XII
differenza, per quel limite umano, che ci viene ad interrogare con il suo volto
Unheimlich, inquietante?
Lacan afferma che il dovere etico di ogni analista Ł di non indietreggiare di fronte
alla psicosi; niente maschere, nØfalse soluzioni o facili abbagli.
Allora le curiosit che mi orientano nella stesura di questo lavoro sono
esclusivamente due; oltre a riconoscere che razza di soggettivit c Ł dietro ad
un esperienza liminare come quella psicotica, rimane da capire che tonalit possa
assumere un intervento istituzionale che non sia segregativi e neppure dondolante nel
puro intrat tenimento , ma che possa interfacciarsi quale apparato produttivo di
quotidianit , come afferma Correale.
Cercher sempre di riferirmi al plurale, ricordando che esistono le psicosi, le varie
dimensioni sintomatologiche e i diversi tipi di funzionamento (schizofrenico,
paranoico, melanconico), oltre alle varie sfumature personali; senza inseguire la
pretesa di svilupparne le tipologie in maniera esaustiva, ne cercher il tratto comune,
ci che fa s che si possa discernere una struttura psicotica e quali siano le
conseguenze di ci nel costituirsi dell esperienza del mondo, del linguaggio, degli
altri per il soggetto in questione.
L asse psicoanalitico Freud-Lacan mi Ł sembrato particolarmente interessante per la
rivalutazione dell incomprensibile psicotico nel campo del senso; l introduzione di
nozioni quali compensazione, scatenamento, supplenza problematizzano l unicum e
permettono di delineare interventi ed approcci differenziati, oltre a prospettare la
possibilit della supplenza quale modalit di stare nella psicosi, al di fuori dello
scatenamento; da quelle piø transitorie a quelle piø stabilizzanti.
Ma allora come pu l istituzione farsi dimora di possibili supplenze?
Che sia necessario un pensiero all interno delle istituzioni di cura affinchØ esse
dispieghino la loro potenziale valenza terapeutica? Che tocchi all Øquipe prendersi
sulle spalle la sorte di un paziente e dell istituzione in cui Łinserita?
Nel mio lavoro ho inteso l Øquipe come un gruppo di figure assai eterogenee, non
una semplice giustapposizione di specialisti, accomunate da un impegno comune;
quell impossibile che connota l investitura di chi cura, come, citando Freud, di chi
XIII
governa e di chi educa, che va ogni giorno problematizzato e interrogato affinchØ
non si diventi schiavi dell istituzione della ripetitivit , dei protocolli uniformati, della
scarsa motivazione.
Prenderci-cura, allora; noi, la nostra comunit , i folli, ma anche chi vi convive e vi
lavora. Il modo che ho trovato io, per ora, Ł stato condividere alcuni momenti con i
pazienti (l esperienza nella Comunit Terapeutica di Villa Bisutti, a Pordenone) e
con le Øquipe (a Villa Bisutti, ma anche alla Comunit Nicopeia al Lido di Venezia);
Ł qui che Ł nato il mio interesse per l argomento psicosi e la parallela necessit di
una cura dell istituzione stessa, affinchØ essa dispieghi le sue potenzialit
terapeutiche.
Ho osservato i movimenti che caratterizzano la vita istituzionale e sono stato a
contatto coi pazienti; ho cercato di starci, di sentire il limite al quale mi sono esposto
e al quale si espone chi lavora con questi soggetti quotidianamente.
Ho potuto osservare gli operatori delle Øquipe al lavoro, quegli esseri marginali, per
come li definisce Kaºs, acrobati sul luogo del confine sociale tra normalit e follia,
guardiani del sacro, di ci che ne rimane nell et della tecnica.
E l Øquipe che disegna e definisce questo spazio; sono le pratiche con cui lavora
quella materia prima che Ł il sacro della follia che dicono qualcosa delle
caratteristiche, dei destini, della struttura della societ cui apparteniamo.
Allora lo spazio che si prende l Øquipeper pensare la follia, quella dei malati, Ł in
diretto contatto con l ascolto che la societ fa della sua follia, di come decide di
pensare i propri pensieri, i paradossi che la attraversano, le ambivalenze che ne
scavano l interno.
S , perchØl Øquipe ha a che fare con la questione del limite; interno ed esterno alla
comunit di appartenenza, interno ed esterno all istituzione in cui Ł inserita, interno
ed esterno al gruppo che la compone, interno ed esterno ai singoli elementi che ne
fanno parte.
Come giocare con questo limen? Come una soglia o come un confine entro cui
barricarsi? Come questo si lega al benessere soggettivo del paziente, alla possibilit
XIV
del soggetto psicotico di andarsi a cercare quella supplenza che gli permetterebbe
una pacificazione, la possibilit di abitare una vita altrimenti esposta e problematica?
Nel primo capitolo ho seguito il percorso evolutivo che ogni soggetto compie per
giungere alla possibilit di simbolizzare la propria esperienza, meta di un tragitto in
cui si perde la coincidenza con il proprio essere per iscriversi nel campo delle
relazioni interumane, animate dal linguaggio e dal riconoscimento reciproco. Nel
secondo capitolo ho sviluppato le tracce del concetto di preclusione, inteso quale
meccanismo alla base della smagliatura che connota l esperienza psicotica, le
alterazioni che questo provoca nella comunicazione, nei processi di significazione e
nella possibilit per il soggetto di declinare il mondo dell universale del concetto nel
singolare della propria scelta, del proprio discorso.
Nel terzo capitolo ho cercato di considerare i percorsi che mantengono il soggetto al
di qua dello scatenamento psicotico (con conseguente compensazione) e quelli che
risultano piø affidabili, nel senso di garantire una supplenza piø stabilizzata. Questo
mi ha portato, nel quarto capitolo, a interrogarmi rispetto a come ci possa avvenire
in un istituzione. Ho cercato di delineare il percorso di cura che si auspica il paziente
psicotico possa percorrere e mi Ł sembrato necessario pensare ad una cura stessa
dell istituzione affinchØessa esprima le sue potenzialit intrinseche.
Ho voluto considerare allora le caratteristiche che possono renderla terapeutica, oltre
ai rischi iatrogeni che questa pu sviluppare, in conseguenza della posizione che vi
occupa ogni singolo operatore e il corpo curante.
Nel quinto capitolo ho eletto l Øquipe a custode della salute del paziente, oltre che
dell istituzione in cui Łimpegnata e, tramite le osservazioni partecipate alle attivit di
gruppo, alle supervisioni e grazie alle interviste narrative agli operatori, ho
approfondito il lavoro in cui essa Łcoinvolta quotidianamente.
Parte Prima
3CAPITOLO 1
1.1 La scelta etica della psicosi.
Tra la follia sana e la follia folle
E l essere dell uomo non solo non pu essere compreso
senza la follia, ma non sarebbe l essere dell uomo
se non portasse in sØla follia come limite della sua libert .
J. Lacan
In questo primo capitolo ho cercato di indagare il percorso che porta ognuno di
noi alla costruzione della sua realt , intesa come la meta finale di un tragitto che
fa dell uomo un essere dotato della capacit di simbolizzare la sua esperienza, di
conferirle un senso.
C Ł una difficolt in ogni evoluzione vitale, un vuoto iniziale che va arginato,
un angoscia che deve trovare rappresentabilit affinchØ si nasca alla vita, non
tanto biologicamente, ma come soggetti attivi, attori del proprio desiderio e del
proprio destino.
Non sempre si pu , non sempre ci si riesce. E una scelta che impegna tutto il
nostro essere, che deve svuotarsi di un eccesso di pieno, di pulsionale, di
biologico, per introdursi nel mondo familiare, culturale, sociale.
Ma nascere come soggetti ci trasferisce in un altrove che ha una lingua, un codice
e ci separa una volta per tutte dalla presunzione di essere interi, indivisi, identici a
noi stessi; l identit Ł un miraggio, specchio delle nostre brame e dei nostri vizi
piø capitali e proprio la psicosi risulter essere il trionfo dell identico a se stesso,
del congelato, del granitico.
E infatti quella sana follia, che ci permette di essere sempre diversi da noi stessi,
ci che ci guida nell orientamento del mondo; questa non Łaltro che l eterna sfida
4del continuare continuamente a crearci, il movimento piø autentico che
caratterizza la nostra vita.
Nella psicosi invece questa sana follia non viene accolta; viene rifiutato il limite
umano per eccellenza, il primo patto negoziale, quello legato all opportunit di
accedere al campo simbolico introdotto dal linguaggio.
Ma come si arriva a questo? Come mai lo psicotico Ł tagliato fuori da questa
dimensione?
Ogni vita Ł chiamata a decidersi, in quanto ci che la connota Ł la sostanziale
vertigine di possibilit in cui Ł implicata: il soggetto umano Ł allora
costitutivamente folle, gettato, direbbe Heidegger, in uno spazio aperto al di l di
un fondamento causa sui, che ne garantisca l esistenza.
La follia allora non Łun accidente che lo colpisce da fuori, Łuna situazione-limite
che accompagna l uomo, esiliato per sempre dai territori dell identico a sØ;
dunque libero, in una dimensione che lo sorpassa, che lo costringe a stare fuori di
sØ,a progettare il suo destino, ad oltrepassarsi continuamente.
La psicosi arriva a convergere con il confine piø marginale di questa libert .
E la tesi di Lacan, psichiatra e psicoanalista francese, vissuto nel secolo scorso,
nel suo Discorso sulla causalit psichica , in cui la follia contraddistingue
l uomo in quanto tale, anche quello sano.
La follia dei sani si esprime nella spinta indomita dell uomo verso la propria
immagine, nell arroganza autoconsistente della ragione cartesiana, nella
padronanza ideale della propria identit , la presunzione veramente delirante di
credersi un Io indiviso.
Nessuno Ł immune da questa tentazione che, per Lacan, contraddistingue l essere
umano in quanto tale.
La follia dei fol li , invece, si esilia qui dagli sterili territori nosografici della
psichiatria riduzionista, che ha contribuito a delinearne i caratteri di disfunzione
organica, deficit comportamentale, smarrimento alienato; ma non rientra neanche
nella prospettiva di scacco dell esperienza umana, connotata dalla psichiatria
fenomenologica di Jaspers e Binswanger.
5Se l essere coincide con il fondamento della libert umana, la follia dei folli
diventa una scelta etica, una seduzione dell essere , insita nella posizione di ogni
soggetto. Scelta etica non significa qui che di venta pazzo chi vuole , ma che il
soggetto Łchiamato in una decisione che ne impegner tutto il suo destino, che lo
opporr alle leggi di mediazione culturale, linguistica e simbolica.
Come ricorda Recalcati, diversamente da quanto avvenga nell autentica decisione
anticipatrice della morte, cioŁ nell accettazione della finitezza come condizione
propulsiva della vita, l assunzione della propria cifra umana nella psicosi non
passa per la limitazione del proprio essere, ma per il mantenimento di una
sostanziale unit e integrit , un miraggio di indivisione.
Il soggetto non riesce a svuotarsi di quell eccesso della nuda vita, dal carattere
maligno, caratterizzato dalla ripetizione della pulsione di morte, che Lacan
chiamer godimento, ma sar impegnato in uno strappo col quale [ ] cerca di
sottrarsi all Altro, di far valere la propria libert come un assoluto, rifiutandosi
allo scambio simbolico che l Altro impone.
1
Libert per altro pagata a caro prezzo, perchØsi ritorcer contro il soggetto, nelle
forme piø svariate dei fenomeni elementari, delle allucinazioni, del delirio.
La follia non risulta allora il radicalizzarsi della scissione soggettiva, ma il
risultato della stabilizzazione dell identit monolitica, che deriva dal processo di
auto-muratura ed espulsione dell Altro, di trapasso dall assoluto della libert
all assoluto di una vita prigioniera della propria reificazione, una vita incatenata al
volere dell Altro, il quale rappresenta colui che gode in maniera arbitraria e
capricciosa del soggetto, incarnando e riunendo le due istanze dell imperativo
superegoico e del godimento sadico (Devi! Godi!).
1
M. Recalcati, (2002), pag. 167; a questo proposito J. A. Miller, in La lezione delle psicosi,
ricorda piø specificamente che l uomo Ł nato in catene, le catene del significante, ovunque Ł in
catene, tranne l alienato; [ ] questi non ha voluto scambiare il godimento con il significante del
padre e il godimento gli Ł rimasto intimo, mentre il significante del padre precluso. E cos la
libert Ł sua, perchØnon ha messo nell Altro la causa del suo desiderio. Ma era a conoscenza che
sarebbe stato destinato per questo, logicamente, all amore dell Altro e alle sue assiduit fino alla
persecuzione?
6Godimento, che, in contrapposizione al desiderio, rappresenta un concetto coniato
da Lacan per collocare quell al di l del principio di piacere, di cui parlava
Freud; esso si contraddistingue per recare allo stesso tempo piacere e sofferenza,
ma ci che conta Łche rappresenti l invariabile, qualcosa che si soddisfa e di cui il
soggetto non sa nulla, che si impone secondo una pressione urgente ed agisce
silenziosamente, potendo esservi del godimento nella totale insoddisfazione ed
assenza di piacere.
Non si tratta allora nelle psicosi di una schizoidia, come ad esempio ne trattano
Bleuler e, successivamente, Minkowski, nel senso, cioŁ, di una perdita del
contatto vitale con la realt , del dinamismo mentale con l ambiente.
Certo, l ambi ente non Ł nØun insieme di stimoli esterni, nØdi atomi, nØdi forze
o energie, ma Ł un onda mobile che ci avvolge da ogni parte [...], e gli
avvenimenti ne emergono come isole, scuotono le fibre piø intime della nostra
personalit , la compenetrano
2
, ma se il rapporto con l esterno non Ł mediato
dalla simbolizzazione, gli altri risulteranno doppioni della mia personalit ,
presenze bidimensionali senza una loro intenzionalit e soggettivit .
Risulter solo io, solo l Io in quanto tale, ad organizzare un mondo di altri Io-
Ideali, investiti narcisisticamente ed odiati per il loro potere captatorio ed
oppositivo.
Ci che non avviene nel soggetto Ł il suo trasferimento in un altra dimora; da
quella meramente pulsionale a quella simbolica. Questa permette che il linguaggio
si faccia abitabile e che il mondo si popoli di Altre soggettivit , con cui il soggetto
possa comunicare, esprimersi, comprendersi.
Solo l apertura di uno spazio ospitale, quello non lascia essere il linguaggio ci
che per natura Ł,cioŁuna batteria meccanica di parole, uno sciame di significanti,
lascer entrare quello che Derrida chiama l Arrivant, l Altro assoluto, l Altro in
tutta la sua perturbante e misteriosa alterit . E qui l Altro innanzitutto Ł uno
2
E. Minkowski, (1953), pag. 49.
7spazio, quello offerto dal linguaggio, dalla possibilit di simbolizzare la parola e
dunque la propria esperienza.
E la questione dello straniero, dello xenos, colui che arriva da fuori, colui che
pone la prima domanda, colui al quale si rivolge la prima domanda
3
; come farlo
entrare nel proprio in una maniera creativa, e, allo stesso tempo, senza annullare il
suo carattere Unheimlich, portatore di una differenza che, mettendoci alla prova,
ci interroga, ci permette di domandare, ci trasmette la lingua con cui poterlo fare?
In questo paradosso si decide la sorte del soggetto.
Allora sar lo straniero, colui che viene da fuori (l Altro, il linguaggio) che tiene
in mano le chiavi del gioco, a patto che l hospes non sia subito rigettato
nell hostis, nel nemico a cui tanto si avvicina; sar lui che decider lo statuto del
padrone di casa, della soggettivit sovvertita da questo incontro, non piø padrone
in casa propria, direbbe Freud; l ospite sar colui che permetter a quest ultimo di
dirne qualcosa delle questioni della soggettivit (chi sono?) e del desiderio (cosa
voglio? cosa vuole lui da me?), passando per in un luogo Altro, per un Altra
Scena, quella del linguaggio.
L essenza dell ospitalit , la pratica del fare entrare l Altro nel proprio senza
chiedere la garanzia di un riconoscimento aprioristico, consiste allora nel perdere
la coincidenza con il proprio essere ed andarsi a cercare in un campo dischiuso
dalla lingua, dalla possibilit di farsi domanda della lingua; a ssimilare la natura
della follia a quella dell ospitalit , per evitare lo scatenamento incontrollabile
contro il vicino.
4
Nella psicosi l Altro rimane l altro piccolo della topologia lacaniana
5
; il
linguaggio non si apre alla simbolizzazione e l Altro intersoggettivo diviene per il
soggetto il vicino allontanato o assimilato al medesimo, senza alcun interrogativo
sulla sua estraneit , senza alcuna implicazione e riconoscimento dialettico, ma
come simile, replicante, ideale del proprio Io, o oggetto di scarto da eliminare
3
J. Derrida, (2000), pag. 40.
4
Ivi, pag. 26.
5
Per approfondimenti sulla topologia lacaniana, le formule da lui utilizzate per fissare alcuni
concetti psicoanalitici, si veda E. Bazzanella, Il luogo dell Altro, (1998).
8(con aggressioni o passaggi all atto); una versione dell immaginario del soggetto,
insomma.
E questo il movimento imprigionato dello psicotico per continuare ad affermare
la propria soggettivit che, per Lacan, Ł gi per intrisa di morte, di morte del
soggetto, di rigetto della follia dell ospitalit , quella sana follia che ci permette di
separarci da noi stessi per trovare sistemazione nel Campo Simbolico.
1.2 L Alterit che scava il soggetto:
contro l onnipotenza del proprio
-Lei non odia niente?
-Certo, risponde Zenone, qualcosa s .
-E cosa?
-L odiare
-E nient altro?
-Certo. Qualcos altro.
-E cosa?
-L essere, comunque, costretto a odiare.
Gunter Anders
L oggetto nasce dall odio.
S. Freud
Per arrivare a discernere quali sono i meccanismi in gioco nella psicosi, bisogna
prima cercare di capire di quale soggetto si stia parlando.
Il soggetto non esiste fin dalla nascita biologica; si potrebbe dire, con Freud, che il
primo tempo Łquello evocato da Platone, nel suo mito dell Androgino: Łil tempo
dell indifferenziato, del chiasma intrecciato di interno ed esterno, del godimento
mitico della Cosa (Das Ding freudiana), rappresentato dalla simbiosi madre-
bambino.
9 Ch iamiamo questo stato narcisismo e questo tipo di appagamento autoerotico. In
questo momento il mondo esterno non viene caricato di interesse ed Łindifferente
ai fini dell appagamento. Ecco perchŁ l Io coincide con ci che Ł piacevole ed il
mondo esterno con ci che Łindifferente.
6
Le pulsioni si soddisfano dunque ognuna per conto proprio, senza alcun tipo di
organizzazione complessiva ed il circuito che vanno a percorrere rimane limitato
al corpo del bambino, dove l eccitazione sessuale nasce e si placa sul posto, a
livello della zona erogena.
Qualcosa, a tale stato, deve ancora aggiungersi per fare un Io, per ordinare
l anarchia dei moti pulsionali, per costruire un oggetto totale.
L alterit irrompe per subito sulla scena, sottoforma di stimoli esterni, ai quali la
fuga rimane una soluzione parzialmente perseguibile, e sottoforma di stimoli
interni, che premono con la loro urgenza.
Il principio di piacere orienter il movimento di incorporazione ed espulsione,
finalizzato a staccare da sØla propria parte ostile, fastidiosa, che continua a farsi
sentire dall interno fisiologico, proiettandola all esterno e creando un inizio di
confine: i n quanto gli oggetti presentatigli sono fonti di piacere, l Io li accoglie in
sØ,li introietta [...] e dall altro lato espelle tutto ci che gli d dispiacere.
7
All amore narcisistico, indifferente al mondo esterno, si sostituisce l odio, riferito
ad un esterno che, paradossalmente, Ł il lato piø interno del soggetto, il quid
inscalfibile della pulsione, che, seppur proiettato fuori, non potr mai essere del
tutto allontanato dal soggetto, costituendone l essenza: l espulso, l oggetto
esteriorizzato, non Ł altro che un eccentricit ingovernabile e non simbolizzabile
che abita il soggetto stesso
8
.
Questo punto cieco, innominabile, Ł il luogo di un esteriorit interna (extimitØ),
qualcosa che resiste ad ogni tentativo di padroneggiamento, che risulter sempre
velato dalle barriere (Bello-Bene-Pudore-Sublimazione) con cui la cultura se ne
6
. S.Freud, (1915), pag. 826.
7
Ivi.
8
M. Recalcati, (2004), pag. 37.
10
difende
9
; Ł l orrore e la violenza della Cosa, l oscenit dell irrappresentabile, del
godimento autistico e rovinoso dell identico, dell informe, la coincidenza del
proprio essere con il male.
E infatti l Ausstossung, lo sputare, lo spingere fuori del bambino, antitetico al piø
naturale e biologico ingoiare, l atto che fonda il soggetto: il male che lo abita, lo
stimolo pulsionale reale che urtica di continuo il soggetto, viene fatto debordare
all esterno e crea una linea di separazione tra un dentro ed un fuori.
Il fuori nasce dunque caricato di odio, ma viene alla luce grazie al movimento di
espulsione, che trasforma il piø prossimo al soggetto nel suo estraneo radicale. Il
male costituisce una tentazione irresistibile per l uomo; rivolto all esterno,
proiettato sull alterit , esso rappresenta la piø intima variabile del proprio essere,
l incarnazione reale del limite umano. E l odio infatti il sentimento autentico che
caratterizza la propria condizione di divisione, di mancanza, di non
autosufficienza e completezza.
Il mondo esterno si forma allora grazie ad un primitivo giudizio di attribuzione,
che consiste nel concedere o rifiutare una propriet ad una cosa
10
, quindi un
giudizio sulla bont o meno dell oggetto, cui seguir un giudizio di esistenza (per
cui si ha la fiducia che una cosa rappresentata possa essere ritrovata nella realt ,
convincendosi che Łancora presente nel momento in cui sia rappresentata).
Freud ricorda che la condizione necessaria per l instaurarsi dell esame di realt Ł
che siano andati perduti gli oggetti che in passato avevano portato ad un
soddisfacimento reale.
11
Andati perduti e dunque staccati dal soggetto; questa
operazione apre alla possibilit che essi siano rappresentati, si abbia la fiducia che
continuino ad esistere anche nel momento in cui non sono percepiti.
Il risultato di questa prova evolutiva Ł dunque un estrazione di quello che Lacan
chiamer piccolo oggetto a, qualcosa che dal corpo dell infante se ne va una volta
per tutte, che contribuisce ad aprire quelle falle nel corpo che sono le zone
9
Lacan, nella nota Sul bambino psicotico afferma che o gni formazione umana ha per essenza, e
non per accidente, di raffrenare il godimento.
10
S. Freud, (1925), pag. 198.
11
Ivi, pag. 200.
11
erogene, veri e propri vuoti da cui partono i richiami che il soggetto rivolge
all Altro.
Vedremo come nella psicosi Ł proprio questo processo di simbolizzazione
originaria dell esperienza che fa difetto, cioŁ il giudizio attributivo della
Bejahung, della simbolizzazione originaria del mondo; questa rappresenta la
prima possibilit di discernimento tra interno ed esterno, risultato dell espulsione
originaria, condizione primordiale perchØdel reale qualcosa venga ad offrirsi alla
rivelazione dell’essere, o [...] sia lasciato-essere.
12
1.3 Tra corpo fisico e corpo vissuto..
i vuoti del corpo che domandano amore.
Il mio corpo Ł il perno del mondo[ ] .
Ho coscienza del mondo per mezzo del mio corpo
M. Merleau-Ponty
La pulsione ha a che fare con lo stato di Hilflosigkeit del bambino, la gettatezza,
per dirla con Heidegger, della sua condizione esistenziale: senza un armamentario
istintuale, senza script geneticamente ordinati o trasmissibili per via filogenetica,
il piccolo dell uomo si presenta al mondo secondo il dato di una vera e propria
prematurazione specifica della nascita,
13
che ne condiziona il destino, legandolo
indissolubilmente alla disponibilit di un Altro che si prenda cura di lui; all inizio
l Altro materno, il primo Umwelt, il primo mondo esterno.
Le urgenze pulsionali attivate da bisogni fisiologici si manifestano, all inizio,
attraverso pianti e urla; queste grida rischiano di trasformarsi in quella che Bion
definiva angoscia senza nome, uno stato in cui il mancato intervento materno fa
precipitare il bimbo in una condizione inabitabile, di orrorifica assenza di
pensabilit , dunque di arginazione e di contenimento dell esperienza. Se la madre
12
J. Lacan, (1966), pag. 379.
13
Ivi, pag. 91.
12
risponde all appello del figlio, interverr interpretandone il bisogno e
adoperandosi ora nutrendolo, ora scaldandolo, ora curandolo, ma non potr mai
arrivare a colmare una volta per tutte il richiamo del piccolo.
Cercher di spiegare questo passaggio che mi sembra fondamentale per le sorti di
ogni soggettivit .
La nozione di mancanza rappresenta la cifra umana per eccellenza; siamo soggetti
al limite, Ł la condizione comune di essere-per-la-morte (Heidegger), il dover
perdere qualcosa per scegliere qualcos altro, la separazione tra la realt e l ideale,
tra il desiderio e l oggetto che ne pacifichi una volta per tutte l apertura.
Semplificando un poco, nell interazione madre-bambino non esiste nessun Altro-
materno che sia cos assoluto, perfetto, telepatico, tale che al domandare del
bimbo (all inizio in forme arcaiche quali l urlo, poi tramite la parola) risponda
colmandone una volta per tutte (attraverso cibo, cure, attenzioni) le richieste, che
nascono dalla sua condizione di dipendenza strutturale e fisica. Anche la madre Ł
un essere strutturalmente mancante; ma dal riconoscimento o meno del suo limite
passeranno le sorti del figlio.
La madre sufficientemente buona sar infatti quella che si riterr mancante, che
avvertir di non poter soddisfare del tutto il proprio bimbo, che riconoscer il
resto che residuer sempre da ogni suo intervento e, proprio per questo, si
adoperer con l amore, che ha a che fare con il modo di dare, piø che con il cosa
dare. Proprio perchØlimitata (segnata dalla castrazione simbolica, dir Lacan), e
conscia del non poter bastare al figlio, ella cercher di supplire a ci tramite il
dono, arrivando a dare anche ci che non ha, quell amore che non sar altro che il
segno del suo limite, del suo essere-mancante, spinta propulsiva per creare nel
figlio quel desiderio che ne segner la vita e lo indirizzer nella sua ricerca di
conoscenza e, nell ambito intersoggettivo, del riconoscimento reciproco.
14
14
Tutto il tema amoroso in Lacan abbandoner il versante immaginario e narcisistico in cui Freud
l aveva veicolato, per delinearsi come una delle passioni dell essere, insieme all odio e
all ignoranza. Esso avr di mira il superamento della condizione di mancanza non reintegrando
l esteriorit dell oggetto tramite incorporazione, nemmeno scegliendo un oggetto
narcisisticamente simile al soggetto, oppure identificato al proprio Io-Ideale, ma partorendo nel