collegamento tra lo scenario culturale spagnolo incarnato dalla movida e il
concetto di postmoderno, che con sempre maggiore insistenza è stato
associato al regista di Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
L’analisi dei primi due film, ovvero Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del
mucchio e Labirinto di passioni, punta a far luce su altre due categorie, il
kitsch e il pastiche, determinanti per la comprensione dello stile degli esordi.
Si è puntato, inoltre, a capire se sia possibile identificare, a partire dalle due
pellicole prese in esame, un nucleo embrionale della poetica almodovariana.
Riguardo a Labirinto di passioni, isolando le modalità espressive presenti
all’interno del racconto, si è cercato di valutare quale tra il pastiche e la
parodia, sia l’elemento caratterizzante del testo almodovariano.
Lo sguardo rivolto a Donne sull’orlo di una crisi di nervi, nel quinto
capitolo, serve a enunciare i segni di un cambiamento nella maniera in cui il
regista si mostra come creatore di storie. Al centro dell’indagine c’è
l’intertestualità,
una categoria molto utile poiché consente di mettere in relazione un
singolo testo principalmente con altri sistemi di rappresentazione,
piuttosto che con un amorfo “contesto”, investito del dubbio di status e
autorità di “reale” o “realtà”.
1
Almodóvar utilizza pratiche intertestuali e ne fa un tratto distintivo della
propria poetica. Fa uso soprattutto della citazione,
il momento nel quale un testo, nel nostro caso un film, opera un
prelievo da un altro testo o da un altro film allo scopo di comunicare un
rapporto che può assumere le caratteristiche più svariate: fratellanza,
1 Robert Stam, Robert Burgoyne, Sandy Flitterman-Lewis, Semiologia del cinema e dell’audiovisivo,
Milano, Bompiani, 1999, p. 263.
4
filiazione, autorità, amore, polemica, odio, distacco, persino
indifferenza.
2
In questo caso l’obiettivo è confermare l’esistenza di un filo rosso che lega,
a livello testuale, le prime due opere con la migliore commedia del regista.
L’esame di Donne sull’orlo di una crisi di nervi è l’occasione per
rintracciare un cambiamento delle pratiche di riscrittura del testo. A partire
da questo film si nota come l’attitudine di Almodóvar non si legherà più
soltanto al riciclaggio di opere altrui, ma mostrerà l’urgenza di indagare il
proprio cinema, ponendolo sotto una personale lente d’ingrandimento.
Questi nuovi aspetti, distribuiti in modo ancora non del tutto evidente,
risulteranno molto più chiari agli occhi dello spettatore dalla seconda metà
degli anni ’90. E’ per tale ragione che film come Il fiore del mio segreto e
Tutto su mia madre diventano punti di confronto indispensabili per
riconoscere le caratteristiche essenziali, che tratteggiano attualmente
l’identità dell’Almodóvar autore.
2
Roy Menarini (a cura di), La citazione cinematografica ovvero l’immagine che visse due volte, in
Segnocinema n°115, Maggio-Giugno 2002, p. 12.
5
1 ALCUNE TRACCE: L’EVOLUZIONE DEL FENOMENO
ALMODÓVAR NELLA LETTURA DELLA CRITICA
ITALIANA
“Almodóvar no quiere demasiado a los periodistas,
aunque los acepta como un mal necesario”.
Nuria Vidal
Il rapporto tra la critica ed un autore può rappresentare, anche nel cinema,
una sorta di vetrina del percorso dell’artista, che è scoperto, celebrato e, a
volte, decodificato con successo dagli esperti del settore.
La liason tra Almodóvar e la critica può, secondo il parere di chi scrive,
essere un’utile vetrina di alcuni aspetti che saranno caratterizzanti di questo
lavoro. Se, come scritto nella citazione di Nuria Vidal, è vero che
Almodóvar non ama i giornalisti è, per certi versi, vero anche il contrario.
L’evoluzione del rapporto tra la critica ed il regista mancego è stata
contraddittoria, segnata da parentesi ondivaghe e da un atteggiamento non
unitario. Giova considerare, d’altra parte, che i critici hanno dovuto
confrontarsi, come spesso succede con personaggi che diventano, per un
periodo breve o lungo, fenomeni di costume, non solo con l’artista, in questo
caso l’Almodóvar cineasta, ma anche con l’aspetto mediatico e l’effetto
sull’audience di cui il personaggio-artista è latore.
Tale aspetto è importante per mettere a fuoco in modo sufficientemente
chiaro l’opinione che sul cineasta spagnolo ha manifestato la critica italiana,
i cui scritti sono la fonte di riferimento per questa parte della nostra ricerca.
Per lungo tempo la fortuna di Almodóvar in Italia è stata legata alla capacità
dello stesso regista di giocare con gli elementi manifesti della sua
cinematografia, nello specifico la provocazione, la normalizzazione
dell’eccesso, il particolare uso delle subculture underground. Tutto questo,
associato ad alcuni aspetti legati alla sua storia personale ha finito col creare
un’immagine cult di provocatore trasgressivo e scanzonato. Un modello
6
originale e riconoscibile, immediatamente adottato dalla stampa
cinematografica, che di modelli da trasformare in trend setter del gusto
cinefilo ha sempre bisogno. Si può dire che, inizialmente, Almodóvar sia
stato regista dei cronisti, piuttosto che regista dei critici e che questo abbia
contribuito a consolidare in Italia la fama del suo immaginario
cinematografico. Nella visione dei critici è rimasto a lungo intrappolato nel
ruolo di talento irrisolto, passando in un secondo tempo da autore potenziale
a ad autore di riferimento, posizione che ha raggiunto, nel bene e nel male,
con le pellicole più recenti.
La prima parte del nostro percorso ragiona sull’accoglienza importante,
ottenuta da Donne sull’orlo di una crisi di nervi, di fatto il primo film che ha
goduto di ampia visibilità. L’opera, soddisfacendo clamorosamente il gusto
dei critici e riscuotendo un grande risultato al botteghino, da una parte ha
decretato il successo di Almodóvar; dall’altra, proprio in virtù di questo
successo, è diventata un parente scomodo, che ha influenzato negativamente
il giudizio sulle opere precedenti, recuperate dalla distribuzione e su quelle
immediatamente successive. La seconda parte tenta di inquadrare il periodo
della svolta, durante gli anni ’90, in cui la critica ha individuato il momento
di maturazione e di autorializzazione, confluito nel film di riferimento del
periodo, Tutto su mia madre, grazie a cui il cineasta spagnolo è riuscito
ancora ad unire il gusto di critica e pubblico. Completeremo il punto della
situazione con la discussione seguita al film più recente, La mala educación,
che sembra aver nuovamente mutato il rapporto tra i critici italiani ed il
cinema almodovariano.
7
1.1 Donne sull’orlo di una crisi di nervi: la rivelazione
Festival di Venezia, Settembre 1988. Comincia qui la rapidissima ascesa di
Almodóvar nell’olimpo dei nuovi autori del cinema europeo. Una svolta
mediatica, ottenuta con un film di svolta, che ha portato alla ribalta di
pubblico e critica il fenomeno Almodóvar. Donne sull’orlo di una crisi di
nervi ha rappresentato l’epifania della nuova cinematografia spagnola fuori
dai propri confini. Un cinema, come precisava anche il critico Mino
Argentieri,
una volta (negli ultimi cinquanta, all’epoca di Benvenuto Mr. Marshall
e di Calle Mayor) superficialmente conosciuto in Italia, ma da molto
tempo non più frequentata, nonostante manifesti nuovi fermenti e nuovi
autori e goda di una libertà negatale durante il franchismo.
1
L’opportunità di far riferimento ad una nuova cinematografia spagnola è,
come vedremo, discutibile. E’ sicuro, d’altra parte, che con Donne
sull’orlo…si è assistito, in Italia, ad un fenomeno di costume con effetti
molto simili a quelli di film americani sostenuti da budget e campagne
promozionali di molto superiori. Donne sull’orlo… rappresenta un caso raro
di innamoramento cinematografico in cui i critici ed il pubblico riescono a
convivere sotto lo stesso tetto con reciproca soddisfazione. Il percorso
mediatico di questo film in Italia è stato invidiabile. Inserito in concorso al
Festival di Venezia 1988, uno degli eventi mediatici del cinema
internazionale, è rimasto, però, in sordina, nascosto da pellicole ed autori
ben più attesi. Il calendario del Festival lo abbinava, infatti, con il film più
atteso, L’ultima tentazione di Cristo
1
Mino Argentieri, La rivincita del cinema italiano di qualità, in la Rinascita, Torino, 4/2/1989, p. 21
8
per cui le cronache gli dettero minore risalto e il giorno del verdetto
dovette vedersela con quello di Olmi e la giuria non se la sentì di
andare contro la tradizione secondo la quale bisogna dare maggior
credito a un’opera drammatica che a una commedia leggera.
2
La fortuna di Almodóvar con Donne sull’orlo... è stata proprio di ritrovarsi
nella parte di outsider che propone un film piccolo, ma riuscito sotto il
profilo del mix cinematografico al punto da entrare, come afferma Callisto
Cosulich
nella categoria dei vincitori morali, che talvolta collimano coi vincitori
reali, ma il più delle volte no .
3
O, come riporta Nuria Vidal:
Il vincitore morale della Mostra è senza dubbio Pedro Almodóvar.
L’interminabile applauso all’annuncio della sua Osella per la migliore
sceneggiatura è una prova di stima totale, molto simile a una gloriosa
liberazione (Il Gazzettino).
4
Il film ha funzionato come diversivo intellettuale per la critica veneziana
appesantita quell’anno
da racconti che con toni gravi dispiegano malanni e malesseri
dell’umanità in una sarabanda dal vago sapore iettatorio.
5
Liberatorio è stato l’effetto contrappuntistico che il film ha generato nei
critici. Una liberazione del linguaggio e dei toni, oltre che della forma
2
Giovanni Grazzini, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Corriere Della Sera, 10/11/1988.
3
Callisto Cosulich, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Paese Sera, 5/11/1988
4
Nuria Vidal, El cine de Pedro Almodóvar, Barcellona, Destino Libro, 1988, p. 393.
5
Mino Argentieri, art. cit., p. 21
9
filmica. Il trampolino veneziano col relativo premio ha impresso al film le
stimmate del caso, con tutte le caratteristiche di un evento notiziabile. Tutti
se ne occupano e il pubblico giustifica questa attesa crescente al botteghino,
smentendo chi, vedendo uno scollamento tra i cinefili veneziani e gli
spettatori delle sale cinematografiche non riteneva certo che al successo
festivaliero potesse corrispondere quello del box office. L’atteggiamento del
pubblico ha invece giustificato intorno al film e ad Almodóvar una grande
attenzione, favorendo i distributori nell’operazione di recupero della sua
produzione precedente. L’aspetto che appare più significativo e che
accomuna la gran parte dei giudizi su Donne sull’orlo…è il concetto di
scoperta di un fenomeno registico e dell’innovazione del linguaggio della
commedia al cinema. A questo proposito scrive Fabio Ferzetti:
Paragonate una qualsiasi commedia europea di questi anni a Donne
sull’orlo..., anche le più brillanti come Uomini o le più disponibili al
remake come Tre uomini e una culla e vi accorgerete subito che
Almodóvar ha una marcia in più. Nessuno meglio di lui sa “rubare”
tutto quel che gli serve dove e come gli capita. Nessuno riesce a fare
cinema tanto originale pescando a piene mani dalla pubblicità, dal
fotoromanzo, dai classici hollywoodiani, dalle pochades e perfino dalle
imagerie delle riviste femminili anni ’60.
6
L’immagine di freschezza e novità che trasmette la pellicola è associata alla
rapidità della messinscena alla leggerezza e all’effervescenza delle
6
Fabio Ferzetti,Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Il Messaggero, 7/11/1988.
10
commedie sofisticate di tutte donne di George Cukor con in più […]
ritmi selvaggi da racconto d’azione messicano
7
o, come puntualizza Lietta Tornabuoni,
tutto è affidato al ritmo (l’importante è restare sull’orlo di una crisi di
nervi, senza precipitarvi dentro.
8
Il ritmo, dunque, come chiave di lettura, ovvero quella marcia in più che,
come detto, Almodóvar pare aver ingranato in modo tale da accendere i
riflettori sulla propria vicenda registica sul territorio italico e non solo.
Almodóvar diventa interprete di una controcultura ribelle che si nutre di
quello spirito contestativi e dissacratore sia pure solo di apparenza e di
immagine, goliardico, ma in fondo per niente trasgressore che strappa
applausi alle platee che affollano il rock.
9
Almodóvar è percepito come regista di rottura, ma non offensivo, capace di
fondere sottocultura pop rock ed elementi classici. Non tutti i pareri sono
stati positivi. Alcuni hanno sottolineato come
Chi auspicava per questo ameno ma usurato film […] il Leone d’oro a
Venezia vedeva doppio. Almodòvar si crogiola nel divertissement con
gli antichi mezzi -e vezzi- dei qui pro quo, del via vai concitato in scena
[…], della sorpresa che punge ma non ferisce, dei dialoghi che
spumeggiano, ma si dissolvono nell’aria.
10
7
Giorgio Carbone, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, La Notte, 5/11/1988
8
Lietta Tornabuoni, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, La Stampa, 11/11/1988.
9
Sergio Frosali, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, La Nazione, 14/11/1988.
10
Anonimo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, L’Eco di Bergamo, 16/11/1988.
11
Un altro aspetto inevitabilmente sviscerato è la non totale originalità del
racconto che talvolta zoppica, dando l’idea di un regista imitativo che fa film
alla maniera di qualcun altro -Buñuel in primo luogo- senza tuttavia la
leggerezza e, al contempo, la cattiveria del terribile vecchiaccio.
11
Che si giunga ad una valutazione positiva o negativa del film, ciò che
interessante è la prospettiva con cui la critica ha contestualizzato Donne
sull’orlo… Pur essendo il settimo film di Almodóvar viene presentato come
un’opera prima. Quasi nessun giornalista di quotidiano fornisce notizie sui
lavori precedenti del regista. Donne sull’orlo… non è la sua prima pellicola
ad essere distribuita in Italia. L’indiscreto fascino del peccato, uscito durante
l’estate del 1983 passa praticamente inosservato, dopo essere stato censurato
a Venezia, mentre Che ho fatto io per meritare questo? è circolato solo in
festival minori (Bergamo 1985), pur ottenendo pareri favorevoli. Almodóvar
era, dunque, già noto alla critica, ma sconosciuto al grande pubblico. Alcuni
critici, come Morando Morandini su Il Giorno e Gualtiero De Marinis su
Cineforum ne hanno ricostruito brevemente la carriera, includendo tra le
cronache il successo di La legge del desiderio, il primo film ad avere una
distribuzione completa sul nostro mercato, con un successo di pubblico
relativamente buono considerato che all’epoca Almodóvar non possedeva
alcun appeal commerciale. Fascino che, invece Donne sull’orlo…ha esteso
anche sulla filmografia precedente, che verrà riproposta in successione.
Donne sull’orlo diventerà in Italia croce e delizia della stampa, specializzata
e non, la pietra angolare su cui santificare Almodóvar come un modello,
rappresentante di ogni tipo di sottocultura e distorsione underground,
costituendo il metro di valutazione di ogni sua opera. Peggiore o migliore di
11
Luigi Paini, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Il Sole 24 Ore, 20/11/1988.
12
Donne sull’orlo…? Questa è l’etichetta che sarà puntualmente utilizzata in
quasi tutte le recensioni.
Si potrebbe, forse, avanzare l’ipotesi di un errore di valutazione. La scelta di
considerare l’opera almodovariana in medias res, partendo non dal primo
film, ma da quello che per lungo tempo è stato considerato il suo miglior
film, è stata scorretta dal punto di vista critico, anche se irrinunciabile come
puro criterio di informazione giornalistica. Tale tendenza, riscontrabile in
gran parte dei paesi come l’Italia in cui Almodóvar si è imposto con Donne
sull’orlo… ha sortito effetti a rebours, nella valutazione e nella
presentazione dei film pre-Donne sull’orlo…, ma ha creato un gioco di
specchi anche con le pellicole successive, fino a Tacchi a spillo (’92). Un
altro elemento di distorsione è costituito dall’impianto di genere che è alla
base del film. Se nei film che precedono eseguono Donne sull’orlo…
Almodóvar utilizza un immaginario melodrammatico contaminato da
suggestioni comiche e parodiche, qui la struttura è chiaramente comica.
Non è un dramma come gli altri due film (L’indiscreto fascino del
peccato e La legge del desiderio), bensì una commedia brillante […].
Scenografia, costumi e fotografia esprimono tutto ciò intenzionalmente,
come nelle commedie sofisticate popolate di miliardari che Hollywood
realizzava negli anni ’30.
12
Nonostante sia il primo film in cui il tono della commedia sia così
fortemente marcato, gran parte della critica inizierà a dipingere Almodóvar
come regista di commedie, spesso imperfette perché diverse da questa
all’insegna dell’equilibrio, dove anche la sceneggiatura non ha punti deboli.
La distanza da tale equilibrio influirà negativamente nella valutazione sia dei
12
Callisto Cosulich, art. cit.
13
film pre Donne sull’orlo… che saranno spesso sottovalutati o accantonati, in
nome di uno stile rozzo e dilettantesco, sia dei tre successivi, accusati di aver
detto già tutto.
Al di là dell’aspetto filmico, ai critici interessa soprattutto discutere del
personaggio Almodóvar, modellando a favore del pubblico gli aspetti
autobiografici del regista sul suo immaginario cinematografico. Chi era
Almodóvar prima di Donne sull’orlo...? Praticamente nessuno tace
dell’origine popolare e l’etichetta di uomo dei telefoni motivo di
associazione col film
(Pedro Almodóvar ha lavorato per dieci anni alla Telefonica di Madrid,
non poteva quindi perdere l’occasione per vendicarsi e far volare, nel
suo film, telefono e affini dalla finestra).
13
Di fronte ad un successo così convincente nasce insistentemente
l’interrogativo sull’autorialità di Almodóvar, aspetto che sarà discusso,
congelato durante l’analisi dei primi film degli anni ’80, messa alla prova nei
film successivi e quindi sancita, più o meno chiaramente a partire da Il fiore
del mio segreto in poi. E’ curioso notare come il riconoscimento di autore sia
giunto in contemporanea con il raggiungimento della maturità anagrafica. Il
cineasta spagnolo sarà, dunque, dipinto come autore nella seconda parte
della sua carriera, mentre nei per i primi otto film prevarrà l’etichetta di
enfant terribile.
1.2 Il recupero della fase pre-Donne sull’orlo…
Il successo commerciale di Donne sull’orlo di una crisi di nervi (quasi 4
miliardi di lire incassati solo in Italia) e la moda almodovariana scaturitane
13
Fausto Bona, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Brescia Oggi, 11/11/1988.
14
impongono ai distributori un’operazione di repechage di quasi tutta la
produzione non vista sino ad allora. Si assiste ad un piccolo bombardamento
che nel giro di un anno, tra l’89 e il ’90, porta sugli schermi Matador (1986),
L’indiscreto fascino del peccato (1983), Che ho fatto io per meritare questo?
(1984), Pepi, Luci, Bom…(1980) e Labirinto di passioni (1982). Questa
operazione a ritroso, irregolare e bulimica nelle modalità, provoca un’onda
lunga che si esaurirà nel 1990, dopo aver fatto da traino all’uscita di Legami!
(1990), il film che segue Donne sull’orlo… Se a questa considerazione si
aggiunge che la critica non valuta cronologicamente i primi film, ma resta
ancorata al film più recente (e di maggior successo), si può capire perché le
opinioni sulla prima produzione di Almodóvar siano così differenti tra loro.
Accanto al recupero nelle sale si collocano rassegne organizzate da cineclub
ed istituti di cultura (Federico de Melis, sul Manifesto, riporta l’iniziativa
dell’Instituto Español de Cultura di Roma)
14
. Il mix di masscult e
sottocultura di Almodóvar ottengono l’attenzione dei depositari della cultura
alta.
Nel complesso la prima parte della filmografia almodovariana resta
sottovalutata. Qualcuno denuncia la fragilità delle sceneggiature, come
Gualtiero De Marinis, che a proposito di Matador scrive:
Non c’è niente da fare, le sceneggiature Almodóvar non le sa scrivere.
L’escamotage del ragazzino che a venti minuti dalla fine diventa
veggente è una toppa tanto macchinosa quanto il dio che scendeva nel
finale delle tragedie greche.
15
14
Federico De Melis, La corrida dei desideri, ne Il Manifesto, 19-20/2/1989, p. 13.
15
Gualtiero De Marinis, Matador, in Cineforum n°255, Giugno/Luglio 1986, p. 51.
15
D’altra parte, lo stesso De Melis a proposito di La legge del desiderio spiega
che:
il regista riacciuffa il film per i capelli, lo rimette sulle gambe […]. Il
film è la variabile impazzita della filmografia di Almodóvar, le cui
sceneggiature e strutture narrative risultano sempre impeccabili.
16
E’ soprattutto la critica specializzata a tentare di spiegare gli effetti di
questo “ritorno al passato” distributivo, differenziandosi da molti cronisti dei
quotidiani, che si sono affidati a valutazioni più frammentarie. Maurizio
Diaconale (Segnocinema), recensendo le uscite consecutive di Legami e
Pepi, Luci e Bom, sottolinea come il passaggio dall’ultimo al primo
lungometraggio permetta di
ripescare immagini di come eravamo che fanno sorridere, ma che sono
come raffiche per lo sguardo e colpiscono come un possente pugno allo
stomaco, in un progressivo caricarsi di assurdità grottesche, di
paradossi, di anarchismo e follia, di eccesso e sregolatezza.
17
Nella chiusa finale dell’articolo Diaconale innesca l’immancabile confronto
con Donne sull’orlo..., segnalando una distanza abissale tra la limpidezza di
quest’ultimo film e Pepi.
E’ evidente che l’approccio delle riviste di critica cinematografica sia
diverso, in termini di spazio e contenuti, rispetto alle testate nazionali e
locali, che oltretutto possiedono un taglio meno settoriale ed ambiscono ad
un target più ampio. Si spiega così l’attenzione dei quotidiani agli aspetti più
16
F. De Melis, art. cit., p. 13.
17
Maurizio Diaconale, Légami!, Segnocinema n°44, Luglio 1990, p. 37.
16
leggeri ed immediati (curiosità, gossip, attualità) del fenomeno Almodóvar.
Una caratteristica che si accentua durante il recupero dei primi
lungometraggi, fino a cristallizzarsi nel clichè del regista trasgressivo,
capace di fagocitare e mescolare qualunque forma espressiva, fondendo il
tutto in un calderone dal sapore postmoderno. Nessun critico, dall’entusiasta
al detrattore, riesce a prescindere da tale riferimento.
Sebbene Pepi e Labirinto di passioni fossero ritenuti film di culto Morandini
ammette come fosse “inutile arrampicarsi sugli specchi del cinema d’autore:
Labirinto di passioni è un filmaccio sgangherato, sciatto, senza centro, con poche
eccezioni mal recitato” e che Almodóvar l’avesse considerato “un’occasione
per dare sfogo alle sue ossessioni divertite di omosessuale fumettaro, rockettaro e
trasgressivo, senza preoccuparsi troppo né di storia, né di personaggi.
18
Il
riferimento all’appartenenza alla subcultura del fumetto compare sulla notte:
“E’ ancora un fumettaro in vacanza (pare un Guido Crepax che abbia accettato di
illustrare una rivista sconcia per universitari)”.
19
Spesso molti di questi
riferimenti restano oscuri, mentre emerge chiaramente nel film un tentativo
“di parodia pura con un piede nella goliardia e una voluta, sfrontata volgarità che
sarebbe simpatica se fosse divertente e se si capissero tutte le allusioni al mondo
pop-rock di Madrid che […] Almodóvar ha messo nel film”.
20
Di fatto l’operazione di recupero, considerata una “pessima idea, giustificata
dalla scia dei suoi scandali, più che da quella dei meriti (scarsi) di cinefilia”
21
, ha
consentito di far luce sul cambiamento culturale che ha investito la Spagna
dopo la morte di Franco, di cui i film di Almodóvar testimoniano una “voglia
di liberarsi, non importa se sgangherata o ripetitiva, in tutto quel mondo di
commedia che è la movida madrilena della fine degli anni Settanta, una febbre
18
Morando Morandini, Labirinto di passioni, Il Giorno, 12/10/1990.
19
La Notte, 9/10/1990.
20
Irene Bignardi, Amore e Movida per Pedro & C., in La Repubblica, Roma, 24/10/1990, p. 36.
21
Giovanni Grazzini, Labirinto di passioni, Il Messaggero, 19/10/1990.
17