5
Due secoli dopo Grozio, il diritto internazionale del mare viene costruito in
base ad un tetto massimo di libertà, e con il riconoscimento di diritti sovrani a
favore degli Stati, solo in quanto giustificati da indiscutibili esigenze di
sicurezza. La nascita, poi, di nuovi Stati ex coloniali porta ad una
contestazione sia del diritto internazionale occidentale, sia della
incondizionata libertà dei mari.
Viene istituito il mare territoriale, consistente in quella striscia di mare
contigua alla costa, nella quale, per motivi di sicurezza, si riconosce allo Stato
costiero un diritto assoluto. Inizialmente il limite del mare territoriale deriva
da circostanze di fatto, legate ad esigenze di protezione invocate dallo Stato,
solo fino a dove questo ha i mezzi per attuarle. Successivamente, con
condurre inchieste a bordo di navi straniere e così via. Tuttavia, successivamente, tale principio inizia
a mostrare i suoi aspetti positivi, e si risolve in una eguaglianza d’uso, vale a dire che tutti gli Stati
devono disporre di identici diritti in alto mare, e questo principio di eguaglianza costituisce il
corollario della libertà.
Nonostante la suddetta libertà sia a fondamento della disciplina delle attività svolte dagli Stati nell’alto
mare, inizialmente da parte di alcuni Stati la si vuol negare per motivi puramente commerciali,
soprattutto perchè intendevano esercitare il loro controllo sulle navi altrui per lo sfruttamento di
alcune risorse che l’alto mare offriva.
Sebbene attorno al secolo XII vi furono autori che cercano, a modo loro, di dare una definizione al
principio della libertà dei mari, è solo Grozio che afferma tale principio attraverso le sue
argomentazioni esposte nel Mare Liberum, (pubblicato nel 1609); per Grozio, infatti, i mari sono
proprietà comune, e tale comunione cessa nel momento in cui viene occupato il bene, ma nel caso
specifico l’occupazione è impossibile, in quanto non vi può essere l’occupazione da parte di un solo
Stato dell’alto mare.
C’è, però, chi respinge il principio della libertà di mari, come ad esempio la Gran Bretagna, che palesa
la sua pretesa a disciplinare l’attività di pesca, anche in zone assai lontane dalle sue coste. A
dimostrazione di ciò, l’inglese Selden rispose a Grozio con l’opera Mare Clausum, nella quale si
tentava di dimostrare l’appropriabilità del mare ed il diritto di proprietà del sovrano di Gran Bretagna
sui mari che circondavano l’imperium britannico: i mari inglesi venivano immensamente dilatati e
non avevano altri limiti, a nord a sud, che quelli delle coste degli Stati vicini.
La politica messa in atto dall’imperium britannico, rifletteva le stesse caratteristiche delle Repubbliche
di Venezia e di Genova, rispettivamente nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure, fino a tutto il XVI°
secolo. Le due Repubbliche, infatti, rivendicavano l’esercizio del controllo sulle navi altrui, per
soddisfare le esigenze di difesa e per reprimere il contrabbando.
Con il passare del tempo, la dottrina finì per seguire le idee di Grozio. Già dalla fine del XVII secolo
la libertà dei mari era, infatti, incontestata. Tale principio si consolidò ulteriormente nel corso dei
secoli XVIII e XIX, in base alla prassi instaurata dalle grandi potenze marittime tradizionali; LEANZA,
Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, Torino 1999, pag. 227-230
6
l’aumento della portata delle artiglierie costiere, questa regola diviene
impraticabile e sostituita da una misura fissa; ma, dal momento che non tutti
gli Stati l’accettarono, non si è determinata la formazione di una norma
consuetudinaria vincolante
2
.
Nel mare territoriale le navi straniere, anche quelle da guerra, possono passare
liberamente, a condizione che il loro passaggio sia inoffensivo, ossia non rechi
danno alla comunità terrestre.
Su questa concezione della libertà della navigazione marittima, pone le sue
basi il regime della navigazione aerea, le cui analogie con il diritto marittimo,
2
Di mare territoriale si inizia a parlare tra il XVI e XVIII secolo. Durante questo periodo, infatti, non
esiste una nozione unitaria di mare territoriale, ma solamente una serie di pretese relative al controllo
dei mari adiacenti da parte degli Stati costieri; pretese comprese entro esigui limiti, spaziali e
funzionali, tanto da far pensare erroneamente che il regime di libertà della navigazione marittima si
estenda anche ai mari adiacenti, ove gli Stati costieri esercitano eccezionali poteri sulla navigazione
straniera, in particolare ai fini della pesca e del contrabbando.
La teoria del “mare territoriale” viene, sulle prime, elaborata da Baldo degli Ubaldi (1327-1400), ma
sarà Alberico Gentili ad introdurre nel 1598 l’espressione “mare territoriale” nella sua opera De Jure
Belli. Tuttavia, anche se la nozione di “mare territoriale” sia emersa durante il medioevo, la
determinazione del suo limite esterno viene delineata durante il XVII e XVIII secolo, quando venne
adottato il limite delle tre miglia, che trova espressione nella dottrina della “gitttata del cannone”,
propugnata dall’olandese Cornelius Bynkershoek (1638-1701).
Tale limite viene confermato anche nel Territorial Waters Jurisdiction Act, emanato dalla Gran
Bretagna nel 1878, conseguentemente al caso Franconia, (inerente la collisione tra una nave inglese
ed una nave tedesca a due miglia e mezzo dalla costa britannica nella quale morì un cittadino inglese,
laddove la Gran Bretagna si rifiutò di esercitare la propria giurisdizione sostenendo che alle acque
adiacenti si estende il regime di libertà dei mari). Con tale atto la Gran Bretagna istituisce il mare
territoriale, ed estende la giurisdizione ed il controllo esclusivo delle autorità britanniche sulla
navigazione straniera che si svolgono entro il limite delle tre miglia marine dalla linea di bassa marea.
La regola delle tre miglia è rimasta in vigore per tutto il XIX e l’inizio del XX secolo. Essa entra in
crisi a causa del diverso atteggiamento di numerosi Stati, i quali mirano soprattutto a tutelare i propri
interessi economici. Durante tale periodo, infatti, si sostiene che ciascuno Stato sia internazionalmente
libero di determinare l’estensione del proprio mare territoriale in base ai propri interessi vitali, senza
che altri Stati possano disconoscere la misura unilateralmente adottata; se tale misura rientra
nell’ambito delle tre miglia, qualsiasi Stato diverso da quello costiero dovrebbe riconoscere
l’estensione del mare territoriale da quest’ultimo adottata, se invece lo Stato costiero adottasse una
misura superiore alle tre miglia, gli Stati terzi sarebbero liberi di riconoscere o disconoscere
l’estensione prescelta.
Attualmente, partendo proprio da una norma consuetudinaria internazionale, affermatasi nel corso
degli anni, il limite dell’estensione massima del mare territoriale è fissato nella misura di dodici
miglia, limite definitivamente stabilito nella Convenzione di Montego Bay del 1982; LEANZA, Il
diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione,op. cit., pag. 98-106
7
sostenute da alcuni, sono invece fortemente contrastate da coloro i quali
asseriscono che:
a) vi sono degli Stati che non hanno accesso al mare, ma sono sormontati
solo dall’aria;
b) mentre il mare territoriale rappresenta una misura di sicurezza contro i
pericoli che vengono dal largo, la colonna aerea non può avere questo
ruolo, perché finisce dove – allora – non vi era navigazione, e quindi
non circoscrivibile;
c) non potendo essere individuata con precisione, l’aria non può costituire
oggetto di un potere dello Stato, suscettibile di essere delimitato;
d) l’esercizio effettivo dell’imperium dell’aria non è possibile e gli Stati
restano vulnerabili a tutti gli attacchi aerei
3
.
1.2 – LO SPAZIO SOVRASTANTE IL TERRITORIO: OSSERVAZIONI
GENERALI
La nascita dell’insieme di norme e regole inerenti la navigazione aerea – che
ricordiamo ha avuto origine nel ventesimo secolo - incontrò non pochi
ostacoli, in particolare, il primo fu il riconoscimento dello spazio aereo
sovrastante il territorio di uno Stato, come spazio ove lo Stato stesso potesse
esercitare la sua sovranità.
Lo spazio aereo, a differenza dell’aria intesa come elemento gassoso, non è
oggetto di diritti o di altre situazioni giuridiche; non lo si può, pertanto,
considerare come bene o cosa in senso giuridico.
3
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, Milano 1988, pag. 42-46; LEANZA, Il diritto
degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione,op. cit., pag. 346-347
8
Lo spazio aereo assume rilievo giuridico sempre e solo come ambito di attività
soggettive; viene, infatti, diversamente qualificato in base al tipo di attività che
in esso vengono esplicate, dal grado di collegamento tra queste con la
superficie sottostante, dalla natura dei rapporti giuridici che da esse
scaturiscono e dalla situazione dei soggetti titolari di questi rapporti.
Tali attività si definiscono come attività di navigazione aerea, che agli inizi
suscitò polemiche e dinieghi da parte della dottrina soprattutto in relazione al
riconoscimento della sovranità territoriale dello Stato sullo spazio aereo
sovrastante
4
.
Inizialmente la dottrina riteneva che il regime giuridico dello spazio aereo,
collegato con il concetto di libertà dell’aria, fosse sottratto all’esercizio della
sovranità da parte degli Stati in ogni sua parte.
Questo perché, essa asseriva che non essendo l’atmosfera suscettibile di
materiale possesso, nonché non essendo delimitabile in alcun modo, lo spazio
aereo non poteva essere né individuato, né appropriato e quindi non
suscettibile di essere sottoposto alla sovranità degli Stati.
Successivamente, un opposto orientamento enunciò la c.d. teoria della
sovranità dell’aria, la quale affermava che - al di sopra dei territori nazionali –
il principio dello spazio aereo soccombeva al contrario principio della
territorialità dello spazio
5
.
4
LEANZA, Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 344-345
5
Tale orientamento ha decisamente influenzato le Convenzioni di Parigi del 1919, quella di Madrid
del 1926, quella dell’Avana del 1928, nonché la più importante Convenzione di Chicago del 7
dicembre del 1944 ove viene affermato il principio della piena sovranità degli Stati sullo spazio aereo
ad essi sovrastante; LEANZA, Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit.,
pag 346-347
9
Il riconoscimento dell’esercizio della sovranità degli Stati sullo spazio aereo
soprastante, oltre a rispondere ad interessi di ordine politico, militare, sanitario
e doganali dei vari Stati, aderisce perfettamente alla libertà di traffico aereo.
Libertà di traffico aereo significa sostanzialmente indipendenza del traffico nei
confronti di qualsiasi limitazione atta ad impedirlo, ivi inclusi il libero sorvolo
in transito ed il libero atterraggio.
Tuttavia, il riconoscimento del principio della libertà di traffico, è solamente e
puramente convenzionale. Come avremo modo di vedere in seguito, gli Stati,
infatti, si sarebbero contrattualmente obbligati, nelle varie convenzioni sulla
navigazione aerea, a garantirsi il reciproco diritto di passaggio inoffensivo sui
rispettivi territori, riservandosi, però, il diritto di subordinare al loro previo
assenso lo stabilimento e lo sfruttamento delle linee aeree regolari
6
.
1.3 – TEORIE SULLA CONDIZIONE GIURIDICA DELL’ATMOSFERA
Come conseguenza di quanto enunciato, vengono successivamente formulate
alcune teorie che si riferiscono proprio alla condizione giuridica dell’aria, vista
come un problema di rapporti tra gli Stati. La prima è la
a) Teoria della libertà illimitata, sostenuta da coloro che, considerando i
vantaggi che il principio dell’assoluta libertà dei mari aveva portato alla
comunità internazionale, ritenevano opportuno applicare quegli stessi
criteri alla disciplina nascente. Tuttavia, questa teoria perse credibilità,
man mano che venivano perfezionati i mezzi di navigazione ed erano
sempre più chiari i pericoli di una libertà di sorvolo senza limiti.
6
LEANZA, Il diritto degli Spazi Internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 346-350
10
La seconda è la
b) Teoria della sovranità assoluta, pienamente contrastante con la
precedente, in quanto respingeva il principio di libertà, affermando
viceversa la sovranità dello Stato sull’atmosfera.
La terza è composta da
c) Teorie intermedie, le quali cercavano di conciliare le pretese degli Stati
con la creazione di un sistema efficiente di navigazione aerea
internazionale. Tra di esse, troviamo la teoria elaborata nel 1901 dal
giurista francese Paul Fauchille, il quale sosteneva che l’aria è libera, e
la sua libertà può essere limitata solo da diritti strettamente determinati
ed appartenenti allo Stato sottostante. Fauchille, argomentando che ogni
diritto di sovranità deriva dalla possibilità di impossessarsi del suo
oggetto, asseriva che il padrone della terra poteva appropriarsi dello
spazio aereo fino all’altezza alla quale è in grado di erigere edifici ed
altre costruzioni. Considerando che all’epoca l’edificio più alto era la
Torre Eiffel, il limite massimo appropriabile era l’altezza di questa,
ossia trecento metri. Oltre questo limite, l’atmosfera era libera, pertanto
tutti la potevano utilizzare per la navigazione.
Infine, un’altra teoria è la
d) teoria della sovranità limitata, la quale muoveva dal principio che
l’atmosfera è oggetto di un potere dello Stato, ma vi introduce delle
limitazioni a favore del traffico aereo di mezzi provvisti di determinati
requisiti di idoneità, comprovati da certificati aventi un riconoscimento
11
internazionale. Tale teoria anticipò il regime che poi è venuto ad
affermarsi, fondato su una visione funzionale e non esclusivamente
spaziale della navigazione aerea
7
.
2.1– LA NASCITA CONVENZIONALE DEL DIRITTO AEREO
2.2 – LA CONVENZIONE DI PARIGI DEL 1919
Nella comunità internazionale, era sempre più crescente l’attenzione inerente
alla navigazione aerea, nonché la volontà di giungere all’elaborazione di testi
internazionali soddisfacenti.
A tal proposito, nel 1910 a Parigi si riunì una conferenza internazionale sulla
navigazione aerea, la quale però non ebbe il successo sperato, ma portò alla
conclusione di accordi bilaterali e ad una attività legislativa interna degli Stati
relativa alla condizione dell’atmosfera.
La Convenzione di Parigi nasce a seguito della grande conferenza che pose
fine alla prima guerra mondiale. Essa, ratificata da appena dodici Stati ed
entrata in vigore nel 1922, riconobbe il principio della piena e completa
sovranità di ogni Stato sull’atmosfera sovrastante il suo territorio e le sue
acque territoriali, ed il diritto di ogni Stato di esercitare la giurisdizione sullo
spazio aereo al di sopra dello stesso territorio.
Alla Convenzione di Parigi si deve riconoscere un merito importante, quale
quello di essere riuscita a raccogliere l’assenso di molti Stati (nel 1939, infatti
vi aderirono altre potenze) su di un testo internazionale e a creare
un’Organizzazione internazionale permanente volta a regolare il volo aereo.
7
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale,op. cit., pag. 48-51; TURCO BULGHERINI, La
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, Padova 1984, pag. 1-7
12
In essa troviamo enunciati i principi generali relativi alla navigazione aerea,
fissati nei primi cinque articoli. All’articolo 1 viene riconosciuto un principio
di diritto internazionale generale, quale quello della sovranità senza riserve di
ciascuno Stato sul proprio spazio aereo. All’articolo 2, invece, viene sancita la
regola del passaggio inoffensivo, secondo cui:
“ogni Stato contraente si impegna in tempo di pace ad accordare libertà di
passaggio inoffensivo al di sopra del suo territorio agli aerei degli altri Stati
contraenti, purché siano rispettate le condizioni stabilite nella presente
Convenzione”.
La norma del presente articolo ha carattere prettamente convenzionale; è il
prodotto della volontà dei contraenti e va a creare obblighi solo inter partes.
Tale carattere convenzionale è ribadito dall’articolo 5, che stabilisce:
“nessuno Stato contraente autorizzerà, se non in maniera speciale e
temporanea, che il suo territorio sia sorvolato da un aereo che non ha la
nazionalità di uno Stato contraente”.
L’esercizio di questo diritto di passaggio inoffensivo è in ogni caso
subordinato all’impiego di determinate rotte fissate dallo Stato sorvolato.
La Convenzione di Parigi sembra non contenere alcuna menzione di quella
che, in seguito, verrà chiamata la seconda libertà, ossia la libertà di atterraggio.
Tuttavia, leggendola nel suo insieme, troviamo norme come negli articoli 22 e
24 (secondo cui, l’uno accorda agli aeromobili degli Stati contraenti il diritto,
in caso di atterraggio, alla stessa assistenza accordata agli aeromobili
nazionali, l’altro stabilisce che per ciascuno degli aeroporti vi sarà una tariffa
13
di atterraggio e di soggiorno unica applicabile senza alcuna differenza agli
aeromobili nazionali e stranieri), dalle quali si deduce che la libertà di
atterraggio sia sottintesa dagli Stati contraenti. Inoltre, la stessa Convenzione
riconosce il potere agli Stati sorvolati, di obbligare gli aerei stranieri ad
atterrare su determinati aeroporti.
La Convenzione di Parigi, inoltre, prevede un determinato regime inerente ai
requisiti del volo
8
, l’esistenza di certificati di navigabilità e di brevetti di
attitudine per i piloti, nonché la creazione di un organismo permanente
soggetto all’autorità della Società delle Nazioni, competente per le questioni
amministrative nascenti dal volo e per gli altri aspetti tecnici inerenti alla
navigazione aerea internazionale: la CINA (Commissione Internazionale di
Navigazione Aerea)
9
.
2.3 – LA CONVENZIONE DELL’AVANA DEL 1928
Tuttavia, alla Convenzione di Parigi non segue la realizzazione di una univoca
disciplina internazionale relativa alla navigazione aerea.
Gli Stati non aderenti alla Convenzione (tra cui Stati Uniti e Russia), ne
stipulano altre che riprendono sostanzialmente ciò che già viene menzionato in
essa.
Un qualche elemento di novità lo si evince nella Convenzione dell’Avana del
1928, nella quale si prevede, fra le altre cose, che:
8
L’immatricolazione è retta dalle leggi dello Stato che la concede; ogni Stato si obbliga
convenzionalmente a far si che ogni aeromobile sia iscritto in un solo registro nazionale.
9
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale,op. cit., pag. 51-55; TURCO BULGHERINI, La
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 8-9
14
“ogni aeromobile appartenente ad uno Stato contraente ed operante il
commercio aereo internazionale, potrà deporre dei passeggeri ed una parte
delle sue merci, in un aeroporto di arrivo di un altro Stato contraente e recarsi
in un altro o in altri aeroporti dello stesso Stato per depositarvi il resto dei
passeggeri e delle merci e riprendervi dei passeggeri e delle merci a
destinazione di uno Stato o più Stati stranieri”.
Questa norma è un’anticipazione di ciò che nella successiva Convenzione di
Chicago verranno definite come libertà commerciali
10
.
2.4 - LA CONVENZIONE DI CHICAGO DEL 1944
Con la fine della seconda guerra mondiale, il fenomeno della navigazione
aerea ebbe un notevole sviluppo ed una espansione tale che si sentì la
necessità di dare a tale fenomeno una disciplina di dettaglio a livello
internazionale. Tuttavia, ciò non risultò facile, in quanto si contrapponevano
due istanze diverse, quella statunitense di tipo liberistico, ispirata
all’introduzione della libera concorrenza senza restrizione alcuna, e quella
europea (in particolare di Francia e Gran Bretagna) più protezionistica e
nazionalistica
11
.
Il 1° novembre 1944 venne convocata a Chicago una conferenza, alla quale
parteciparono cinquantaquattro Stati, a seguito della quale venne elaborato un
testo uniforme che ancor oggi rappresenta il punto di riferimento per la
regolamentazione internazionale dei servizi di trasporto aereo. Tale testo
10
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 55
11
LEANZA, Il diritto degli spazi internazioni. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 401
15
prende il nome di Convenzione sull’aviazione civile internazionale ed è oggi
praticamente accettata da tutti gli Stati
12
.
Tale convenzione ebbe l’indiscusso merito di portare decisivi miglioramenti
nel settore della navigazione aerea, introducendo le cosiddette cinque libertà
dell’aria e creando l’International Civil Aviation Organization (ICAO)
13
,
12
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 59; TURCO BULGHERINI, La
disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., 8-10
13
ICAO, International Civil Aviation Organization, è un’organizzazione internazionale costituitasi nel
1947, la cui sede permanente fu stabilita a Montreal. Gli obiettivi di tale organismo, sanciti
dall’articolo 44 della Convenzione di Chicago, consistono nello sviluppare i principi e le tecniche
della navigazione aerea internazionale e favorire i piani e lo sviluppo dei trasporti aerei internazionali.
Le funzioni ed i compiti di tale organismo, possono essere riassunti nel modo seguente:
a) assicurare il sano ed ordinato progresso dell’aviazione civile;
b) favorire lo sviluppo delle rotte aeree, degli aeroporti e delle installazioni per l’aviazione
civile internazionale;
c) soddisfare l’esigenza mondiale di avere aerei sicuri, regolari, efficienti ed economici;
d) impedire danni economici derivanti dall’eccessiva concorrenza;
e) assicurare il rispetto dei diritti degli Stati contraenti ed assicurare la giusta opportunità di
gestione delle linee aeree internazionali da parte degli stessi Stati contraenti;
f) evitare discriminazione tra Stati contraenti;
g) promuovere lo sviluppo di tutti gli aspetti dell’aeronautica civile.
Per realizzare tutto ciò, l’ICAO elabora degli standards internazionali e pratiche raccomandate che
investono tutti gli aspetti tecnici dell’esercizio aereo previsti dall’articolo 37 della Convenzione e
provvede allo scambio di informazioni.
Gli standards e le pratiche raccomandate, sono contenute in Annessi, i quali vengono emanati dal
Consiglio dell’ICAO ed il cui effetto si esplica se entro tre mesi dalla data di notifica agli Stati
contraenti, la maggioranza di questi ultimi non manifesti al Consiglio stesso il proprio disaccordo.
Pertanto, l’efficacia obbligatoria di tali Annessi è correlata al comportamento concludente da parte dei
suddetti Stati contraenti, consistente nella mancata disapprovazione dello standard. Tuttavia, qualora
gli Stati si trovino nell’obiettiva impossibilità di applicare lo standard o di conformarsi all’Annesso
Tecnico, essi comunicano al Consiglio dell’ICAO le loro eventuali deroghe nazionali, ma nel caso di
inosservanza degli standards relativi alla navigabilità degli aeromobili ed alle licenze del personale,
ogni Stato contraente potrà rifiutare la penetrazione sia dell’aeromobile sia del personale di bordo
dello Stato che ha effettuato la deroga o che non abbia rispettato le norme dell’Annesso Tecnico. Va
precisato, inoltre, che gli Annessi Tecnici costituiscono oggetto di continua revisione da parte del
Consiglio dell’ICAO in corrispondenza degli aspetti tecnologici dell’aviazione.
In Italia, i suddetti Annessi sono stati recepiti nell’articolo 690 cod. navigazione; tale ricezione
avviene sia per via amministrativa per le singole materie, in base ai principi generali stabiliti in
attuazione delle norme legislative dal D.P. R. 4 luglio 1985 n. 461, sia attraverso l’emanazione dei
regolamenti tecnici dell’ENAC. Tale impianto normativo risulta in linea con la previsione di delega ed
in conformità dell’articolo 26 della L. 1° Agosto 2002 n. 166, nella prospettiva di individuare un
regime semplificato e rapido di recepimento degli annessi tecnici nell’ordinamento interno.
L’ICAO è costituita da quattro organi principali:
a) l’Assemblea, organo sovrano nel quale tutti gli Stati contraenti sono rappresentati. Tra i suoi
compiti principali (oltre a quelli interni, quali ad esempio l’elezione del proprio presidente,
oppure la scelta degli Stati che compognono il Consiglio) svolge funzioni di sorveglianza
tecnica sull’attività dell’Organizzazione, nonché può modificare la Convenzione di Chicago
con delibera presa a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti;
16
organismo internazionale dotato di poteri quasi normativi, le cui funzioni
principali concernono la disciplina delle attività di navigazione aerea negli
aspetti prettamente tecnici.
Tale Convenzione, ratificata il 7 dicembre 1944, ed entrata in vigore in quasi
tutti gli Stati del mondo il 4 aprile del 1947, rappresentò un compromesso tra
le suddette istanze liberistiche statunitensi e le istanze protezionistiche degli
Stati europei, che vedevano nello sviluppo dell’aviazione, in particolare quella
statunitense, una minaccia dei loro interessi economico-commerciali.
b) il Consiglio, organo permanente responsabile dell’Assemblea. Tra i poteri più importanti
attribuitigli vi è la conciliazione e l’istanza preliminare per le controversie che possono
sorgere fra gli Stati membri relativamente alla Convenzione di Chicago, all’Accordo sul
Transito e a quello sul Trasporto. Inoltre il Consiglio sottopone all’Assemblea dei rapporti
annuali ed attua le sue direttive, istituisce il Comitato per i trasporti aerei (stabilendone i
compiti) e la Commissione per la navigazione aerea, nomina il segretario generale
dell’ICAO, riunisce, studia e pubblica tutte le informazioni inerenti ai progressi della
navigazione aerea, avvisa gli Stati contraenti di ogni violazione della Convenzione, adotta gli
standards internazionali, conduce ricerche su tutti gli aspetti dei trasporti e della navigazione
aerea che siano di importanza internazionale e comunica i risultati di tali ricerche agli Stati
contraenti, studia le questioni relative all’organizzazione e all’esercizio dei trasporti aerei
internazionali (ivi inclusi la proprietà e l’esercizio internazionale dei servizi aerei
internazionali sulle rotte principali);
c) la Commissione per la navigazione aerea, il cui potere maggiore consiste nell’esaminare e
raccomandare al Consiglio le modifiche da apportare agli Allegati alla Convenzione, per la
loro adozione;
d) il Comitato per il Trasporto Aereo, costituisce l’elemento economico dell’ICAO, ma dati gli
scarsi risultati economici della Convenzione di Chicago, e data la sovrapposizione in tale
materia dell’attività IATA, di fatto hanno reso i poteri di tale organismo assai deboli e poco
incisivi;
e) infine vi è il Comitato Giuridico, organo ausiliario ulteriore incaricato di studiare e preprare
nuovi progetti di convenzione internazionali di diritto aeronautico e di fornire consulenza
giuridica ai suoi organi principali.
BALLARINO-BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., 83-90; TURCO BULGHERINI, La disciplina
giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 10-15; BURGENTHAL, Law-making in the
International Civil Aviation Organization, New York, 1969; MANIN, L’Organisasion de l’Aviation
Civile International, Parigi 1970; LATTANZI, Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale
(ICAO), in Enc. Dir. XXXI/91, pag. 228; MULLER, Die Internazionale Zivilluftfahrt-organisation,
Berlino, 1985; SCIOLLA LAGRANGE, Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale (OACI), in
Enc. Giur.Treccani XXII, Roma 1990; TURCO BULGHERINI, La riforma del Codice della Navigazione,
in Le nuove Leggi Civili Commentate, Cedam 6/2006, pag. 1348; COSENTINO, Sull’obbligo di
recepimento degli Annessi Tecnici alla Convenzione di Chicago, in Dir. Trasporti, 1999, pag. 559;
FRANCHI, Lo stato di recepimento degli Annessi tecnici ICAO nell’ordinamento Italiano, in Il nuovo
diritto aeronautico, Milano 2002, pag. 15
17
All’epoca dell’elaborazione della Convenzione di Chicago, infatti, gli Stati
Uniti d’America rappresentavano la principale potenza mondiale nel settore
aereo, in grado di fornire servizi di trasporto aereo in tutto il mondo, in quanto
vantavano un’avanzata tecnologia e ingenti risorse destinate all’industria
aeronautica.
I paesi europei invece (Francia e Gran Bretagna), attraversavano una fase di
riorganizzazione del settore ed erano obiettivamente meno competitivi rispetto
agli Stati Uniti nel mercato del trasporto aereo. Tali paesi, infatti, erano
consapevoli che, se in sede di elaborazione della convenzione fosse prevalsa
quell’istanza liberistica, ispirata all’introduzione della libera concorrenza
senza restrizione alcuna, con traffici aperti a tutte e cinque le libertà dell’aria
in grado di garantire ampie concessioni di carattere commerciale, essi
sarebbero stati schiacciati dagli Stati Uniti perdendo quindi la leadership del
mercato del trasporto aereo civile.
Viceversa, una politica protezionistica e nazionalistica che riconosceva il
principio di sovranità territoriale sul proprio spazio aereo, e che privilegiava la
ripartizione delle rotte attraverso accordi bilaterali, avrebbe consentito a tali
Paesi di operare in condizioni non svantaggiose rispetto agli Stati Uniti, e
avrebbe loro permesso di attuare quella necessaria riorganizzazione del settore
del trasporto aereo.
Per questi motivi, nella Convenzione di Chicago viene sottolineata
l’importanza del principio di sovranità
14
citato nell’articolo 1, in base al quale
14
Già riconosciuto nell’articolo 1 della Convenzione di Parigi del 1919, nell’articolo 1 della
Convenzione di Madrid del 1926 e nell’articolo 1 della Convenzione dell’Avana del 1928.
18
ogni Stato è sovrano sullo spazio aereo sovrastante il proprio territorio, ed in
quanto tale, regolamenta, gestisce e controlla in tale ambito le attività
aeronautiche e i trasporti aerei di linea e non. Inoltre, il suddetto principio
consente agli Stati di ripartire l’utilizzo, tra i vettori, del proprio spazio aereo
rilasciando loro i permessi necessari. In altre parole, un aeromobile in
navigazione, oltre ad essere sottoposto ai poteri dello Stato nazionale di
immatricolazione, sarà sottoposto all’esercizio della sovranità territoriale dello
Stato sorvolato
15
.
2.4.1 – SERVIZI AEREI DI LINEA E SERVIZI AEREI NON DI LINEA
La Convenzione di Chicago fa riferimento ai servizi aerei internazionali
registrati e ai servizi aerei internazionali non registrati, ovvero servizi aerei
di linea e servizi aerei non di linea.
Tale distinzione è importante, in quanto, come in seguito avremo modo di
appurare, rileva ai fini dell’applicabilità all’uno o all’altro della disciplina
delle c.d. libertà dell’aria
16
.
15
MASUTTI, Il diritto Aeronautico. Lezioni casi e materiali, Torino 2004, pag. 161-165; LEANZA, Il
diritto degli spazi internazionali. Parte Prima La Tradizione, op. cit., pag. 401; BRIGNARDELLO, La
disciplina delle tariffe e dei prezzi nel settore dei trasporti, Torino 2000, pag. 80-81; TURCO
BULGHERINI, La disciplina giuridica degli accordi aerei bilaterali, op. cit., pag. 8-9, pag. 16-18;
WERNER, The Chicago Air Conference, in Foreign Affairs, 1947, pag. 406-407; GARNAULT, Les
convention set le resolutions de Chicago, in Revue française du droti aérien, 1967, pag. 1-2;
SILINGARDI, Attività di trasporto aereo e controlli pubblici, Padova 1984, pag. 18-20; GIANNINI, La
Convenzione di Chicago del 1944 sull’Aviazione Civile Internazionale, Roma 1953; BALLARINO-
BUSTI, Diritto Aeronautico e spaziale, op. cit., pag. 59-60
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Prima di parlare della suddetta distinzione e dei criteri attraverso i quali essa viene attuata, è
interessante accennare alle modalità in base alle quali il concetto di volo non regolare o charter sia
nato. Esso si sviluppa a seguito di una diversa serie di circostanze pratiche verificatesi sia negli Stati
Uniti, sia in Europa: negli USA, a seguito delle operazioni militari (dalla seconda guerra mondiale alla
guerra del Vietnam), alcune compagnie aeree cosiddette supplementals, iniziano ad effettuare un
servizio di trasporto aereo civile, considerato integrativo rispetto a quello di linea, destinato a far
fronte alle esigenze del pubblico, le quali non potevano essere o non venivano soddisfatte dai vettori
aerei regolari. La presenza di tali aerolinee comportò un aumento della concorrenza con i vettori