II
Negli anni ’80, l’era dell’automazione industriale era finita ed i sistemi
informatici, già presenti nelle aziende, assunsero il ruolo di sistemi
informativi.
In questo modo, fu possibile far circolare meglio le informazioni
all’interno ed all’esterno dell’azienda e grazie all’evoluzione
dell’hardware e dei pacchetti software, i sistemi informativi divennero
anche un valido supporto decisionale per il management.
I sistemi organizzativi delle aziende, vennero travolti dall’I.T., ma a
discapito di quanto si pensasse, non contribuirono ad incrementare le
vendite.
Man mano che si utilizzavano sistemi informativi sempre più complessi,
le organizzazioni constatarono che non bastava più il solo apporto
dell’I.T. per renderle efficaci ed efficienti.
L’azienda doveva essere, infatti, “ripensata”, in maniera più radicale e
tale cambiamento non poteva essere comprato, così come si faceva con
la tecnologia, ma doveva emergere dall’interno dell’organizzazione
stessa e doveva focalizzarsi sui processi di business.
Hammer diede a tutto questo il nome di reengineering; da allora molte
aziende leader lo utilizzano, adottando a seconda delle necessità un
approccio diverso.
In questo lavoro mostrerò come il reengineering fece piazza pulita dei
vecchi modi di organizzare il lavoro e di trattare le informazioni.
Per giungere a questo cambiamento, però, occorre analizzare sia i suoi
principi, che le sue possibili configurazioni.
Il fine è dimostrare come focalizzando l’attenzione sui processi di
business sia possibile migliorare le performance aziendali.
Molti casi aziendali sono la prova che l’organizzazione per processi sia
la chiave per il successo per un’impresa moderna.
III
Dopo aver riscontrato quindi diversi casi di successo nel settore privato,
di recente, si è provato ad applicare questa nuova filosofia gestionale
anche al settore che negli ultimi anni si è mostrato meno performante: la
pubblica amministrazione.
L’organizzazione per processi, consente, infatti, di focalizzare la propria
attenzione sulla customer satisfaction e migliora i processi all’interno
della stessa.
La customer satisfaction dovrebbe essere l’obiettivo primario della
pubblica amministrazione, perché ne legittima l’esistenza, ma, putroppo,
non è in grado di raggiungerlo.
Molte sarebbero le ragioni di quest’insuccesso, ma quelle che incidono
maggiormente sono due.
La prima è l’eccessiva burocrazia, che causa ridondanza di documenti,
personale in esubero ed il malfunzionamento delle procedure all’interno
della stessa.
Queste lacune, però, sono riscontrabili in ogni organizzazione di tipo
funzionale, perché in esse, a differenza di quelle per processi, vi è una
mancanza di responsabilità del personale, che è abituato a ricevere e ad
eseguire ordini dai superiori.
La seconda ragione esula dal panorama organizzativo aziendale e trova
le sue radici nella politica del Paese.
Clientelismo e corruzione sono delle piaghe che si insinuano all’interno
della pubblica amministrazione e rendono assai difficile un tentativo di
miglioramento.
IV
Introduzione
I. L’importanza del processo
II. Un “nuovo” modus operandi
III. La rappresentazione di un processo
IV. Il passaggio ad un’organizzazione per processi
I. L’importanza del processo
Da circa vent’anni, i dirigenti delle grandi aziende, specialmente
americane, si sono impegnati in uno sforzo senza sosta per migliorare le
prestazioni dei loro business.
Sotto la pressione di una concorrenza internazionale, prima solo
giapponese oggi anche asiatica, fattasi improvvisamente agguerrita e di
una clientela sempre più esigente, le aziende hanno cercato sempre più
di ridurre i costi, incrementare la produttività, aumentare la flessibilità,
ridurre i tempi del ciclo e migliorare qualità e servizio.
Le aziende hanno quindi analizzato con estremo rigore le proprie attività,
si sono diligentemente dotate delle tecnologie più avanzate, hanno
applicato le tecniche gestionali e motivazionali più innovative ed hanno
invitato i dipendenti a partecipare a tutti i corsi di formazione più quotati
del momento, ma con scarsi risultati.
Il benchmarking tra performance aziendali era decisamente
insoddisfacente, soprattutto rispetto alle nuove imprese fortemente
determinate a conseguire risultati.
V
Ecco qualche esempio:
• per evadere le richieste di sottoscrizione delle polizze
inoltrate dai proprietari di case, la Aetna Life & Casualty
impiegava in media 28 giorni, dei quali solo 26 minuti erano
occupati da lavoro realmente produttivo;
• ogni volta che acquistava del materiale tramite la sua
organizzazione di approvvigionamento (persino se si trattava
di banali articoli di cancelleria che costano meno di 10
dollari), la Chrysler sosteneva costi interni per 300 dollari
dovuti alle procedure di verifica, visto e approvazione;
• il Semiconductor Group della Texas Instruments impiegava
180 giorni per evadere un ordine per un circuito integrato,
quando un concorrente era spesso in grado di compiere la
stessa operazione in un mese;
• l’unità servizio al cliente della Gte era in grado di risolvere i
problemi dei consumatori alla prima chiamata solo nel 2 per
cento dei casi;
• la Pepsi scoprì che il 44 per cento delle fatture inviate ai
distributori conteneva degli errori, ciò generava enormi costi
di riconciliazione e interminabili controversie con i clienti.
Le inefficienze, le imprecisioni e le rigidità insite nel modus operandi
delle aziende erano considerevoli, ma il fenomeno non era nuovo;
semplicemente, intorno al 1980, aveva iniziato ad avere un peso: infatti,
finché la clientela aveva avuto ben poca scelta di fronte a fornitori
ugualmente mediocri, le aziende non si erano sentite motivate a cercare
di far meglio.
VI
In seguito, però, quando i consumatori, avevano iniziato a tradire in
massa i marchi più prestigiosi, la questione era balzata al primo posto tra
le priorità del management.
Col passare del tempo, di fronte al persistere dei problemi di
performance ed a dispetto dei notevoli sforzi compiuti per tentare di
risolverli, i managers delle aziende, trovarono la soluzione: i problemi
non derivano da compiti specialistici, ma sono problemi di processo e
vanno affrontati come tali.
Michael Hammer in un suo libro scrive:
“La differenza tra compito e processo è la stessa che separa la parte dal
tutto”
1
.
Un compito è un’unità di lavoro, un’attività svolta di norma da una sola
persona. Per contro, il processo è un insieme di compiti che
collettivamente creano un risultato che ha valore per il cliente.
L’evasione ordini (fig. I), per esempio, è un processo che produce valore
sotto forma di merci consegnate alla clientela e si articola in un grande
numero di compiti.
Nessuna delle attività, presa singolarmente, crea valore per il cliente:
non è possibile consegnare la merce se questa non è stata caricata sul
mezzo di trasporto, non la si può imballare finché non è stata prelevata…
Tutti i compiti vanno aggregati insieme e formando un tutt’uno creano
valore.
1
Michael Hammer - Beyond Reengineering : How the Process-Centered Organization
Is Changing Our Work and Our Lives
VII
II. Un “nuovo” modus operandi
Negli ultimi anni, le aziende constatarono a loro spese che le loro
strutture organizzative non si adattavano alle esigenze del mercato.
I dirigenti cercano di trovare delle soluzioni ai loro problemi, ma non
erano nell’ottica giusta: tentavano di risolvere i problemi di processo con
delle soluzioni che potevano andar bene per dei compiti specialistici.
Hammer scrive:
2
“Il motivo del ritardo nel raggiungere gli obiettivi aziendali, non è
rappresentato dal fatto che il personale che lavora nelle aziende svolga i
propri incarichi con lentezza e inefficienza: cinquant'anni di
automazione e studi dei tempi e dei movimenti hanno prodotto enormi
passi avanti in questo senso.
2
Michael Hammer - Beyond Reengineering : How the Process-Centered Organization
Is Changing Our Work and Our Lives
Creazione di valore per il cliente
ricevimento
dell'ordine
dal cliente
inserimento
nel computer
verificare il
credito del
cliente
prelievo e
imballaggio
della merce
allocazione
delle scorte
Programma-
zione della
produzione
operazioni di
carico sul
mezzo e invio
scelta della
modalità di
consegna
Figura I - Processo d’evasione dell’ordine
(Fonte: Ernst & Young Consultans)
VIII
Il vero motivo è che alcune persone svolgono compiti del tutto inutili e
che ci sono notevoli ritardi quando il lavoro percorre il ciclo produttivo.
I risultati non sono pieni di errori perché le persone svolgono i compiti
loro affidati in modo inadeguato, ma perché fraintendono le indicazioni
del loro superiore e dunque fanno le cose sbagliate, oppure equivocano
le informazioni fornite dai colleghi.
L’impresa è rigida, non perché i dipendenti si fossilizzano su un modo di
lavorare sempre uguale a se stesso, ma perché nessuno sa realmente
come le singole attività si combinino per creare un risultato, mentre è
assolutamente necessario avere le idee chiare in proposito se si vuole
cambiare il modo in cui quel risultato viene prodotto.
Si fornisce un servizio insoddisfacente non perché i nostri dipendenti
nutrano delle ostilità nei confronti della clientela, ma perché nessuno di
loro dispone delle informazioni necessarie e ha una visione di insieme
abbastanza ampia da permettergli di comunicare al cliente lo stato di
avanzamento del processo di cui questi attende i risultati.
Ci troviamo a sostenere costi elevati non perché i singoli compiti siano
finanziariamente onerosi, ma perché impieghiamo molte persone per
coordinare i risultati delle diverse attività in una forma che si possa
fornire al cliente.”
Per decenni, le strutture organizzative si sono fondate sui singoli compiti
specialistici, mentre non avevano neppure sfiorato il tema dei processi.
La componente fondamentale dell’azienda era l’area funzionale: in
sostanza quella costituita da un gruppo di persone impegnate a portare a
termine un compito comune, dunque si valutavano questi compiti e si
interveniva per migliorarli, si addestravano e formavano le persone
incaricate di svolgerli, si affidava ai manager la guida di una o più unità
funzionali: in tutto questo, i processi sfuggivano sempre più al controllo.
IX
Negli anni Ottanta le aziende cominciarono ad adottare nuovi metodi per
migliorare il proprio modo di lavorare, concentrandosi finalmente sui
processi; i tre strumenti più noti ed alla prova dei fatti più efficaci furono
l’Employ Involvement
3
, il Total Quality Management (Tqm) ed il
Reengineering.
Grazie ad essi furono eliminati i compiti inutili, vennero aggregate o
riorganizzate le singole attività e si agevolò la diffusione delle
informazioni tra le persone coinvolte nel medesimo processo.
Adottare una prospettiva di processo significa bilanciare gli investimenti
fra prodotto e processo, ponendo l’attenzione su attività lavorative
precedenti e successive alla produzione.
L’ottica del processo, sebbene tardiva, si tradusse in un enorme salto di
qualità a livello di rapidità, precisione, flessibilità, qualità, servizio e
costi, che ebbero un ruolo determinante negli anni Novanta, nella
rinnovata competitività delle aziende, ma, per parafrasare un’ignobile
affermazione che risale all’epoca della guerra nel Vietnam, si potrebbe
dire che le tecniche di miglioramento centrate sui processi salvarono le
aziende distruggendole.
In altri termini, portando alla ribalta i processi si finì per minare le
fondamenta stesse dell’organizzazione tradizionale: secondo questa
concezione di specializzazione del lavoro, sviluppata originariamente da
Adam Smith, per ottenere risultati soddisfacenti era necessario,
frammentare i processi in operazioni elementari e poi concentrarsi
risolutamente su di esse.
Spostando l’accento sui processi, i nuovi programmi di miglioramento
generarono quindi tensioni che non fu facile allentare.
Un processo comporta delle attività molto diverse tra loro, che
travalicano i confini esistenti tra le diverse aeree funzionali e minacciano
3
coinvolgimento lavorativo
X
il territorio di ciascun responsabile di funzione, perché non ha più il suo
ruolo esclusivo di controllo e direzione dell’area in cui si trova.
Spesso prevedevano l’impiego di team, gruppi di persone con
competenze diverse provenienti da aree funzionali differenti, ma i team
non trovavano posto nel vecchio organigramma.
In molti casi poi, era necessario accordare maggior potere ai dipendenti
che operavano in prima linea, fornendo loro le necessarie informazioni e
mettendoli in condizione di decidere autonomamente.
Ciò rappresentava un’eresia organizzativa in cui i lavoratori erano
sempre stati ritenuti privi degli strumenti necessari per prendere
decisioni e dove la necessità di un controllo dall’alto era considerata una
legge di natura.
I nuovi modi di lavorare se da un lato producevano incredibili
miglioramenti nelle prestazioni, dall’altro erano incompatibili con le
organizzazioni esistenti in termini di struttura, personale, stili gestionali,
culture, sistemi di valutazione e remunerazione e così via.
C’erano solo due alternative: abbandonare i nuovi processi che avevano
salvato l’azienda o adattare l’azienda al nuovo modus operandi, ma la
scelta da compiere era evidente, sebbene difficile e per taluni sgradita:
la fine dell’organizzazione tradizionale era segnata.
Al suo posto sarebbe sorta una nuova tipologia di impresa, nella quale i
processi avrebbero avuto un ruolo fondamentale nello svolgimento e
nella gestione dell’attività: l’organizzazione per processi.
Nessuna azienda adottò il nuovo approccio come un progetto fine a se
stesso o perché i suoi manager lo ritenevano interessante, entusiasmante
o particolarmente “in”.
Le organizzazioni imboccarono questa via perché non avevano altra
scelta, perché i nuovi processi ad alto rendimento non potevano
funzionare nelle organizzazioni vecchio stile.
XI
Questa fase di transizione iniziò un po’ in sordina nei primi anni
Novanta, per iniziativa di un piccolo gruppo di aziende americane tra le
quali Texas Instruments, Xerox e Progressive Insurance.
Oggi decine di organizzazioni sono impegnate nel grande cambiamento
e ben presto il loro esempio sarà seguito da altre centinaia.
Aziende come American Standard, Ford, Gte, Delco, Chrystler, Shell
Chemical, Ingersoll-Rand e Levi Strauss, tanto per citarne alcune, si
stanno concentrando attivamente sui propri processi.
I processi trascendono i tradizionali confini organizzativi.
Gli alti dirigenti della Xerox se ne sono resi conto personalmente
tracciando un semplice diagramma a matrice.
Essi avevano elencato sulla riga superiore i processi svolti dalla loro
azienda e sulle colonna di sinistra le diverse aree funzionali, mentre nei
riquadri della matrice avevano tracciato una X ogni volta che una di tali
aree era coinvolta nello svolgimento del processo corrispondente.
Quando il diagramma fu ultimato essi rimasero stupefatti nello scoprire
che quasi tutti i riquadri erano occupati da una X.
In pratica, dunque, la quasi totalità dei reparti era coinvolta nella quasi
totalità dei processi.
Questo equivale in certi termini ad affermare che nessuno era
responsabile di alcunché, o per dirla diversamente, tutti erano coinvolti,
ma con una prospettiva molto limitata che li portava a concentrarsi
unicamente sulla propria area funzionale, per cui nessuno aveva la
responsabilità dell’intero processo.
E’ importante rilevare come le aziende che stanno progressivamente
adottando la nuova ottica non creino né inventino processi. I processi ci
sono sempre stati ed è grazie a loro che l’azienda ha potuto produrre.
Semplicemente, fino a oggi i membri dell’organizzazione non ne erano
consapevoli.
XII
Gli addetti al lavoro effettivo e i loro diretti superiori erano talmente
concentrati sui compiti specifici e sui singoli gruppi di lavoro da non
riuscire ad avere una visione complessiva dei processi ai quali
contribuivano; d’altro canto, la maggior parte degli alti dirigenti era
troppo al di fuori ella mischia per poter seguire l’andamento dei
processi.
Questi, dunque, sono sempre esistiti ma avevano carattere frammentario,
erano invisibili, anonimi e primi di una vera gestione.
Oggi la nuova focalizzazione offre loro attenzione e il rispetto che
meritano.
III. La rappresentazione di un processo
Basandoci sul grado di complessità nel rappresentare un processo con un
flowchart, possiamo schematizzare una gerarchia di processo: processo
maggiore, sottoprocesso ed attività o compiti. (fig. II)
F
o
r
n
i
t
o
r
i
C
l
i
e
n
t
i
Processo maggiore
Sottoprocesso
Procedure o Attività
Figura II – Gerarchia del processo
(Fonte: “Business Process Improvement” di H. James Harrington)
XIII
Un processo maggiore è un processo che usualmente coinvolge la gran
parte delle funzioni all’interno della struttura organizzativa.
Il sottoprocesso è una porzione del processo maggiore, ma è compiuto
da un numero più limitato di persone.
L’attività o compito, è il lavoro individuale del singolo lavoratore, ma a
sua volta, è composto da altri processi di natura più semplice.
Come già detto, il processo è una serie di attività che nel loro insieme
producono un risultato che ha valore per il cliente; le parole chiave di
questa definizione sono “serie”, “insieme”, “risultato” e “cliente”.
La nuova prospettiva non vede i singoli compiti come operazioni isolate,
ma abbraccia l’intero gruppo di attività che contribuiscono ad un dato
risultato.
In un contesto in cui l’accento è posto sui processi, non ha quindi senso
mantenere un punto di vista circoscritto al proprio ambito.
Non serve infatti che il dipendente si occupi unicamente della sua sfera
di responsabilità, anche se svolge il lavoro affidatogli in maniera
egregia.
Un simile atteggiamento porta inevitabilmente le persone a muoversi in
direzioni tra loro opposte, a cadere in fraintendimenti e a ottimizzare la
parte a scapito del tutto.
Per lavorare nell’ottica dei processi, è necessario che tutti gli individui si
muovano in direzione di un obiettivo comune; se infatti gli obiettivi sono
in conflitto o se le priorità sono dettate da considerazioni troppo legate
alla singola attività, lo sforzo complessivo risulta indebolito.
Ciò che conta nel processo è il risultato, non quello che occorre per
realizzarlo.
La parola più importante nella definizione del concetto di processo è il
“cliente”.
XIV
Inquadrare un business in un’ottica di processo significa fare propria
l’ottica del cliente.
Per quest’ultimo, i processi sono l’essenza stessa dell’azienda.
Il cliente non si cura di aspetti come la struttura organizzativa o la
filosofia manageriale e neppure li vede.
Egli vede soltanto i prodotti e servizi, che sono indistintamente frutto dei
processi.
Nell’organizzazione tradizionale, però, il cliente rappresenta l’ultimo
pensiero.
Nelle organizzazioni tradizionali l’idea era: “facciamo ciò che facciamo
e poi cerchiamo di vendere il risultato al cliente”.
Invece, una prospettiva di processo ci impone di iniziare dal cliente e da
ciò che vuole da noi, per poi procedere a ritroso.
IV. Il passaggio ad un’organizzazione per processi
Per affrontare seriamente la questione dei processi e imboccare con
decisione la via che conduce alla nuova focalizzazione, l’azienda deve
intervenire a cinque livelli.
In primo luogo deve identificare i processi che caratterizzano la sua
attività e dare loro un nome.
Ogni impresa ha una serie di processi di business che le sono propri:
evasione ordini, sviluppo del prodotto, acquisizione ordini… Nella
maggior parte dei casi, l’azienda scopre che i processi realmente
fondamentali sono pochi: tra i cinque ed i diciotto.
XV
L’IBM, per esempio, ha identificato 18 processi, la Ameritech 15, la
Xerox 14, e la Dow Chemical 9.
Ovviamente un numero limitato di questi processi è insufficiente a
descrivere per intero l’attività di un business.
Spesso le aziende suddividono i processi principali in un piccolo gruppo
di sottoprocessi, che vengono poi descritti in termini di compiti o attività
base, ad esempio nella fig. III sono descritti una tipica serie di
macroprocessi di un’impresa manifatturiera.
Per essere certi di identificare i veri processi, occorre la massima
attenzione, in quanto essi, come già accennato prima, travalicano sia i
confini funzionali (fig. IV), che quelli organizzativi.
Processi operativi
Sviluppo del prodotto
Acquisizione clienti
Identificazione dei prerequisiti dei clienti
Produzione
Logistiche integrate
Gestione degli ordini
Servizio post-vendita
Processi di Management
Monitoraggio delle performance
Gestione delle informazioni
Gestione patrimoniale
Gestione delle risorse umane
Pianificazione delle risorse
Figura III – Processi tipici in un’industria manifatturiera
(Fonte: Ernst & Young Consultans)