mercato di consumo. Questa spinta costituisce quella tipica tendenza
dell’economia capitalistica che è stata definita imperialismo.
Il lavoro consta di cinque capitoli. Contenutisticamente, il primo
capitolo affronta il problema dell’Italia che, pervenuta in ritardo alla sua
unificazione nazionale ed alla costruzione del suo Stato unitario ed in ritardo
anche sulla via dello sviluppo capitalistico rispetto ad altri paesi
economicamente ben più progrediti, si inserì nel processo di espansione
coloniale, adottando una propria politica a riguardo. Questa circostanza
costituisce il primo dato essenziale e peculiare che caratterizza il colonialismo
italiano nel suo esordio e nel suo svolgimento successivo.
Il secondo capitolo descrive i fattori determinanti del colonialismo
italiano e illustra la spartizione del mondo tra i vari paesi colonizzatori.
Il terzo capitolo inizia con la storia colonialista italiana collocata nel
1869, anno dell’apertura del canale di Suez, che rappresenta un nuovo
momento di comunicazione tra tutto il mondo. Nel 1869 l’Italia, con Giuseppe
Sapeto ed il contrammiraglio Acton, per conto della società Rubattino, acquista
i diritti dei sultani locali sulla baia di Assab, ad indicare l’idea di una nazione
che, anche se nata da poco, vuole cercare degli spazi in qualità di potenza
appena sorta. A partire dal 1896, la politica coloniale italiana si orienta verso il
Mar Rosso. È in quest’anno che si arriva alla battaglia di Adua, in cui l’Italia
verrà grandemente umiliata. L’Italia sembra ripiegare subito, ma in realtà da
quel momento, sul fronte interno, comincia a svilupparsi una nuova politica
volta a creare un’adeguata mentalità coloniale. Nel 1911 si arriva alla seconda
5
guerra d’Africa, quella della Libia, con una opinione pubblica favorevole,
perché, come riferisce la stampa dell’epoca, già incarnante forti valori
nazionalistici.
Il quarto capitolo tratta dell’ascesa politica di Mussolini e della
presenza crescente ed imponente del movimento fascista. In questo capitolo si
affronta anche il dilemma della riconquista dei territori dell’Africa orientale, il
periodo coloniale liberale e fascista, e la difficoltà dei rapporti diplomatici
nell’immediato dopoguerra. Dal 1922 fino al 1936 si svolge una feroce guerra
di repressione, a tal punto violenta e sanguinaria da essere tutt’oggi
prepotentemente inserita in ogni revisione storica della storia nazionale libica,
che si conclude con la cattura di Omar Imuctal, il “Garibaldi” della resistenza
libica, il quale venne processato e poi impiccato come traditore dello stato
italiano, di cui la Libia faceva ormai parte. Nel 1943, con l’occupazione da
parte delle forze britanniche delle colonie italiane, finì la nostra avventura
imperialista.
Il quinto ed ultimo capitolo evidenzia il bilancio economico dello Stato
nel periodo coloniale, ed illustra gli ingenti costi sostenuti. È molto discutibile
se, o quanto e come, le colonie arricchissero l’economia nazionale. Di certo il
Paese spese non poco per l’Oltremare.
6
CAP. I. LA DIFFICILE SITUAZIONE ECONOMICA DEL
PAESE NEL PERIODO POST-UNITARIO
1.1. Problematiche politiche e socio-economiche
L’unità d’Italia
2
avvenne nel 1861 e fin dalla nascita il nuovo Stato fu
caratterizzato da preoccupanti condizioni politiche e socio-economiche:
inferiorità della crescita economica rispetto agli altri stati europei più avanzati;
debolezza politica e sottosviluppo delle aree meridionali. I programmi
economico-sociali dei governi post-unitari furono sicuramente limitati dalla
scarsa disponibilità di risorse finanziarie, in considerazione del fatto che il
debito pubblico complessivo accumulato al momento dell’unificazione aveva
raggiunto livelli elevati
3
. Infatti esso era pari a 2146 milioni di lire, dei quali
più della metà appartenevano all’ex Regno di Sardegna (ved. Tab. 1).
Dopo il 1859 le entrate si mantennero stazionarie, mentre crebbero le
spese sostenute, soprattutto dal Regno di Sardegna, per finanziare
l’unificazione nazionale. Il disavanzo complessivo raggiunse, nel 1861, 1069
milioni di lire, determinato in gran parte dal debito pubblico dei vari Stati. Essi
variavano sia in volume complessivo sia nella loro onerosità pro-capite, sia
ancora in relazione alla loro origine e finalità.
2
In realtà l’unificazione non era del tutto completa, in quanto, mancavano il Veneto, Trieste e
Roma. Dal 1861 in poi, Venezia e Roma furono la preoccupazione costante della politica
estera italiana; l’unico dubbio era quanto a lungo sarebbe stato necessario attendere prima di
combattere la terza guerra di liberazione contro l’Austria.
3
M. Colonna, L’economia italiana nei secoli XVIII-XX, in Storia dell’economia mondiale,
Monduzzi, Bologna 2000, p. 246.
7
Tabella 1. Debito pubblico in Italia nel 1859 ( in milioni di lire del 1914 ).
Aggregazioni
statali e regionali
Debito
Pubblico
Regno di Sardegna 1.483
Lombardia 156
Parma e Piacenza 15
Modena, Reggio e Massa 19
Romana, Marche, Umbria 36
Regno di Napoli 250
Sicilia 187
TOTALE 2.146
Fonte: G. Luzzatto, Storia economica dell’età moderna e contemporanea. Parte seconda. L’età
contemporanea, Padova, 1960, p. 376.
Di fronte al debito pubblico sardo, formatosi in parte per finanziare opere di
pubblica utilità, in parte per pagare le spese di guerra, stava, ad esempio, il
debito pubblico del Regno delle Due Sicilie, creatosi in parte per far fronte alle
spese sostenute per pagare le truppe piemontesi intervenute a reprimere i
movimenti liberali, in parte per compensare le evasioni fiscali dei cittadini.
Praticamente senza alcuna opposizione fu adottata la risoluzione che l’Italia
unita si sarebbe accollata i debiti pubblici degli altri Stati
4
.
L’unificazione dei debiti di tutti gli ex Stati confluiti nella nuova entità
nazionale fu attuata da uno dei più importanti banchieri d’Italia nonché Primo
Ministro delle Finanze del nuovo Regno, il livornese Pietro Bastogi. Con una
prima legge promulgata il 10 luglio 1861 fu istituito il Gran Libro del debito
4
R. De Felice, Storia dell’Italia contemporanea. Stato e società 1870-1898, Edizioni
scientifiche italiane, Napoli 1976, p. 75.
8
pubblico
5
, costituito dall’insieme dei registri sui quali venivano iscritti i debiti
consolidati e redimibili dello Stato con tutte le operazioni ad esse relative. La
seconda, promulgata in agosto, stabiliva l’iscrizione nel Gran Libro dei debiti
dei vecchi Stati riconosciuti e costituì il vero atto di unificazione
6
.
5
Il Gran Libro del debito pubblico del Regno d’Italia fu creato sul modello di quello dell’ex
Regno di Sardegna. Cfr. V. Zamagni, Il debito pubblico e la creazione di un nuovo apparato
fiscale nell’Italia unificata (1861-1976), in Il disavanzo pubblico in Italia: natura strutturale
e politiche di rientro, II, Le politiche di rientro: problemi macro e microeconomici
dell’aggiustamento, Il Mulino, Bologna 1992, p. 9.
6
R. De Felice, Storia dell’Italia, cit., p. 76.
9
1.2. Provvedimenti finanziari d’urgenza
La grave crisi finanziaria, che travagliò il primo decennio di vita
nazionale italiana, si era manifestata in modo vistoso già nel 1861 e aveva
trovato origine e alimento, prima, nel processo di unificazione che generò
ingenti spese nel Piemonte sabaudo e negli ex Stati italiani, e poi, una volta
proclamato il nuovo Regno, nei nuovi e molteplici compiti da affrontare. In
questo contesto, la classe dirigente italiana, pressata anche da stimoli
internazionali imposti dalla posizione che il nuovo Stato venne ad assumere in
un’Europa in via di rapido sviluppo capitalistico, dovette operare con celerità
ed energia per creare in un paese generalmente arretrato le strutture di uno
Stato moderno entrato nel sistema delle democrazie liberali. Tale sistema fu
contestato da molti uomini, politici e non, i quali erano dell’avviso che fino a
che l’industria di un paese non ha corpo e robustezza di vita un protezionismo
non è dannoso, ma necessario
7
.
Si inizia di fatto, all’indomani dell’Unità, il periodo “eroico della
finanza italiana”, quello in cui i nostri governanti furono assillati dalla continua
minaccia della bancarotta, che avrebbe ridotto il giovane Stato nelle mani dei
banchieri e capitalisti stranieri. Da qui la fredda decisione dei governi della
Destra di imporre al paese “un’economia fino all’osso” in vista del pareggio
7
V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia
1861 – 1990, Il Mulino, Bologna 1990, p. 149.
10
del bilancio, condizione che si considerava essenziale per la sopravvivenza
dello Stato
8
.
Per più di dieci anni il paese visse finanziariamente alla giornata: in tali
circostanze la carica di Ministro delle Finanze non era certo invidiabile, ma
l’Italia ebbe la fortuna di trovare uomini in grado di ricoprire tale carica
9
(ved. Tab. 2)
10
. I Ministri Pietro Bastogi, Quintino Sella e Marco Minghetti,
che si succedettero dal 1861 al 1864 alla guida delle Finanze, nella loro lotta
contro il disavanzo scelsero sostanzialmente la strada dell’intervento di
emergenza, utilizzando tre strumenti fondamentali, sebbene con graduazioni
diverse di volta in volta: la pressione fiscale, i prestiti interni ed esteri ed i
provvedimenti straordinari.
L’inasprimento fiscale in quel periodo fu utilizzato in misura piuttosto
ridotta, mentre il credito divenne il principale strumento di lotta contro il
disavanzo, come dimostrano le cifre del quinquennio 1862-1866: l’imposizione
fiscale aumentò solamente del 29%, mentre il debito pubblico subì un
incremento del 77%. Già nel 1862 Sella dichiarava alla Camera di riconoscere
che ad assestare le nostre finanze occorrevano “imposte, imposte, null’altro che
imposte”
11
.
8
Ch. Seton-Watson, L’Italia dal liberismo al fascismo, 1870-1925, traduzione di L. Travisani,
Laterza, Bari 1973, p. 23.
9
A Desideri – M. Themelly, Storia e storiografia, dall’illuminismo all’età dell’imperialismo,
tomo II, G. D’Anna, Messina - Firenze 1996, p. 909.
10
V. Zamagni, Il debito pubblico e la creazione, cit., p. 39.
11
(Atti Parlamentari, Leg. VIII 1861-62, Vol. 2, p. 2171), citasi da V. Zamagni, Il debito
pubblico e la creazione, cit., p. 32.
11
Tabella 2. Ministeri formati negli anni 1861 – 1876.
Presidenza Finanze
Marzo 1861 Cavour Bastogi
Giugno 1861 Ricasoli Bastogi
Gennaio 1862 Rattazzi Sella
Dicembre 1862 Farini Minghetti
Marzo 1863 Minghetti Minghetti
Ottobre 1863 La Marmora Sella
Gennaio 1866 La Marmora 2° Scialoja
Giugno 1866 Ricasoli Scialoja
a
Aprile 1867 Rattazzi Ferrara
b
Ottobre 1867 Menabrea Cambray-Digny
Dicembre 1867 Menabrea 2° Cambray-Digny
Maggio 1869 Menabrea 3° Cambray-Digny
Dicembre 1869 Lanza Sella
Luglio 1873 Minghetti Minghetti
Marzo 1876 Depretis Depretis
a
Sostituito nel febbraio 1867 dal Depretis
b
Sostituito nel luglio 1867 dal Rattazzi
Fonte: V. Zamagni, Il debito pubblico e la creazione di un nuovo apparato fiscale nell’Italia
unificata (1861-1876), in Il disavanzo pubblico in Italia: natura strutturale e politiche
di rientro, II, Le politiche di rientro: problemi macro e microeconomici
dell’aggiustamento, Il Mulino, Bologna 1992, p. 39.
Marco Minghetti, Presidente del Consiglio e Ministro delle Finanze nel
1863-64, mirò ad un piano finanziario ed economico che giungesse a risanare il
disavanzo nel medio termine di quattro anni, utilizzando in modo equilibrato ed
armonico i tre strumenti principali di direzione della finanza pubblica,
accompagnati da un ampio riordinamento dei tributi e dell’ amministrazione
finanziaria. Questo piano che comprendeva l’approvazione di tre grandi
imposte, un prestito di 700 milioni, l’intensificazione delle vendite dei beni
demaniali approvata l’anno precedente, la vendita delle ferrovie di proprietà
statale ed alcune iniziative per stimolare l’economia nazionale, ma non trovò
12
nel Parlamento e nella Nazione una volontà deliberata e ferma, per cui si mutò
in un insuccesso, perché di esso fu approvato sollecitamente solo il prestito.
La strada dei prestiti e dei provvedimenti straordinari sul patrimonio
statale appariva però allo stesso Sella a lungo andare insostenibile. Per sanare il
gravissimo deficit di 581 milioni, Sella si rivolse all’imposizione indiretta:
propose l’istituzione della tassa sulla macinazione dei cereali, che meglio di
qualunque altra avrebbe potuto dare un grande provento alle Finanze. Le
drastiche proposte fiscali del Sella, cui era stato conferito il carattere
dell’emergenza, si accompagnarono ad un altrettanto deciso intervento nella
delicata questione del riordino dell’Asse Ecclesiastico, con l’introduzione della
motivazione finanziaria, che non l’avrebbe più abbandonata fino alla sua
conclusione. Un primo gruppo di imposte, cui venne dedicata molta attenzione
da parte del nuovo Governo, furono le imposte sui redditi, composte da tre
voci: terreni, fabbricati e ricchezza mobile. Questa ultima nuova imposta fu
introdotta il 14 luglio del 1864 sul modello della income tax inglese: essa
colpiva tutti i redditi esclusi quelli tassati separatamente
12
.
Ma se i drammatici accenti del Ministro delle Finanze e le sue più dure
proposte di risanamento del deficit non furono sufficienti a condurre la Camera
verso un più sollecito e coerente intervento sugli squilibri della situazione
finanziaria, si incaricarono di ciò in buona parte gli avvenimenti del 1866: la
crisi finanziaria ed economica europea e la guerra contro l’Austria.
12
V. Zamagni, Dalla periferia al centro, cit., p. 222.
13