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La prima parte di questo lavoro offre un rapido repertorio di quelle che sono le
specifiche narrative che accomunano i video monocanale di Ahtila. A fare da
sostrato c’è sempre l’attenzione rivolta al tema della disintegrazione dell’identità
ad opera di un io scisso e i contrastanti rapporti interumani. I vari personaggi
(affetti da turbe mentali) si raccontano davanti alla macchina da presa attraverso
un flusso continuo di pensieri e parole che trapassano l’un sull’altra
indefinitamente. Alla stessa stregua lo stile è frammentario, procede per
sovrapposizioni e rotture continue del ritmo facendosi diretta espressione di un
mondo psichico tutt’altro che monolitico ma scomposto, privo di gerarchie e regie
di sorta. Con opportune tecniche che inficiano la continuità della struttura
(rallenti, replay, velocizzazioni, fermo immagine, voce off, fuori sincrono…)
Ahtila conferisce corpo e sostanza al delirio composto dei suoi soggetti i quali
sono sempre in costante scambio empatico con la natura, gli spazi che agiscono e
sin anche gli oggetti inanimati.
I flussi verbali delle dramatis personae sono sempre affogati in una miscellanea di
rumori e suoni tra i più svariati e per lo più senza referente visivo; producono
straniamento e destabilizzano. Recepire quei discorsi significa voler guardare
dentro il registro sonoro immergendosi in esso dal momento che lascia molto
all’immaginazione riducendo l’arroganza dell’eidos e in alcune circostanze
astraendo completamente da esso.
La musica non funge mai da semplice ornamento ma comunica stati d’animo,
scandisce il ritmo e regola l’andamento delle tensioni; fa da narratore permettendo
al racconto di procedere. Tutto, però, sfugge ad una quantificazione meccanica e
tradizionale del tempo; è proprio l’aporeticità e malleabilità di questa categoria
(correlata alla sua dimensione materiale: lo spazio) a costituire la cifra della
poetica e dell’estetica dell’artista finlandese. E’ impossibile distinguere tra
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presente, passato, futuro in quanto tutti cristallizzati e condensati. Il racconto non
rispecchia meramente ciò che è, ma si propone di indagare, rievocare, immaginare
ciò che accade e potrebbe accadere, ciò che ha avuto e non ha avuto luogo.
Immaginazione, memoria ed esperienza interagiscono l’una con l’altra e si
fondono. Di conseguenza ogni cosa è pervasa del senso del vago e del mistero.
Nella seconda parte si analizzano nello specifico questi ed altri temi
rinvenendoli all’interno di alcune tra le opere più significative dell’artista.
L’analisi, attraverso l’inventario e lo studio congiunto di elementi sonori e visivi,
si propone di illustrare le modalità sperimentali che conducono Ahtila ad
instaurare relazioni multiple tra figure, spazio, oggetti, ambiente e suoni, suoni e
ritmo, immaginazione e realtà.
La trilogia Me/We, Ogay, Gray (’93) attraverso la risignificazione dei topoi
televisivi, specificamente pubblicitari, analizza le derive dell’identità costretta a
ridefinirsi e rimodularsi in continuazione nel rapporto con l’altro.
Today (’97) è il manifesto dell’aporeticità del tempo: memoria e immaginazione,
colte nel flusso di coscienza, portano alla costruzione/rievocazione di storie
potenziali. Ahtila rende le coordinate spazio-tempo inafferrabili lavorando
sull’associazione complessa e simultanea con cui si coordinano i diversi registri
espressivi.
Consolation Service (’99) è certamente l’opera più “aristotelica” di Ahtila, eppure
al suo interno frequenti e determinanti sono le incursioni nella sfera dell’illusione
e dell’immaginazione che si affianca e si sovrappone ad un realismo solo di
facciata e mai veramente preteso.
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STILE E POETICA
Le storie di Eija-Liisa Ahtila
Eija-Liisa Ahtila realizza sempre opere sia in versione filmica (pellicola 35mm)
che installativa con più proiezioni video in DVD. Quando vengono distribuite, le
installazioni sono accolte all’interno di musei e gallerie, i film circuitano nei
festival cinematografici e sui canali televisivi. E’ per queste ragioni che non è
possibile imbrigliare l’artista finlandese all’interno di un genere ben definito tanto
più che prendendo a prestito forme ben radicate quali il documentario, la fiction, il
videoclip musicale, le risignifica. A fare da sostrato c’è sempre, però, l’attenzione
rivolta a quelli che essa stessa definisce “drammi umani”; si tratta di storie intorno
alla difficoltà di comunicare, intorno alla formazione e alla disintegrazione
dell’identità, che speculano sul senso della vita, della morte e del tempo. In primo
piano ci sono sentimenti elementari e relazioni umane come il rapporto figli-
genitori, la fine di relazioni, l’approccio alla sessualità, diverse manifestazioni di
psicosi in giovani donne.
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Mettendo in scena situazioni specifiche, ma al contempo universali e
paradigmatiche, Ahtila si fa regista di tragedie contemporanee. Così dice parlando
di se stessa: “mi piace raccontare storie, scoprire cosa accade nei rapporti tra le
persone. Mi piace anche vedere come gli individui sperimentano il proprio ruolo
nella società”.
1
Tutte le storie che ci sottopone si basano su ricerche, fatti
realmente accaduti, esperienze e memorie dell’artista stessa.
La struttura di questi “drammi umani” è incentrata, in generale, più sulla presa di
parola che non sull’azione; i personaggi si raccontano intrecciando il loro punta di
vista soggettivo con gli eventi che determinano la loro esistenza rendendo di fatto
l’organizzazione narrativa oltre modo complessa in quanto l’elemento psicologico
soverchia il mythos-intreccio. I singoli personaggi sfilano davanti alla macchina
da presa dando vita ad un discorso libero indiretto
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rivolto allo spettatore che così
viene inglobato all’interno della diegesi; i soggetti non intrattengono, se non di
rado, scambi dialogici tra di loro. Lo spettatore è il terminale a cui si chiede
esplicitamente di elaborare il contenuto delle informazioni; egli viene sedotto e
coinvolto emotivamente dalla storia soprattutto perché le vicende esposte sono
quotidiane ed è per questo facile solidarizzare con i personaggi che si rivolgono a
noi come se fossimo dei giudici e loro gli imputati. E’ se vogliamo una sorta di
reciproca analisi che porta alla messa in luce di debolezze e fobie che un po’ ci
appartengono.
L’intimità va sempre a braccetto con lo straniamento. Grazie ad un’estrema
padronanza dei meccanismi della fiction, l’artista finlandese ci porta a riflettere
sulla nostra condizione ma non permette che, come al cinema, ci si lasci
1
Dichiarazioni rilasciate da Athila nel corso di un’intervista pubblicata su internet al sito
www.glamour on line.it.
2
Per discorso libero indiretto Gilles Deleuze in Immagine-tempo intende quello che si dispiega
senza contemplare la possibilità di scambi dialogici. Esso, benché condotto in prima persona, non
si lascia fissare nella dimensione del sé di modo che il personaggio, affabulando, diventa un altro.
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trasportare così tanto dagli eventi da immedesimarci con i protagonisti. La
distanza reale tra un attore ed il personaggio che interpreta non viene camuffata
ma addirittura evidenziata provocando la rottura del flusso narrativo ad opera di
avvertimenti e richieste di intervento nell’elaborazione dell’opera rivolte a noi che
guardiamo. Ahtila si rivolge a fruitori che sappiano guardare dall’esterno allo
stesso tempo con trasporto e con distacco perché solo così si può procedere
all’organizzazione (se pur parziale) dei livelli narrativi che manipola
audacemente. Il piacere estetico che ne trae chi esperisce questi “drammi”, deriva
proprio dall’attenzione che si presta al modo in cui significati e forma sono messi
in relazione.
Occorre subito puntualizzare, infatti, che i vari registri informativi non sono
strutturati in un sistema chiaro ed univoco ma si compenetrano, si contrappuntano,
si rimpiazzano l’un l’altro incessantemente. Ahtila rifugge dai canonici criteri di
unità e linearità e nulla sembra essere calato dall’alto col carattere della necessità
e dell’a priori. Già in fase di sceneggiatura Ahtila informa le sue opere di un
carattere non consequenziale che sfocia in uno stile che frammenta il racconto
mediante accorgimenti tecnici quali la sovrapposizione di immagini e l’incostanza
del ritmo.
I video dell’artista finlandese presuppongono implicitamente la chiarezza per
negarla al proprio interno; a loro è essenziale la chiarezza volutamente negata e
per questo è lecito parlare di caos organizzato. Questo ossimoro rende bene l’idea
di come venga oggettivata e ricercata la tensione in campo tra il non lasciarsi
capire e il voler essere capito che pervade ogni cosa del senso del vago e
dell’indefinito a tal punto che le barriere fisiche e psichiche smettono di avere una
valenza e cadendo ci permettono di assistere al paradosso di più voci, e quindi più
individualità, che coabitano in uno stesso corpo (Okay) o di una stessa voce per
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più corpi (Me/We) o ancora di voci scollate del tutto dal corpo. I vari personaggi
sono pressoché tutti indeterminabili al punto che Ahtila spesso non dà loro
neppure un nome.
Non è errato parlare di opere multistratificate perché esse instaurano di volta in
volta diversi insiemi di risonanze e accostamenti di senso sollecitati da un
montaggio sempre discontinuo che procede per giustapposizioni. Esso ci costringe
all’”erranza”
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e allo smarrimento dello sguardo e dell’intelletto. La stessa
“erranza”, poi, prevede la sosta e la “veggenza”: di fronte ad un mondo che pare
aver tranciato di netto nessi e raccordi, non si può far altro che fermarsi a guardare
e riflettere (coadiuvati dall’andamento ritmico che improvvisamente cala o
comunque si stabilizza) prima di rimettersi in moto.
Il narrativo con la sua ricchezza e stratificazione di sensi si fa espressione
dell’ampiezza e complessità dell’esistente perché più il mondo si racconta e più si
fa complesso e Ahtila fa fronte a questa esigenza con la frammentazione, la
disseminazione e la sovrapposizione di significati che fa da correlativo oggettivo
anche di un mondo psichico tutt’altro che monolitico ma scomposto, privo di
gerarchie e regie. La forma mentis delle sue narrazioni non può che essere
contraddistinta da turbini, flussi, asimmetria, indeterminazione, squilibri…
Se alcune volte il messaggio che i video veicolano appare troppo cerebrale, tal
altre è sin troppo esplicito. Così come c’è continuo dialogo e scambio simpatetico
3
Nelle installazioni il viaggio oltre ad essere figurato, acquista anche una dimensione materiale
perché ci si ricava una posizione muovendosi all’interno dello spazio preposto. C’è poi da dire che
la frammentarietà riesce molto più facile perché le multiproiezioni soddisfano meglio l’esigenza al
nomadismo propria delle immagini che vogliono trascendere i limiti entro i quali vengono
confinate.
I termini “erranza” e “veggenza” sono di ispirazione deleuziana e corrispondono rispettivamente
alla componente dinamica e a quella statica del tempo. L’erranza è dinamicità e indicibilità dei
percorsi narrativi: è un tempo che passa e ripassa portando ad una sospensione del senso, ed è
legata al montaggio. La veggenza si rifà, viceversa, ad un tempo lento o addirittura fermo ed è
connesso in prevalenza a stati di intensificazione emotiva lirica o drammatica che si avvalgono
preferibilmente del piano sequenza.
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tra noi e i personaggi della storia, c’è una stretta interdipendenza tra questi ultimi
e lo spazio che agiscono, tra lo spazio e gli oggetti che lo caratterizzano tant’è che
Ahtila rischia di scadere spesso in un eccesso di letteralità con tutta una serie di
metafore visive e sonore troppo marcate. Ogni cosa che entra in contatto con le
dramatis personae, allo stesso tempo, genera e significa le loro tensioni e le loro
turbe mentali. A cominciare dai paesaggi e da una natura non indifferente sempre
così inospitale e impenetrabile che si configura come diretta espressione dello
stato d’animo. Gli alberi sono sempre spogli e lasciano cadere per terra le loro
foglie secche, la neve si scioglie e tutto ciò sta a simboleggiare la condizione
esistenziale di estrema labilità e instabilità che caratterizza i protagonisti dei
video; le sterpaglie ci dicono delle loro difficoltà sentimentali, dell’aridità che
contraddistingue l’impossibilità di relazionarsi con i propri simili; il
sopraggiungere delle tenebre veicola sempre lo scatenarsi della crisi. La
confusione, così trasferita dall’ambiente naturale agli uomini, è da questi riversata
sugli animali che cercano un adeguamento e una simbiosi con gli esseri umani:
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i
cani in Consplation Service si azzuffano e abbaiano in continuazione
sottolineando metaforicamente, e intervallandoli, gli alterchi tra Anni e suo marito
J-P.
Veniamo agli spazi artificiali: ciò che sta attorno ai personaggi è sempre disposto
in maniera caotica e sconnessa, porta i segni della consunzione del tempo,
opprime e schiaccia. Ne vien fuori uno spazio claustrofobico che costringe i
personaggi ad un delirio scaricato con automatismi ripetitivi e meccanici come il
passeggiare istericamente su e giù. Il senso di costrizione è poi spesso amplificato
e rafforzato da replay, rallenti e riflessi che contribuiscono ad accrescere la portata
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Nella serie fotografica Dog Bites (1992-1997), Ahtila mostra le foto di una donna nuda che imita
alcune pose di un cane nello stesso modo in cui questo cerca di compiacere il suo padrone
adeguandosi al suo pensiero. A tal proposito si rimanda all’excursus biografico-artistico in
appendice.
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ossessiva delle reiterazioni. Le riprese sottolineano in maniera ridondante lo stato
d’animo dei personaggi: la camera a mano che traballa risente della loro
insicurezza; spesso le inquadrature insistono su riprese vorticose che per la loro
rapidità lasciano anche una strisciatura simbolo oltre che della confusione, anche
del subitaneo trascorrere del flusso verbale che si dispiega in una miscellanea di
pensieri che trapassano senza soluzione di continuità l’uno sull’altro.
Altre volte l’intorno fisico è opalescente e aprospettico, un motivo in più perché la
macchina da presa si soffermi con più insistenza sui primi piani dei personaggi
mettendoci a tu per tu con il loro flusso di pensieri sconclusionato e inquieto. Lo
spazio così indistinto e neutrale esprime uno stato di spaesamento diretta
emanazione di quello ansiolitico. I luoghi chiusi, in particolare la stanza, sono
metafora dell’identità, della proprietà privata e il fatto che siano così scarsamente
definiti e impalpabili la dice lunga sulla crisi esistenziale di chi invece dovrebbe
organizzarli e disporli a partire dal proprio punto di vista che evidentemente
manca. La semioscurità, il bianco e nero, la fotografia irreale per la qualità del
colore, sottrae concretezza agli spazi interni che sembrano sospesi e in continua
fluttuazione. Tanto per fare degli esempi basti soffermarsi ad osservare l’interno
dell’elevatore industriale di Gray e la carrellata all’interno del salotto di Vera in
Today. Il bagliore diffuso e fluorescente interviene ad ovattare questi luoghi
trasportandoli in una dimensione straniante.
Anche gli oggetti sono metaforici, pensiamo ai lenzuoli tenuti dalle mollette in
Me/We espressioni di un’identità in via di definizione (le lenzuola completamente
bianche proiettano riflessi e ombre casuali come se fossero lavagne) e per tanto
necessitante di supporti. La mascherina antigas in Gray è espressione del rifiuto
del dialogo e del confronto, la pallina lanciata con protervia contro la telecamera
in Today è invece richiesta supplicante dello stesso; la maschera tribale e orrida
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isolata nel disordine circostante, sempre in Today, richiama per analogia il tema
della morte; la pianta in via di appassimento in Consolation Service anticipa la
conclusione di un rapporto coniugale; e si potrebbe continuare.
Spesso Ahtila ci aiuta ad individuare queste metafore visive collocandole in
inserti privi quasi di specificità narrativa, anzi addirittura incongruenti. Le
immagini dei paesaggi si susseguono ex abrupto, paratatticamente come tante
cartoline; scene come quelle relative al rovesciamento della tazzina in Me/We (che
rimanda al tema del dilagare della crisi), il librarsi in alto per poi sospendersi in
aria della pallina di carta e delle stesse protagoniste in Gray (resa traslata del
momento di transizione da una condizione esistenziale ad un’altra) attingono
esplicitamente nel mondo dell’immaginazione, del sogno e dell’inconscio.
Anche il registro sonoro è fortemente connotativo. La non indifferenza della
natura fa si che ci sia tutto un profluvio di suoni legati ad essa che colloca gli
eventi nella biologia mutabile ed imprevedibile: i versi e gli strepiti lontani di
animali servono a concretare le tensioni e le richieste disperate di aiuto dei
personaggi. Come questi, infatti, reclamano una stabilità, gli animali rivendicano
il loro spazio naturale sempre più coartato dall’espansione industriale che
contamina e distrugge. Il vento, il respiro della natura disturbante e caotico, è una
presenza ineliminabile all’interno dei video di Ahtila; fa da brusio continuo di
fondo che talora trapassa indefinitamente in sospiri, dà sostanza alle catastrofi, ai
flussi, agli sconvolgimenti, ma allo stesso tempo getta le basi per una rinata
vitalità dopo che si è fatta piazza pulita di tutto il marciume. Non solo vento ma
anche rimestio dell’acqua: spesso i discorsi liberi vengono condotti sott’acqua,
“un mondo senza confini, fluido e in movimento (…), topos dell’immagine
elettronica e ambiente originario, primario, archetipico (…), in costante
disequilibrio” (Valentini: 1996). L’acqua rappresenta il liquido amniotico, l’essere
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non nato e quindi la possibilità di una nuova vita (dopo che tutto è andato a fondo)
che alletta e atterrisce allo stesso tempo perché inconoscibile.
C’è poi tutto un repertorio di rumori e suoni determinati da percussioni e ticchettii
che aumentano di intensità e frequenza man mano che le situazioni precipitano
inesorabilmente. Sono proprio i rumori senza un referente visivo a rispecchiare il
complesso mondo psichico rappresentato; ci riferiamo ai chiacchiericci in
sottofondo, ai rumori che rimandano ai mezzi di locomozione all’esterno (clacson,
frenate, rombi di aerei…) che sostanziano gli ingorghi psichici dei personaggi. I
cigolii che accompagnano il loro deambulare nevrotico e automatico rendono più
esplicita la loro precarietà, la percezione della loro costrizione è connotata, invece,
dallo sbattere e serrarsi amplificato delle porte; i sibili e i fischi distorti servono a
inquietare preannunciando imminenti sventure.
Recepire i flussi verbali dei personaggi significa anche e soprattutto voler
guardare dentro i suoni immergendoci in essi che sono tutti organizzati in una
massa globale e continua
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che rende improba l’identificazione di ogni singolo
elemento e abbassa di molto il livello di intelligibilità ancor più compromesso da
effetti distorcenti. Gli attacchi e le chiusure scivolano gli uni sulle altre
accavallandosi e camuffandosi così come del resto fanno le immagini e le
individualità dei personaggi. Questa corrispondenza tra suoni e immagini innesca
un interessante interscambio per cui le immagini si fanno suono e il suono a sua
volta si fa immagine. Pensiamo a tutti quei casi in cui il registro sonoro, associato
ad effetti come quello del rallenti o del replay, si adegua dilatandosi esso stesso,
attraverso l’effetto dell’eco, sia nel tempo che nello spazio.
Il montaggio audio-visivo non è basato sulla commistione pura e semplice di
registro sonoro e registro visivo, perché il senso viene determinato dal rapporto
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Sono davvero pochi i momenti di silenzio nei video di Ahtila anche perché i continui flussi
verbali dei personaggi sono sempre accompagnati da musiche e/o rumori che li metaforizzano.
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spazio-tempo che si apre tra l’immagine e il suono e più specificamente tra le
molteplici modulazioni dell’immagine (forma, colore, movimento, angoli di
ripresa) e le altrettanto molteplici modulazioni sonore (rumore, musica, parola sin
anche il silenzio). Ahtila non si trincera dietro il solo registro visivo ecco perché i
suoi video lasciano molto all’immaginazione riducendo l’arroganza dell’eidos e
permettendo al sonoro di entrare a pieno titolo nella struttura cinematografica
conferendo solidità e profondità alla stessa. Il suono prolunga lo spazio al di là
della portata del quadro di rappresentazione, “restituisce fisicità e vita
all’immagine, la porta a dialogare con l’ambiente reale”(Paolo Rosa, 2003: 249).
Gli effetti sonori di cui Ahtila si avvale danno sì concretezza, ma spesso sono
sfasati, non vanno dove ci aspetteremmo, non seguono pedissequamente il visivo,
spesso gli si contrappuntano a livello ritmico e questo perché la nostra attenzione
si mantenga sempre desta; alcune volte le immagini sono proprio tagliate fuori e
le vediamo grazie all’”occhio interno” collegato ai nostri sensi. Quando, infatti, lo
spazio attorno ai personaggi si fa ermetico, noi siamo avvolti e sovrastati dalla
musica; le visioni e le presenze che i protagonisti vorrebbero esorcizzare vengono
effettivamente tagliate fuori, ma è impossibile difendersi dai suoni che di quelle
stesse presenze e visioni costituiscono una metonimia. Nella carrellata in finale di
seconda parte di Today, gli esseri fantasmagorici che si vogliono occultare e
sopprimere, si riflettono in un suono cupo e invasivo che si propaga nell’ambiente
esterno fino a fare un tutt’uno con esso.
Benché separati, esterno ed interno sono sempre comunicanti e si registrano
sovente incursioni e invasioni di campo. I rumori e le voci, i ricordi e le influenze
esterne sgretolano le coordinate spazio-temporali rendendo inermi i personaggi
nei confronti dell’invasività del modo sul proprio orizzonte domestico e
sensoriale. Ciò detto, però, c’è da sottolineare come la musica viene quasi del