12
aristotelico di f.ma e f.iva. Da queste ricerche (epitomate nella mia tesi di
Laurea) trassi la conclusione che era auspicabile fare a meno del concetto di
mental image per interpretar An. G 3 e PN. Non sapendo articolare allora
una mia posizione circa il rapporto tra Ar. e l’attuale filosofia della mente,
ma avendo maturato l’idea che questo problema investisse non solo il mio
tema (la f.iva), ma tutto quanto vi era a monte (dunque già la teoria di Ar.
sull’a.si" semplice), preferii lasciar sospeso il problema del riferimento
della a.si" semplice alla realtà, e di occuparmi della f.iva, considerandola
(in accordo con G 3), mera replica della a.si" originaria; liberatomi del
fardello del problema principale, elaborai un’interpretazione di G 3 che
enfatizzava soprattutto tre punti: la grande coerenza della sua struttura
dialettica; il fatto che il riferimento della f.iva alla realtà derivasse da quello
dell’a.si" originaria; e il fatto che Ar., così come Platone, intendesse con
“fantasma” una parvenza sensoria il cui riferimento alla realtà è fallace,
salvo differire radicalmente da Platone circa il tipo di cognizione in gioco
nel proporsi di f.mata: per Platone la f.iva è dovxa (I.3.8), dunque un atto
intellettuale, per Ar. la f.iva appartiene in toto all’ambito del senso.
Sottolineavo poi che la struttura argomentativa di G 3 richiedeva che la f.iva
intesa come perpetuarsi del moto percettivo ipotizzata alla fine del capitolo
(I.4) fosse il solo concetto di f.iva che Ar. proponesse come teoricamente
efficace, e che ci si dovesse sforzare di trovarlo all’opera non solo lì dove il
suo uso è dichiarato (Ins., Mem.) ma in genere ogni qual volta il corpus
psicobiologico parla di f.iva (propriamente intesa).
1.2 La mia tesi di Perfezionamento argomenta appunto che G 3 non è solo
una brillante discussione dialettica, ma anche il luogo in cui Ar. scopre una
nozione fondamentale per l’intera sua psicologia.
Mio obiettivo era in origine mostrar che il concetto di f.iva proposto in G
3 è la leva con cui Ar. vuol sollevar il masso dell’intenzionalità complessa:
risolvere il problema di come stati cognitivi dovuti ad a.sei" di colori,
suoni, odori, si riferiscano a enti complessi (cani, cibi, accadimenti, figli di
13
Diare, dimensioni del Sole). Al momento di affrontare il ruolo della f.iva
nell’a.si" di sensibili comuni e per accidens (III), dovetti per forza pormi il
problema di qual tipo di riferimento a oggetti nell’ambiente Ar. assegni alla
a.si" in genere: perplesso dalle interpretazioni di An. ispirate all’attuale
philosophy of mind, alla luce delle quali non riuscivo a darmi conto di come
una teoria sulla percezione possa essere (e quella di Ar. evidentemente lo è)
e massicciamente estendibile ad animali anche semplicissimi e irriducibile a
teorie del tipo stimolo-risposta, e dopo aver visto che gli attuali studiosi di
cognizione animale riescono nell’intento di formulare teorie corrispondenti
a questi due requisiti (e che dunque il problema non è in linea di principio
irresolubile), mi posi il problema di come Ar. avrebbe potuto formulare una
teoria di analoga portata senza aver a disposizione le metodiche sperimentali
degli attuali scienziati e le tecniche intrusive della moderna neuroanatomia
(c’è bisogno tra l’altro di ricordare che l’anatomia di Ar. è cardiocentrica?).
Giunsi così a formulare la mia interpretazione della teoria della mesovth".
Nei capitoli III-VI troverete questo principio esplicativo applicato ai vari
ambiti della cognizione che Ar. assegna alla parte sensoria dell’anima. In
ragione della mesovth" si producono – questa la teoria che attribuisco ad Ar.
– stati cognitivi semplici (a.mata), relativi a qualia esterni, che permangono
nel corpo dell’animale e tornano in gioco (come f.mata) in modo più o
meno appropriato (più o meno veritiero o fallace) in diversi contesti, così
contribuendo al costituirsi di stati percettivi complessi.
2. Il de anima nell’ambito del corpus psicobiologico
2.1 Un postulato della mia tesi è che An. sia un’opera coesa (cf. Feola
2006). Ciò implica che, se due passi sembrano contraddittori, va cercato un
modo di conciliarli. A mio avviso lo stesso principio ermeneutico vale (per
lo stesso motivo) all’interno del complesso An.+PN.
Argomento in breve la mia posizione.
14
La definizione dell’anima in B 1 è così sigillata (413a9-10)
tuvpw/ me;n ou\n tauvth/ diwrivsqw kai; uJpogegravfqw peri; yuch'".
come abbozzo, dunque, così sia determinato e delineato sull’anima.
In Platone (Prot. 326d3) uJpogravfein è l’atto del pedagogo di tracciare
sulla tavoletta di cera una linea, che lo scolaro seguirà per avvezzare la
mano alla forma delle lettere: in B 1 il verbo dunque allude alla necessità di
sostanziare di ulteriori indagini la definizione. Definire l’anima ejntelevceia
(412b5) indica la sua natura di compiutezza raggiunta in vista di un’attività
(ejnevrgeia). Infatti il seguito di An. delinea le ejnevrgeiai per le quali l’anima
è disposizione, soprattutto la a.si"; Sens., Mem., SV., Ins., Div. completano
il quadro trattando delle condizioni fisiologiche della a.si", o di attività con
l’a.si" strettamente connesse; MA. perfeziona la teoria (già enucleata in An.
G 9-11) sul rapporto tra a.si" e comportamento animale; GA. colma la
lacuna dovuta all’assenza in An. di un esame della riproduzione all’altezza
di quello dell’a.si"
2
; Long., Juv., Resp. affrontano temi specifici relativi
all’economia della vita organica
3
; PA. si occupa degli organi di cui si serve
l’anima per svolgere le funzioni
4
; HA. raccoglie osservazioni empiriche e
relative riflessioni sul cui sfondo collocare le teorie degli altri trattati.
Che queste opere siano parte di un unico progetto di ricerca, non lo si
evince solo dai loro argomenti e contenuti. Lo dichiara il prologo di Sens.
(436a1-17) che, indicando in An. un trattato “sull’anima in sé” (peri; yuch'"
kaq’ auJth;n 1) e sulle sue facoltà (dunavmei") da assumere a fondamento (5
uJpokeivsqw)
5
, promette come “successiva” (2 ejcovmenon) una trattazione
“sugli animali e sulle cose tutte che hanno vita”
6
, cioè sulle loro funzioni o
2
Forse Ar. rinviò lo studio della riproduzione finché non dispose di strumenti materiali
e concettuali all’altezza degli ideali di esattezza che si prefiggeva. È riconosciuto dai più
che il GA. fu la sua ultima, e più perfetta, opera scientifica: i risultati in essa raggiunti
richiesero un corpus di evidenze empiriche la cui raccolta deve aver richiesto decenni.
3
Relativi a cosa comporti per il vivente l’esser un corpo capace di determinate funzioni.
4
Menn (2003, p. 107) sottolinea l’intrinseca unità del blocco An. + PA.
5
An. quindi non presuppone altre opere biologiche, ma solo le fisiche (Bos 2003, p. 47).
6
peri; tw'n zw/vwn kai; tw'n zwh;n ejcovntwn aJpavntwn (3-4).
15
azioni (4 pravxei"), partendo “anzitutto dalle cose prime”
7
; “prime” sono (6-
17) le funzioni vitali che appartengono non a singole specie ma “a tutti gli
animali” (11 pa'si toi'" zwvvoi") o che sono “comuni a tutte le cose partecipi
di vita” (11-12 pavntwn […] tw'n metecovntwn zwh;n koinav) o “ad alcuni
degli animali” (12 tw'n zwv/wn ejnivoi")
8
. Gli esempi che 6-16 ne presenta
sono funzioni vitali trattate in PN.
9
e MA.
10
. Se in queste due opere si parla
delle “cose prime”, e se queste sono opposte (come da trattar “prima”) ad
altre che prime non sono, da trattarsi dopo, in queste trattazioni successive a
PN. e MA. è lecito vedere le altre opere biologiche.
2.2 L’unità costituita da An. e resto del corpus psicobiologico va trattata
con le stesse cautele con cui trattiamo quella di An. Le opere rimasero con
Ar. per anni o decenni, come parti di un unico progetto teorico; ma è aperta
la possibilità che Ar. non si sia accorto di contraddizioni tra teorie espostevi:
o perché scrisse moltissimo e morì in età non molto avanzata; o perché tali
contraddizioni erano indice di ineliminabili tensioni insite alle sue idee.
È poi improprio distinguer tra teorie esposte in opere diverse per trovarvi
un’evoluzione: se le opere rimasero presso l’autore per anni o decenni, è
ovvio che l’elaborazione di ciascuna influì su quella di ogni altra. La
condotta migliore è attenersi al progetto unitario che traspare dall’analisi di
A e Sens. 1
11
: assumere che il corpus giuntoci sia il sedimento di decenni di
7
prw'ton peri; tw'n prwvtwn (6).
8
La non esclusiva pertinenza di questi fenomeni a un solo genere è sintomo, agli occhi
di Ar., dell’impossibilità di ricondurne le cause alla natura delle singole specie: vanno
spiegati guardando a un livello più fondamentale dell’organizzazione funzionale del
vivente, ontologicamente anteriore (tw'n prwvtwn 6) alla distinzione tra singoli genera.
9
Sensazione e memoria (ai[sqhsi" kai; mnhvmh 8-9), veglia e sonno (ejgrhvgorsi" kai;
u{pno" 14), giovinezza e vecchiaia (neovth" kai; gh'ra" 14-15), inspirazione ed espirazione
(ajnapnoh; kai; ejkpnohv 15), vita e morte (zwh; kai; qavnato" 15).
10
Desiderio (o[rexi") con le sue varietà impeto e appetito (qumo;" kai; ejpiqumiva) e le
sue radici dolore e piacere (hJdonh; kai; luvph): 9-10.
11
In favore di tale unità argomenta in maniera per me convincente Cessi 1997.
16
lavoro finalizzato a fondare una scienza biologica coerente; rassegnarsi a
riconoscere incongruenze solo là dove esse appaiono con piena evidenza
12
;
tener conto che in un piano così ampio e complesso l’opinione dell’autore
su un dato problema è ricostruibile solo confrontando tra loro i diversi passi,
appartenenti a opere diverse, relativi a quel problema, e dando alle diverse
opere e ai diversi passi differente peso a seconda del luogo in cui
compaiono. Il problema della f.iva va dunque affrontato olisticamente,
mettendo in primo piano l’architettura generale del corpus, e privilegiando i
passi che, in base ai segnali che l’autore stesso ci dà, appaiono quelli da lui
considerati risolutivi.
3. Aristotele biologo della cognizione e filosofo
La teoria di Ar., quale emerge dalla mia ricostruzione, è forse un unicum
nella tradizione occidentale. In primo luogo Ar. è stato il solo (fino al sorger
della moderna biologia cognitiva, ormai in pieno XX secolo) ad affrontare il
problema della cognizione da una prospettiva che si pone esplicitamente e
dichiaratamente al di sopra della tradizionale dicotomia uomo-bestia. Ar.
pone che il nou'" distingua l’uomo dalle fiere; ma pone anche che larga parte
della cognizione umana sia indipendente dall’intelletto, e che possa essere
studiata iuxta propria principia, a prescinder dal suo legame con esso. A
stupefare per l’audacia non è tanto questa scommessa, quanto un’altra: Ar.
nega (se la mia ricostruzione è verisimile) la differenza apparentemente
radicale, apparentemente immediata, cui tendiamo a credere fin da bambini,
12
Wedin 1988 sostiene che la letteratura recente sottovaluti la coerenza ed estensione
del programma di Ar. (p. xi). Anche per Bos 2003 sono eccessive le contraddizioni che il
moderno dibattito ascrive ad Ar. (p. 363); e polemizza aspramente con l’automatica
(aprioristica) infalsificabilità delle tesi di Jäger (pp. 374-376): “Jaeger’s modern hypothesis
[…] provided its own immunization against any attempt to furnish material to falsify the
hypothesis”.
17
tra ciò che è ‘in noi’, nelle nostre anime o nella nostra interiorità, di cui le
altre persone possono venire a sapere qualcosa solo chiedendocene, o
congetturandolo dalle nostre azioni, e la nostra persona fisica esposta
all’osservazione di tutti. Per Ar. (come spero di mostrare) la privatezza delle
esperienze è un caso particolare dell’incompenetrabilità dei corpi
13
.
Non per questo Ar. è riduzionista. La cornice esplicativa, in particolare il
rapporto che egli suppone tra individuo e cosmo, gli permette di considerare
determinati modi di organizzazione dei corpi semplici (quei modi di
organizzazione che sono gli esseri viventi: felci, vermi, cani, esseri umani
…) non solo come più complessi o più duraturi di altri (col che, sarebbe
facilmente allineabile all’attuale materialismo) ma anche come capaci di
realizzar in sé un analogo (per quanto imperfetto) della autotelicità del
cosmo stesso. L’animale come ente capace di cognizione è per l’appunto
uno di questi analoghi. Ricostruire la dottrina di Ar. su ciò che differenzia
questo livello dell’organizzazione della materia dalle piante, è l’obiettivo di
questa tesi.
13
Si tratta d’una rivoluzione scientifica e di un cambiamento di paradigma paragonabile
alla sostituzione dell’astronomia eliocentrica a quella geocentrica proposta da Aristarco di
Samo. Forse non è un caso che ambedue queste proposte siano morte coi loro inventori, per
essere riscoperte solo dopo millenni.
18
19
I
LA DEFINIZIONE DELLA PHANTASÌA: AN. G 3
1. Il definiendum: An. G 3 nel suo contesto antropologico
1.1 In 428a1-2 Ar. distingue tra la f.iva “per la quale diciamo che per noi
si genera un favntasma” e un’altra, detta f.iva per traslato
1
: lascia da parte la
seconda e definisce la prima “moto generato dalla sensazione in atto”
2
.
Per cogliere il definiendum di questa definizione, bisogna sapere a cosa si
riferisca Ar. parlando del givgnesqaiv tini di un f.ma. La I persona plurale
levgomen (a1) allude a un uso linguistico collettivo; per saper quali fenomeni
psichici Ar. si proponga di definire bisogna chiedersi cosa significasse f.ma
nel milieu di Ar. e quale natura vi si attribuisse ai f.mata
3
. Quale ontologia
1
eij dhv ejstin hJ fantasiva kaq’ h}n levgomen favntasmav ti hJmi'n givgnesqai kai;
mh; ei[ ti kata; metafora;n levgomen: “se dunque la f.iva è quella per la quale diciamo
che per noi si genera un f.ma, e non [quella cui ci riferiamo] se parliamo per traslato”. Do
qui di f.ma … givgnesqai la resa più neutra possibile: ne valuto i sottintesi in 3.7.
2
kivnhsi" uJpo; th'" aijsqhvsew" th'" kat’ ejnevrgeian gignomevnh (429a1-2).
3
Si ricordi il ruolo che Ar. attribuisce alle opinioni dei più nella scoperta della verità.
Sono e[ndoxa (Top. A 1, 100b21-23) ta; dokou'nta pa'sin h] toi'" pleivstoi" h] toi'"
sofoi'", kai; touvtoi" h] pa'sin h] toi'" pleivstoi" h] toi'" mavlista gnwrivmoi" kai;
ejndovxoi": “le cose che risultano a tutti, o ai più, o ai sapienti; o a tutti costoro, o ai più, o ai
più famosi e illustri”; ta; e[ndoxa sono le cose quali appaiono (nell’attico del IV sec. a.C.
f.mai copre tutte le funzioni dell’uso intransitivo di dokevw: i dokou'nta sono sottoinsieme
dei f.mena) all’opinione dei più o di coloro la cui autorità è riconosciuta dai più. Gli e[ndoxa
(“le cose illustri, risapute”) sono le cose quali se le rappresenta la tradizione culturale della
comunità: vero che alla natura degli e[ndoxa è estranea la dimensione diacronica, costitutiva
del concetto di “tradizione”; ma di fatto l’uso linguistico (che per Ar. è il serbatoio degli
20
è sottesa all’uso di f.ma prima che An. ne codifichi il senso? Qual è
l’ontologia
4
sottesa alla locuzione che 428a1-2 lega al senso proprio di f.iva?
1.2 Usi di f.zomai, f.ma e f.iva prima di Aristotele
Fino all’epoca di Ar. Platone è l’unico altro autore presso cui f.iva sia
attestato con certezza
5
: tutta l’evidenza diretta sul valore prearistotelico di
e[ndoxa: che sono anche ta; legovmena, “le cose dette”) risulta da una tradizione: e perché i
figli lo ereditano dai genitori, e perché alla sua formazione hanno contribuito scrittori e
poeti del passato, il cui modo di esprimersi funge da esempio per quanti abbiano ricevuto
un’educazione adeguata; inoltre sofoiv erano per i Greci del IV sec. a.C. anche pensatori,
legislatori, poeti la cui autorità era sentita come vincolante: il modo in cui un poeta (magari
per bocca d’un suo personaggio) descrive qualcosa è creduto rappresentativo dell’opinione
d’un sapiente circa la natura di quell’aspetto del mondo, ed è fonte di e[ndoxa a esso relativi.
L’importanza attribuita agli e[ndoxa è attenzione alla tradizione culturale: discuterli, è un
modo per appropriarsi di quanto di vero può esservi in essa. Sul tema, fondamentali Owen
[1961] 1975 e (pur con esagerazioni) Nussbaum [1986] 1996, pp. 455-493.
4
Un’ontologia è un insieme di opinioni sulla natura delle cose. L’insieme delle opinioni
su cui si fonda l’uso linguistico sul givgnesqaiv tini di f.mata è l’insieme degli e[ndoxa
sulla f.iva in senso proprio, l’humus antropologico della teoria di Ar. sulla f.iva. È utile qui
l’idea di anthropological grammar elaborata da Havelock circa le società senza scrittura e
forse applicabile a ogni cultura o società umana: “In the behavior of language without
benefit of documentation, where is the principle of fixed order first perceptible? Surely in
the grammar of the language itself. […] But this kind of order is only formal and analytic.
It deals solely with the abstract properties of words. There is a second level of grammar,
which we might call the grammar of linguistic propriety, or ‘anthropological grammar’.
This requires that combinations of words make sense, as we say, in agreement with the
common experience of the group using the language. So the linguistic convention excludes
from the normative such statements as ‘man bites dog’ or that grapes are gathered from
thorns or figs from thistles” (Havelock 1978, p. 17, cors. mio). Per Havelock la grammatica
antropologica è la Weltanschauung di una comunità, in quanto si esplica in asserti cui quasi
tutti i membri della comunità assentono: quelli che esprimono un e[ndoxon. e[ndoxon è un
evento o stato di cose oggetto intenzionale di credenze condivise dai più. Tali credenze si
esplicano nella lingua. L’ontologia sottesa all’uso linguistico sul givgnesqaiv tini di f.mata
è la grammatica antropologica che regola il prodursi di asserti sui f.mata in accordo con
l’esperienza dei parlanti: con l’ejmpeiriva chiamata in causa da Ar. in rapporto agli e[ndoxa.
21
f.iva sono le 7 occorrenze nel corpus platonico
6
. La f.iva è “commistione di
sensazione e opinione” o opinione “a causa di sensazione”
7
in Soph. Ar. (G
3, 428a24-b9) respinge tali formulazioni; il Soph. non è dunque un’evidenza
utile: anche ponendo che Platone voglia caratterizzarvi la stessa f.iva che Ar.
definisce, nel farlo potrebbe aver mutato l’intensione di f.iva, rendendo le
occorrenze in Soph. non rappresentative dell’uso cui si riferisce G 3, 428a1-
2. Anche usare Theæt. 152b11-c1 è rischioso: f.iva è qui nomen actionis di
f.mai; rifiutando il concetto platonico di f.iva, Ar. rifiuta la concezione
platonica del f.qai; e lo stesso concetto di f.qai (e f.iva) esplicito in Soph. è
già operante in Theæt.
8
. In tutta la letteratura greca, l’unico uso di f.iva utile
5
Un’occorrenza è negli estratti dai Persikav di Ctesia di Cnido (III C, 688, F 1b, 435,
12 J), ma ignoriamo se l’uso di f.iva sia di Ctesia o del testimone; se di Ctesia, è questa la
prima attestazione nota di f.iva: Ctesia iniziò a scrivere nel 398 a.C. (Malamoud 1991, p. 9),
vari decenni prima che Platone scrivesse Repubblica, Teeteto e Sofista. In DK f.iva appare
37 volte; 5 occorrenze sono in un passo di Sesto Empirico riportato sia per Democrito sia
per Protagora (68 A114 = 80 A15): le occorrenze effettive sono 32. Di queste, 26 sono in
testimonianze, 6 in frammenti (2 in Empedocle 31 B108; 2 in Democrito: 68 B1a, 68 B166;
2 in Protagora 80 B1). In questi 6 casi f.iva compare non nel frammento, ma nel contesto in
cui è citato. Ecco la distribuzione delle occorrenze di f.iva per autori: Senofane 1 (21 A19);
Eraclito 1 (22 A12); Parmenide 1 (28 A1); Empedocle 3 (31 A81, 2 in 31 B 108); Ippocrate
di Chio 1 (42 A5); Clidemo 1 (62 A1); Leucippo 2 (67 A29, 67 A33); Democrito 19 (68
A1, 2 in 68 A92, 68 A113, 5 in 68 A114, 2 in 68 A118, 2 in 68 A125, 4 in 68 A135, 68
B1a, 68 B166); Protagora 7 (5 in 80 A15, 2 in 80 B1); Xeniade 1 (81 A1). Distribuzione
per testimoni: Sesto Empirico 8; Aezio 4; Teofrasto 4; Alessandro di Afrodisia 3; Filopono
3; Aristotele 2; Cicerone 2; Diogene Laerzio 2; Epifanio 1; Eusebio 1; Filodemo di Gadara
1; Platone 1 (Theæt. 152c1 = Prot. 80 B1). I due casi in cui Ar. è testimone sono passi non
psicologici ma dei Meteorologica (A 6, 342b32 ss. = Ippocrate di Chio 42 A5; B 9, 370a15
= Clidemo 62 A1): non c’è dunque prova di usi di f.iva prima di Platone; è anzi presumibile
che nessun presocratico usò la parola: altrimenti G 3 ne menzionerebbe la dottrina.
6
Rp. 382e10 (la prima sicura attestazione di f.iva nella letteratura greca), Theæt. 152c1,
161e8, Soph. 260c9; 260e4; 263d6; 264a6 (cf. Brandwood 1976, v. fantasiva).
7
suvmmeixi" aijsqhvsew" kai; dovxh" (264b2); opinione di’ aijsqhvsew" (264a4).
8
Si noti p.es. come dokevw sostituisce f.mai nei passi in cui Socrate descrive la dottrina
dell’homo mensura. Così esprime la dottrina 152a6-8: SW. Oujkou'n ou{tw pw" levgei [int.
22
a ricostruirne il senso primevo è Rp. 382e10: qui f.iva non è termine tecnico
di una teoria psicologica, e si può sperar di toccare il fondo preteoretico da
cui emergeranno i concetti di f.iva del tardo Platone e di Ar. Qui, nel quadro
di una concezione epico-tragica del divino, bollata da Socrate come
blasfema, f.iva è il f.z.qai (“mostrarsi”) di un dio a un mortale: apparendo
di persona (anche sotto mentite spoglie) o “producedo un f.ma”
9
di sé. È
allora essenziale, per capire G 3, sapere cosa siano in Rp. il f.z.qai e il f.ma.
Raffrontando l’uso platonico di f.z.mai ai precedenti
10
, si nota il passaggio
oJ Prwtagovra"], wJ" oi|a me;n e{kasta ejmoi; faivnetai toiau'ta me;n e[stin ejmoiv, oi|a
de; soiv, toiau'ta de; au\ soiv: a[nqrwpo" de; suv te kajgwv… (“SOCRATE – In tal modo [int.
dichiarando l’uomo misura di tutte le cose] Protagora non dice forse che, quali le cose a me
appaiono tali sono per me, e quali appaiono a te tali sono per te, visto che tu e io siamo
uomini?”); in 158e5-6 abbiamo invece oiJ ta; ajei; dokou'nta oJrizovmenoi tw'/ dokou'nti
ei\nai ajlhqh' (“coloro i quali determinano sempre esser vero ciò che risulta per colui a cui
risulta”). Il f.qai protagoreo è ciò che 152c1 chiama f.iva: confrontando tra loro questi
luoghi risulta che in Theæt. dokevw si presta altrettanto bene che f.mai a esprimer l’azione
della f.iva. E in 158b1-4 il sogno (paradigma di ciò che Ar. intenderà poi per f.iva: II) è
descritto come doxavzein (II.1.7). È proprio l’indistinzione tra f.qai, dokei'n e doxavzein che
Ar. combatterà, distinguendo in An. la f.iva dalla dovxa (3.8) e in Ins. il fantastikovn da to;
kuvrion kai; to; ejpikri'non (Ins. 2, 460b16-20; 3, 461a30 ss.: II.8).
9
Rp. 380d2 fantavzesqai a[llote ejn a[llai" ijdevai"; 382a2 favntasma proteivnwn.
10
In Erodoto f.z.mai indica la visitazione di Serse da parte di uno spettro (VII 15, 2),
l’ostentazione di taglia e forza da parte di alberi e fiere (VII 10e, r. 2), il porgersi degli sciti
all’occhio dei persiani (IV 124, 2). In Euripide, la nutrice esorta Ermione a non palesare
(Andr. 876) i propri sentimenti sulla porta di casa, Ione si manifesta a Creusa come figlio
(Ion 1444), un viandante potrebbe comparire (Ph. 93) sulla strada di Antigone. Sola
deviazione dal senso “porgersi allo sguardo” è Æschl. Ag. 1500, dove f.z.mai+dat. è inteso
dai più come “assumo le sembianze di qualcuno” (cf. in Omero ei[domai+dat.). Fränkel
spiega la stranezza (ad loc.) con un’analogia indotta dall’identità tra l’omerico ei[dwlon e
l’eschileo f.ma. Non nascondo il sospetto che anche in Ag. f.z.mai valga “mi manifesto”, e
che il dat. sia compl. di mezzo: “manifestandosi per mezzo della moglie ecc.”; Clitennestra
direbbe non che un demone ha assunto le sue sembianze (lei in persona che ruolo avrebbe?)
bensì che lei in persona è strumento della manifestazione del demone. Ma anche seguendo
Fränkel, va notato che se in un sistema letterario in cui ogni genere è fedele al suo lessico
23
(a) da un uso per lo più assoluto a uno per lo più predicativo
11
; e (b)
dall’assenza di valori decettivi
12
a una loro preponderanza
13
; f.ma passa (c)
da un valore idiosincratico (“spettro”, “figura onirica”)
14
a uno generico
(“apparenza”)
15
. Se nell’opera di uno scrittore termini tradizionali, poetici,
rari, serbano l’antico valore
16
accanto a una messe di nuovi usi, e se questo
scrittore e un suo allievo sono gli unici nel loro ambiente ad aver usato quei
tradizionale Euripide si allinea a Erodoto contro Eschilo, è presumibile che a innovar fosse
Eschilo, e che f.z.mai fu coniato prima dell’Ag. col valore che troviamo poi in Euripide.
11
In Platone f.z.mai ha 20 occorrenze: considerando predicativi gli usi in cui f.z.mai
ha per complemento un pred. nominale o un verbo all’infinito, assoluti quelli in cui non ha
complementi o ne ha di diversi dai suddetti, riguardano l’uso assoluto 7/20 occorrenze
(Soph. 265a8, Symp. 211a5, HipMa. 300c10, Rp. 380d2, 476a7, 572b1, Tim. 54c1), quello
predicativo 13/20 (Phæd. 110d3, Soph. 216c4, d1, Phil. 38 d1, d2, 51a6, Tim. 43e8, 46b3,
49d2, 49e9, 60a7, 65e4, 67e4). Pseudo-Platone: Epist. II 313c1 assol.; Epin. 983a2 pred.
12
Tranne che in Ag. 1500 (se è vera l’interpretazione di Fränkel) dove però è plausibile
che Eschilo innovò.
13
In 17/20 occorrenze platoniche f.z.mai indica un apparire di cui è lecito dubitare:
Soph. 265a8, 216c4, d1, Rp. 380d2, 476a7, Tim. 54c1, 43e8, 46b3, 49d2, 49e8, 60a7, 65e4,
67e4, Phæd. 110d3, Phil. 38d1, d2, 51a6; in 3/20 occ. il f.z.qai è verace: Symp. 211a5,
HipMa. 300c10, Rp. 572b1 (dove f.z.tai il sogno, non ciò che esso rappresenta).
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Eschilo: Sept. 710 (sogno); Euripide: Hec. 94, 390 (spettro), 54 (l’apparizione onirica
dell’ombra di Polidoro a Ecuba: f.ma usato come nomen actionis per la stessa ambivalenza
che dà a pevshma valori diversi in Or. 1548 e in IT. 1384). Perché, tra gli enti che f.z.ntai
(“si presentano”), la figura onirica è f.ma per eccellenza? Perché la sua natura si esaurisce
nel presentarsi; tra le cose che somigliano (ei[dontai) ad altre, è ei[dwlon quella definita in
toto dalla somiglianza con qualcos’altro; ugualmente, è detto f.ma ciò la cui natura consiste
in toto nel presentarsi (perciò in Æschl. fr. 312 sono f.mata le Pleiadi): f.ma ed ei[dwlon
indicano una sola cosa vista da due aspetti diversi. Le sole occorrenze preplatoniche in
prosa di f.ma sono nel corpus Hippocraticum: in Gland. 119, 24-26 disturbi al cervello
causano “apparizioni grottesche” (ajllokovtoisi fantavsmasin); in Virg. le pause del morbo
sacro sono a[neu fantasmavtwn, “senza apparizioni” (468, 11, 16). Cf. II.1.
15
In Platone conto 31 occorrenze di f.ma (Brandwood 1976). Qui noto solo che Prot.
356d4 all’“arte misurativa” (metrhtikh; tevcnh) oppone “la forza dell’apparente” (hJ tou'
fainomevnou duvnami") che produce l’illusione (favntasma d8) che svia dai beni maggiori.
16
f.ma indica lo spettro in Phæd. 81d2, f.z.mai l’epifania divina in Symp. 211a5.
24
termini
17
, si deve supporre un’innovazione cosciente, da spiegare in base a
sue proprie motivazioni espressive: il rifiuto della teologia omerica rende
per Platone prototipo dell’apparenza ingannevole ciò che in essa era vera
teofania (l’incontro col dio in figura umana, il sogno
18
); perciò elementi
dell’antico lessico teofanico sono volti a significare ogni apparenza (anche
fallace)
19
: l’espansione degli usi di f.ma nel tardo Platone si deve al suo uso
come parte del lessico di una psicologia razionale, nel cui ambito egli si
serve dell’ormai desacralizzato concetto di f.ma come elemento di una
teoria dell’apparire (f.qai) in generale. Se accade di sognare (ojneirwvttein)
“qualora qualcuno, nel sonno o da sveglio, reputa ciò che è simile a
qualcosa non simile ma identico alla cosa cui è simile”
20
, è sogno lo stato di
chi non distingue le Idee dalle loro immagini sensibili e crede che in queste
si esaurisca la Realtà
21
: le parvenze sensoriali mediante cui crediamo di
17
Platone e Ar. sono i soli nel IV sec. a usar f.z.mai, i soli in Atene a usar f.ma (TLG).
18
Rp. 380d1-6 condanna l’idea che il dio possa “mostrarsi in momenti diversi in forme
diverse” (2 fantavzesqai a[llote ejn a[llai" ijdevai") o (A) venendoci incontro di persona
(3 aujto;n gignovmenon) “mutando il proprio aspetto in molte forme” (3-4 ajllavttonta to;
auJtou' ei\do" eij" polla;" morfav") o (B) inducendoci a creder che muti d’aspetto (4-5)
“producendo una parvenza” (382a2 favntasma proteivnwn) che scambiamo per il dio. B
(corrispondente alle descrizioni tradizionali di visitazioni da parte di messaggeri divini) e A
sono varietà di ciò che in 382e10 è detto f.iva: B è la f.iva “per la quale diciamo che per noi
si genera un f.ma” di G 3 428a1-2; A, che non coinvolge f.mata e che è un porgersi
direttamente alla vista (pur se sotto mentite spoglie) sarà quella kata; metaforavn (3.7).
19
L’uso non derogativo di f.z.mai è ammesso ove l’equivoco tra i concetti tradizionale
e platonico del divino è impossibile (Symp. 211a5 fantasqhvsetai – b1 aujto; kaq’ auJtov).
20
Rp. 476c5-7: ejavnte ejn u{pnw/ ti" ejavnt’ ejgrhgorw;" to; o{moiovn tw/ mh; o{moion
ajll’ aujto; hJgh'tai ei\nai w/| e[oiken. Certo Platone si rendeva ben conto di contraddire il
senso comune nell’indicare il dormire come condizione dispensabile del sognare.
21
476c2-8: oJ ou\n kala; me;n pravgmata nomivzwn, aujto; de; kavllo" mhvte nomivzwn
mhvte, a[n ti" hJgh'tai ejpi; th;n gnw'sin aujtou', dunavmeno" e{pesqai, o[nar h] u{par
dokei' soi zh'n… […] jEgw; gou'n a[n, h\ d’ o{", faivhn ojneirwvttein to;n toiou'ton (“e
chi, riconoscendo le cose belle, non riconosca la bellezza in sé né, se qualcuno lo guida alla
cognizione di essa, è capace di seguirlo, ti sembra che viva un sogno o una veglia? […] Io
– disse quello – direi che quel tale sta sognando”).
25
conoscer le cose sono f.mata, come gli spettri onirici della tradizione
22
.
Nella percezione la Realtà si presenta (f.z.tai) mediante f.mata e tale
presentarsi all’opinione mediante parvenze è f.iva
23
. Platone chiama f.iva
l’opinare in base al senso perché crede che questo colga parvenze (f.mata)
di realtà, e perché f.iva era (Rp. 382e10) il porgersi alla cognizione (f.z.qai)
mediante f.mata. Ar. dà di f.iva
24
uguale definizione nominale (1.1) ma ne
caratterizza diversamente l’essenza.
2. G 3 nel suo contesto storico-filosofico: la phantasìa in A-B
2.1 Per Ar. e Platone f.iva è il porgersi alla cognizione mediante f.mata.
La definizione di G 3 429a1-2 è un’ipotesi formulata per spiegare i fenomeni
psichici dovuti al generarsi di f.mata. Quali fenomeni? Ar. eredita da
22
510a1, 516b5, 532c1 estendono il valore di f.ma a “immagine riflessa”. In 596d8-e3
Socrate prospetta la possibilità di produrre con uno specchio ogni sorta di cose; Glaucone
ribatte (e4) che produrremmo cose apparenti, non reali (fainovmena, ouj mevntoi o[nta):
com’è apparente (fainomevnhn 596e11) il letto che fa il pittore, che imita (mimhthv" 597e2) i
lavori del falegname. E ne imita i prodotti “quali sono o quali appaiono?” (a\ra oi|a e[stin
h] oi|a faivnetai… 598a5): il letto, visto di lato o di fronte, “forse che in qualcosa differisce
da se stesso? o invece non differisce in nulla, ma appare [essere] cose diverse?” (mhv ti
diafevrei aujth; eJauth'", h] diafevrei me;n oujdevn, faivnetai de; ajlloiva… 598a8-9). Il letto
non differisce, ma appare cose diverse (a10. Si giri con lo specchio attorno al letto: gli
ei[dwla che se ne producono sono infiniti; e infiniti sono i letti che appaiono nello specchio,
attraverso gli ei[dwla che appaiono sullo specchio: ogni ei[dwlon mostra qualcosa di
diverso, poiché vedendo un ei[dwlon non sapremmo congetturare com’è l’altro lato del
letto): la pittura, imitando il letto come appare da un dato angolo visuale invece che com’è,
è dunque “imitazione d’una parvenza”: fantavsmato" […] mivmhsi" (598b3-4).
23
In Rp. 382e8-11 f.iva è il f.z.qai di una divinità mediante un f.ma: il farsi creder
presente producendo una figura che sarà scambiata per la divinità stessa. L’estensione di
f.iva a indicare ogni dovxa “dovuta a sensazione” (Soph. 264a4-6), anche fuori dal campo di
credenze religiose, si deve alla proporzione Olimpî : f.mata = Idee : parvenze sensibili.
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Ove non altrimenti indicato, intenderò ormai per f.iva quella propriamente intesa.