CAPITOLO 1
LA RINUNCIA AGLI ATTI DAL CODICE DEL 1865 ALLA
DISCIPLINA VIGENTE
Sommario: 1.1 Gli articoli 343, 344 e 345 nel codice di procedura civile del 1865 –
1.2 Il progetto Chiovenda – 1.3 Il progetto Mortara – 1.4 Il progetto Carnelutti – 1.5 Il
progetto Redenti – 1.6 I Progetti Solmi – 1.7 L’articolo 306 del codice di procedura
civile del 1942
1.1 Gli articoli 343, 344 e 345 nel codice di procedura civile del 1865
Il processo regolato dal codice del 1865 si presenta come un processo
scritto, a differenza dell’attuale oralità assunta a principio. Inoltre, ogni
questione controversa, anche se riguardante l’ammissione delle prove, doveva
essere decisa dal collegio con sentenza impugnabile con appello. Ciò creava
delle enormi lungaggini. Anche per questi motivi si affermò la necessità di una
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
2
riforma che non si esaurisse in semplici ritocchi, così come osservato da
Chiovenda
1
.
La rinuncia agli atti del giudizio nel codice del 1865 era regolata agli
articoli 343
2
, 344
3
e 345
4
. L’articolo 343 stabiliva che la rinuncia poteva
essere fatta in qualunque stato e grado del processo, per poi stabilire ciò che
concerne “le persone sottoposte all’amministrazione o assistenza altrui”, le
quali, secondo tale disposizione, potevano validamente rinunciare o accettare
la stessa rinuncia della controparte solo nei modi previsti dalla legge “per
abilitarle a stare in giudizio”, non era dunque prevista la possibilità di
rinunciare o prestare la propria accettazione verbalmente in udienza. Infatti, il
collegio giudicante del 1865 non aveva conoscenza diretta del procedimento e
relativa istruzione e al momento della decisione doveva formare il proprio
giudizio sulla base di difese scritte e sulla lettura dei verbali.
L’atto di rinuncia e la relativa accettazione, così come regolati dal
vecchio codice, dovevano essere vagliati dal giudice, al quale competeva un
onere di controllo di legalità, ma non di merito, non potendo quindi sindacare
l’opportunità di un eventuale rinuncia, ma dovendosi piuttosto pronunciare
positivamente o negativamente sulla regolarità delle forme richieste ex lege
5
.
L’articolo 344 stabiliva l’obbligo di mandato speciale per il procuratore
della parte che intendesse, a mezzo dello stesso, rinunciare al giudizio,
accettare la rinuncia della controparte o revocare la stessa, salvo che la
comparsa fosse sottoscritta dalla parte rinunciante.
1
CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, IV ed., Napoli, 1928, p.39 e ss.
2
Art. 343 del codice del 1865: “La rinunzia agli atti del giudizio può essere fatta in qualunque
stato e grado della causa.
Per le persone sottoposte all'amministrazione o assistenza altrui la rinuncia non può farsi né
accettarsi, fuorché nella forma stabilita dalla legge per abilitarle a stare in giudizio”.
3
Art. 344 del codice del 1865: “Per la rinunzia agli atti del giudizio, l'accettazione, e la revoca
della medesima, il procuratore deve essere munito di mandato speciale, salvo che la parte
sottoscrivo la comparsa”.
4
Art. 345 del codice del 1865: “La rinunzia accettata produce gli effetti della perenzione.
Essa obbliga il rinunziante a pagare le spese del giudizio”.
5
TARZIA, Lineamenti del processo di cognizione, Milano, 2002, p. 190 e ss.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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Sia dall’articolo 343, che dall’articolo 344, si può desumere l’importanza
processuale della rinuncia agli atti. Infatti, la rinuncia non pregiudica l’azione o
il merito del processo, ma estingue gli effetti processuali della domanda
proposta, svuotando di efficacia le attività già poste in essere, per tanto, già
dal codice del 1865 si riconosceva la gravità degli effetti tanto da richiedere il
mandato speciale o, nel vecchio codice all’articolo 343, “la forma stabilita
dalla legge per abilitarle a stare in giudizio” per le persone sottoposte
all’amministrazione o all’assistenza altrui
6
.
L’articolo 345, infine, disponeva riguardo agli effetti della rinuncia sia in
ordine alla “perenzione”, che relativamente alle spese processuali incombenti
sulla parte rinunziante. Effetto diretto in cui sfociava la rinuncia agli atti del
giudizio era l’estinzione del processo regolata agli articoli 338, 339, 340, 341 e
342, riguardante l’estinzione del processo per inattività delle parti. L’articolo
345 disponeva che “la rinunzia accettata produce gli effetti della perenzione”.
“La perenzione, stabiliva l’articolo 340, si opera di diritto” e la parte che
volesse valersi dell’estinzione aveva l’onere di proporla prima di ogni altra
difesa.
Relativamente alle spese processuali, conseguenti alla rinuncia agli atti,
anche nella vecchia disciplina erano poste a carico della parte rinunziante.
L’articolo 342 del vecchio codice stabiliva che ognuna delle parti sopporta le
spese del giudizio perento. In caso di rinuncia la perenzione derivava da un
atto di parte che non trova più utilità alcuna nel portare avanti un giudizio
divenuto inutile, quindi logicamente, l’estinzione che derivi dal proprio
atto comporta l’addossamento delle spese che devono essere rimborsate
alle altre parti.
Il codice del 1865 taceva riguardo all’interesse delle altre parti per la
necessaria adesione alla rinuncia, richiedendo solo la generica accettazione
6
Cfr. REDENTI, Profili pratici di diritto processuale civile, Milano, 1939, p. 398 e ss., il quale
infatti, afferma che “la rinuncia agli atti, in sé e per sé, quando estingue il processo, non
ferisce l’azione (né l’eccezione) e cioè lascia interamente impregiudicato il merito; però
estinguendo il processo rende inutili le attività già spiegate”.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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della controparte. Tuttavia la dottrina, ad esempio Mattirolo
7
, aveva rilevato
l'inutilità dell'adesione delle parti che eventualmente non vi avevano interesse.
Il codice di procedura civile del 1865 regolava un processo lungo,
costoso ed inefficace; per questo, in seguito all’esperienza applicativa, si
avvertì l’esigenza denunciata, tra gli altri, dallo stesso Chiovenda di una
riforma radicale della disciplina. Anche Mortara nella relazione del proprio
progetto affermava “Occorre abbandonare risolutamente gli usati metodi di
restauro, osando cercare per l'edificio fondamenta nuova e una struttura
diversa dall'attuale; la ricostruzione non deve essere frammentaria ma
arditamente integrale”
8
. Il lavoro di progettazione per la riforma seguirà un
lungo iter, attraverso il quale, verranno proposti vari progetti di riforma.
Progetti che porteranno alla disciplina attuale, in seguito alla promulgazione
del codice di procedura civile del 1940, in vigore dal 1942. La progettazione
del nuovo codice si intensifica a partire dall’immediato primo dopoguerra,
quando nel 1918 viene costituita, infatti, la Commissione per il dopoguerra e
della sezione per gli studi processuali di cui Chiovenda è presidente.
7
MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile, III, Torino, 1903, p. 1008.
8
Cfr. MORTARA, Riforma giudiziaria (16 dicembre 1919), Presentazione dei ministri
preponenti, in TARZIA - CAVALLONE, I progetti di riforma del processo civile (1866 – 1935), I,
Milano, 1989, p. 376 e ss.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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1.2 Il progetto Chiovenda
Il lavoro di riforma del codice, conosce una tappa importante nel 1920
con il “Progetto Chiovenda”
9
.
Il progetto costituisce una summa di tutti i principi elaborati dall’Autore
negli anni e si apre, infatti, proprio con l’enunciazione dei principi di oralità,
concentrazione e immediatezza, principi di cui fu forte sostenitore. In tale
progetto il processo prefigurato si svolgeva in una o poche udienze, innanzi al
collegio, in forma orale; al giudice erano attribuiti maggiori poteri, l’ordine delle
questioni era stabilito in modo che, innanzi tutto, si risolvessero le exceptiones
litis ingressum impedientes. Il tutto coronato da una ferma unità del processo,
cioè dall’abolizione del regime d’impugnazione immediata della sentenza
interlocutoria. Il progetto Chiovenda, tuttavia, non suscita reazioni e non venne
neppure discusso, non producendo così alcun risultato concreto.
Tale progetto di riforma tratta la rinuncia agli atti del giudizio all’articolo
118
10
, semplificando la disciplina del vecchio codice. Nel progetto Chiovenda,
nulla cambia relativamente “all’interesse delle parti costituite”, rimanendo così
inalterata la formulazione del codice del 1865.
E’ prevista, al primo comma dell’articolo 118, la possibilità per l’attore di
proporre la rinuncia nell’udienza preliminare.
Viene stabilito, poi, che il presidente del collegio giudicante (o il giudice
delegato) ne dà atto con suo provvedimento, nella forma dell’ordinanza. Il fatto
che si parli di presidente del collegio è dovuto al fatto che Chiovenda nel suo
progetto di riforma poneva sempre l’organo giudicante in forma collegiale in
prima istanza.
9
Cfr. CHIOVENDA, Relazione al progetto di riforma del procedimento, elaborato dalla
Commissione per il dopoguerra, in Saggi di diritto processuale civile (1900-1930), II, Roma,
1931, p. 12 e ss.
10
Articolo 118 Progetto Chiovenda: “ se nella udienza preliminare l'attore dichiara di rinunciare
agli atti del giudizio e il convenuto accetta la rinuncia, il presidente un giudice delegato ne da
atto con ordinanza liquidando nell'ordinanza stessa alle spese dovute all'attore. La rinuncia
può essere fatta e accettata dagli avvocati delle parti, anche senza il mandato speciale
previsto dall'articolo 344 del codice di procedura civile”.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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Per ciò che concerne le spese processuali, resta inalterata la disciplina
del 1865, rimanendo le stesse a carico del rinunciante. La liquidazione è fatta
dal giudice con ordinanza, la stessa con la quale dichiara estinto il processo.
Infine, la maggior semplificazione, in onore anche alla speditezza del
processo di cui Chiovenda era sostenitore, si riscontra relativamente alla
dichiarazione di rinuncia o della relativa accettazione che prevedeva nel 1865
il mandato speciale del procuratore e che con il progetto Chiovenda può
essere fatta “dagli avvocati delle parti” e, come espressamente disposto
“senza che occorra il mandato speciale prescritto all’articolo 344 del codice di
procedura civile”.
Tuttavia, il progetto chiovendiano non si tradusse mai in legge e fu
soggetto a critiche
11
: per quanto temperata dall’impiego di scritture
preparatorie, questo progetto vede troppo accentuata l’oralità, rifiutandosi
decisamente l’impiego della scrittura, anche quando essa è richiesta per
consentire ai litiganti e al giudice un certo spatium deliberandi. Né di facile
realizzazione appariva l’immediatezza, che doveva essere realizzata
attraverso la discussione e la risoluzione, davanti al collegio, di tutte le
questioni, anche di rito. Infine, la propugnata concentrazione impediva alle
parti quel ragionevole governo del processo che consisteva nella disposizione,
in certa misura, ed in forza ad un loro accordo, di termini e differimenti
12
.
Critico nei confronti del progetto Chiovenda, a causa della eccessiva
oralità del processo, come proposto da tale progetto, era pure Mortara. Infatti,
nella relazione al progetto di riforma del codice, Mortara criticò aspramente
Chiovenda e ammise che nel sistema vigente, “l’oralità subisce due o tre
11
V. FAZZALARI, voce Codice di procedura civile, in Noviss. Dig. It., Appendice, I, Torino,
1980, p. 1293 e ss., p. 1295, il quale, infatti, sostiene che tale progetto si presta a numerose
critiche, sia perché esaspera troppo l’oralità, sia perché l’immediatezza, che doveva essere
realizzata attraverso la discussione e la risoluzione di tutte le questioni, anche di rito, davanti
al collegio, non è di facile attuazione.
12
In generale sui motivi del fallimento del progetto Chiovenda v. CIPRIANI, Storie di
processualisti e di oligarchi. La procedura civile nel regno d’Italia (1866 – 1936), Milano, 1991,
p. 207 e ss.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
7
restrizioni”, ma assicurò, “che le si poteva eliminare senza bisogno di
sconvolgere le linee maestre del nostro processo”
13
.
1.3 Il progetto Mortara
Solo qualche anno dopo la presentazione del progetto Chiovenda, nel
1923, anche Lodovico Mortara presenta il suo progetto di riforma al codice di
procedura civile. Mentre il progetto Chiovenda si occupa di esporre in formule
legislative solo i principi ed i capisaldi di un regolamento processuale, il
progetto Mortara contiene un regolamento pratico completo della parte del
codice cui si riferisce. Questi due progetti, seppur differenti, evidenziano delle
somiglianze che vengono così definite dallo stesso Mortara "si potrebbe dire
che sebbene gli edifici siano di stile affatto diverso, l’arredamento interno
presenta talune notevoli somiglianze"
14
.
Nel progetto Mortara la rinuncia agli atti del giudizio è trattata agli
articoli 201, 202, 203, 204, 205 e 206. La collocazione è quella del capo II
(Cessazione), del Titolo III (Interruzione e cessazione del processo). Mortara,
all’articolo 201 del progetto, stabilisce che il rapporto processuale può cessare
o per sentenza passata in giudicato o per rinuncia agli atti “espressa o tacita”.
Come la precedente e l’attuale disciplina si chiarisce esplicitamente che la
rinuncia non comporta l’estinzione dell’azione, tanto meno pregiudica i diritti
delle parti. Prosegue precisando che la rinuncia alla citazione notificata
dall’attore prima della comparizione all’udienza, impedisce la costituzione del
rapporto processuale e annulla ogni effetto della citazione. E’ pacifico che
l’atto di citazione costituisca l’introduzione del processo, e dunque, un
13
Cfr. MORTARA, Per il nuovo codice, cit., p. 21 e ss. dell’estratto.
14
Cfr. MORTARA, Per il nuovo codice, cit., p. 32 e ss. dell’estratto.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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presupposto procedurale necessario, qualora manchi non si potrà instaurare il
rapporto processuale tra le parti.
L’articolo 202 prevede che il mandato speciale sia necessario laddove
la rinuncia avvenga in un processo di impugnazione. In questo caso, com’è
pacifico, la sentenza del giudizio precedente passerebbe in giudicato
comportando quindi, degli effetti potenzialmente gravi nei confronti della
controparte. Al contrario, se invece la rinuncia è notificata nel corso del
procedimento di primo grado, Mortara, pone la regola, diversificando la
modalità dell’accettazione in relazione agli effetti più o meno gravi della stessa
rinuncia, del silenzio – assenso. Infatti, stabilisce che se entro dieci giorni dalla
notificazione della rinuncia, la controparte non si oppone, “la rinuncia si ha per
accettata”. Per opporsi, la controparte, deve rendere una dichiarazione alla
prima udienza o notificarla, motivandola. Questo onere di motivazione non era
previsto nella vecchia disciplina come non lo è nella disciplina attuale, dove
comunque sarebbe inutile essendo sufficiente l’interesse alla prosecuzione
del giudizio.
Mortara propone, all’articolo 203 del progetto, la non impugnabilità
dell’ordinanza che dichiara valida la rinuncia e cessato il rapporto processuale.
Altra novità rispetto alla rinuncia agli atti, come regolata dal codice del
1865, è l’introduzione all’articolo 204 del Progetto, della non revocabilità della
“rinuncia accettata o dichiarata valida”. Tuttavia non ammettere la revoca della
rinuncia costituisce un aggravamento dell’iter processuale, dal momento che
non estinguendosi l’azione la parte rinunciante ben potrebbe, comunque,
riproporre la domanda. Al divieto di revoca è posta la sola eccezione del caso
in cui questa derivi da una transazione successivamente annullata. Come è
logico, se la transazione costituisce un presupposto, un antecedente della
rinuncia sulla quale la stessa si fonda, l’annullamento della transazione
travolgerà necessariamente gli atti che in essa trovano un logico presupposto,
e in specie, la rinuncia.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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Per ciò che riguarda le spese, Mortara colloca la relativa disciplina
all’articolo 205 del progetto di riforma. Non diversamente dalla vecchia
e dall’attuale rinuncia agli atti, le spese processuali sono addossate
al rinunciante.
Infine l’articolo 206 parla di “rinuncia tacita”, che si verifica per effetto
della perenzione del rapporto processuale. Tale norma regola ciò che
attualmente è disposto all’articolo 307 c.p.c. in merito all’estinzione del
processo per inattività delle parti. Infatti, Mortara configurava l’articolo 338 del
codice del 1865 relativo all’estinzione del processo per inattività delle parti,
che stabiliva che “qualora nel corso di anni tre non siasi fatto alcun atto di
procedura”, come una forma di rinuncia tacita. Sebbene comunque,
riconoscesse anche la funzione di esigere quella misura di diligenza dalle parti
affinché ottenessero una tutela dei loro diritti da parte dello stato.
Coerentemente con questa visione, nel progetto di riforma al codice di
procedura civile la rinuncia agli atti, tacita o esplicita, viene accorpata alla
perenzione del processo nel capo II, intitolato “cessazione”
15
.
Il progetto Mortara non chiarisce chi possa o non possa accettare la
rinuncia, o meglio, siamo ancora lontani dall’attuale formulazione del codice
che permette di accettare la rinuncia alle parti “che potrebbero avere interesse
alla prosecuzione”.
Anche il progetto Mortara non divenne mai legge.
15
MORTARA, Istituzioni di procedura civile, Firenze, 1934, p. 320 e ss.
Capitolo 1 – La rinuncia agli atti dal codice del 1865 alla disciplina vigente
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1.4 Il progetto Carnelutti
Nel 1926 Francesco Carnelutti elabora il suo progetto per il codice di
procedura civile
16
. La concezione carneluttiana è più vicina a quella di
Mortara, che a quella di Chiovenda. Le esigenze di oralità immediatezza e
concentrazione vengono attuate, ma con dei temperamenti: Carnelutti, infatti,
elabora il principio di elasticità, in base al quale, benché il progetto preveda la
discussione orale in udienza, qualora le parti lo chiedano, oppure per la natura
delle questioni da risolvere, possa essere disposta la discussione scritta. In
base allo stesso principio, se la regola è che le prove debbano essere assunte
in udienza, tuttavia può essere delegato uno dei giudici, se le parti lo
richiedano o ricorrano gravi motivi d’ufficio
17
.
Nel progetto Carnelutti la rinuncia agli atti del giudizio è regolata
all’articolo 277, rubricato “Cessazione per rinunzia o riconoscimento”,
collocato nel capo III (Della cessazione), del titolo V (Della sospensione,
interruzione e della cessazione del processo).
Carnelutti all’articolo 277 non apporta modifiche alla disciplina della
“cessazione per rinuncia o per riconoscimento”, infatti, si limita a stabilire la
cessazione del processo nel caso in cui “una parte rinuncia alla domanda e
l’altra accetta”. Carnelutti, nel relativo progetto, non menziona l’interesse della
parte e non specifica di conseguenza se tutte, o solo le parti interessate,
debbano accettare la rinuncia affinché possa comportare validamente la
cessazione del giudizio
18
.
16
Cfr. CARNELUTTI, Progetto per il codice di procedura civile, Padova, 1926.
17
In proposito v. FAZZALARI, voce Codice di procedura civile, cit., p. 1294.
18
Successivamente alla redazione del progetto, Carnelutti affermerà che “intanto la rinunzia
debba cagionare l'estinzione in quanto la prosecuzione del procedimento non sia destinata a
produrre alcuna pratica utilità, che se invece una utilità se ne possa ricavare, il procedimento
debba proseguire", deducendone quindi che "l'indice dell'inutilità della prosecuzione si trova
nell'adesione alla rinunzia delle altre parti le quali potrebbero avere interesse alla
prosecuzione". Cfr. CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, II, Firenze,
1956, p. 205 e ss.