10
In considerazione di tali fenomeni, l’economia mondiale ha subito un
rallentamento, anche se la crescita complessiva è rimasta piuttosto elevata1.
In questo contesto, si è verificata una redistribuzione delle opportunità di
crescita soprattutto a favore dei giganti dell’Asia2, a ritmi talmente elevati da destare
preoccupazione fra gli analisti circa la “sostenibilità” nel medio periodo di simili tassi di
incremento del PIL. L’Europa continua ad essere sempre più marginale nei processi di
crescita mondiale (1,3%). Il rallentamento coinvolge tutte le principali economie
europee, ad iniziare da Germania (0,9%), Francia (1,4%), Gran Bretagna (1,8%).
Ma è soprattutto l’Italia a pagare lo scotto maggiore. In tale contesto
internazionale ed europeo, infatti, il Bel Paese è in stagnazione sin dal 2001 e nel 2005
ha avuto una crescita pari a zero, evidenziando una profonda crisi di capacità reattiva da
parte di un sistema economico in difficoltà. Questa situazione macro-economica non
poteva che influenzare il sistema-paese: il mercato del lavoro nazionale è rimasto
pressoché fermo, colpendo soprattutto il Mezzogiorno e le fasce deboli, ad esempio i
giovani, fra i quali i tassi di disoccupazione sono in crescita; nelle principali branche
dell’economia ci si trova di fronte a un processo di crisi dell’industria manifatturiera,
che ha rapidamente perso quote di competitività sui mercati internazionali, diventando
sempre più marginale.
Emblematico è il caso del settore del tessile-abbigliamento. Nell’ultimo periodo,
infatti, il sistema moda è stato attraversato non solo da una forte riduzione della
produzione nazionale ma soprattutto da un calo del fatturato e delle esportazioni. Le
imprese del Made in Italy sono state, di fatto, collocate fuori dal mercato internazionale,
a causa dell’incapacità economica italiana di reagire alla spietata concorrenza dei paesi
1 La crescita economica mondiale complessiva è stimata attorno al 4,8% nel 2006, a fronte del 5,3% nel
2004. Dati FMI.
2 La Cina ha chiuso il 2006 con un PIL che si aggira intorno al 10%, l’India intorno all’8%. Dati FMI.
11
emergenti, in primis la Cina, alimentata anche dall’abolizione dell’accordo multifibre
che, in un certo senso, proteggeva le esportazioni europee.
In questo quadro nazionale poco convincente si inseriscono prepotentemente due
realtà imprenditoriali siciliane, portate alla ribalta da importanti media nazionali quali
“Il Sole 24 Ore”. La prima è la “San Lorenzo” a San Marco d’Alunzio, piccolo paesino
sui Monti Nebrodi nella provincia di Messina, che ha instaurato rapporti commerciali
con le grandi capitali della moda e con le grandi griffes del settore. La seconda realtà è
la “Camiceria Castello” a Brolo, altro piccolo centro nella provincia di Messina, che ha
impostato la sua struttura produttiva e commerciale contro le regole attuali
dell’economia. Se, infatti, oggi la politica dei grandi gruppi e marchi è quella di
esternalizzare i costi di distribuzione attraverso il sistema del franchising trasferendo
responsabilità e oneri sul franchisor, la “Castello”, per poter affrontare in maniera
credibile e produttiva la sua mission, ha invece dato vita a un progetto basato sulla
gestione diretta di 90 punti vendita.
In una Sicilia dove un settore di riferimento per l’imprenditoria è pressoché
assente, l’attenzione rivolta a queste due aziende da parte degli “addetti ai lavori” desta
curiosità e costituisce interesse di studio.
Il presente lavoro si articola come segue. Nel primo capitolo si descrive il
tessile-abbigliamento italiano sia attraverso un’analisi economica congiunturale sia
grazie ad uno studio strutturale della filiera. Nel secondo capitolo di questo studio si
affronta il problema della competitività italiana in conseguenza della incontrastata
concorrenza che la Cina, primo esportatore mondiale, ha nel settore. L’anomala
specializzazione italiana dei settori che caratterizzano il Made in Italy mette in luce
come non sia affatto pensabile competere sul terreno del prezzo con i paesi emergenti.
12
Il terzo capitolo sposta l’attenzione sulla regione Sicilia, cercando di svolgere
un’analisi non solo economica e congiunturale ma anche storica sulle difficoltà di
crescita dell’industrializzazione siciliana. Difficoltà che non possono non influire nelle
dinamiche del tessile-abbigliamento. Al riguardo bisogna osservare che, se a livello
nazionale non mancano analisi settoriali e dati statistici, a livello regionale si deve
ancora cercare di ovviare alla quasi totale mancanza di dati o alla loro parzialità. Lo
studio dei due casi permette di inquadrare tale settore a livello regionale, dal momento
che entrambe le realtà imprenditoriali prese in esame sono rappresentative dei diversi
segmenti che compongono il tessile-abbigliamento.
Gli ultimi due capitoli sono, appunto, dedicati allo studio delle due aziende,
mettendone in risalto i fattori di successo.
L’obiettivo di questa tesi è quello di dare delle indicazioni di policy nazionali e
regionali che possano contribuire sia a rafforzare la ripresa economica realizzatasi nel
2006 e nel 2007, sia a proteggerla da uno scenario caratterizzato per il 2008 da infelici
previsioni di crescita economica e da un mercato internazionale dove non esisteranno
più le quote che fino ad oggi hanno “protetto” le esportazioni europee. L’esperienza
della “San Lorenzo” e della “Castello” mettono in evidenza quei fattori che rendono
competitiva l’imprenditoria italiana sul mercato interno ed estero.
13
I. IL SETTORE DEL TESSILE – ABBIGLIAMENTO IN ITALIA
I.1. Quadro generale
Nell’immaginario comune il sistema moda italiano è da sempre considerato il
portabandiera dell’italianità all’estero. Nella vita di tutti i giorni, infatti, non sono poche
le informazioni che bombardano un qualsiasi cittadino italiano circa l’andamento della
moda italiana e la vita dei grandi uomini che ne gestiscono i più famosi marchi. Ciò è
ovviamente giustificato dalla consapevolezza generale di come il sistema moda italiano
faccia parte di quei settori che da sempre esprimono al meglio la creatività e il gusto
dell’Italia nel mondo3. Non a caso, il sistema moda italiano gioca un ruolo da
protagonista nell’andamento e nello sviluppo dell’economia nazionale. Secondo gli
ultimi dati Istat, infatti, il contributo del settore a livello nazionale si quantifica in un
15% del totale dell’occupazione manifatturiera, in un 10% del valore aggiunto e in un
13% delle vendite di prodotti all’estero4.
Per comprendere a fondo il valore del sistema moda italiano, è utile misurare il
suo contributo sia rispetto al fatturato dei principali settori ai quali la moda italiana si
appoggia per i suoi acquisti di prodotti intermedi, sia in riferimento al settore
dell’acquisto dei servizi.
Analizzando il quadro generale delle vendite di prodotti intermedi all’industria
manifatturiera, il sistema moda rappresenta il primo committente dell’industria chimica
3 Per approfondire il rapporto tra Made in Italy e moda italiana, si veda La scommessa del Made in Italy e
il futuro della moda italiana di Corbellini Erica, Saviolo Stefania - Etas - 2004.
4
cfr. La globalizzazione come opportunità di sviluppo del sistema moda: verso un nuovo paradigma del
network e dell’innovazione di Clemente Tartaglione, CGIL-FILTEA, 20 novembre 2006 (stesura
provvisoria).
14
(se da essa si esclude la componente farmaceutica) e della gomma plastica con una
quota pari al 17,2% del totale delle vendite che in termini si fatturato si traduce in circa
quattro milioni di euro (tav. 1).
Con riguardo al settore dei servizi, quest’ultimo costituisce un’altra importante
sfera economica in cui è predominante il contributo del sistema moda per dimensione
degli acquisti. Parlando in termini di valore, rispetto agli ultimi dati disponibili,
l’apparato produttivo del settore moda acquista servizi per un valore pari a circa 13
miliari di euro (se escludiamo le utilities), ossia il 13% del totale dei servizi venduti
dalla trasformazione industriale, facendo conquistare a questo settore la prima
posizione, assieme al comparto delle macchine e degli apparecchi meccanici.
Nell’ambito del terziario, in particolare, gli acquisti del Tessile-Moda (TM) si
concentrano maggiormente nell’area delle attività professionali con una spesa pari a
circa 5,5 miliardi di euro, seguita da quella per i servizi di tipo commerciale (2,3
miliardi di euro), per quelli finanziari (1,8 miliardi) e, infine, dalle attività di trasporto
alle quali è destinato poco più di un miliardo di euro (tav. 2).
Senza alcun dubbio, i motivi che hanno indotto questo crescente fabbisogno
dell’impresa moda ad investire in servizi esterni specializzati, sono da ricercare in una
sempre maggiore attenzione nei contenuti immateriali del prodotto moda, nella
necessità di allargare la produzione al mercato del consumo, attraverso un’integrazione
con la distribuzione sia a livello nazionale che extra-nazionale e, soprattutto, in una
generale esigenza di aumentare e ottimizzare gli standard di qualità sia dei processi
produttivi sia del prodotto finale, quest’ultimo elemento indispensabile per una buona
base competitiva.
È altresì essenziale collocare il sistema moda nello scenario del nuovo mercato
globale. Al fine di descrivere una più chiara e pratica dinamica dell’industria italiana
15
della moda é, infatti, necessario illustrare l’andamento del settore, alla luce dell’ormai
consolidato e sempre più predominante contesto mondiale, caratterizzato dall’apertura
verso l’esterno delle varie economie nazionali e dal forte impatto dei paesi in via di
sviluppo sulla struttura della competizione internazionale. Nel quinquennio 2001-20055,
il sistema moda è stato attraversato non solo da una forte riduzione della produzione
nazionale ma soprattutto da un calo del fatturato e delle esportazioni, che hanno
registrato una perdita di circa 10 miliardi di euro (tav. 3).
Per quanto attiene, invece, alla dinamica dei macro comparti che costituiscono la
“forma” del sistema moda, deve essere precisato che nessuno di essi è riuscito ad
emergere in modo adeguato da questa fase di riassetto competitivo dell’intero settore.
Dando uno sguardo alla tav. 4, è, infatti, evidente come tutti i macro comparti abbiano
registrato, nel quinquennio che va dal 2001 al 2005, una perdita sia nella produzione
nazionale che nel fatturato.
In particolare, per quanto riguarda il settore del tessile e dell’abbigliamento,
secondo i dati di Sistema Moda Italia dopo un brillante 2000 e una sostanziale tenuta
nel 2001, nel 2002 il fatturato, a prezzi correnti, del settore aggregato è sceso del
3,9%, e nel 2003 la flessione ha superato il 4,0%. Senza dubbio, la diminuzione del
valore della produzione che si verifica in questo periodo, è attribuibile ad una
dinamica particolarmente negativa delle esportazioni e a una flessione delle vendite
sul mercato interno leggermente più contenuta. Nel 2002-2003, il tessile
abbigliamento italiano ha perso meno sul mercato interno rispetto ai mercati esteri.
A fronte della flessione delle esportazioni, l’import di prodotti tessili e
abbigliamento non è diminuito nella stessa proporzione, e sia nel 2002 che nel 2003 il
saldo commerciale attivo del settore subisce un ridimensionamento. Sulla base dei
5 Cfr. SMI-ATI centro studi, “La filiera Tessile – Moda italiana: un primo (provvisorio) bilancio 2006”,
Strategy Report, n° 2007/1, gennaio 2007.
16
dati Infocamere, la difficile fase congiunturale non sembra esercitare una particolare
influenza sul processo di selezione delle imprese, che in Italia è in atto dalla metà
degli anni Ottanta ad oggi. Le aziende attive nel settore tessile-abbigliamento
italiano continuano a diminuire a tassi medi annuali simili a quelli registrati
nell’ultima parte degli anni Novanta. I tassi oscillano dal -1,9% nel 2000, al -1,7%
nel 2001, -2,1% nel 2002 e -1,6% nel 2003.
I dati del 2006 e quelli dei primi quattro mesi del 2007 dimostrano che invece vi
è un recupero del comparto tessile moda. Come ricorda Paolo Zegna, presidente di Smi-
Ati, «la crisi c’è stata e ha fatto molte vittime, ma si è riusciti ad individuare i problemi
e le soluzioni. I risultati sono sotto i nostri occhi»6.
Tutte le fonti statistiche disponibili confermano il trend positivo, anche se
bisogna sottolineare che le valutazioni del Centro Studi Smi-Ati sono sensibilmente più
prudenti rispetto ai dati ISTAT. Secondo Smi-Ati, il fatturato dell’industria tessile moda
nel 2006 è stato di 52,8 miliardi di euro, in crescita dell’1,9% rispetto all’anno
precedente7, come si evince dalla tav. 4.
Se, oltre ai dati pubblici, si dà uno sguardo a quelli “privati” (raccolti con le
indagini campionarie della Federazione Imprese Tessili e Moda Italiane), e quelli sugli
indici di consumo delle famiglie italiane di Sita Ricerca, è difficile stabilire con
esattezza a quale velocità il settore si stia riprendendo. Se poi è indubbio che le grandi
imprese hanno visto crescere sensibilmente le proprie vendite, non si può affermare
altrettanto per le medie e piccole imprese (che spesso sfuggono ai monitoraggi
dell’ISTAT) per le quali la strada verso la ripresa è molto più problematica, anche in
6 Cfr. Giulia Crivelli, “Economia e Imprese”, Il Sole 24 ORE, rassegna stampa ACIMIT, venerdì 29
giugno 2007.
7 Smi-Ati, “Il settore tessile moda italiano nel 2006-2007”, Pitti Immagine Press, Milano, 16 maggio
2006.
17
ragione del fatto che esse sono meno attrezzate a cogliere i segnali di “scatto” del
mercato extra europeo.
La crescita dell’export (+3,7%) registrata nel 2006, è, infatti, dovuta ad un
incremento dei flussi verso i mercati extra-UE (+5% circa).
Anche le importazioni, tuttavia, hanno subito una vistosa accelerazione: dal
+4,4% del 2005 si è arrivati all’11,2% dell’anno successivo. In questo caso è la Cina,
che da sola soddisfa circa 1/5 della capacità di assorbimento del mercato italiano, a
controllare il commercio.
All’aumento delle importazioni hanno contribuito sia le strategie di sourcing e
manufacturing delle aziende industriali italiane, sia le operazioni dei player sul mercato
retail. Tuttavia, le indagini mostrano come sul fronte industriale le imprese puntino
fortemente sul Made in Italy: il 50% della produzione di abbigliamento del 2006, ad
esempio, risulta ancora costituito da prodotti tessili confezionati nel nostro paese8.
Sebbene la domanda interna mostri i primi segnali di risveglio (+4,5%) ciò non
ha certo arrestato il processo di ristrutturazione iniziato nel 2002. Nel 2006, infatti, si
stima siano circa mille le chiusure aziendali, con un calo occupazionale di circa
quattromila unità.
Il quadro è chiaro: le imprese italiane non possono pensare di competere con i
Paesi emergenti nella produzione di fascia bassa. L’obiettivo delle aziende è quello di
rafforzare i vantaggi non-price della propria offerta rispetto agli immensi svantaggi di
costo che ormai separano l’Italia dalle economie emergenti.
Osservando la fig. 1, risultano ormai chiare le principali strategie attuate dalle
imprese. In primo luogo, il mantenimento del successo tecnologico: le attività di ricerca,
il rinnovo degli impianti e l’innovazione di processo hanno, infatti, complessivamente
8
Ibid.
18
rappresentato il 45% della spesa totale. Il peso principale è stato tuttavia ricoperto dal
rafforzamento della rete commerciale/distributiva, dalle risorse di marketing e dallo
sviluppo del marchio.
Sono queste costose strategie che consentono alle imprese di competere nei
mercati internazionali.
I.1.1. Lo schema della filiera
Il sistema del tessile e abbigliamento si configura come una filiera produttiva
fortemente integrata e con un elevato grado di complementarietà, che comprende diversi
settori produttivi composti da attività manifatturiere di base, quali il trattamento delle
materie prime tessili, da attività di trasformazione industriale, dalla distribuzione e da
altri servizi avanzati.
Queste attività, tra loro differenti, si possono considerare tutte finalizzate al comune
obiettivo della vendita del prodotto finito. Il prodotto che arriva al consumatore è,
quindi, il risultato dell’efficienza complessiva sia dei diversi segmenti della catena del
valore, sia delle relazioni che si sviluppano tra le imprese che partecipano al processo
produttivo. Per questo motivo, per la moda, come per gli altri grandi comparti di
specializzazione del sistema produttivo italiano, è opportuno ragionare in termini di
efficienza dell’intera filiera produttiva piuttosto che dei singoli segmenti del processo.
Nello schema riportato qui sotto9, in cui sono rappresentati i comparti produttivi
che rientrano nel settore tessile e abbigliamento, vengono evidenziate le principali
relazioni che intervengono nel settore lungo la filiera produttiva e che si instaurano con
9 Cfr. IPI, Istituto per la Promozione Industriale, Industria tessile e dell’abbigliamento, 2001, pp. 9-10.
19
altri settori dell’industria, in quanto fornitori di materie prime o semilavorati, fornitori
di beni strumentali o sbocchi delle produzioni.
20
21
I.1.2. Il “Sistema Moda” italiano
Sulla base della filiera in questa sede precedentemente illustrata, come scrive
Marco Ricchetti10 il sistema moda può essere rappresentato come una piattaforma
operativa in cui convivono tre componenti: le industrie manifatturiere che realizzano
materialmente i prodotti, le attività di servizio che contribuiscono a conferire valore
immateriale ai beni e le attività di trade.
L’economia moda, in questo senso, diventa l’insieme delle aziende e delle
attività che concorrono alla realizzazione, distribuzione e commercializzazione di un
prodotto.
All’interno di questa struttura organizzata in tre macro aree di attività, la
componente industriale, che tradizionalmente viene identificata con l’economia moda,
comprende diversi sistemi manifatturieri, tra cui i principali sono il
tessile/abbigliamento e quello della concia e fabbricazione di prodotti in cuoio
(calzature e pelletteria). Entrambi i sistemi si sviluppano secondo differenti fasi di
lavorazione.
Nel tessile – abbigliamento la produzione manifatturiera comprende:
un processo a monte, che include sia la lavorazione di fibre che possono
essere naturali o di origine polimerica, sia la fabbricazione di superfici
tessili (filatura, tintoria e finissaggio, tessitura);
un processo a valle, che consiste nella trasformazione di questi materiali
tessili in prodotti finiti che vanno dall’abbigliamento e accessori per la
persona fino ai diversi prodotti per la casa.
10 Cfr. Lorenzo Birindelli, Marco Riccheti, Il sistema integrato della Moda, un settore al femminile,
Hermes Lab, gennaio 2004.
22
Anche l’industria della pelle e calzature ha un sistema produttivo articolato, che
va dalla fase della concia e predisposizione dei prodotti intermedi fino all’assemblaggio
dei prodotti finiti, tra cui quelli principali sono i diversi accessori in pelle, calzature,
borse e valigie.
Per quanto riguarda invece l’area dei servizi, le molteplici attività immateriali
che contribuiscono a dare valore al prodotto possono essere ordinate combinando un
primo livello, che fa riferimento al contenuto e al segmento della filiera moda sul quale
agisce un servizio, e un secondo livello rispetto al grado di specializzazione moda dello
stesso servizio11. Il sistema dei servizi può essere così suddiviso:
quattro aree di attività, costituite dai servizi creativi e tecnici di
progettazione dei prodotti; dalla comunicazione e l’editoria; dalle attività
legate al trade, e più in generale, al rapporto con i clienti; dai servizi di
consulenza gestionali ed organizzativi;
tre livelli di specializzazione. In particolare: specializzati per la moda,
ossia quei servizi utilizzati esclusivamente o quasi dalle imprese del
sistema moda (studi di stile, stampa specializzata, agenzie di modelle per
le sfilate, organizzazione di fiere specializzate ed altro); a forte
prevalenza della moda, ossia quei servizi di cui spesso usufruisce il
sistema moda anche se essi non sono dominio esclusivo del settore (la
stampa, per ciò che concerne le riviste femminili, la gestione degli spazi
urbani per l’organizzazione d’eventi, fotografi, società di analisi dei trend
culturali ed altro); generali, ossia quei servizi che ogni sistema
economico offre alle imprese (spazi espositivi, trasporti e centri per la
11
Ibid.
23
logistica, reti di telecomunicazioni, servizi finanziari, consulenza, spazi
di produzione culturale, ed altro).
Infine, la terza componente della filiera è quella del trade, che dall’inizio degli
anni Novanta sta assumendo un’importanza crescente nel processo di valorizzazione dei
prodotti moda12 .
L’importanza della distribuzione deriva dalla rilevanza che le componenti
immateriali dei prodotti hanno all’interno del sistema moda (comunicazione, immagine
ecc.) nonché dalla necessità di soddisfare in modo sempre più efficace le esigenze e i
gusti dei consumatori.
In questa prospettiva, si assiste a un processo di strutturale ammodernamento del
sistema distributivo dove, accanto ad un maggior investimento nella qualità del punto
vendita, si rafforza sempre più l’integrazione con la produzione fino a realizzare, in
alcuni casi, un vero e proprio controllo di quest’ultima sui canali di vendita, ad esempio
attraverso lo sviluppo di una rete dei negozi propri e in franchising
Grazie a questa sinergia tra produzione e distribuzione, diffusa principalmente
nelle imprese caratterizzate da marchi di prestigio, si sono moltiplicati i benefici di
reddito per l’intero sistema e si ha una maggior efficacia nell’interpretare i segnali
deboli del mercato sulle preferenze dei consumatori.
I.2. L’evoluzione del Tessile-Moda
Come propone Clemente Tartaglione13 , ai fini di una maggiore comprensione
delle dinamiche che hanno attraversato negli ultimi anni il settore del tessile-
12 Per approfondire, si consiglia la lettura di Antonio Foglio, “Il marketing della moda. Politiche e
strategie di fashion marketing”, Azienda Moderna, Ediz. FrancoAngeli, 5a edizione, aggiornata e
ampliata, 2007.