4
alla Chiesa. Dopo il referendum è chiaro che alcuni principi morali imposti
dal Vaticano, e riconosciuti dal codice civile e penale, risultano intollerabili
per la maggioranza dei cittadini. La lotta per il divorzio provoca lo scontro,
sempre evitato e temuto dai partiti, tra laici e cattolici; la vittoria della
cultura laica consente allo Stato un recupero, purtroppo provvisorio, della
sovranità nel campo dei diritti civili. L’esito referendario accelera l’iter
legislativo relativo al rinnovamento del diritto di famiglia varato nel 1975;
ed è certamente il fantasma dell’esperienza del divorzio a condurre il
Parlamento ad approvare, nel 1978, la legge 194 sulla legalizzazione
dell’aborto.
Questa tesi analizza il ruolo giocato da radicali e comunisti nella
lunga disputa sul divorzio dal 1965, anno della presentazione del progetto
di legge da parte del deputato socialista Loris Fortuna, fino al referendum
del maggio 1974. Radicali e comunisti svolgono un’opera basilare nel
fronte divorzista; i dinamici radicali, nell’occasione, interpretano la parte
dell’avanguardia “illuminata” e sono a pieno titolo i vincitori morali della
decennale contesa sul divorzio. Qui di seguito, e nei primi due capitoli, si
tenta di comprendere chi sono e da dove arrivano i radicali, un minuscolo
partito che, grazie alla battaglia per l’allargamento dei diritti civili, vive
negli anni settanta del secolo scorso il suo momento di gloria.
Nel 1955, in seguito ad una scissione causata dalla corrente di
sinistra del Pli, viene fondato un partito che prende il nome di radicale.
Occorre ricordare che già l’ottocento italiano conosce lo sviluppo di un
movimento radicale, il quale vede all’opera personalità di diversa
estrazione ideologica (garibaldini, repubblicani, ed uomini d’orientamento
democratico e socialista); sebbene sia arduo cogliere un legame
consistente col Pr nato nel 1955, è utile riportare in questa introduzione
dei brevi cenni circa le vicissitudini dei radicali del XIX secolo.
5
Con l’Unità nazionale si forma nel parlamento italiano un gruppo di
deputati guidati prima da Agostino Bertani e poi da Felice Cavallotti.
Ispirati dai principi classici del radicalismo (suffragio universale, istruzione
obbligatoria, laicità dello stato, abolizione della pena di morte) questi
uomini conducono una dura battaglia nei confronti della destra storica.
Nel 1876, quando è la sinistra di Depretis a salire al potere, i radicali
rimangono in ogni caso all’opposizione denunciandone la politica
trasformista. Agostino Bertani (1812-1886), medico chirurgo d’idee
mazziniane, contribuisce attivamente all’organizzazione delle Cinque
Giornate di Milano e alle imprese garibaldine. Compila un codice sanitario
e dopo l’Unità, eletto deputato, promuove un’inchiesta sulla situazione
igienico-sanitaria del neonato Regno. Figura tra i sostenitori del suffragio
universale e s’impegna a conciliare le istanze repubblicane con
l’evoluzione della monarchia in senso democratico. Esemplare dell’opera
in favore dei diritti civili, che uomini come Bertani svolgono nella politica
italiana ottocentesca, è l’intervento in favore di Lidia Poet. L’Ordine degli
Avvocati di Torino aveva rifiutato a maggioranza l’iscrizione all’Albo
Professionale della valdese Lidia Poet, laureata in legge. Bertani porta la
vicenda in parlamento, ergendosi a difensore della parità d’accesso alle
carriere tra uomini e donne. Felice Cavallotti (1842-1898), poeta e
giornalista, è deputato per dieci legislature nel parlamento del Regno
d’Italia. Agisce da strenuo oppositore alla politica conservatrice della
destra storica e anche del trasformismo e del moderatismo della sinistra
storica di Depretis. Si prodiga nella lotta all’autoritarismo crispino e,
nell’ultimo scorcio del XIX secolo, assieme a Napoleone Colaianni,
denuncia le condizioni fallimentari della Banca romana e i legami di
malaffare che questa mantiene con uomini politici e casa reale,
6
sollevando la “questione morale”.
1
Nel 1890 Cavallotti organizza un
congresso delle associazioni radicali e democratiche della penisola e in
tale occasione presenta un programma che prevede, tra l’altro:
nessun’ingerenza della Chiesa nello Stato e nessun Concordato,
suffragio universale maschile e femminile, istruzione laica obbligatoria e
gratuita per tutti, abolizione della pena di morte, indipendenza della
magistratura dal potere politico, garanzie sociali per i lavoratori (pensioni,
indennità, sussidi), tassazione progressiva. Tuttavia il movimento radicale
di matrice ottocentesca, nonostante la lungimiranza dei propositi
riformatori (o forse proprio a causa della troppa lungimiranza), non riesce
a conquistare un largo seguito sociale e, nel primo novecento,
sopravvivono solo alcuni gruppi e personalità isolate che subiscono la
sorte degli altri partiti politici, quando sulla penisola cala la notte del
ventennio fascista.
2
Nel secondo dopoguerra parte dell’eredità democratico-radicale
ottocentesca va ad arricchire prima il PdA e, dopo lo scioglimento di
quest’ultimo nel 1947, il movimento Unità Popolare che nel 1955
confluisce nel Pr. Il Pr del 1955 ha in ogni caso una matrice ideale
differente rispetto ai radicali ottocenteschi essendo la sua nascita legata,
come già detto, alla scissione dell’ala sinistra del Pli che si trova in
disaccordo con la linea conservatrice della segreteria di Giovanni
Malagodi. Il nucleo principale del Pr è costituito dal gruppo d’intellettuali
che fa riferimento al settimanale “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Non tutti i
collaboratori della rivista pannunziana aderiscono al nuovo partito: ad
esempio abituali firme del settimanale come Ugo La Malfa, Giovanni
Spadolini, Alberto Moravia, Ignazio Silone, Arturo Carlo Jemolo
1
G. Carocci, “Storia dell’Italia Moderna. Dal 1861 ai nostri giorni”, p. 29, Tascabili Economici
Newton, Roma, 1995.
2
Per questi cenni sul movimento radicale ottocentesco: A. Galante Garrone, “I radicali in Italia:
(1849-1925)”, Garzanti, Milano, 1978.
7
rimangono nelle rispettive case politiche o senza casa politica. Ma i
collaboratori de “Il Mondo” appartenenti alla sinistra liberale, come
Niccolò Carandini, Franco Libonati, Leone Cattani, Mario Paggi e
ovviamente Mario Pannunzio, s’impegnano nell’avventura del Pr
determinandone in gran parte la linea politica; per questo motivo nel
primo capitolo è concesso il giusto risalto alla rivista pannunziana.
Il Pr non riesce ad imporsi elettoralmente ma esercita un ruolo
fondamentale presso l’opinione pubblica per mezzo dei settimanali “Il
Mondo” e “L’Espresso”. Nel 1962 i fallimenti elettorali e le divisioni tra le
molteplici componenti del partito conducono ad una profonda crisi il Pr,
che è tenuto comunque in vita dalla corrente giovanile. La sinistra
giovanile rifonda il Pr dotandolo di linea politica e metodi di lotta diversi
rispetto al partito pannunziano quindi, trascorso un lungo periodo d’oblio,
negli anni settanta il “nuovo” Pr “oltrepassa la dimensione di gruppuscolo
e si afferma come partito”
3
grazie alla “vittoria dei sostenitori del divorzio
nel referendum del 1974”
4
e “l’imposizione nell’agenda politica nazionale
di un tema scottante come l’aborto nell’anno successivo”
5
e ottiene “infine
l’ingresso in parlamento nel 1976”.
6
Alla battaglia per il divorzio, innescata dai “nuovi” radicali, sono
dedicati il terzo, il quarto ed il quinto capitolo; mentre il secondo è
destinato al racconto della lunga e sotterranea lotta di Marco Pannella e
compagni per mantenere in vita, sia pur rinnovato, il Pr nato nel 1955.
L’ultimo paragrafo del secondo capitolo ospita una breve biografia del
nuovo leader radicale, Marco Pannella, che “è sempre stato riconosciuto,
non solo dall’opinione pubblica ma da tutto il partito, come l’autentico
leader…le non comuni qualità personali in termini di intuizione politica, di
3
P. Ignazi, “I partiti italiani”, p. 119, Il Mulino, Bologna, 1997.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
8
capacità argomentative, di abilità oratoria e di impegno personale (si
pensi ai digiuni) fanno del leader radicale una figura di alto profilo e gli
consentono una libertà di azione assoluta, al di là di ogni vincolo di
partito…Questo rapporto di dominio sul partito ha periodicamente
causato tensioni e crisi; ma tutte si sono risolte o con la conferma della
<lealtà> al leader o con l’<uscita> dal partito dei dissidenti”.
7
Sulla questione del divorzio, mentre i radicali sono in prima linea, i
comunisti appaiono come colti di sorpresa. Il Pci, frenato dalla ritardata
presa di coscienza del mutamento culturale in atto nel paese e dal
privilegio concesso nella sua strategia politica ai diritti sociali, rimane
nelle retrovie durante l’iter legislativo. Tuttavia non fa mancare i voti
decisivi in Parlamento e nella fase referendaria, quando naufraga
l’estenuante trattativa con il mondo cattolico per evitare la consultazione
popolare, sposta l’enorme peso del partito a difesa della Fortuna-Baslini.
Il Pci accoglie con freddezza e fastidio sia il progetto di legge per la
legalizzazione del divorzio (presentato dal socialista Loris Fortuna nel
1965), sia le iniziative “divorziste” dei radicali. La proverbiale compattezza
del partito è messa a dura prova dalla presenza al suo interno di una forte
minoranza laica, anticoncordataria e determinata a non sacrificare il
divorzio sull’altare del dialogo con la Chiesa e la Dc. Il partito sembra
rivivere le laceranti discussioni interne che lo portano “nella notte tra il 25
e il 26 marzo (1947 nda)“
8
a votare in “favore dell’articolo 7 della
Costituzione, che introduce nella Carta fondamentale dello stato italiano i
Patti Lateranensi del 1929”.
9
All’epoca, nonostante la rigida disciplina
interna al partito, la strategia di Togliatti deve registrare le clamorose
defezioni di Teresa Noce (che vota contro) e di Concetto Marchesi (che si
7
Ibidem.
8
A. Gambino, “Storia del dopoguerra. Dalla liberazione al potere Dc”, p.303, Laterza, 1975.
9
Ibidem.
9
allontana platealmente dall’aula al momento del voto). Altri come Fabrizio
Maffi, prima di piegarsi alla linea sostenuta dal segretario, implorano
“Togliatti di non umiliare i suoi sessant’anni di milizia socialista
obbligandolo a <votare insieme ai preti>”.
10
Ma “il desiderio d’evitare
all’Italia una aspra e forse tragica tensione religiosa”
11
, la consapevolezza
dell’ineluttabilità di dover necessariamente “porre le premesse per
continuare il dialogo con la base cattolica dentro e fuori dalla Dc”
12
e
soprattutto “il desiderio di assicurare l’avallo del Vaticano a quella
Costituzione democratica destinata a rappresentare…la migliore garanzia
del Pci contro i prevedibili tentativi di estrometterlo dal quadro politico
legale”
13
convincono il gruppo comunista, con la sola eccezione di Teresa
Noce e Concetto Marchesi, ad ingoiare il rospo dei Patti Lateranensi. Gli
argomenti utilizzati dall’ambasciatore di Togliatti presso il gruppo
parlamentare, Celeste Negarville, sono “la presenza nelle file del Pci di
almeno un 80% di cattolici, l’irrilevanza della possibile frattura con i partiti
laici…e il carattere radicaleggiante e <piccolo–borghese> di certe
preoccupazioni <laicistiche>, irrilevanti se giudicate sulla base dei veri
interessi di classe”.
14
Le ragioni, che spingono Togliatti a difendere
l’introduzione dei Patti Lateranensi nella Costituzione Repubblicana, sono
indubbiamente valide se contestualizzate nel clima politico dell’epoca.
L’Italia, appena uscita da vent’anni di dittatura, lacerata dalla guerra
civile, tenuta sotto stretta sorveglianza dagli Stati Uniti, non può
permettersi uno scontro frontale con la Chiesa guidata da un papa poco
incline a concessioni come Pio XII. Tuttavia l’approvazione dell’articolo 7
rappresenta una sconfitta storica per le libertà civili; il Concordato
10
Ibidem, p. 307.
11
Ibidem, p. 310.
12
Ibidem, p. 311.
13
Ibidem, p. 312.
14
Ibidem, p. 308.
10
prevede norme in aperto contrasto con il resto della Costituzione
soprattutto negli articoli che, nella Carta fondamentale della Repubblica,
declamano l’uguaglianza di fronte alla legge a prescindere da sesso,
lingua e religione. Il cattolicesimo diventa religione ufficiale dello stato ed
é sancito l’obbligo dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche. Ma tale scelta del Pci “contribuì ad evitare che la lotta
politica…assumesse il carattere di guerra religiosa e degenerasse in
forme di tale asprezza da rendere impossibile il permanere del regime
democratico”.
15
La vicenda relativa all’articolo 7 rimane uno dei prodotti più
discutibili del rapporto (c’è chi si è spinto a definirlo “L’intreccio”
16
) tra il
Pci ed il mondo cattolico. Nella lunga storia del Pci esiste un filo rosso
che lega gli scritti ed il pensiero circa la questione cattolica in Gramsci,
Togliatti, Longo e Berlinguer. Trattasi di un filo che andrà sempre più
ispessendosi e “dalle prime percezioni dell’<esistenza del problema>”
17
si
passerà “al riconoscimento della necessità di stabilire”
18
con la Chiesa
cattolica, i suoi fedeli e con la Dc “rapporti di equilibrio, e poi di dialogo, e
quindi di confronto, e successivamente di incontro, e infine…di intesa”.
19
Il mondo cattolico e quello comunista mostrano un evidente
retroterra “ideologico” simile. Del resto il comunismo è stato spesso
equiparato ad una religione; lo studioso Michele Straniero ha scritto un
saggio nel quale i partiti comunisti sono analizzati utilizzando i tipici
strumenti metodologici dello studio delle religioni. Straniero, partendo
dagli scritti di Marx, Engels, Lenin e altri, ha tentato di evidenziare gli
aspetti salvifici, fideistici e profetici presenti nel comunismo. Karl Marx alla
15
G. Candeloro, “Storia dell’Italia Moderna”, pp.127-129, vol. XI, Feltrinelli, Milano, 1986.
16
G. Baget Bozzo, “L’intreccio. Cattolici e comunisti, 1945-2004”, Mondadori, 2004.
17
A. Tatò in A.V., “Comunisti e mondo cattolico oggi”, p. 58, Editori Riuniti, 1977.
18
Ibidem.
19
Ibidem.
11
“lotta biblica tra il bene e il male…sostituisce la <lotta di classe>”
20
e
quando il bene (il proletariato) sconfiggerà il male (la borghesia) “lo
sviluppo inevitabile e fatale…della tormentata storia umana”
21
porterà ”a
uno stato sociale perfetto, fondato sull’uguaglianza e sulla comunanza dei
beni”
22
, dunque ad una sorta di paradiso in terra. Forse sono analogie
leggermente ardite, tuttavia Michele Straniero non è l’unico ad avanzare
simili teorie. Secondo Giuseppe Carlo Marino durante gli anni della
guerra fredda, per la maggioranza dei militanti comunisti, l’Urss
rappresentava “una metafora laica del Paradiso cattolico”
23
e il culto della
personalità rendeva Stalin una sorta di Dio laico. Sicuramente, scrive
Stephen Gundle, “l’Unione Sovietica fu per i comunisti fonte continua
d’ispirazione e d’incoraggiamento”
24
e a lungo il Pci si sforzò di
propagandare, presso operai e contadini, un’immagine mitizzata (o per
dirla con Straniero “paradisiaca”) della patria del socialismo reale.
Cattolici e comunisti, più semplicemente, sono accomunati sia pur
con modalità e fini differenti nella critica al capitalismo “consumista”, nella
difesa di rigidi valori morali, nel privilegio concesso al momento
“collettivo” piuttosto che alle necessità individuali. Lo sviluppo del
capitalismo di stampo americano, dagli anni ’50 del secolo scorso,
produce le trasformazioni (economiche, sociali, culturali) che conducono
l’Italia nel novero delle grandi potenze industriali dell’occidente. Il modello
di sviluppo economico statunitense, imperniato sul consumo individuale,
è un sistema distante anni luce dagli ideali cattolici. La Chiesa, pur non
condannando a priori il progresso industriale, preferiva che l’Italia
20
M. Straniero, “I comunisti. Una religione dell’aldiquà”, p. 13, Mondadori, 1997.
21
Ibidem, p. 14.
22
Ibidem.
23
G. C. Marino, “Autoritratto del PCI staliniano 1946-1953”, p. 12, Editori Riuniti, Roma, 1991
cit. in S. Gundle, “I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa
(1943-1991) ”, p. 99, Giunti, Firenze, 1995.
24
Ibidem, p. 98.
12
rimanesse un paese prevalentemente agricolo. Solo così poteva
sopravvivere il nocciolo duro della cultura contadina incentrata sui valori
tradizionali; la famiglia, la sobrietà dei costumi, il rispetto della morale
cristiana. Il consumismo mette in primo piano la figura dell’individuo-
consumatore, diffonde nuove norme e costumi secolarizzati e rischia di
sgretolare lentamente l’influenza della Chiesa nella società italiana.
L’industrializzazione e l’urbanizzazione, se incontrollate, avrebbero
inevitabilmente eroso e frantumato l’antica società rurale.
Dal canto suo, il Pci avversava il capitalismo monopolista per ovvi
motivi derivanti dall’ideologia marxista; secondo i comunisti lo sviluppo in
stile americano accentuava la miseria e la repressione delle masse
operaie e contadine. Viceversa, non è da escludere che lo stile di vita
americano fosse ben visto dalle classi popolari; operai e contadini, grazie
allo sviluppo economico, cominciavano a godere di un discreto livello di
benessere. L’influenza americana agisce anche sulla sfera del costume,
l’opposizione al dilagare di uno stile di vita più permissivo vede
protagonisti tanto il moralismo cattolico quanto quello comunista
25
.
Gundle ricorda che per il Pci il consumismo “postulava una visione della
vita in cui anziché l’ideologia diveniva centrale l’accumulazione,
individuale e familiare, di beni materiali…la morale comunista…deplorava
l’individualismo e il perseguimento di ciò che è egoistico o comodo,
esaltando invece il dovere e il sacrificio…il rigore ideologico e la
dedizione”.
26
Sacrificio, dedizione, rigore, disciplina sono parole d’ordine
che appartengono al medesimo vocabolario della morale cattolica. Gli
stessi termini hanno, al contrario, un chiaro connotato negativo per i
25
Sulla morale comunista: S. Bellassai, “La morale comunista. Pubblico e privato nella
rappresentazione del PCI (1947-1956)”, Carocci, 2000; D. Pasti, “I comunisti e l’amore”,
Editoriale L’Espresso, Milano, 1979.
26
S. Gundle, “I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa (1943-
1991) ”, p. 204, op. cit.
13
radicali; Pannella candidamente dichiara di detestare i sacrifici e di non
amare ciò “che si costruisce con il sangue o anche con il <sudore> della
fronte”.
27
Salvo poi costruire la sua fortuna politica “sacrificandosi” con
interminabili digiuni di protesta.
Tornando al Pci, più che alle analogie tra marxismo e cristianesimo,
lo stimolo al contatto tra il mondo cattolico e quello comunista va forse
attribuito al sovrapporsi della “popolazione” dei rispettivi mondi, in pratica
a quel 80% di fedeli ricordato da Negarville. Molti iscritti e simpatizzanti
del Pci sono credenti e all’interno del partito opera un forte gruppo di
dirigenti di fede cattolica. Durante il V congresso, tenuto a Roma dal 29
dicembre 1945 al 6 gennaio 1946, lo statuto del Pci viene modificato e
diventa possibile l’iscrizione e la militanza a prescindere dalle convinzioni
ideologiche e religiose. Le porte del partito si aprono al gruppo dei
cattolici comunisti tra i quali Franco Rodano, Luciano Barca, Antonio Tatò
e Giglia Tedesco; personalità che avranno un peso fondamentale nelle
scelte strategiche del Pci. Probabilmente è merito di questi uomini se il
“filo rosso” del dialogo con il mondo cattolico non si spezza mai, neanche
durante i terribili anni della guerra fredda e del pontificato di Pio XII. Papa
Pacelli è stato notoriamente un tenace anticomunista e ha contributo a
trasformare le elezioni politiche del 1948 in uno scontro di civiltà; in
quell’occasione il pontefice interviene ripetutamente nella campagna
elettorale e invita i fedeli a regolarsi, nelle scelte politiche, all’insegna del
perentorio “O con Cristo o contro Cristo”.
28
Il Vaticano, nel 1949, decreta
la formale scomunica dei partiti comunisti e dei loro iscritti; in quegli anni
la Chiesa si erge a baluardo granitico e compatto contro il comunismo e,
addirittura, a livello locale i parroci rifiutano le assoluzioni e negano i
27
M. Pannella, “Servitori di nessuno”, in “Notizie Radicali”, 1 luglio 1971.
28
Cit. in S. Gundle, “I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa
(1943-1991) ”, p. 84, op. cit.
14
funerali religiosi ai simpatizzanti del Pci, circolano libelli di propaganda
anticomunista come quello del francescano Tommaso Toschi
29
. Padre
Toschi nel suo libro, che ospita una prefazione al vetriolo del deputato
democristiano Raimondo Manzini, invita a diffidare della mano tesa del
Pci e, facendo leva sulle indubbie contraddizioni ideologiche del partito di
Togliatti, predica la necessaria sconfitta degli atei comunisti e la
conseguente fine della loro pericolosa opera disgregatrice e irreligiosa. Il
Pci, nonostante il muro eretto dalla Chiesa, non interrompe la ricerca
dell’intesa con il mondo cattolico che, non va dimenticato, annovera
anche uomini schierati a sinistra come Adriano Ossicini o sensibili alle
tematiche della pace e della giustizia sociale come Giuseppe Dossetti,
padre Ernesto Balducci, Don Lorenzo Milani e lo stesso futuro membro
del Cnrd Giorgio La Pira.
Già Gramsci, negli scritti dal carcere, sottolinea l’importanza delle
alleanze sociali per l’edificazione della società comunista. Tali alleanze,
ovviamente comprendenti il mondo cattolico, dovevano essere costruite
dal basso, invece Togliatti prima e Berlinguer poi impostano la loro
strategia politica privilegiando gli accordi di vertice. Togliatti mira
all’accordo ed al dialogo innanzi tutto con la Dc, il leader comunista è
convinto della natura popolare e progressista del partito cattolico e gli
assegna il ruolo di rappresentante delle masse contadine. All’indomani
della guerra di liberazione il programma della neonata Dc prevede
nazionalizzazioni e riforma agraria, ciò convince definitivamente Togliatti
della giustezza della sua analisi. Presto la tendenza conservatrice del
partito cattolico s’incaricherà di smentire le ottimistiche previsioni del
segretario comunista.
29
T. Toschi, “La maschera e il volto. Verità sull’opera antireligiosa del P.C.I.”, A.B.E.S.,
Bologna, 1953.
15
Lo stesso Berlinguer costruisce la strategia del compromesso
storico basandosi sulla potenziale natura riformista della Dc. In effetti,
negli anni settanta del secolo scorso, il partito cattolico è in piena
fibrillazione a causa della forzata convivenza al proprio interno di
posizioni politiche spesso agli antipodi, Berlinguer crede fermamente
nella possibilità che l’esito della lotta tra le correnti della Dc regali all’Italia
un partito cattolico maggiormente progressista. Scrive Berlinguer che la
“DC è un partito nel quale esistono profonde contraddizioni. E’ un partito
legato agli interessi di grandi concentrazioni economiche, di posizioni di
rendita, di gruppi parassitari, ma è anche un partito che per la sua origine,
per certe sue tradizioni, per la presenza in esso e nel suo elettorato di
larghe masse di ceti medi, di contadini, di donne, di lavoratori e anche di
operai, deve tener conto di esigenze e di aspirazioni popolari. La nostra
iniziativa deve far leva su queste contraddizioni, affinché si accresca il
peso delle componenti popolari, antifasciste, democratiche e unitarie che
stanno dentro e attorno alla DC e si riduca quello dei gruppi più
conservatori, più gretti e più faziosi”.
30
Il politologo Gianfranco Pasquino sostiene che, pur non essendo la
Dc un partito esclusivamente legato agli interessi del capitale, è stato un
peccato d’ottimismo attribuirle una possibile propensione riformista
confidando nella sua natura popolare
31
.
Il referendum sul divorzio irrompe nella scena politica italiana
mentre il Pci elabora la proposta del compromesso storico. La strategia
comunista mira ad unire nelle responsabilità di governo i tre grandi partiti
popolari (Dc, Pci, Psi) e auspica una sorta di riedizione dei governi
tripartiti che gestirono la nascita della repubblica. La terribile esperienza
30
E. Berlinguer, “La proposta comunista”, p. 104, Einaudi, 1975.
31
G. Pasquino, “Il Pci nel sistema politico italiano degli anni settanta”, pp. 41-80, saggio incluso
in S. Belligni (a cura di), “La giraffa e il liocorno. Il Pci dagli anni ’70 al nuovo decennio”, Franco
Angeli, Milano, 1983.
16
vissuta dalla democrazia cilena, dove nel settembre del 1973 un colpo di
stato militare rovescia il governo di Salvador Allende, convince
definitivamente Berlinguer dell’impossibilità per le sinistre di governare
l’Italia anche qualora riuscissero a racimolare il 51% del consenso
elettorale. Solo una duratura collaborazione tra le grandi forze popolari
poteva impedire la saldatura del centro con la destra e prevenire una
spaccatura del paese, che avrebbe spalancato le porte alle forze
reazionarie ed eversive. Il referendum sul divorzio rischia di produrre, e il
Pci non è l’unico partito a pensarlo, esattamente una pericolosa
spaccatura in due del paese lungo la delicata linea del rapporto tra laici e
cattolici. Sicuramente avrebbe costretto il Pci a schierarsi sul fronte
opposto rispetto alla Dc, proprio nel momento in cui l’obiettivo è quello di
stringere una stabile alleanza col partito cattolico. Inoltre, come nella fase
della legalizzazione della Fortuna-Baslini, c’è ancora chi nel partito
giudica assurdo sacrificare il dialogo con la Dc per la questione del
divorzio, un problema considerato sostanzialmente estraneo agli interessi
del movimento operaio.
In definitiva, l’azione comunista nella battaglia per il divorzio è
condizionata da una profonda incomprensione delle trasformazioni
culturali avvenute nel paese e, soprattutto nella fase referendaria, dalla
paura di spezzare il filo rosso del dialogo con il mondo cattolico.
Incomprensioni e timori, fortunatamente, non spingono il Pci a compiere
la stessa scelta fatta con l’articolo 7.