce l’elemento economico dell’ICAO, ma dati gli 
scarsi risultati economici della Convenzione di Chicago, e data la sovrapposizione in tale 
materia dell’attività IATA, di fatto hanno reso i poteri di tale organismo assai deboli e poco 
incisivi; 
e) infine vi è il Comitato Giuridico, organo ausiliario ulteriore incaricato di studiare e preprare 
nuovi progetti di convenzione internazionali di diritto aeronautico e di fornire consulenza 
giuridica ai suoi organi principali.  
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., 83-90; TURCO BULGHERINI, La disciplina 
giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 10-15; BURGENTHAL, Law-making in the 
International Civil Aviation Organization, New York, 1969; MANIN, L’Organisasion de l’Aviation 
Civile International, Parigi 1970; LATTANZI, Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale 
(ICAO), in Enc. Dir. XXXI/91, pag. 228; MULLER, Die Internazionale Zivilluftfahrt-organisation, 
Berlino, 1985; SCIOLLA LAGRANGE, Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale (OACI), in 
Enc. Giur.Treccani XXII, Roma 1990; TURCO BULGHERINI, La riforma del Codice della Navigazione, 
in Le nuove Leggi Civili Commentate, Cedam 6/2006, pag. 1348; COSENTINO, Sull’obbligo di 
recepimento degli Annessi Tecnici alla Convenzione di Chicago, in Dir. Trasporti, 1999, pag. 559; 
FRANCHI, Lo stato di recepimento degli Annessi tecnici ICAO nell’ordinamento Italiano, in Il nuovo 
diritto aeronautico, Milano 2002, pag. 15 
 17
All’epoca dell’elaborazione della Convenzione di Chicago,  infatti, gli Stati 
Uniti d’America rappresentavano la principale potenza mondiale nel settore 
aereo, in grado di fornire servizi di trasporto aereo in tutto il mondo, in quanto 
vantavano un’avanzata tecnologia e ingenti risorse destinate all’industria 
aeronautica. 
I paesi europei invece (Francia e Gran Bretagna), attraversavano una fase di 
riorganizzazione del settore ed erano obiettivamente meno competitivi rispetto 
agli Stati Uniti nel mercato del trasporto aereo. Tali paesi, infatti, erano 
consapevoli che, se in sede di elaborazione della convenzione fosse prevalsa 
quell’istanza liberistica, ispirata all’introduzione della libera concorrenza 
senza restrizione alcuna, con traffici aperti a tutte e cinque le libertà dell’aria 
in grado di garantire ampie concessioni di carattere commerciale, essi 
sarebbero stati schiacciati dagli Stati Uniti perdendo quindi la leadership del 
mercato del trasporto aereo civile. 
 
Viceversa, una politica protezionistica e nazionalistica che riconosceva il 
principio di sovranità territoriale sul proprio spazio aereo, e che privilegiava la 
ripartizione delle rotte attraverso accordi bilaterali, avrebbe consentito a tali 
Paesi di operare in condizioni non svantaggiose rispetto agli Stati Uniti, e 
avrebbe loro permesso di attuare quella necessaria riorganizzazione del settore 
del trasporto aereo. 
Per questi motivi, nella Convenzione di Chicago viene sottolineata 
l’importanza del principio di sovranità
14
 citato nell’articolo 1, in base al quale 
                                                 
14
 Già riconosciuto nell’articolo 1 della Convenzione di Parigi del 1919, nell’articolo 1 della 
Convenzione di Madrid del 1926 e nell’articolo 1 della Convenzione dell’Avana del 1928.  
 18
ogni Stato è sovrano sullo spazio aereo sovrastante il proprio territorio, ed in 
quanto tale, regolamenta, gestisce e controlla in tale ambito le attività 
aeronautiche e i trasporti aerei di linea e non. Inoltre, il suddetto principio 
consente agli Stati di ripartire l’utilizzo, tra i vettori, del proprio spazio aereo 
rilasciando loro i permessi necessari. In altre parole, un aeromobile in 
navigazione, oltre ad essere sottoposto ai poteri dello Stato nazionale di 
immatricolazione, sarà sottoposto all’esercizio della sovranità territoriale dello 
Stato sorvolato
15
. 
 
2.4.1 – SERVIZI AEREI DI LINEA E SERVIZI AEREI NON DI LINEA 
La Convenzione di Chicago fa riferimento ai  servizi aerei internazionali 
registrati e ai  servizi aerei internazionali non registrati, ovvero servizi aerei 
di linea e servizi aerei non di linea. 
Tale distinzione è importante, in quanto, come in seguito avremo modo di 
appurare, rileva ai fini dell’applicabilità all’uno o all’altro  della disciplina 
delle c.d. libertà dell’aria
16
. 
                                                 
15
 MASUTTI, Il diritto Aeronautico. Lezioni casi e materiali, Torino 2004, pag. 161-165; LEANZA, Il 
diritto degli spazi internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 401; BRIGNARDELLO, La 
disciplina delle tariffe e dei prezzi nel settore dei trasporti, Torino 2000, pag. 80-81; TURCO 
BULGHERINI, La disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 8-9, pag. 16-18; 
WERNER, The Chicago Air Conference, in Foreign Affairs,  1947, pag. 406-407; GARNAULT, Les 
convention set le resolutions de Chicago, in Revue française du droti aérien, 1967, pag. 1-2; 
SILINGARDI, Attività di trasporto aereo e controlli pubblici, Padova 1984, pag. 18-20; GIANNINI, La 
Convenzione di Chicago del 1944 sull’Aviazione Civile Internazionale, Roma 1953; BALLARINO-
BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 59-60 
16
 Prima di parlare della suddetta distinzione e dei criteri attraverso i quali essa viene attuata, è 
interessante accennare alle modalità in base alle quali il concetto di volo non regolare o charter sia 
nato. Esso si sviluppa a seguito di una diversa serie di circostanze pratiche verificatesi sia negli Stati 
Uniti, sia in Europa: negli USA, a seguito delle operazioni militari (dalla seconda guerra mondiale alla 
guerra del Vietnam),  alcune compagnie aeree cosiddette supplementals, iniziano ad effettuare un 
servizio di trasporto aereo civile, considerato integrativo rispetto a quello di linea, destinato a far 
fronte alle esigenze del pubblico, le quali non potevano essere o non venivano soddisfatte dai vettori 
aerei regolari. La presenza di tali aerolinee comportò un aumento della concorrenza con i vettori