fenomeno dell’insider trading sia un prodotto dei nostri tempi, al contrario esso
affonda le sue radici nella prima metà del ‘700, ai tempi della Compagnia
olandese delle Indie, ma senz’altro è con lo sviluppo della Borsa e della
smaterializzazione della ricchezza che ha trovato massima espansione.
In questo quadro risulta fondamentale preservare la fiducia dei risparmiatori
verso il mercato, così da favorire l’afflusso di capitali alle imprese che viene
garantito soprattutto dai piccoli risparmiatori i quali, in cambio, chiedono
correttezza e trasparenza delle operazioni finanziarie che possono essere
garantite soltanto da una legislazione che non sia meramente “simbolica”, ma
che sia effettivamente in grado di prevenire e contrastare i fenomeni distorsivi in
esame.
Solo alla luce di questi presupposti potranno essere comprese le modifiche
che si sono susseguite nel tempo, i motivi per i quali le discipline introdotte dalla
legge 17 maggio 1991, n. 157 e dal d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, si sono
dimostrate insufficienti nella lotta al market abuse ed il perché l’attuale
normativa sembra essere maggiormente idonea a tutelare gli investitori. Si
evidenzieranno le modifiche intervenute nella struttura della fattispecie,
soprattutto in relazione alla definizione di “informazione privilegiata” che
rappresenta il punto cardine dell’intera disciplina, nonché la scelta di
abbandonare un approccio meramente penale alla materia, prediligendo un
“doppio binario” sanzionatorio, che vede la compresenza di sanzioni
amministrative e sanzioni penali. Seguirà un’attenta analisi del nuovo e
rafforzato ruolo della Consob nella lotta all’insider trading, che non solo vede
potenziati i suoi poteri sul piano dell’investigazione concreta, ma anche la
possibilità di applicare direttamente le sanzioni amministrative previste dalla
legge e di intervenire nel processo penale costituendosi parte civile.
In definitiva, scopo del presente lavoro è mettere in luce come il sistema
normativo introdotto dalla legge n. 62/2005, sebbene appaia ancora perfettibile,
sia di certo maggiormente idoneo, rispetto al passato, a contrastare i fenomeni
di market abuse, sia soprattutto per i maggiori poteri conferiti alla Consob che,
10
si spera, permetteranno di accertare un maggior numero di ipotesi di reato, sia
per l’effetto deterrente che il sensibile inasprimento delle pene dovrebbe
determinare.
11
12
Capitolo I
Analisi della fattispecie di insider trading
1. Un’osservazione preliminare: liquidità del mercato, informazione
ed efficienza.
Una delle più significative funzioni dei moderni mercati dei valori mobiliari è la
c. d. liquidità dei mercati, cioè la capacità di poter assicurare la pronta
convertibilità dei titoli negoziati negli stessi in denaro contante. Il concetto di
liquidità non è semplicemente connesso alla possibilità di ottenere in qualsiasi
momento una smobilitazione delle azioni ed una trasformazione delle stesse in
denaro liquido, ma piuttosto è collegato alla possibilità che tale smobilitazione
avvenga sulla base di un giudizio valutativo che possa considerarsi equo
1
. Tale
giudizio di equità è una variabile che dipende dalle informazioni disponibili sul
mercato in relazione ai titoli ed accessibili agli investitori: maggiori e
maggiormente specifiche saranno tali informazioni, maggiormente equa sarà la
valutazione effettuata dal mercato sui titoli i quali, quindi, saranno nel loro
valore in misura maggiore coincidenti con il loro valore reale.
Queste primissime considerazioni consentono già di capire l’estrema
importanza che riveste l’informazione disponibile presso il pubblico all’interno
dei mercati borsistici, informazione che ha come primo scopo quello di
consentire una continua comparazione tra i vari tipi di domanda ed offerta,
tenendo presente che “l’ampiezza di tale confronto e quindi la consistenza e la
1
Cfr. G. CARRIERO, Informazione, mercato e buona fede: il cosiddetto insider trading, in
Quaderni di giurisprudenza commerciale, n. 137, Giuffrè, Milano, 1992, p. 2.
13
liquidità dei mercati si basano, tra l’altro, sulla certezza che le quotazioni hanno
un significato reale e che, di conseguenza, sono state prese tutte le misure per
garantire eguali possibilità a tutti gli investitori”
2
. Due osservazioni meritano di
essere fatte. In primo luogo, è intuitivo che i mercati ufficiali tendono a
caratterizzarsi per la loro maggiore stabilità e liquidità rispetto ai mercati non
ufficiali, nonché alle contrattazioni over the counter (i. e. fuori borsa): ciò perché
solo nei primi si evidenzia un continuo flusso informativo che caratterizza i titoli
fin dal primissimo momento della loro ammissione e quotazione, per il tramite di
tutti gli strumenti che gli organi di controllo predispongono allo scopo. In
secondo luogo, si deve prendere atto che, pur nella consapevolezza che sia
impossibile che ogni informazione che raggiunge il mercato sia assolutamente
completa, continua e veritiera, la maggior parte delle legislazioni nazionali ha
avvertito l’esigenza di adottare delle normative che cerchino di garantire una
sempre maggiore ed efficace diffusione delle informazioni. Infatti, il prezzo di un
titolo non è altro che la risultante delle aspettative che gli operatori hanno sul
titolo stesso, le quali a loro volta dipendono dal grado di completezza delle
informazioni disponibili sul mercato
3
e soltanto quando “i prezzi riflettono tutte le
informazioni disponibili”
4
si può avere un mercato efficiente. E siccome è
2
In tal senso la relazione che accompagnava la proposta di direttiva sul coordinamento delle
normative concernenti operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni riservate (I,
Introduzione), in G. U. C. E. C 153 dell’11 giugno 1987 ed in Riv. Soc., 1987, pp. 685 ss.,
tradottasi poi nella Direttiva del Consiglio del 13 novembre 1989, n. 89/592, in Le società, 1990,
pp. 691 ss.
3
Cfr. G. ZADRA, Struttura e regolamentazione del mercato mobiliare, 1988, Giuffrè, Milano, pp.
63 ss. Sotto tale profilo si può, quindi, cogliere la differenza tra il mercato dei titoli di
partecipazione (o mercato del controllo delle società) e gli altri mercati, in relazione al ruolo
dell’informazione relativa ai bene scambiati. Infatti, l’informazione si rivela essere una
componente essenziale nella costruzione del valore dei titoli e dunque, nell’individuazione del
loro prezzo di scambio, sul quale direttamente incide: ne consegue che la disaffezione verso un
determinato titolo, determinata da informazioni circa la società emittente, è idonea a provocare
direttamente e immediatamente una modificazione del loro valore di scambio sul mercato.
4
A. BARTALENA, L’abuso di informazioni privilegiate, Giuffrè, Milano, 1989, p.14; G. ZADRA,
op. cit., pp. 63 ss., il quale sostiene che esistono due accezioni di efficienza: una di tipo
valutativo - allocativo, che implica che un mercato può essere definito efficiente quando i prezzi
14
proprio l’efficienza dei mercati dei capitali uno dei principali obiettivi della
legislazione in materia, appare ovvio il tentativo del legislatore di dar vita ad una
regolamentazione che vada a sanzionare tutte quelle condotte che
rappresentano una seria minaccia per l’efficienza stessa: è in questo contesto
che si inserisce la repressione del fenomeno dell’insider trading
5
.
2. Sfruttamento in borsa di informazioni riservate: tra analisi
economica e fondamento della punibilità.
Prima ancora di interrogarsi circa la qualificazione giuridica dell’insider
trading, appare utile ai fini della nostra analisi preoccuparsi preliminarmente di
verificare la legittimità giuridica della repressione del fenomeno in esame.
Nell’analizzare tale problematica risulta fondamentale fare riferimento ad
un’impostazione economica del problema, in particolare agli studi di analisi
economica del diritto, scienza di origine anglosassone, che trova nella ricerca
dell’efficienza allocativa la scriminante per le scelte di politica del diritto
6
. Infatti,
le scelte legislative anti insider trading sono espressione di una medesima ratio
che in esso si formano riflettono il valore intrinseco dei titoli; un’altra che riguarda l’aspetto
informativo e che rende il mercato efficiente quando i prezzi dei titoli riflettono le informazioni
disponibili sugli stessi. In base alle informazioni possedute, gli investitori si creano delle
aspettative circa l’andamento del titolo e se le informazioni aumentano, le aspettative mutano:
allora, perché si abbia efficienza nel senso sopra esplicitato, è necessario che il prezzo del titolo
si allinei immediatamente con il nuovo livello di informazioni disponibili e ciò deve accadere per
tutti i titoli presenti sul mercato. Specifica, in tal senso, l’ Autore: “il fenomeno dell’insider trading
si presenta come un caso classico in cui l’imperfezione del mercato comporta un
allontanamento dall’efficienza di tipo informativo. Se qualche operatore viene infatti a
conoscenza di un’informazione prima degli altri, egli è ovviamente in grado di utilizzare, a suo
vantaggio, il tempo necessario affinché il mercato apprenda e capitalizzi la nuova
informazione”.
5
Per una completa analisi circa l’opportunità di sanzionare le condotte di insider trading, vedi il
prossimo paragrafo.
6
Per una enunciazione “classica” dei principi di questa scuola, v. R. POSNER, Economic
Analysis of the Law, 3th ed. Boston - Toronto, 1987, in particolare pp. 19 ss.
15
ispiratrice che trova nell’analisi economica la propria giustificazione: l’insider
trading provoca effetti distorsivi ed anticipatori sul mercato, in quanto tali idonei
ad incidere negativamente sia sull’efficienza informativa, poiché il corso del
titolo non rifletterebbe l’informazione a disposizione dell’intero mercato, sia
sull’efficienza valutativa, poiché nel momento in cui è effettuato il trading il
prezzo del titolo non rifletterebbe il suo valore intrinseco in quel momento
7
.
Ciò nonostante, non è mancato chi
8
ha sottolineato gli aspetti positivi
dell’insider trading, riconoscendo nella pratica e nei profitti che consente di
realizzare un vantaggio sia per i managers della società che effettuano
operazioni di trading, sia per la società emittente i titoli oggetto di trading ed in
generale per l’efficienza del mercato nel suo complesso.
In relazione al primo aspetto, i managers non sarebbero altro che il mezzo
attraverso cui l’informazione viene trasmessa dalla società (che è proprietaria
dell’informazione)
9
al mercato: il manager, infatti, acquisirebbe implicitamente e
lecitamente l’informazione riguardante la “sua“ società e svolgerebbe un ruolo
che può essere definito imprenditoriale nel processo di creazione
dell’informazione stessa meritando, quindi, una retribuzione che dovrebbe
essere costituita proprio dalla facoltà di usare tale informazione per guadagnare
quanto non gli viene remunerato dallo stipendio
10
. Infatti, se il manager riceve
uno stipendio che non è realmente correlato al suo impegno, potrà sentirsi
demotivato, sarà spinto a trascurare il suo lavoro, sceglierà collaboratori che
non rispondono alle reali esigenze della società, ricercherà guadagni
7
Cfr. F. F. MACCABRUNI, Insider trading e analisi economica del diritto, in Giur. comm., 1995,
I, pp. 599-600.
8
Di seguito si riporta l’opinione di quella scuola di pensiero che vide il suo massimo esponente
in H. G. Manne e che sviluppò la c. d. Efficient Capital Market Theory.
9
L’impostazione del rapporto emittente-informazione in chiave di property right è alla base
dell’intera costruzione (v. per tutti H. DEMESETZ, Toward a Theory of Property Rights in 57 The
Am. Economic. Rev., Proceeding Issue, 1967, pp. 347 ss.), ma occorre evidenziare che negli
ordinamenti di civil law risulta abbastanza problematico accettare tale opzione.
10
Cfr. F. F. MACCABRUNI, Insider trading e analisi economica del diritto, op. cit., p. 602.
16
occasionali, causando alla società costi di impresa sempre maggiori
11
. Al fine,
quindi, di eliminare queste disfunzioni, potrebbe apparire utile ipotizzare il
ricorso a stipendi particolarmente elevati ed a diverse forme di remunerazione
(ad esempio bonuses, stock options), ma deve considerarsi che la capacità
incentivante di queste non potrebbe mai essere proporzionale all’effettivo valore
della performance
12
dei dirigenti e che esse non sono più idonee a svolgere la
loro funzione nel momento in cui una diminuzione della produzione non viene
tempestivamente accertata
13
.
Così, l’unica soluzione possibile parrebbe quella di consentire lo sfruttamento
e l’immediata monetizzazione da parte dell’entrepreneur dell’informazione
riservata acquisita in virtù della propria funzione svolta all’interno della società.
Seppur suggestiva, questa tesi non può essere accolta. A prescindere dal fatto
che non appare verosimile che promozioni o premi non rappresentino una
forma di compenso adeguato che, invece, potrebbe essere costituito soltanto
dai profitti ottenuti con l’insider trading, risulta alquanto difficile accertare chi e in
quale misura abbia contribuito al successo della gestione societaria (che, al
contrario, dipende dagli sforzi di molti soggetti), così da accertare il suo diritto a
sfruttare in borsa le informazioni riservate. Ma anche se fosse possibile tale
11
Osservavano già nel 1932 A. BERLE e G. MEANS nel saggio The Modern Corporation and
Private Property a pag. 213 (nell’edizione italiana del 1966) che anche se “da un punto di vista
morale parrebbe giusto che le informazioni e qualsiasi beneficio ne derivi appartengano agli
azionisti, piuttosto che all’amministratore per i suoi interessi personali, la vera difficoltà sta
probabilmente nella mancanza di un sistema di remunerazioni adeguate per gli amministratori
di società. Il compenso di un amministratore è ben lontano dall’essere proporzionato ai benefici
che alla società derivano da una sua fedele e capace amministrazione. E’ naturale che gli
amministratori pensino di avere diritto a procurarsi in qualche modo altri profitti. Se approfittare
delle informazioni è il modo più semplice di cui dispongono, non si può umanamente sperare
che essi non ne facciano uso. La soluzione definitiva parrebbe essere quella di avere un
qualche sistema di partecipazione ai profitti, chiaro ed esplicito”.
12
Così H. MANNE, Insider Trading and Stock Market, New York, Free Press, 1966, pp. 134 ss.
13
Cfr. S. SEMINARA, Insider trading e diritto penale, in Quaderni di giurisprudenza
commerciale, n. 108, Giuffrè, Milano, 1989, p. 34.
17
individuazione, non è mancato chi
14
ha evidenziato come in realtà i managers
non meritino alcun tipo di remunerazione perché tali soggetti sono venuti a
conoscenza dell’informazione senza sopportare alcun costo, solamente in virtù
della carica ricoperta all’interno della società. In estrema sintesi, se si
ammettesse che il profitto personale rappresenta il motore principale dell’attività
di chi detiene il controllo, si dovrebbe accettare l’assunto che gli interessi di
questo gruppo sono fortemente diversi da quelli dei proprietari e,
conseguentemente, che questi ultimi non possono essere tutelati da un gruppo
di controllo che miri al solo profitto personale
15
.
Accanto a questa finalità di carattere soggettivo, troviamo poi una
considerazione legata in modo più specifico al funzionamento dell’intero
mercato mobiliare: l’attività di insider trading porterebbe ad una efficace
allocazione delle risorse, poiché anticiperebbe il successivo corso dei titoli e
quindi renderebbe più celere il flusso di conoscenza nei confronti degli
investitori, i quali sarebbero nella condizione di percepire le informazioni
riservate sfruttate dagli insiders. In egual modo, l’insider trading svolgerebbe
anche una funzione c. d. di arbitraggio, perché consentirebbe di stabilizzare i
titoli, attenuando brusche impennate e devastanti ribassi nel loro corso,
riducendo così il fattore di rischio e incentivando nuovi investimenti di capitale
16
.
Sotto questo punto di vista, lo sfruttamento di una informazione non ancora
resa pubblica rappresenterebbe un modo per comunicare le informazioni al
mercato estremamente vantaggioso e poco costoso portando ad una
massimizzazione del profitto per la società e all’efficienza del mercato nella sua
interezza. I managers, sfruttando l’informazione effettuano scambi e fanno sì
che il prezzo delle azioni si avvicini a quello che sarebbe stato se l’informazione
fosse stata resa pubblica, senza però che si verifichino gli effetti negativi che
14
In particolare, v. F. F. MACCABRUNI, Insider trading e analisi economica del diritto, op.cit., p.
609.
15
V. S. SEMINARA, Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 36.
16
V. S. SEMINARA, Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 31.
18
una divulgazione improvvisa porterebbe necessariamente con sé
17
. In tale
ottica, il profitto dell’insider non rappresenterebbe altro che il prezzo che gli
investitori pagano per il contributo che esso fornisce all’efficienza del mercato.
In realtà, l’insider trading non necessariamente ha il positivo effetto di
stabilizzare il corso dei titoli, al contrario nella massima parte dei casi ha come
unico effetto quello di procurare profitto al suo autore. Allo stesso modo, non si
può cercare di risolvere il problema dell’opacità del mercato rendendo leciti
comportamenti di per sé patologici, piuttosto che cercare di eliminare la
mancanza di trasparenza del mercato stesso
18
e quindi agire sulla causa.
Come appare chiaro, i sopra esposti orientamenti economici, in definitiva,
non possono da soli giustificare né un comportamento lassista circa l’attività di
insider trading, né una punizione del fenomeno. Di conseguenza, è necessario
abbandonare il piano prettamente economico: il fondamento razionale di una
repressione dell’insider trading va ricercato nell’esigenza di assicurare
un’intrinseca fairness del mercato, in modo da preservare la fiducia degli
investitori i quali saranno incentivati ad entrare e a permanere all’interno del
mercato solo qualora siano rassicurati circa la correttezza dei comportamenti di
tutti gli operatori che in esso agiscono. Ciò non significa che debba essere
ricercata una parità assoluta di posizioni di tutti gli operatori: tale obiettivo
sarebbe utopistico e porterebbe all’inefficienza. Anzi, è utile fin da subito
sottolineare che il c. d. market egalitarism, non può in nessun modo costituire il
fondamento logico della repressione di comportamenti di insider trading, esso
può certamente costituire una giustificazione dell’ampliamento degli obblighi
informativi, ma non è idoneo ad offrire una base razionale per la punibilità e la
regolamentazione del fenomeno in esame
19
. E’ chiaro, infatti, che il mercato è
caratterizzato da una strutturale asimmetria informativa tra gli operatori che, se
17
V. H. MANNE, op. cit., p.151.
18
V. A. BARTALENA, L’abuso di informazioni privilegiate, op. cit., p. 8.
19
ALESSI, “Market egalitarism” e “insider trading”, in Riv. soc., 1980, pp. 942 ss.
19
venisse meno, renderebbe il mercato non vitale, eliminando a monte ogni
possibilità di guadagno sulle operazioni su titoli.
In conclusione, ciò che può fondare per certo una disciplina repressiva
dell’insider trading è la forte giustificazione etica
20
: si vuole vietare che
determinati soggetti sfruttino a proprio vantaggio una situazione di superiorità
informativa, violando le c. d. “regole del gioco” e operando al solo fine di
ottenere vantaggi privati, che hanno come effetto la lesione dell’integrità e del
buon funzionamento del mercato.
3. Il quadro storico: nascita e sviluppo della disciplina in materia di
insider trading tra livello europeo e livello nazionale.
L’analisi della disciplina italiana in tema di insider trading non può
prescindere da un’analisi della disciplina europea in materia, dalla quale in larga
misura dipende ed è stata influenzata.
Il primo tentativo del legislatore europeo di disciplinare il fenomeno
dell’insider trading risale a poco meno di vent’anni fa quando il Consiglio emanò
la direttiva 89/592/CEE
21
, adottata il 19 novembre 1989, avente ad oggetto il
coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone
in possesso di informazioni privilegiate (il c. d. insider trading). Tale direttiva
venne adottata con il fondamentale scopo di assicurare il buon funzionamento
del mercato, garantendo parità di condizioni agli investitori e protezione dall’uso
illecito dell’informazione privilegiata: già nel preambolo dell’atto, infatti, si
prende atto che le operazioni poste in essere da persone in una posizione di
vantaggio informativo rispetto alla totalità degli operatori sul mercato
20
V. R. ZANOTTI, “Il nuovo diritto penale dell’economia” - Reati societari e reati in materia di
mercato finanziario, Giuffrè, Milano, 2006, p. 384.
21
G. U. C. E., L 334 del 18 novembre 1989, pp. 30 ss.
20
costituivano una minaccia per l’integrità del mercato europeo dei capitali e
minavano la fiducia degli investitori. In tale contesto, la direttiva 89/592/CEE
aveva l’obiettivo di coordinare le diverse discipline in vigore negli Stati membri e
dare impulso legiferante ai legislatori di quei Paesi europei che ancora non
avevano adottato alcuna regolamentazione in materia
22
perché soltanto una
legislazione coordinata permette una lotta effettiva alle pratiche distorsive e nel
contempo una cooperazione tra le Autorità competenti dei diversi Paesi.
La direttiva si premurò di fornire la nozione di informazione privilegiata (art. 1),
definire i soggetti attivi (art. 2, comma 1, prima parte), le condotte (art. 2,
comma 1, seconda parte e artt. 3 e 4), lasciando gli Stati membri liberi nella
sola scelta delle sanzioni che, però, dovevano risultare “sufficientemente
dissuasive” (art. 13) e imponendo, al contempo, l’implementazione di
un’Autorità amministrativa di vigilanza (art. 8), incaricata di vigilare
sull’applicazione delle disposizioni. In sostanza, la direttiva era ispirata al
principio di fondo secondo cui gli emittenti dei valori mobiliari dovevano
informare il pubblico, senza indugio, di ogni fatto o decisione suscettibile di
influenzare in modo sensibile il corso di tali valori mobiliari
23
.
Il nostro legislatore si uniformò a tali scelte europee e promulgò la legge 17
maggio 1991, n. 157, che per la prima volta introdusse in Italia il reato di insider
trading
24
. La legge, pur costituendo un passo in avanti nel panorama del
22
V. N. LINCIANO - A. MACCHIATI, Insider trading, una regolazione difficile, Il Mulino, Bologna,
2002, p. 14, che sottolinea che la maggior parte dei Paesi adottò una legislazione in materia
dopo il 1990, cioè dopo la direttiva europea. Fanno eccezione Francia e Svezia che, così come
il Canada, dopo circa trent’anni, seguirono l’esempio statunitense che si era dotato di una
disciplina anti insider nel 1933, nell’ambito delle regolamentazioni nate nella stagione del New
Deal.
23
Si evidenzia la funzione fortemente preventiva di tale assunto, considerato che i soggetti
colpevoli di insider trading traggono vantaggio proprio nello scarto temporale che intercorre tra
il momento in cui vengono a conoscenza della notizia riservata e il momento in cui essa viene
resa pubblica.
24
In realtà la legge n. 157/1991 non rappresenta il primo tentativo di disciplinare il problema, al
contrario già alcune norme si erano occupate del fenomeno, vale a dire gli artt. 17 della legge n.
216/1974, 15 del D. P. R. n. 136 del 31 marzo 1975 e 4 della legge n. 77 del 23 marzo 1983.
21
sistema finanziario italiano, fu sottoposta a numerose critiche. Innanzitutto, si
sottolineò l’eccessiva estensione della fattispecie di reato, poiché prevedeva un
obbligo di astensione, penalmente sanzionato, nei confronti di tutti i soggetti che
si trovassero in una situazione di privilegio, cioè un obbligo operante per il solo
fatto di essere in possesso di una informazione privilegiata; al pari fu fortemente
criticata la scelta del legislatore di optare esclusivamente per un approccio
penale, mentre la direttiva europea richiedeva soltanto delle sanzioni che
fossero “sufficientemente dissuasive”, tali da garantire il rispetto delle norme.
La legge, poi, introdusse una sorta di filtro all’instaurazione di procedimenti
penali, prevedendo che i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio
dovessero comunicare eventuali notitiae criminis di cui fossero venuti a
conoscenza esclusivamente al Presidente della Consob presentando denuncia
ai sensi degli artt. 361 e 362 cod. pen. (art. 8, comma 1). Privando, così, il
pubblico ministero del naturale ruolo di ricezione delle accuse penali, si cercava
di limitare il numero delle denunce, lasciando sopravvivere soltanto quelle più
gravi, che la legge mirava a prevenire; al contempo, si cercava di valorizzare il
ruolo della Consob che diventava l’organo deputato di informare del fatto
l’autorità giudiziaria, una volta terminato il proprio procedimento di
accertamento
25
.
Come sopra accennato, la legge fu oggetto di numerosi pareri negativi,
anche da parte della Consob
26
: così, a distanza di meno di un decennio dalla
25
V. C. E. PALIERO, “Market abuse” e legislazione penale: un connubio tormentato, in Corr.
merito, 2005, II, p. 809.
26
V. la relazione annuale della Consob del 1996, disponibile sul sito www.consob.it, p. 12: “La
Commissione ha allo studio alcune ipotesi di modifica e di integrazione della legge sull’insider
trading che riguardano, segnatamente, i poteri di indagine della Consob, la modifica
dell’apparato sanzionatorio, la revisione della disciplina della manipolazione. Oggetto di
riflessione, infine, è la possibilità di introdurre, similmente a quanto è avvenuto in altri paesi, un
procedimento sanzionatorio di carattere amministrativo. Verrebbero in tal modo conferite
maggiore efficacia e rapidità all’azione repressiva. (…) La disciplina repressiva, specie di
carattere penale, e la relativa attività di indagine della Consob devono comunque rivestire un
carattere residuale, colpendo quei comportamenti che l’ordinamento e la deontologia degli
operatori presenti sul mercato non sono in grado di scoraggiare. Gli strumenti che devono
22