contribuendo alla risoluzione del problema creatosi, attraverso
l’adozione una serie di atti vincolanti per gli Stati parti.
Ma proprio nel momento in cui sembrava essersi affermata una
nuova era fondata sulla pace e sul rispetto dei diritti umani, altre due
crisi, una in ex Iugoslavia e l’altra in Ruanda, facevano cadere ogni
speranza in merito: le terribili immagini divulgate attraverso i mezzi di
comunicazione di massa confermavano che molte delle atrocità
commesse durante il secondo conflitto mondiale non costituivano un
semplice passato di cui vergognarsi e da dimenticare, ma
continuavano ad essere perpetrate con una intensità addirittura
maggiore. L’attuale conflitto, scoppiato nell’aprile 1999 e non ancora
risolto, fra il Kosovo e la Serbia è un’amara conferma di tutto ciò.
I quesiti che a questo punto si pongono sono tanti: quali sono
stati i progressi in materia? Qual è la collocazione di tali diritti
nell’ordinamento internazionale? Esiste una giustizia globale?
La Comunità Internazionale sotto questo punto di vista ha fatto
numerosi passi avanti cercando non solo di garantire tali diritti, sia
sotto il profilo del diritto internazionale pattizio che consuetudinario,
ma anche di fare in modo che la loro applicazione sia assicurata
attraverso l’istituzione di un organo penale internazionale permanente,
ovverosia di un organo che non costituisca un caso isolato e non rischi
di essere l’espressione del giudizio dei vincitori sui vinti ( come in
passato è già accaduto), ma che sia realmente imparziale e
continuamente in grado di agire.
Il problema, però, che a tal proposito si pone è quello di evitare
che quest’ultima istituzione non sia riconosciuta dall’intera Comunità
Internazionale affinché la sua sia un’azione dotata di reale efficacia: il
rischio che si corre, infatti, è quello di creare un sistema di garanzia di
giustizia universale su un piano nominale e non sostanziale.
Molti sono i dubbi non ancora risolti; il già menzionato conflitto
in Kosovo dimostra come sia necessario fare ulteriore chiarezza
ancora su tanti punti oscuri: a tutt’oggi si discute sulla legittimità
dell’intervento armato della NATO senza una preventiva
autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, su quali saranno
le conseguenze sul piano della giustizia internazionale derivanti dagli
incidenti che hanno causato la morte di centinaia di civili, ecc.
L’unica certezza esistente è che la conclusione della battaglia
per una definitiva conquista dei diritti umani è ancora lontana.
Capitolo primo
Diritti umani e conflitti armati
§ 1.1 Diritto umanitario e diritti umani.
Il diritto internazionale umanitario dei conflitti armati
rappresenta una branca speciale del diritto internazionale ed ha come
principale obiettivo quello di tutelare le vittime della guerra e di
limitare le sue conseguenze disumane. A partire dalla seconda metà
del secolo scorso si è sviluppata una tendenza a creare uno “jus in
bello”, giustificata dall’esigenza di “costruire una dimensione
giuridica per la guerra”
1
. Si è così dato vita ad un corpus di norme di
diritto consuetudinario che oggi costituisce parte integrante del diritto
internazionale. Generalmente in dottrina si suole esaminare tale
argomento facendo riferimento a tre ambiti differenti: il primo è
rappresentato dal diritto bellico in senso stretto; il secondo attiene al
diritto umanitario e mira alla salvaguardia dei militari e dei civili che
non prendono parte alle ostilità; il terzo riguarda i diritti umani.
Da quanto detto risulta evidente la stretta connessione esistente
fra i primi due ambiti normativi e i conflitti armati; non è, invece,
1
E. GREPPI, Diritto internazionale umanitario dei conflitti armati: profili di una
convergenza, in CI 1996, p.474
possibile sostenere lo stesso ragionamento per il terzo ambito. I diritti
umani in senso stretto, infatti , non hanno un’origine internazionale,
ma nascono negli ordinamenti interni. Essi trovano un primo
riconoscimento ufficiale a partire dal diritto primario, ovverosia il
diritto alla vita, cosa tutt’altro che scontata se si tiene conto del fatto
che in tempi relativamente lontani il sovrano aveva il potere di poter
decidere sulla vita o sulla morte dei propri sudditi. I primi
riconoscimenti di tali diritti sono riscontrabili, sottoforma di
concessioni, già nel Codice di Hammurabi del 1750 a.C., nelle leggi
atenesi del 700 a.C. e in quelle dell’Impero Romano fra Numa e Silla.
La seconda fase, invece, si sviluppa in epoca medievale su una base
contrattuale: il sovrano attraverso un contratto limita il proprio potere
attribuendo dei diritti ai propri sudditi, fra cui la libertà di
circolazione, la libertà personale, la libertà della proprietà.
Durante tale periodo storico si sviluppa uno dei più antichi
esempi di codificazione del diritto bellico in senso stretto, la
“Ordinance for the government of the army” pubblicata nel 1386
sotto la reggenza di Riccardo II d’Inghilterra, che condannava a morte
chiunque avesse commesso atti di violenza contro le donne e i preti
disarmati, l’incendio di case, la violazione di chiese, ecc.
2
Con lo stato assoluto si fa un balzo indietro in quanto viene
meno anche la base contrattuale. Tale retrocessione è, tuttavia,
destinata ad avere breve durata, infatti nel 1689 in Inghilterra viene
adottato il Bill of Rights, ispirantesi alla Magna Charta Libertatum del
1215. Si tratta del primo atto, avente validità in un ordinamento
interno, che si occupa della tutela degli “human rights”
3
. Da questo
momento in poi nasce l’esigenza di racchiudere tali diritti in atti
scritti.
La Rivoluzione Francese (1789) in tal senso risulta avere
importanza per un duplice ordine di motivi: in primo luogo la
“Dichiarazione dei diritti del cittadino” codifica una serie di “human
rights”; in secondo luogo attraverso una delibera dell’Assemblea
Generale ci si propone di conformarsi a principi di giustizia e umanità
di trattamento dei soldati nemici (mettendo in moto un meccanismo
riferibile agli strumenti di “humanitarian law”), ponendo come
2
E. GREPPI, Diritto internazionale umanitario dei conflitti armati ..., cit., p.477
3
Ibidem, p.484
principio il fatto che la legge avrebbe punito ogni sopruso, omicidio o
violenza commessi contro i prigionieri di guerra. Si tratta di un
principio ispiratore sicuramente differente, sotto molti aspetti,
dall’attuale concetto di tutela dei diritti umani nei conflitti armati, ma
che evidenzia un problema di origine non recente. Il riferimento a tale
periodo storico non è casuale sia perché con la Rivoluzione Francese
cambia la valenza del termine “guerre”, che non viene più intesa
come semplice difesa del proprio territorio, ma anche come
salvaguardia dei principi sanciti dalla rivoluzione stessa; sia per il
fatto che durante la Grande Rivoluzione, e successivamente con le
guerre Napoleoniche, i civili cominciano a risentire in modo sempre
più violento degli effetti della guerra a causa dei saccheggi effettuati
dai militari e giustificati dal fatto che l’esercito avrebbe dovuto in
qualche modo essere finanziato
4
.
Ancor più preoccupante era l’avanzare del progresso in campo
bellico che comportava invenzioni di armi sempre più sanguinarie e
distruttive. Di tale problema si era già preso atto nel 1868, quando il
governo imperiale adottò la Dichiarazione di San Pietrburgo con la
4
J. BEST, Humanity in Warfare, ed. Methuen, (1983), I cap.
quale si rinunciava all’uso, in tempo di guerra, di proiettili esplodenti
di peso inferiore a 400gr, ovverosia di proiettili causanti sofferenze
non necessarie. Si tratta di un testo che per la prima volta menziona le
“leggi dell’umanità” ed, indirettamente, la necessità di “umanizzare la
guerra”
5
. Allo stesso tempo, però, ci si rende conto che azioni
finalizzate agli scopi anzidetti costituiscono solo uno degli obiettivi da
raggiungere; significativa a tal proposito è una famosa dichiarazione
del giurista Martens nella quale sostiene che “we are unanimous in the
desire to mitigate, as far as possible, the cruelities and disasters in
international conflicts which are not in any wise rendered inevitable
by the necessities of war. It is unanimous desire that the armies of the
civilized nations be not simply provided with the most murderous and
perfected weapons, but that they shall also be imbued with a notion of
right, justice and humanity, binding even in invaded territory and even
in regard to the enemy”
6
5
E. GREPPI, Diritto internazionale umanitario dei conflitti armati ..., cit., p.478
6
J. BEST, Humanity in Warfare, cit., p. 165
Nel periodo fra la seconda metà dell’ 800 e l’inizio del 900, in
cui si cercò di regolamentare la situazione concordando una serie di
regole di condotta, i commentatori osservano come in situazioni di
questo tipo fosse necessario il rispetto di garanzie minime. Se fino a
questo momento si era data importanza prevalentemente alla
codificazione del diritto bellico in senso stretto, l’evolversi dei fatti
comporta l’inglobamento di quest’ultimo in un ambito normativo di
gran lunga più ampio, ossia quello del diritto umanitario.
G. Best rileva come nella seconda metà dell’ 800 nasca una
mania per la guerra e si sviluppino due movimenti, di cui il primo
riflette il bisogno di affermarsi con la forza estendendo
territorialmente i propri domini, il secondo si sviluppa grazie al
divulgarsi del capitalismo e dell’industria: la guerra era vista come un
mezzo di distruzione e, in quanto tale, non favoriva la crescita
economica
7
.
7
Ibidem, I cap.
§ 1.2 Le Conferenze dell’Aia e le Convenzioni di Ginevra.
Un passo decisivo verso la codificazione lo si ha con le
Conferenze dell’Aia del 1899 e 1907, che, non bisogna dimenticare,
contengono norme relative alla condotta delle ostilità. Non manca
tuttavia un riferimento alle norme umanitarie, rilevabile soprattutto nel
preambolo della quarta Conferenza
8
: è stato, ormai, da più parti
sostenuto che le “Hague Regulations” anticipano sotto molti aspetti le
Convenzioni ginevrine.
9
Dinstein sostiene, infatti, che “historically
many of the provisions of the Geneva Conventions are derived from
the Hague Conventions”
10
.
E’ in questo periodo, caratterizzato da profonde battaglie
ideologiche in questo campo, che si pongono concretamente le basi
per l’odierno concetto di repressione della violazione dei diritti umani
nei conflitti armati.
8
T. MERON, Human rights in internal strife: their international protection, Grothius
Publication Limited (1987), p. 11ss.
9
T.MERON, Human rights and humanitarian norms as customary law, Clarendon Press,
Oxford 1989, p.48
10
Y.DINSTEIN, Human rights in armed conflict: International Humanitarian Norms, in
T. MERON (edited by) “Human Rights in International Law” Volume II, Claredon
Press, Oxford, 1984, p.346
Le Convenzioni di Ginevra, come è stato sopra anticipato,
rappresentano uno dei primi esempi di codificazione degli strumenti di
“humanitarian law”. Una nuova era è iniziata, perciò, con la prima
Convenzione del 22 Agosto 1864, che, fra l’altro, sta all’origine del
movimento internazionale della Croce Rossa
11
. Fra i principi
fondamentali su cui essa si basa troviamo da un lato la protezione dei
feriti indipendentemente dalla loro provenienza; dall’altro la
neutralizzazione di tutti gli esseri umani coinvolti nell’aiutare i feriti.
Secondo Best “the immence significance and importance of this
declaration was not that it was particularly original as that it now
became accepted as a general rule (or even as a general truth, for those
who like to look at it that way) among the signatory nations”
12
. Tale
Convenzione fu rinnovata nel 1906 e nel 1929, ma decisivo risulta
essere il rinnovo del 1949, che completa ed estende la portata delle
precedenti convenzione a seguito delle ignobili conseguenze del
secondo conflitto mondiale.
11
E. GREPPI, Diritto internazionale umanitario dei conflitti armati ..., cit., p. 480-481
12
J. BEST, Humanity in Warfare, cit., p.150