III
LA COMUNICAZIONE
“Coloro che interpretano
il simbolo, lo fanno a loro
rischio e pericolo.”
Oscar Wilde
Anche senza l’ausilio di un approfondimento glottologico, appare subito evidente che
“comunicazione” deriva da “comunità”; tuttavia, l’evidenza dello stretto rapporto fra
questi due termini non si limita soltanto alla sfera più propriamente linguistica, ma essi
trovano invece una più intima connessione nell’ambito della sociologia : Società,
Cultura e Comunicazione sono qualcosa di più che non una mera accumulazione
oggettiva di elementi suscettibili di seguire uno sviluppo lineare. Risulta fondamentale
una interpretazione soggettiva che solo
l’uomo è in condizioni di intraprendere e sviluppare.
3
Secondo l’etnologa americana Margaret Mead, “la possibilità di pensare e
comunicare il pensiero costituisce senza dubbio l’attributo peculiare dell’uomo, e le
modalità stesse di tale comunicazione, così essenziale al formarsi di ogni struttura
sociale, sembrano contraddistinguere i tipi di società che si sono susseguiti nella storia
dell’umanità”.
4
Più precisamente, è proprio la capacità di produrre e controllare sistemi
di comunicazione per l’immagazzinamento, lo scambio e la diffusione di informazioni
il punto cardine del cambiamento nella storia umana : fu la capacità di comunicare in
3
E. Mascigli Migliorini, La Strategia del Consenso, Rizzoli editore, Milano 1974, p. 57
4
M. Mead, “Some cultural approaches to communication problems” in Mass-communication, University of Illinois
Press, 1960- cit. in E. M. Migliorini Op. cit., p.51
IV
modo sempre più completo e preciso a permettere lo sviluppo crescente di tecnologie
complesse, di miti e leggende, di sistemi esplicativi, logici e morali e delle composite
regole di comportamento che rendono possibile la civiltà.
La storia dell’esistenza umana potrebbe quindi essere spiegata più propriamente
nei termini di una teoria delle transizioni, vale a dire una successione di fasi distinte e
distintive dello sviluppo della comunicazione umana, ciascuna delle quali di
importanza fondamentale sia per la vita individuale che per quella collettiva.
5
Ogni genere di comunicazione risponde al bisogno di tutti gli uomini di uscire
dall’isolamento individuale e di ampliare la propria esperienza tanto da poter vivere ed
agire come membri della comunità e come organi della società. Data la naturale
limitatezza della sua esperienza, ogni singolo componente di una società è tenuto a
tale ampliamento, per poter divenire parte integrante di essa.
6
IL CONCETTO DI COMUNICAZIONE
Ma più precisamente, che cos’è la comunicazione? E in che modo si pone nei
confronti della società?
La comunicazione si può definire come processo di trasmissione di significati
tra individui. Per gli esseri umani tale processo è fondamentale e vitale nello stesso
tempo: fondamentale in quanto l’intera società umana, antica o moderna, si basa sulla
capacità dell’uomo di partecipare intenzioni, desideri, sentimenti, conoscenze ed
esperienze ad altri uomini; vitale in quanto l’abilità di comunicazione aumenta le
probabilità di sopravvivenza dell’individuo, mentre la sua mancanza è ritenuta, in
genere, una condizione patologica della persona. Solo recentemente, tuttavia, il
problema della comunicazione è divenuto oggetto di ricerca scientifica e più
particolarmente di indagine da parte di studiosi di questioni sociali in determinati
campi e in special modo in quelli dell’antropologia, delle scienze politiche, della
psicologia e della sociologia.
7
Di qui, la socializzazione è essenzialmente l’esito del processo comunicativo
mediante il quale l’individuo viene in possesso della cultura del suo gruppo e ne
interiorizza le norme sociali, così da indurlo ad un comportamento che prenda in
considerazione le aspettative degli altri. E’ opportuno evidenziare come la
socializzazione sia un processo inarrestabile, che si estende per tutta la durata della vita
di ciascun essere umano. Di norma si tratta di un processo intenzionale, ma
occasionalmente essa si attua in modo inconsapevole e involontario allorché
l’individuo raccoglie elementi relativi a norme sociali senza uno specifico
insegnamento.
8
5
Dei Sergio, Teorie e Sistemi delle Comunicazioni Sociali- Le nuove vie della comunicazione sociale,
Intergraphica,1998, p. 23
6
Erich Feldmann, Theorie der Massenmedien.Presse.Film.Funk.
Fernsehen . E.Reinhardt Verlag, München – Bassel 1962 Neue Studien zur Theorie der Massenmedien E.Reinhardt
Verlag, München – Bassel 1969 trad. it. Teoria dei Mass-Media a cura di C.D’Altavilla Armando ed., Roma 1973,
p.243
7
Dei Sergio, Op. cit., pp.61-62
8
Dei Sergio, Op. cit., p. 98
V
Quindi un concetto di comunicazione sociale ritiene ben fisse quattro funzioni
primarie nei confronti della società:
1. Servire da veicolo nell’organizzazione e articolazione della società, è una
condizione indispensabile per evitare la sua cristallizzazione;
2. Rendere partecipi individui e gruppi nella società, facendo di essa un
contesto coerente, grazie a un sistema e un sottosistema di comunicazione,
regolando e controllando le forme di socialità e di secolarizzazione, esercitando una
funzione educativa nella elevazione sociale dei propri componenti;
3. Realizzare l’elevazione dei contenuti della società, accumulando e
arricchendo il patrimonio sociale e culturale;
4. Incanalare l’evoluzione della società, indirizzando le proprie possibilità
dialettiche e regolando le ristrutturazioni attraverso una serie di modelli equilibrati,
col fine di armonizzare gli aspetti della socializzazione.
9
DINAMICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA
Nel 1948 Harold D. Lasswell ha espresso sintetizzandoli gli elementi e le
caratteristiche della comunicazione: “Un modo appropriato per descrivere un atto
comunicativo consiste nel rispondere a queste domande : Chi? Dice cosa? Attraverso
quale canale? A chi? Con quale effetto?”
10
Il concetto di comunicazione ha del resto anche una sua funzione meccanica
(struttura, segni, significante e significato) e dinamica (trasmissione dell’informazione,
messaggio, codice) che, quindi, implicano una azione. Questa presuppone due poli: il
trasmittente e il ricevente che, in teoria, dovrebbero svolgere non una funzione
antinomica, bensì un programma di attività coordinata e quindi eventualmente
unanime.
In effetti, se non esiste un principio di attività o di azione in comune fra chi
emette e chi riceve la comunicazione, essa sarà come non avvenuta: non si avrà
comunicazione.
Seguendo le teorie dello Schramm - che saranno suo malgrado alla base della
“strategia del consenso”- potremmo sintetizzare con un diagramma il processo di
comunicazione sociale :
9
E.Mascigli Migliorini, Op. cit. p. 60
10
Dei Sergio, Op. cit.,p.269
VI
Gli elementi richiesti dal processo di comunicazione sono, quindi, essenzialmente tre:
una fonte, un messaggio e un destinatario. La prima operazione che l’emittente compie
è quella di codificare il proprio messaggio, cioè di porre in forma trasmissibile la
propria idea. Non appena codificato ed emesso, il messaggio compirà il tragitto dalla
fonte al ricevente. A questo punto, l’emittente non avrà raggiunto il proprio scopo se la
decodifica del messaggio compiuta dal ricevente non coinciderà con l’immagine
creatasi nella mente dell’emittente prima della formulazione ed emissione del
messaggio stesso.
Viene così a delinearsi l’intimo significato della comunicazione, che non
consiste quindi in una mera trasmissione di informazioni ma postula necessariamente
per la sua effettuale esistenza una interazione tra l’emittente e il ricevente.
La codifica del messaggio, infatti, comporta per l’emittente una serie di scelte in
vista del voler raggiungere l’effetto di comunicazione che egli si propone. In primo
luogo egli avrà selezionato il canale di cui avvalersi per la trasmissione, usando un
codice di espressione, intendendosi per canale quel veicolo di natura fisica, sollecitato
da un tramite fisiologico o tecnologico, o di entrambe le tipologie, che costituisce il
mezzo attraverso cui i messaggi sono trasmessi nella sfera sociale. Giunti a questa fase
di “decodifica” il processo potrebbe già ritenersi concluso con un atto che potremmo
definire però di pseudo-comunicazione: ossia, il ricevente ha recepito il messaggio a
livello di comprensione, ma deve procedere con la fase di interpretazione affinché
questa possa rientrare nei termini di una vera e propria comunicazione. Ciò che
interessa quindi, ai fini dell’ipotesi di comunicazione sociale, è che l’originale
emittente, al termine della propria azione di trasmissione del messaggio, diventi a sua
volta ricevente tramite un processo di feedback, e che sia in grado così di dare di
nuovo inizio al processo in modo circolare.
11
CENNI STORICI SULLA COMUNICAZIONE
Nella storia dell’umanità i sistemi di comunicazione via via succedutisi si sono
mescolati e combinati fra loro; ricordiamo infatti che per la teoria delle transizioni
ciascun passaggio è una fase di un processo di accumulazione e non un periodo in se
distinto e concluso.
Dal momento che lo sviluppo della capacità comunicativa è intimamente
connesso all’evoluzione umana, risulta evidente come quest’ultima abbia determinato
lo sviluppo della comunicazione, e di conseguenza anche dei mezzi che la rendono
possibile, in modo continuo e graduale passando senza soluzione di continuità da un
sistema elementare di veri e propri grugniti e di gesti fino a giungere alle
comunicazioni telematiche della nostra era.
11
E. M. Migliorini, Op. cit. p.53 e segg.
VII
Molto sinteticamente, potremmo suddividere questo lasso di tempo in varie fasi,
la prima delle quali fu con ogni probabilità l’età dei segni e dei segnali , iniziata molto
presto con i pre-ominidi e i primi tipi proto- umani, in un’epoca decisamente anteriore
a quella in cui i nostri progenitori imparassero a camminare in posizione eretta. Com’è
facile immaginare, in questo tipo di comunicazione non verbale il ruolo predominante
era svolto dall’istinto e dall’ereditarietà, mentre i comportamenti comunicativi legati
all’apprendimento erano ridotti al minimo; inoltre, l’uomo dell’età dei simboli e dei
segnali doveva limitare la complessità dei suoi messaggi e doveva veicolarli
lentamente. Dovettero passare milioni e milioni di anni prima che venisse adottato
qualche sistema standardizzato, il che significa insegnato e appreso, di gesti, suoni e
altri segnali che potesse essere utilizzato dalle generazioni successive, ma il
cambiamento davvero radicale si ebbe quando gli esseri umani entrarono nell’età della
parola e del linguaggio. Sebbene non tutti gli antropologi siano concordi sulla
datazione di questa fase, esistono prove convincenti che questa fosse già iniziata con la
comparsa dell’uomo di Cro Magnon, attestando l’uso del linguaggio a partire dal
periodo compreso fra i 90.000 e i 40.000 anni fa. L’uomo di Cro Magnon acquistò così
un indubbio vantaggio sull’uomo di Neanderthal proprio grazie alla sua superiore
capacità di comunicare e trasmettere ai discendenti le conoscenze acquisite.
Fu soltanto 5.000 anni fa che gli esseri umani realizzarono il fatidico passaggio
all’era della scrittura, in un’area compresa tra le odierne nazioni di Turchia, Iraq, Iran,
Egitto, popolate in quell’epoca, dai Sumeri e dagli Egizi. L’ “invenzione” della
scrittura segna il passaggio dalle rappresentazione pittografiche ai sistemi fonetici, cioè
dalla rappresentazione di idee complesse con simboli e disegni stilizzati all’uso di
semplici lettere per rappresentare suoni specifici. Ma se le immagini non contengono
significati o interpretazioni codificati secondo schemi condivisi dalla comunità
parlante, esse sono di scarsa utilità come supporto alla comunicazione, quindi la
soluzione era riposta nello sviluppo di significati standardizzati per le rappresentazioni
pittografiche. Intorno al 4000 a.C., comparvero per la prima volta in Mesopotamia e in
Egitto delle iscrizioni apparentemente associate a particolari significati: il segreto era
che le regole erano inventate e convenzionalizzate, cosicché queste rappresentazioni
suggerivano significati specifici. Le rappresentazioni di idee che venivano così a
realizzarsi potevano essere preparate da una persona e recuperate da un’altra. Intorno
al 1700 a.C., invece, i Sumeri passarono dall’utilizzo di un alfabeto cuneiforme allo
sviluppo di un scrittura fonetica, cosa che facilitò enormemente l’alfabetizzazione
essendo sufficiente ricordare un centinaio di simboli per tutte le sillabe della lingua
anziché le migliaia corrispondenti a tutti i vari concetti. Infine, furono gli antichi Greci
a sviluppare il sistema di standardizzazione più efficace e a semplificare il tutto:
intorno al 500 a.C. essi disponevano di un alfabeto il cui utilizzo era molto diffuso;
successivamente, l’alfabeto Greco passò ai romani che lo modificarono e lo
migliorarono ulteriormente.
Strettamente connesso all’idea di comunicazione è l’evoluzione dei mezzi
tramite cui essa avviene; i primi segni realizzati volutamente dall’uomo sono state le
incisioni sulla pietra, che presentava sì il vantaggio di conservarsi nel tempo, ma
contemporaneamente enormi difficoltà di trasporto. Man mano che le antiche società
diventavano più complesse si faceva sempre più pressante il bisogno di trovare mezzi
VIII
più maneggevoli per veicolare la cultura. Dopo le tavolette di argilla, nel 2500 a.C. gli
egiziani scoprirono un metodo per produrre dalla pianta del papiro un tipo di carta
resistente; rispetto alla pietra, questo era un materiale infinitamente più leggero e
inoltre era molto più facile scrivere sul papiro con inchiostro e pennello che incidere
geroglifici sulla pietra.
L’acquisizione di una tecnologia di comunicazione basata su un mezzo leggero e
trasportabile, unitamente ad un sistema di simboli scritti che potevano essere tracciati
velocemente, creò le condizioni necessarie per grandi cambiamenti sociali e culturali:
le idee potevano essere immagazzinate, accumulate e richiamate dalle generazioni
successive.
Questo fu il passo decisivo nel cammino del genere umano attraverso l’età della
scrittura.
Le pergamene in papiro cominciarono ad essere sostituite dalla carta a partire
dal VIII secolo, espandendosi progressivamente da oriente ad occidente; ma soltanto
dopo l’invenzione della stampa nel XV secolo le élites politiche e religiose, gli studiosi
e gli amanuensi iniziarono a perdere il monopolio della lettura e della scrittura. Mentre
si diffondeva l’alfabetizzazione furono pochi a comprendere che essa era destinata a
condizionare profondamente il cammino della storia umana.
Di qui in poi il ritmo della tecnologia umana ha subito una accelerazione di
carattere esponenziale: nell’arco degli ultimi cento anni vedranno la luce il telegrafo, il
cinema, la radio, la televisione, fino ad arrivare, nell’ultimo quarto di secolo, alle fibre
ottiche, ai Personal Computer, ai satelliti di comunicazione, alla telematica.
12
L’importanza e la rapidità di questa evoluzione si può cogliere appieno facendo
un breve “riassunto” degli ultimi 5000 anni circa:
13
• 4000 anni tra il papiro e la carta;
• 1000 anni tra la carta e la stampa;
• 1 secolo tra la stampa a grande tiratura e la televisione;
• un quarto di secolo tra la televisione e la telematica.
12
Dei Sergio, Op. cit., pp.22-47
13
Gérard Metayer, La Société Malade De Ses Comunications?, Bordas, Paris 1980 – Trad. It. La Società E’ Malata Di
Mass-Media? a cura di C. M. Cristiana Carbone, Armando Ed. Roma 1986, p. 106
IX
I MASS MEDIA
“Bisogna che tutto cambi,
perché nulla cambi”
G.Tomasi di Lampedusa, “Il
Gattopardo”
LA COMUNICAZIONE DI MASSA
Dopo aver introdotto il concetto di comunicazione nelle sue varie sfumature, occorre
una definizione funzionale di Comunicazione di Massa, descrivendo alcune sue
caratteristiche che ci aiutino a differenziarla da altre forme di comunicazione umana.
Nell’uso comune l’espressione “comunicazione di massa” richiama alla mente la
televisione, il cinema, la radio, i giornali, i fumetti, internet; ma questi strumenti
tecnici non devono essere confusi con il processo formativo della comunicazione di
massa. Infatti, essa non è semplicemente sinonimo di comunicazione per mezzo della
radio, della televisione o di qualsiasi altro strumento tecnologico: sebbene la moderna
tecnologia sia essenziale allo svolgersi di tali processi comunicativi, la sua presenza
non è sempre indice di una comunicazione di massa.
Ad esempio la ripresa televisiva di una riunione politica e la sua conseguente
diffusione su scala nazionale è comunicazione di massa; invece, la ripresa in circuito
chiuso per mezzo della quale un ingegnere controlla le operazioni di una catena di
montaggio non si può classificare come tale; o ancora, più esplicitamente, un film
hollywoodiano è una comunicazione di massa, mentre il filmino girato in vacanza e
mostrato a casa agli amici evidentemente non lo è.
Da qui risulta subito chiaro come non siano le componenti tecniche dei moderni
sistemi di comunicazione che fanno di questi dei mezzi di comunicazione di massa,
bensì un particolare genere di comunicazione che coinvolge condizioni operative
peculiari, prima tra esse la natura del pubblico, dell’esperienza comunicativa e del
comunicatore: la comunicazione di massa è diretta ad un pubblico relativamente vasto,
eterogeneo ed anonimo, mentre messaggi (di qualunque natura essi siano) diretti a
determinate individualità non possono essere considerati come comunicazione di
massa.
Cominciamo con ordine, cercando di capire cos’è un pubblico relativamente vasto,
eterogeneo ed anonimo, considerando che i criteri di definizione impiegati hanno un
X
carattere necessariamente relativo; per esempio, quando un pubblico è vasto? Abbiamo
dei casi ove è facile stabilirlo : milioni di telespettatori è un pubblico vasto, una
lezione universitaria rivolta a qualche decina di studenti, no; ma questi sono dei casi
che potremmo ben classificare come casi-limite.
Una definizione che potrebbe risultare calzante e appropriata ai fini di questo studio
sarebbe quella che individua come vasto un qualsiasi pubblico esposto per breve
tempo e tanto numeroso che il comunicatore sia impossibilitato a un’interazione
individuale e diretta con ogni singolo individuo componente il “pubblico”.
L’eterogeneità come requisito inoltre esclude dal concetto di comunicazione di massa
quelle comunicazioni dirette ad un particolare - e quindi in un certo senso ristretto-
gruppo di persone, come possono essere i membri di un partito o di una classe
dirigente, mentre la condizione di anonimato postula che i membri del pubblico
singolarmente presi rimangano personalmente sconosciuti al comunicatore.
Altre peculiarità delle comunicazioni di massa sono l’essere pubbliche, rapide e
transitorie: pubbliche perché non essendo i messaggi indirizzati ad alcuno in
particolare, il loro contenuto è soggetto a pubblico controllo; sono rapide perché i
messaggi sono fatti per raggiungere ampi strati di popolazione entro un tempo
relativamente breve; infine sono transitorie in quanto usualmente destinate a
l’immediato consumo e non ad essere conservate come testimonianze durevoli.
14
Ancora, le forme comunicative dei mass media prendono un diverso carattere a
seconda della loro finalità.
Ad esempio, le comunicazioni di ogni giorno che si sviluppano per mezzo del
linguaggio e degli scritti hanno, per lo più, un carattere semplicemente informativo;
esse trasmettono notizie di diverso genere, singole esperienze, idee e contenuti vari. La
caratteristica dell’informazione è la sua oggettività, che dovrebbe contrassegnare il
contenuto della comunicazione e rendere possibile un collegamento altrettanto
oggettivo fra i due poli in essa coinvolti. Invece, nella misura in cui la comunicazione
è in relazione con la ricezione di essa, la forma che le si da può rivestire un certo
carattere didattico o, più marcatamente, assumere tendenze regolatrici. Nella loro
intenzione e nella loro forma le comunicazioni a carattere regolativo mirano, già in
partenza, ad influenzare il destinatario, cercando di fargli assumere un atteggiamento o
di fargli compiere un’azione predeterminata. La situazione caratteristica della
regolazione come comunicazione è definita dalla dipendenza del destinatario rispetto
al mittente: da un lato, vi è l’intento di esercitare una influenza sulle opinioni,
sull’atteggiamento e sull’agire altrui determinando la volontà del soggetto, dall’altro
resta sempre possibile a quest’ultimo accettare, respingere o modificare ciò che gli
viene suggerito. Infine tutte le comunicazioni che mirano a distrarre, a divertire, a
procurare uno svago o un godimento estetico si possono ritenere comunicazioni
stimolatrici; l’attività stimolatrice è effetto della accettazione soddisfatta della
rappresentazione da parte del destinatario, e di essa fanno parte le trasmissioni
radiofoniche, televisive, gli spettacoli teatrali e cinematografici, le manifestazioni
sportive, musicali, nella misura in cui tutto ciò abbia bisogno di una comunicazione.
15
14
Sergio Dei, op. cit., p.64
15
Feldmann, op. cit., p. 69-73
XI
Da ciò ne consegue che il ruolo di chi riceve varia in base alla sostanza e alla forma del
messaggio e in base alla sua dinamica teleologica: nel caso di semplici comunicazioni
informative, chi riceve diventa partecipe di ciò che sa chi comunica; in quelle
regolative egli diventa il suo allievo, il suo seguace, oppure il suo oppositore; in ogni
comunicazione stimolatrice diviene un consumatore.
16
STORICITÀ DEL CONCETTO DI “MASS MEDIUM”
“Procurando un accesso diretto a informazioni e assistenze di tutti i tipi, il sistema di
informazione - comunicazione potrebbe migliorare la qualità della vita di una
maggioranza di cittadini, ma potrebbe altrettanto bene portare all’esplosione della
società. Uno strumento buono per tutte le occasioni come questo non spingerà i
cittadini ad isolarsi dietro un muro di elettronica, restringendo ancora le loro
possibilità di stabilire questi contatti umani che sono indispensabili ad una esistenza
equilibrata? Per molti una visita dal medico, un incontro con l’assistente sociale o
l’uso della biblioteca comunale rivestono un significato psicologico e sociale che va
ben al di là della risposta soddisfacente alla situazione specifica che li ha motivati. E
quale uso verrà fatto del tempo risparmiato? Sarà usato per trar profitto dalle nuove
possibilità educative offerte, o porterà ad un accresciuto sentimento di frustrazione o di
isolamento?”
17
Questo rapporto della prestigiosa Accademia Nazionale delle Scienze americana,
pubblicato poco più di venti anni fa, metteva in luce i vari aspetti sociologici della
problematica relativa alle comunicazioni di massa che sono stati ampiamente discussi
in questi due decenni; pressappoco a momenti alterni, i punti chiave della discussione
sui mass media si riducevano alla classica domanda da linguaggio farmaceutico:
“fanno bene o fanno male?”
Vale a dire, cioè, quali sono le funzioni e le disfunzioni dei mezzi di comunicazione di
massa nella nostra complessa – e complicata – società sempre più tecnologica? Quali
sono e quali possono essere gli effetti e le conseguenze di una mediatizzazione sempre
più globale, soprattutto su quelle porzioni di “pubblico” non sempre pienamente
coscienti del proprio ruolo? Infine, archiviati ormai anche gli anni ’90, è plausibile
parlare ancora del rapporto mass media - audience con termini dal sapore anacronistico
configurati sull’archetipo “tiranno - popolo oppresso”?
Prima di puntare l’indice -a torto o a ragione- sui mass media, consideriamo come tutti
mezzi messi a punto dalla tecnologia dell’uomo per migliorare le sue capacità
comunicative sono stati, ciascuno a suo tempo, visti come degli attentati all’ordine
costituito, alla religione, all’integrità persino fisica del singolo; basti pensare alla
“rivoluzione” apportata dalla invenzione della stampa da parte del tedesco Gutenberg
anche a livello sociale: per la prima volta le Sacre Scritture erano disponibili per tutti –
o quasi – in una lingua diversa dal latino. La Chiesa di Roma non ne aveva più il
controllo assoluto che le era stato garantito dall’uso di una lingua antica: il fatto che la
gente normale potesse leggere direttamente nella propria lingua le Scritture si tradusse
16
Feldmann, op. cit., p.89
17
Telecommunications for Metropolitan Areas: opportunities for the 1980’s National Academy of Sciences, 1978-G.
Metayer, op. cit., p.176
XII
ben presto in una sfida alle autorità ecclesiastiche. Così, un nuovo mezzo di
comunicazione aprì la strada alla protesta contro le strutture sociali e religiose.
Tornando ai giorni nostri, mentre i mezzi di comunicazione di massa continuano ad
essere visti soprattutto come problemi sociali, il Lazarsfeld e il Merton hanno indicato
quattro cause di preoccupazione del pubblico in riguardo ai mezzi di comunicazione.
Primo, molte persone sono spaventate dalla onnipresenza dei mass media e dal loro
virtuale potere di manipolare l’uomo per il bene e per il male, e sentono di avere poco
o nessun controllo su questo potere; secondo, altre temono che i grossi interessi
economici possono usare dei mezzi di comunicazione per assicurare la conservazione
dello status quo sociale ed economico, minimizzare la critica sociale, riducendo le
capacità critiche del pubblico; terzo, gli esperti sostengono che i mezzi di
comunicazione dovendo uniformarsi alle esigenze di vastissimi pubblici possono
causare il decadimento del gusto estetico e del livello culturale delle masse; quarto,
altri rimproverano i mezzi di comunicazione di massa di aver nullificato le conquiste
sociali per le quali i riformatori hanno lottato per decenni.
18
Fino a pochissimo tempo fa, la maggior parte degli studiosi di comunicazione aveva in
mente un’immagine della società come (un insieme di) individui atomizzati, collegati
con i mass media ma non gli uni agli altri. La società, cioè “l’audience”, era concepita
come una serie di aggregati per età, sesso, classe sociale, ecc., ma si prestava poca
attenzione alle relazioni implicate e quindi alle relazioni di tipo più informale. La
questione non è che gli studiosi di comunicazioni di massa non sapessero che i membri
del pubblico avevano famiglia ed amici, ma che non credevano che essi potessero
influenzare gli esiti di una campagna. Le relazioni interpersonali informali erano
quindi considerate irrilevanti per le istituzioni della società moderna.
19
Sintetizzando, in un clima di marcato bipolarismo: da una parte i media onnipotenti,
che diffondono i messaggi, e dall’altra le masse atomizzate che aspettano di riceverli, e
in mezzo niente; questa era, e per alcuni è ancora, la prospettiva in cui si poteva
inquadrare il processo comunicativo nella società contemporanea.
Le teorie che si sono interrogate sui potenti effetti generali dei mass media si sono
basate tendenzialmente su tre paradigmi: lo struttural-funzionalismo, la teoria del
conflitto e la prospettiva dell’evoluzionismo sociale.
In linea di massima, le prime teorie, come ad esempio quella del “proiettile magico”,
avevano come presupposto di base l’assunto che i messaggi dei media venissero
ricevuti in modo uniforme da ogni membro dell’audience e che questi stimoli
innescassero risposte dirette e immediate
20
; l’audience era quindi vista come
relativamente inerte, in attesa passiva che i media trasmettessero informazioni che
venivano poi percepite e ricordate e si traducevano presumibilmente in azioni in modo
molto simile per tutti. Quando fu chiaro il potente ruolo delle variabili cognitive e delle
subculture non fu più possibile concepire il pubblico in questo modo. La ricerca sui
18
Sergio Dei, op. cit., p.94
19
Elihu Katz Communications Research and the Image of Society:Convergence of Two Research. Traditions, in
American Journal of Sociology, 65 1960 n°5, pag.436- cit. in Sergio Dei, op. cit., p. 271
20
Sergio Dei, op. cit., p.243
XIII
tipi di bisogni soddisfatti dai media e sulle gratificazioni fornite attraverso i loro
contenuti incominciò presto.
21
Con il superamento della teoria del proiettile magico e l’introduzione della teoria
dell’influenza selettiva si passava ad una concettualizzazione relativamente semplice
ad una molto complessa: improvvisamente, tutti i fattori, sia psicologici che
sociologici, che differenziavano i singoli individui diventarono potenziali variabili
intervenienti. Praticamente, dopo tante teorie evoluzioniste , dei conflitti sociali,
paradigmi struttural-funzionalisti, dell’interazionismo simbolico, dopo interpretazioni
psicoanalitiche di vario tipo, si è giunti alla semplice quanto evidente risoluzione che
le persone diverse per caratteristiche psicologiche, orientamenti subculturali e reti
sociali di appartenenza interpreteranno gli stessi contenuti mediali in modi molto
diversi.
22
L’impatto dei mezzi di comunicazione di massa deve essere quindi valutato in
relazione al complesso totale dei rapporti sociali nell’ambito dei quali il singolo
membro dell’uditorio agisce prima, durante e dopo la sua esposizione allo strumento di
comunicazione.
23
I media e le comunicazioni di massa contribuiscono all’equilibrio della società, sul cui
insieme esercitano un ruolo con precise conseguenze. Si potrebbe anzi dire che le
comunicazioni di massa rientrano tra le componenti indispensabili della struttura
sociale, senza le quali la società contemporanea, così come la conosciamo, non
potrebbe continuare ad esistere.
D’altro canto, però, le comunicazioni di massa possono essere disfunzionali, possono
cioè contribuire alla disarmonia anziché alla stabilità, quando hanno come effetto
quello di stimolare gli individui a forme di comportamento deviante.
24
I PRO E I CONTRO DELLA MASS COMMUNICATION
“L’uomo è oggi e rischia di essere ancora per molto tempo, meno il centro e il
padrone della comunicazione che un bersaglio passivo di messaggi, un oggetto di
comunicazione e un semplice consumatore di prodotti di informazione alla cui
elaborazione non ha partecipato”.
25
La lingua scritta è la madre di tutti i media. La parola scritta è il medium primario di
tesaurizzazione e comunicazione delle conoscenze, dalle tavolette babilonesi alla
Bibbia di Gutenberg. E proprio questo rapporto della scrittura con la realtà si rivela
spesso problematico, in quanto il libro, il giornale, il manifesto comunicano
conoscenze da così tanto tempo che li percepiamo ormai come immediati, come
attributi della realtà piuttosto che come espressioni della realtà. Senza addentrarsi in
questioni filosofiche seguendo il paradosso che già Parmenide e Platone avevano
intuito esistere tra “essere” e “non-essere” ci si rende conto dell’identità tra la parola e
la realtà designata dalla stessa. Si è passati così da scrivere, cioè rendere visibile,
attribuire e fissare una precisa identità ad ogni cosa tramite una parola ad essa
21
Sergio Dei, op. cit., p.266
22
Sergio Dei, op. cit., p278
23
Sergio Dei, op. cit., p.101-2
24
Sergio Dei, op. cit., p.79
25
Rapporto provvisorio sui problemi della società moderna, UNESCO , luglio 1978; cit. in G. Metayer, op. cit., p.102
XIV
collegata, la realtà che già esiste, a rendere invece reale una cosa a partire dal
momento in cui essa viene scritta, come ad esempio avviene nel romanzo di
fantascienza “1984”, dove George Orwell descrive una politica totalitaria gestita
attraverso la continua riscrittura della storia passata in funzione delle esigenze del
presente.
26
I media hanno la capacità di inventare mondi che possiedono complessità e realtà in
grado differente: l’invenzione dei media – dal più semplice al più complesso – crea
immediatamente uno spazio di realtà nuovo, precisamente perché consente nuovi tipi
di azioni e nuovi tipi di percezioni; essi disegnano un mondo che esiste
indipendentemente da noi, che è lontano e intoccabile, ma nel contempo reale. Man
mano che si accavallano i media, e che la situazione evolve verso una complessità
maggiore, questo nuovo spazio diventa “plurale”, percorso da canali che si intrecciano
e che generano nodi di certezza; il senso di realtà aumenta ancora.
Se da un lato è evidente che i media modificano la realtà, cambiando i modi di vivere e
le relazioni sociali, l’architettura e l’urbanistica, il linguaggio e l’educazione,
realizzando- anche se in forme diverse- il “villaggio globale” teorizzato da McLuhan,
dall’altro è vero che gli stessi modificano anche il senso di realtà, cioè la nostra
disposizione istintiva a riconoscere una qualsiasi cosa come reale: i media hanno reso
il confine tra realtà e non-realtà molto più sottile e facilmente attraversabile. Inoltre, da
ciò si arguisce altrettanto facilmente come i media arrivano a modificare anche il
concetto di realtà, cioè le operazioni consapevoli con cui controlliamo l’esistenza di
qualcosa, generando un nuovo spazio virtuale che non possiede le caratteristiche
“standard” dello spazio reale, eppure a suo modo è altrettanto reale.
27
Ad un’attenta analisi dei fatti, i moderni mezzi di comunicazione di massa hanno
modificato notevolmente la condizione esistenziale dell’uomo. Mentre nelle condizioni
naturali della vita gli uomini si erano rimessi alle percezioni sensoriali dirette ed
all’esperienza primaria del mondo esterno e, dopo l’introduzione dell’arte della
stampa, si erano serviti di mezzi letterari solo nel campo ristretto di istruzione
scolastica e della cultura individuale, all’umanità attuale viene quasi imposta
un’immagine del mondo presentata dai mass media in una esperienza secondaria e
terziaria. Essa vive in un mondo semplicemente trasmesso di rappresentazioni che
vengono suscitate da testi parlati e da immagini, cosicché questa immagine si è
allontanata a vista d’occhio dalla percezione diretta della natura, dagli uomini e dalle
cose da essi prodotte.
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I mass media diventano cosi uno dei principali fattori di conoscenza (nell’accezione
più vasta del termine); accendendo la televisione o leggendo un giornale si schiude una
pluralità di mondi la cui conoscenza, appunto, ci era precedentemente preclusa.
Non bisogna infatti dimenticare o sottovalutare l’importanza – in certi casi
fondamentale – avuta dai mass media nei processi di alfabetizzazione di masse che, per
26
R. Maragliano, O. Martini, S. Penge (a cura di ) I Media e la Formazione, La Nuova Italia Scientifica , Roma 1994,
pp.32-3
27
R. Maragliano, op. cit.,pp.27-30
28
E.Feldmann, op. cit., pp.190
XV
motivi vari, non avevano la possibilità di accedere all’istruzione scolastica; o il ruolo
di rilievo, soprattutto in un Paese vasto e sempre più multietnico come gli Stati Uniti
d’America, avuto dai media stessi nell’integrazione di popolazioni diverse per origine
e provenienza nel corso dei flussi migratori negli ultimi cento anni: spesso erano
proprio i giornali, il cinema e poi, in seguito, più massicciamente, la televisione, gli
unici mezzi a disposizione degli immigrati per conoscere la lingua, gli usi, la civiltà
del popolo di cui volevano – o dovevano – fare parte.
Questi processi di alfabetizzazione e di integrazione non erano certo limitati ad alcuni
aspetti della vita sociale delle masse; infatti, un altro aspetto da non sottovalutare è
quella della diffusione delle idee politiche su larga scala.
La cultura di massa, pur con le caratteristiche di superficialità, di rozzezza, di
ottimismo acritico ed evasivo, è al tempo stesso il primo canale di una incipiente
politicizzazione di massa, a livello elementare che non ha precedenti nella storia. La
cultura di massa è la sola che può raggiungere tutti i membri delle collettività e
pertanto divenire la fonte principale delle notizie e delle immagini, interpretate anche
politicamente, attraverso le quali la grande maggioranza delle collettività soddisfa il
proprio bisogno di politicizzazione a livello elementare. Quando la cultura di massa
diffonde un messaggio direttamente politico, si verifica il fenomeno della resistenza al
messaggio da parte del destinatario, che si difende contro una eccessiva soddisfazione
di un bisogno appena elementare e incipiente, che viene invece soddisfatto a livello
elementare attraverso una determinata lettura del messaggio, cioè attraverso una
interpretazione anche politica dell’immagine della società, dei valori e dei modelli che
vengono diffusi dalla cultura di massa. La maggioranza della collettività si forma
dunque le immagini e i valori della politica attraverso immagini e valori trasmessi
dalla cultura di massa. Ciò non significa che i valori della politica siano gli stessi della
cultura di massa: la cultura di massa trasmette una determinata immagine della società
ed è questa che viene interpretata dai destinatari anche politicamente.
In conclusione, la comunicazione di massa non agisce direttamente sull’individuo: gli
effetti della comunicazione si esercitano attraverso una rete di fattori e di influenze
intermedie. I fattori riferibili all’ambiente, alla situazione e alla struttura personale
agiscono in modo tale, che la comunicazione di massa tende a contribuire alla loro
azione primaria e a rafforzarla, piuttosto che a esercitare una influenza casuale diretta.
L’intensità e l’ampiezza dell’effetto aumentano in rapporto alla ripetizione cumulativa
di determinati modelli in programmi successivi di comunicazione, soprattutto se le
notizie sono presentate in forma drammatica, allo scopo di provocare incontrollate
reazioni emotive. L’effetto è ancora maggiore, quando le trasmissioni o gli spettacoli
vengono ad integrarsi con i bisogni, o con gli interessi immediati dell’individuo,
soprattutto quando quest’ultimo non ha ricevuto dal proprio ambiente familiare e
sociale un patrimonio di valori e di norme, che gli permettano di valutare
adeguatamente e criticamente le opinioni, i modelli e i valori offerti dai mezzi di
diffusione collettiva.
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29
M.A.Croce, Comunicazioni di Massa, Tecniche Audiovisive e Società :Una Valutazione Sperimentale Il Mulino.
Bologna,1974., pp.16-18
XVI
Ed è qui il pericolo insito nelle grandi comunicazioni. Portate sempre più ad accorgersi
del momento empirico e trascurando quello ideologico, esse rischiano proprio di
trasformarsi, irrimediabilmente, in “comunicazione di massa”, riducendo il concetto di
socialità a quel tasso che Gurvitch ha così ben definito come “molto debole in
intensità, ma molto forte in pressione”.
30
30
G. Gurvitch, Le Dynamisme des Classes Sociales, in Transactions of the Third World Congress of Sociology, London,
1956,cit.in E.Mascigli Migliorini, op. cit., p.82