8
una travagliata evoluzione storica, che come si evince dagli scritti di
Cicerone, vede la sua origine già nel diritto romano
3
.
L’illustre giurista narra della disavventura occorsa al cavaliere Canio,
che essendosi recato a Siracusa per trascorrervi un periodo di vacanza,
voleva comprarvi una villetta dove potesse invitare gli amici e
divertirsi senza essere disturbato da importuni. Qui, un tal Pizio,
banchiere di Siracusa, dice di avere una villetta che può fare al caso di
Canio e ve lo invita a cena per il giorno seguente. Convoca intanto
una moltitudine di pescatori e fa approdare alle rive del giardino un
gran numero di barche. All’ora stabilita, appresta un suntuoso
banchetto e gran quantità di pesci vengono gettati ai piedi di Pizio
che allora esclama: “Tutti i pesci di Siracusa stanno qui, in questo
luogo vengono a rifornirsi d'acqua, non possono fare a meno di questa
villa”. Alla vista di tanto ben di Dio, Canio si entusiasma e tanto
insiste che Pizio vende la villa a quell’uomo ricco e bramoso al prezzo
esorbitante richiestogli. Canio, allora, il giorno dopo invita i suoi
amici, ma nessuna barca attraversa lo specchio d’acqua antistante la
villa e dei pescatori nessuna traccia. “Sed quid faceret?” si domanda
allora Cicerone, “Nondum enim C. Aquilius, collega et familiaris
meus, protulerat de dolo malo formulas”
4
.
A tale interrogativo, la giurisprudenza romana era solita rispondere
riconoscendo alle parti l’actio de dolo
5
, che però valeva a sanzionare
cfr. ALLEN, Precontractual liability, in United Kingdom Law in the 1990s, London, 1990, di
GARDNER.
3
Si tratta di un celebre passo di CICERONE tratto dal De officiis, libro III, 14, paragrafo 58-60.
4
Cfr. L’interpretazione offerta da BESELER, De iure civili Tullio duce ad naturam revocando, in
Bull. ist. dir. rom., XXXIX, 1931, pag. 313 ss., secondo cui nella fattispecie descritta da Cicerone,
il raggirato, avrebbe dovuto esperire l’actio ex contractu e non l’actio doli (trattandosi di un
iudicium bonae fidei).
5
Al tempo cui si riferisce l’episodio narrato da Cicerone, nessun rimedio contro il dolo era
apprestato in favore di chi fosse rimasto vittima dei raggiri altrui, dunque, il contratto concluso
sotto l’effetto del raggiro era quindi valido iure civili. Una vera e propria actio de dolo, fu
probabilmente introdotta da C. Aquilio Gallo intorno al 66 a.C., mediante la comminazione da
9
soltanto il raggiro frutto della condotta dolosa del contraente; e solo
eventualmente l’actio legis aquiliae che, invece, presupponeva un
danno causato “corpore” ed arrecato “corpori”, consistente cioè in
una lesione alla persona o alla cosa, nella loro materialità
6
. Bisognerà
attendere l’ascesa di Giustiniano, perché il comportamento scorretto
cominci ad essere sanzionato, anche al di fuori delle suddette ipotesi,
attraverso l’actio ex contractu
7
. I compilatori giustinianei, ritenevano
infatti, che la regola della buona fede dovesse essere rispettata anche
prima del raggiungimento dell’accordo definitivo tra le parti, a
prescindere cioè dalla valida conclusione del negozio in itinere.
Per secoli non si sono registrate significative innovazioni
8
, fino a
quando nel diritto moderno, Domat
9
e Pothier
10
, giunsero ad
ammettere un obbligo di indennizzo a carico di colui che, per colpa,
avesse indotto la controparte a concludere un contratto invalido;
tuttavia un tale obbligo non aveva ancora un fondamento giuridico,
parte del Pretore peregrino di una sanzione pecuniaria, atta a riparare la lesione patrimoniale subita
dal raggirato. Tuttavia, si trattava pur sempre di una azione penale, per cui il suo scopo era solo
quello di riparare il danno in via mediata ed indiretta, sul presupposto della validità iure civili
dell’atto.
6
È dunque evidente come il rigido formalismo cui appariva ispirato il sistema di diritto romano
classico, non consentiva di dare rilevanza autonoma alle vicende attinenti al processo formativo
della volontà. In tal senso cfr. ZILLETTI, La dottrina dell’errore nella storia del diritto romano ,
Milano, 1961, pag. 11 ss., secondo cui “… il dolus malus e il metus sono riguardati
dall’ordinamento romano del periodo classico come fatti illeciti, non mai come vizi della volontà o
come elementi afferenti al contenuto psicologico dell’atto”.
7
Con il diritto giustinianeo si realizza il progressivo affievolirsi del carattere penale dell’actio doli,
e il contestuale accentuarsi del suo carattere restitutorio (con la restituito in integrum ob dolum),
per cui l’azione giunge ad assumere una funzione eminentemente riparatoria delle conseguenze
dannose subite dalla vittima del raggiro. Questa evoluzione, segnerà una tappa decisiva nel
processo che condurrà alla individuazione dei vizi del volere e dei relativi rimedi posti a
fondamento della libertà contrattuale delle parti. Cfr. MENGONI, “Metus causam dans” e “Metus
incidens”, in Riv. dir. comm., 1952, I, pag. 21, secondo cui l’actio doli, ormai divenuta rimedio
restitutorio ed equivalente, nel suo effetto pratico ad una specie di annullamento, diviene
applicabile ai negozi di bonae fidei in luogo dell’actio ex contractu.
8
Cfr. ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987, secondo il quale
l’epoca che si inaugura con la stagione dell’Umanesimo apre un periodo di “quiete dogmatica”,
che non registra mutamenti di rilievo nella sistemazione compiuta dalla scuola giustinianea e nella
successiva elaborazione della Glossa e della scuola del Commento.
9
Cfr. DOMAT, Le lois civiles dans leur ordre naturel, I, Paris, 1777, tit. I, sect. V, n.14, pag. 44.
10
Cfr. POTHIER, Traité des obligations, I, Paris, 1805, Part. I, chap. I, sect. I, art. 3, pag. 17.
10
ma veniva giustificato in forza di considerazioni giusnaturalistiche e
sulla base della equità
11
.
Ciò posto, il vero punto di partenza dell’esperienza giuridica moderna,
in materia di responsabilità nelle trattative e nella formazione del
contratto, è rappresentato dalla teoria della Culpa in contrahendo di
Rudolph von Jhering.
La delicata questione viene affrontata nell’opera “Culpa in
contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur
Perfection gelangten Verträgen”
12
, dove l’autore prende le mosse dal
seguente quesito: “se un soggetto è stato colpevolmente causa della
nullità di un contratto, deve risarcire il danno che l’altra parte ha
sofferto per avere confidato nella validità del contratto ?”
13
.
La sua ricostruzione doveva necessariamente inquadrarsi sul piano di
un ordinamento sostanzialmente fondato sul diritto romano (anche se)
attuale, servendosi a tale scopo, delle indicazioni offerte dalle fonti
14
.
In particolare, nei casi in cui non risultava utilizzabile né l’actio doli
né l’actio legis Aquiliae
15
, volendo comunque affermare la
responsabilità dell’errante che, col proprio comportamento colposo,
avesse dato adito all’invalidità del contratto (e il correlativo obbligo di
risarcimento dei danni causati alla controparte, ignara
11
Cfr. ROVELLI, La responsabilità precontrattuale, in BESSONE (a cura di), Trattato di diritto
privato, Torino, 2000, pag. 202 ss. .
12
JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfektion
gelangten Verträgen, in Jherings Jahrbücher, 1861, vol. IV, pag. 1 ss. (v. la trad. italiana a cura di
PROCCHI, JOVENE, 2005).
13
Cfr. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Urbino, 1963, pag. 5 ss., ove l’autore affronta
una approfondita analisi del contributo di Jhering. Nello stesso senso cfr., BESSONE, Rapporto
precontrattuale e dovere di correttezza, (Osservazioni in tema di recesso dalla trattativa), in Riv.
trim. dir. proc. Civ., 1972, pag. 962 ss.; VISINTINI, La reticenza nella formazione del contratto,
Padova, 1972, pag 173 ss. .
14
In tal senso LOI e TESSITORE, Buona fede e responsabilità precontrattuale, Pisa, 1975, pag. 1
ss. .
15
La prima risulta limita perché prende in considerazione soltanto la condotta dolosa, mentre la
seconda presuppone una lesione alle persone e alle cose, che non sempre si rinviene.
11
incolpevolmente del vizio dell’atto), Jhering ritenne di poter utilizzare
l’actio ex contractu, trovando sostegno proprio nel diritto romano
(giustinianeo) che ammetteva una tale possibilità, pur in presenza di
un contratto invalido e dunque improduttivo di effetti (contrattuali).
Secondo l’autore, infatti, la conclusione di un contratto non produce
semplicemente un obbligo di adempimento, ma, ove quest’effetto sia
escluso per qualche ostacolo giuridico, determina in certe
circostanze anche il sorgere di un obbligo al risarcimento del danno:
l’espressione di nullità del contratto designa, secondo il linguaggio
romano e moderno, soltanto l’assenza di quell’effetto, non in generale
di ogni effetto.
In sintesi, partendo dall’analisi delle fonti
16
, si giunge ad affermare
che se da una parte il negozio nullo preclude la possibilità di
adempiere all’obbligazione principale (Hauptwirkung), dall’altra non
esclude l’obbligo risarcitorio del danno (Nebenwirkungen) come
effetto secondario del contratto medesimo (così come non risultano
esclusi gli obblighi restitutori di prestazioni eventualmente già
eseguite).
Dunque l’elemento che ha fatto parlare della teoria in questione, come
di una scoperta giuridica
17
, consiste proprio nel considerare come
fonte di responsabilità, anche il mancato accertamento per colpa
(Verschuldung) da parte del venditore di tutti i presupposti per la
valida conclusione del contratto.
16
In particolare dall’analisi di alcuni brani del Digesto (Dig. 18.1.62.1 Modestinus 5 reg.)
riguardanti l’ipotesi di alienazione di un locus sacer o religiosus o publicus senza che il venditore
avesse comunicato all’acquirente che il bene era extra commercium. Poiché in tali brani si
attestava l’attribuzione al compratore, benché la vendita fosse nulla, di una actio empti volta a
fargli conseguire “quod interfuit ne deciperetur”, Jhering ne trasse spunto per la sua elaborazione.
17
Così definita da DOLLE, Juristiche Entdeckungen, Tubingen, 1958, pag. 7.
12
Partendo da questo presupposto, Jhering, ha poi generalizzato il
dovere di risarcimento a tutti i casi in cui, nella fase delle trattative e
della formazione del contratto, fosse emersa una culpa in contrahendo
(fino al punto di ritenere che non vi fosse spazio alcuno per la
valutazione della scusabilità o meno dell’errore, dando così adito a
fattispecie di vera e propria culpa oggettiva)
18
. Ciò nonostante, le
argomentazioni di Jhering hanno da subito prestato il fianco alle più
aspre critiche, da parte della dottrina tedesca e non solo
19
.
Quest’ultima, in particolare, ha messo in evidenza l’arbitrarietà del
collegamento fra responsabilità precontrattuale e stipulazione di un
negozio invalido, quando in realtà, la premessa da cui era partita la
teoria jheringhiana, ossia il generale dovere di diligenza anche nella
fase della trattative, avrebbe dovuto condurre all’irrilevanza della
conclusione o meno del contratto
20
. Al termine di una lunga
18
Cfr. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, in ROPPO (a cura di), Trattato del contratto,
Milano, 2006, pag. 980, il quale afferma che “le ipotesi suscettibili di dar luogo - in base a tali
premesse – a culpa in contrahendo vennero classificate e ordinate da Jhering in due gruppi,
comprendenti, il primo, i casi di inidoneità del soggetto (incapacità) o dell’oggetto (vendita di cose
extra commercium), e il secondo i vizi della volontà. A quest’ultimo gruppo Jhering riconduceva,
oltre le ipotesi di errore, anche una serie di fattispecie caratterizzate dalla non corrispondenza tra la
volontà contrattuale precedentemente manifestata e la volontà attuale di non concludere il
contratto (come nei casi di mutamento della volontà in relazione alla conclusione di contratti
attraverso intermediari, di morte del proponente prima della accettazione, di revoca della promessa
al pubblico), fattispecie tra le quali campeggia l’ipotesi della revoca della proposta di concludere
un contratto (Widerruf der Offerte bei Contractsabschliebung)”. Appare pertanto evidente che la
responsabilità secondo Jhering, avrebbe natura contrattuale, in quanto discendente non dalla
violazione del principio generale del neminem laedere, bensì da uno specifico obbligo di diligenza
che trova origine nel rapporto precontrattuale.
19
Così BESSONE, op. cit., pag 979 ss.; RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, Parma, 1974,
pag. 53 ss. .
20
Cfr. TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, pag. 62 ss.,
secondo cui la dottrina tedesca, pur accogliendo la qualificazione contrattuale della culpa in
contrahendo, avrebbe nel contempo cercato di eliminare ogni residuo legame fra natura
contrattuale della responsabilità e negozio viziato. In particolare, dopo avere rilevato la mancanza
nel BGB di una norma di legge che imponga alle parti di mantenere un comportamento corretto
anche nella fase delle trattative, la dottrina avrebbe costruito un rapporto obbligatorio ex lege
senza obbligo primario di prestazione (gesetzliches Schuldverhaltnis ohne primare
Leistungspflicht) - così LARENZ, Lehrbuch des Schuldrechts I, 11° ediz., Tubingen. - che
troverebbe il suo fondamento in una relazione di affidamento suscitato e concesso, instaurata tra le
parti mediante le trattative, e fonte di una serie di specifici obblighi comportamentali
(Verhaltenspflichten) . Gli obblighi di comportamento discendenti dalla suddetta relazione,
13
evoluzione e di lunghi dibattiti, la dottrina tedesca (in primis) è
pervenuta ad agganciare la nozione di affidamento al principio di
buona fede oggettiva (Treu und Glauben), così da oggettivarne il
contenuto, liberandolo da pericolose implicazioni soggettive fonte di
incertezze e di difficoltà probatorie, e da intenderlo sostanzialmente
come situazione giuridica caratterizzata dall’aspettativa di un altrui
condotta parimenti orientata a correttezza
21
.
Tutto ciò premesso, al termine della presente indagine, si cercherà di
rovesciare i termini tradizionali del problema della risarcibilità del
danno (come conseguenza della violazione del principio del Treu und
Glauben), nel senso che verrà posta preliminarmente l’attenzione sul
significato di interesse negativo (negatives Vertragsinteresse), per poi
solo successivamente verificarne le connessioni con la culpa in
contrahendo. L’erroneo utilizzo del concetto d’interesse negativo
quale sinonimo di danno, a cui fa riferimento la prevalente dottrina e
giurisprudenza, ha contribuito, invero, alla determinazione di
conseguenze non certo trascurabili su tutto l’assetto della
responsabilità precontrattuale, su tutte, la limitazione del risarcimento
del danno nei limiti del solo interesse negativo.
A tal riguardo, è opportuno precisare subito, come il concetto di
interesse negativo (negatives Vertragsinteresse), sia stato in effetti
utilizzato per la prima volta dallo stesso Jhering, al solo scopo di
mettere in evidenza la situazione peculiare di chi abbia stipulato un
contratto rivelatosi invalido, rispetto a quella di colui che abbia
contratto validamente, vantando quindi un interesse all’altrui diligente
troverebbero la loro fonte nel principio di buona fede oggettiva (Treu und Glauben), la cui
rilevanza giuridica verrebbe ad emergere con l’obbligo di risarcimento in caso di loro violazione,
indipendentemente dal fatto che si giunga successivamente ad un accordo.
21
Cfr. TURCO, op. cit., pag. 69, ivi ampli riferimenti bibliografici.
14
prestazione (positives Vertranginteresse)
22
. Da tale premessa emerge
con chiarezza la logica diversità del trattamento risarcitorio che
accompagna le due situazioni, difatti solo nella prima ipotesi il
risarcimento presidia l’interesse a non concludere un contratto
invalido e quindi pregiudizievole. Ma da ciò, non è ammissibile
argomentare (come spesso si è fatto) che dalla diversità dell’interesse
tutelato possa derivare una limitazione del risarcimento dell’interesse
negativo, in misura necessariamente inferiore a quella del
corrispondente interesse positivo
23
. Difatti, già lo stesso Jhering
affermava che, in relazione alle circostanze del caso concreto,
l’ammontare del risarcimento dell’interesse negativo avrebbe potuto
eguagliare o addirittura superare quello dell’interesse positivo
24
.
Dalla sia pur breve esposizione che precede, non si può negare come
la teoria di Jhering abbia influenzato la cultura giuridica successiva,
tuttavia, da un esame più attento, è possibile rilevare che all’interno
delle maggiori codificazioni europee (salvo il nostro art. 1337 c.c.), la
costruzione jheringhiana, in realtà, non sia stata mai recepita a livello
22
Cfr. TURCO, op. cit., pag. 44 ss., secondo cui Jhering probabilmente si rifà all’opera di qualche
anno precedente di MOMSEN, Zur Lehre vom Interesse, Braunschweig, Braunschweig, 1855, pag. 3
e 40, ove l’autore intende la nozione di interesse come sinonimo di entità del danno.
23
In senso contrario, cfr. BENATTI, op. cit., pag. 137, il quale, inizialmente, individua già nell’art.
1338 c.c. un criterio limitativo del risarcimento. In seguito, avendo rilevato che nella dicotomia
validità-invalidità si evidenzia l’aspetto riduttivo della teoria jheringhiana, ritiene di poter ricavare
analogicamente da altre norme (artt. 1328, 1° comma e 1440), dei parametri di quantificazione del
danno, che rispondano positivamente alla suddetta esigenza limitativa. Di diverso avviso sembra
VISINTINI, op. cit., pag. 321 ss., la quale, sotto tale aspetto, critica l’estensione generalizzata a tutta
la culpa in contrahendo, del presunto limite risarcitorio dell’interesse negativo.
24
Cfr. JHERING, op. cit., ove si affretta subito a precisare che fra le componenti del danno
risarcibile rientrano senz’altro tanto il danno emergente “positiver Verlust”, quanto il lucro
cessante “entangener Gewinn” e che sotto questo ultimo profilo, l’interesse negativo potrebbe
anche equiparare quantitativamente, in relazione alle circostanze del caso, quello positivo. In tal
senso, l’autore fa l’esempio del vetturino che viene erroneamente prenotato dal cliente per il
giorno x anziché y e, conseguentemente, rifiuta altre prenotazioni per quel giorno, perdendo
introiti alternativi. In tal caso, il danneggiato potrà pretendere il risarcimento del lucro cessante,
che di fatto andrà ad equiparare quello che sarebbe scaturito in ipotesi di inadempimento
contrattuale: tuttavia, risulta evidente come tale risarcimento non sia direzionalmente rivolto al
conseguimento dell’Erfllungsinteresse dello specifico contratto solo in apparenza (validamente)
concluso.
15
di enunciazione di principio. Pertanto i rilievi testé svolti,
rappresentano il necessario presupposto per potere affrontare, con
maggior cognizione di causa, alcune considerazioni di natura
comparatistica.
In particolare si incentrerà l’attenzione sulla esperienza tedesca, quella
francese e quella di Common Law.
In Germania, strano a dirsi, il B.G.B. non ha (almeno fino ai giorni
nostri) formalizzato il principio della responsabilità precontrattuale,
tuttavia, in questo codice sono chiaramente individuabili una serie di
disposizioni ad hoc, che dimostrano con tutta evidenza di avere
recepito il nucleo centrale della teoria dell’illustre giurista.
In tal senso, ad esempio è significativa la disposizione del paragrafo
122 B.G.B, secondo cui la dichiarazione viziata da errore o
dall’assenza di una seria intenzione di concludere l’affare, rende una
parte responsabile nei confronti dell’altra, quando quest’ultima abbia
incolpevolmente confidato sulla conclusione del contratto
25
. Ancora,
non può non menzionarsi il paragrafo 242 B.G.B. che enuncia
l’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Treu und glauben)
26
,
facendo però riferimento, va sottolineato, solo alla fase di esecuzione
della prestazione. Ciò nonostante, le elaborazioni dottrinali e
25
Si deve notare che in questo caso la norma non richiede espressamente la colpa del dichiarante
quale presupposto per il sorgere dell’obbligo risarcitorio, che sembrerebbe pertanto fondato su basi
tendenzialmente “oggettive” (in ciò distaccandosi dalla tesi di Jhering). In questa norma è in oltre
presente un esplicito riferimento alla limitazione del risarcimento all’interesse negativo (…
“jedoch nicht uber den Bertag des Interesses hinaus.. an der Gultigkeit der Erklarung”…).
26
Cfr. SASSI, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, in PALAZZO (a cura di),
Monografie di Diritto e Processo, Perugia, 2006, pag. 380, nota 721, in cui l’autore ricorda come
“il termine Treu und Glauben costituisce una cosiddetta ‹‹formula a coppia››, consolidatasi nella
storia, i cui due elementi sono sinonimi in senso lato. La “treu” (fedeltà) indica il dovere per il
debitore di attenersi a quanto si è obbligato, cioè a dire la fedeltà contrattuale, ma anche
l’onorabilità e la onesta. Il “glauben” (la fede, il credere) indica l’esistenza di un rapporto di
fiducia, e richiede il rispetto di un affidamento meritevole di tutela”. Sempre lo stesso autore,
sottolinea come “nel diritto tedesco la buona fede è stata utilizzata in funzione per così dire
equitativa, rappresentando la chiave principale dello sviluppo giurisprudenziale del diritto”.
16
giurisprudenziali si sono costantemente adoperate ad estenderne
l’efficacia anche alla fase precontrattuale, vuoi in via di
Gesetzeanalogie vuoi di Rechtsanalogie
27
. Questa evoluzione, tra
l’altro, a seguito della riforma del diritto delle obbligazioni del 2002, è
ora finalmente codificata dal nuovo testo del paragrafo 311 B.G.B.
28
.
In Francia, il nucleo intorno al quale si è andata formando la figura
della responsabilità precontrattuale, è costituito sostanzialmente dalla
fattispecie di rottura ingiustificata delle trattative. La responsabilità in
questione, però, a differenza che nel sistema tedesco, è stata da
sempre giudicata come extracontrattuale, ritenendo che la diversa
qualificazione contrattuale resti ancorata alla finzione dell’esistenza di
una sorta di avantcontract, mai intervenuto fra le parti
29
. Comunque,
analogamente a quanto accaduto nell’esperienza tedesca, anche in
Francia si è andato consolidando un dovere d’informazione nella fase
precontrattuale, in relazione alla comunicazione di circostanze
incidenti sulla validità o sulla efficacia del contratto
30
.
27
Cfr. ROVELLI, op. cit.,pag. 204 ss., secondo cui si tratta della base normativa (di cui Jhering non
disponeva) che ha dato il principale supporto agli sviluppi della teoria della culpa in contrahendo
nella dottrina e nella giurisprudenza tedesche. La dottrina ha ipotizzato che nella fase
precontrattuale sorga un rapporto obbligatorio ex lege (vd. nota 14), evidenziando in tal modo il
punto di maggior distacco dalla impostazione jheringhiana, nella quale invece si affermava la
contrattualità della responsabilità in forza di un obbligo scaturente non dalla legge, ma dallo stesso
contratto (attraverso la richiamata distinzione tra Hauptwirkung e Nebenwirkungen).
28
Cfr. il paragrafo 311 B.G.B. al 2° comma stabilisce che “Un rapporto obbligatorio con gli
obblighi di cui al comma 2° del paragrafo 241 B.G.B. sorge anche in virtù: 1. dell’avvio delle
trattative; 2. della prefigurazione di un contratto, che ricorre quando, in vista di un’eventuale
relazione negoziale, una parte accorda all’altra la possibilità di incidere su propri diritti, beni ed
interessi, o gliene affida la protezione; 3. di contatti negoziali similari”. Sul tema si veda
HOHLOCH, La codificazione degli obblighi di protezione e della responsabilità per culpa in
contrahendo, in CIAN (a cura di), La riforma dello Schuldrecht tedesco; un modello per il futuro
diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti ?, Padova, 2004, pag. 243 ss. .
29
Cfr. ROVELLI, op. cit., pag 206 ss. . Per un confronto tra il sistema italiano e quello francese si
veda PIGNATARO, Buona fede oggettiva e rapporto giuridico precontrattuale, Napoli, 1999.
30
Il dovere d’informazione viene graduato anche in relazione alla qualità delle parti e alla natura
dell’affare. Ad esempio in materia di compravendita, sorge durante le trattative l’obbligo del
venditore di far conoscere all’acquirente la presenza di vizi occulti a lui noti. In particolare l’art.
1645 Code Civil prevede che il vendeur professionel abbia l’obbligo di risarcire al compratore
tutte le conseguenze dannose risentite a causa del vizio.
17
Lasciando per un momento l’esperienza giuridica continentale, prima
di passare ad analizzare gli artt. 1337-1338 c.c., ritengo opportuno
prendere in considerazione brevemente, anche il modello di tutela
previsto nei paesi della Common Law.
Tradizionalmente il sistema anglosassone, si è sempre presentato
come refrattario all’introduzione di un dovere di correttezza reciproca
tra le parti in trattativa, considerando le ipotesi di indiscutibile
unfairness, in termini di mancanza del consenso e quindi di vizio della
volontà. In un tale contesto, vista l’avversione ad ogni forma di
limitazione della c.d. “sanctity of contract”, sembrava non esserci
spazio alcuno per forme di precontractual liability
31
.
Negli ultimi anni, in particolare nei contratti qualificati come
uberrimae fidei
32
, si è registrata una tendenza di segno opposto che
ha favorito la nascita di una regola (anche se non certo codificata), che
impone alle parti in trattativa di tenere un comportamento negoziale
ispirato alla good faith
33
.
In particolare, sono state previste dalla law of contracts delle c.d.
“implied warranties of quality” in favore del contraente debole, al
fine di garantire una trasparente gestione del mercato, imponendo al
venditore di dare alla controparte le informazioni relative al bene
oggetto del contratto.
31
Cfr. ROVELLI, op. cit. pag. 208, secondo il quale “il caveat emptor resta il canone fondamentale
della fase di formazione del contratto. Nessuna sanzione è prevista per chi taccia elementi capaci
di influire sull’altrui decisione di concludere un accordo”.
32
Tra cui il contratto di società, di assicurazione, e di compravendita immobiliare.
33
Cfr. ZIMMERMANN, WITTHAKER, Good faith in European contract law, Cambridge, 2000. In
senso contrario, si veda WEBB, Contract, Capitalism and Free Market: the Changing Face of
Contractual Freedom, in Law Teacher, 1987, pag. 23 ss.; cfr. anche CHESHIRE-FIFORT, Law of
contract, London, 1986, pag. 302, ove Lord Scarnon afferma che le Corti “non dovrebbero
assumere il compito oneroso di introdurre ulteriori restrizioni alla libertà contrattuale, quasi che
nel settore del contratto si avvertisse l’esigenza di erigere un principio generale di repressione del
potere contrattuale dei privati”.
18
Invero, la prassi giurisprudenziale ha messo in evidenza come
l’ingiustizia del rapporto contrattuale, spesso derivi proprio dalla
reticenza su circostanze rilevanti per la valutazione dell’affare. In
questo senso, però, la soglia della responsabilità si ritiene superata,
quando non si tratti di mera reticenza, ma quando, dolosamente o
colposamente, vengano fornite notizie inesatte o errate
34
.
Venendo ora all’esperienza giuridica italiana, va da subito evidenziato
come il codice civile del 1865 (di pochi anni successivo alla
pubblicazione del saggio di Jhering), non prevedesse alcuna regola di
condotta diretta a disciplinare il comportamento delle parti durante la
fase delle trattative e della formazione del contratto
35
.
A fronte di questa lacuna, dottrina e giurisprudenza, sembravano
rimanere indifferenti e l’evidente vuoto di tutela che si veniva
formando, almeno inizialmente, veniva risolto ricorrendo all’art.
1151 c.c. (corrispondente all’odierno art. 2043 c.c.), poiché si riteneva
che la culpa in contrahendo, costituisse niente altro che una delle
possibili violazioni dell’obbligo generico del neminem laedere
36
. In
seguito, dopo avere constatato l’insufficienza della soluzione
34
Così ROVELLI, op. cit. pag. 208, secondo cui “l’ipotesi dolosa di fraudolent misrepresentation
consente alla parte in buona fede (mediante action of rescission) di essere posta nella stessa
situazione in cui si sarebbe trovata se non avesse concluso il contratto”. Comunque “la tendenza,
più che quella di intervenire sul contratto, è quella di sanzionare come torts le violazioni di
obblighi di informazione, nei casi in cui è socialmente configurabile un duty of care a carico della
parte insider”.
35
In questo senso il codice del 1865 richiamava la regola della buona fede unicamente nell’art.
1124 c.c. che così disponeva: “I contratti debbono essere eseguiti di buona fede ed obbligano non
solo a quanto è nei medesimi espresso, ma anche a tutte le conseguenze che secondo l’equità,
l’uso o la legge ne derivano”. Si trattava di una disposizione che ricalcava fedelmente il modello
del Code Napoleon; l’unica differenza di rilievo era nell’accostamento in un unico articolo della
buona fede e dell’equità. Tale accostamento, che pure non modificava di per sé il significato della
disposizione, contribuì al superamento dell’orientamento interpretativo incline a svalutare il
significato della buona fede e dell’equità: affiancare le due regole rafforzava la loro capacità di
porsi come limite al puro potere di disporre e di vincolarsi. Più approfonditamente cfr. CORRADINI,
Il criterio di buona fede e la scienza del diritto privato, Milano, 1970 e GRISI, L’obbligo
precontrattuale d’informazione, Napoli, 1990, pag. 17 ss. .
36
In questo senso GABBA, Contributo alla dottrina della promessa bilaterale di contratto, in Giur.
it., 1903, IV, c. 39.
19
comunemente proposta, in quanto si lasciavano privi di sanzione molti
casi non riconducibili nello schema dell’illecito extracontrattuale, vi
fu il tentativo di trovare alla responsabilità precontrattuale un
fondamento più valido di quanto non fosse il generico richiamo alle
regole sulla responsabilità aquiliana
37
.
In questa direzione, oggetto di specifica riflessione fu soprattutto
l’ipotesi di interruzione sine causa delle trattative
38
, e la sua
riconduzione nell’ambito della culpa in contrahendo, si deve
principalmente alle elaborazioni, sia teoriche che pratiche, del
Faggella
39
.
La nota teoria, prende le mosse da una ricostruzione descrittiva che
individua tre periodi nella fase di formazione del contratto: il primo
momento può essere definito quello di “concezione del contratto”, il
secondo momento può essere definito quello di perfezionamento dei
termini progettuali dove “la volizione si trasforma e si dirige a
concretare la proposta e l’accettazione”, il terzo momento rappresenta
poi la materializzazione del disegno contrattuale attraverso una
proposta concreta.
Ciò premesso, il dato comune alle tre diverse fasi temporali, è
rappresentato dal pieno permanere dell’autonomia della volontà,
almeno fino al momento in cui non intervenga un comportamento o
un fatto in grado di imprimere un carattere più impegnativo alle
37
Così LOI e TESSITORE, op. cit., pag. 5 ss. .
38
L’art. 36 comma III del codice di commercio prevedeva una ipotesi simile di culpa in
contrahendo. Invero, tale norma (per cui la revoca della proposta e dell’accettazione, se giunga a
notizia dell’altra parte dopo che questa abbia intrapresa l’esecuzione del contratto, obbliga al
risarcimento dei danni), spinse la dottrina ad elaborare una soluzione analoga anche nella materia
civile. In particolare cfr. BORASIO, Attività precontrattuale – Proposta e trattative, in Dir. e prat.
Comm., 1928, I, p. 105.
39
FAGGELLA, Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione scientifica, in
Studi per Fadda, III, Roma, 1918, pag. 269.
20
trattative, che il Faggella individua nella autorizzazione, anche tacita,
a trattare.
Tale autorizzazione, secondo l’autore, sarebbe in grado di ingenerare
nella coscienza sociale, la fiducia che si prosegua nella trattative fino
al raggiungimento di un accordo o al punto in cui, per la contrarietà
degli interessi e del risultato delle discussioni, l’accordo non sarebbe
più possibile.
Dunque il semplice recesso, senza che le trattative abbiano avuto il
loro svolgimento o che abbiano raggiunto il loro naturale esito,
importa la violazione del suddetto tacito accordo precontrattuale, “e
questa violazione rende intempestivo ed arbitrario il recesso”
40
.
Ed allora, solo con il nuovo codice civile del 1942, si arriverà a
prevedere la regolamentazione della culpa in contrahendo, attraverso
l’espressa previsione di un obbligo di buona fede nello svolgimento
delle trattative e in tutta la fase che precede la formazione del
contratto
41
. Ciò nondimeno, l’evocazione da parte dell’art. 1337 c.c.
di una clausola generale dal contenuto aperto, non è stata comunque in
grado di offrire una soluzione univoca per la definizione di questioni
importanti, come ad esempio, l’ambito di applicazione della regola di
buona fede (in particolare nel caso in cui sia stato concluso un negozio
valido).
40
Tale costruzione, oggetto di numerose critiche in dottrina (in particolare ALBERTARIO, Della
responsabilità precontrattuale, in Il Dir. Comm., 1910, I, pag. 50 ss.), trovò, al contrario,
applicazione nella soluzione di alcune vicende giudiziarie. In questo senso cfr. la sentenza della
Cass., 6 febbraio 1925, in Riv. dir. comm., 1925, II, pag. 428, ove è stato affermato che “ la parte
che senza giustificato motivo recede dalle iniziate trattative precontrattuali, risponde verso l’altra
parte delle spese incontrate e della improduttività delle somme che abbia dovuto tener presenti o
procurarsi in vista della conclusione del contratto”.
41
Cfr. ROVELLI, op. cit., pag. 242 ss., il quale sostiene che “la fase della formazione è quella che
forse risulta maggiormente investita dai nuovi modi di organizzazione degli scambi che si
affermano nelle società industriali (o post-industriali) avanzate, sollecitando non solo l’attenzione
del legislatore, ma anche quella dell’interprete”; analogamente si veda anche D’AMICO, Regole di
validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, pag.
38 ss. .
21
Ed ancora, si può rilevare come nel nuovo codice, vi sia la totale
assenza di indicazioni capaci di orientare l’interprete, nella
definizione della natura della responsabilità precontrattuale tra le
possibili alternative ipotizzabili: contrattuale, aquiliana o tertium
genus
42
.
Con il proseguo del lavoro si cercherà di dare una risposta a questo e
agli altri interrogativi che accompagnano la materia.
42
La questione, per la sua importanza pratica e teorica, sarà oggetto di specifica trattazione nel
proseguo del lavoro. Tuttavia, già da ora, è importante sottolineare che la questione qualificatoria
della responsabilità precontrattuale, assume rilievo anche ai fini dell’applicazione delle norme di
diritto internazionale privato. In questo senso D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit.,
pag. 1108, nota 3, il quale afferma che “in questo contesto, si pone anzitutto il problema se alle
controversie in materia di responsabilità precontrattuale (caratterizzate da elementi di “estraneità”)
si applichi la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle “obbligazioni
contrattuali”, ovvero se la legge regolatrice debba essere individuata sulla base di “norme di
conflitto” di diritto comune concernenti la responsabilità per fatto illecito (norme da identificarsi,
in primo luogo, nell’art. 62 della l. 218/1995). Cfr. nel primo senso DAVÌ, Responsabilità non
contrattuale nel diritto internazionale privato, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XVII, Torino, 1998,
pag. 345 ss.; in senso favorevole all’applicazione dell’art. 62 della legge di riforma, cfr.
MONATERI, Responsabilità contrattuale e precontrattuale, Torino, 1998, pag. 490.