Capitolo I
Il giornalismo: ricostruzione storica dell’ordinamento professionale e
leggi vigenti
I.1 La nascita dell’Associazione della stampa periodica: 1877
Si deve all’Associazione della stampa periodica italiana, istituita nel lontano
1877, la definizione di giornalismo come prestazione intellettuale a carattere
professionale attraverso la previsione nel suo primo statuto di tre categorie di
giornalisti:
1) effettivi: coloro che da almeno due anni esercitavano in modo esclusivo e
retribuito l'attività;
2) pubblicisti: coloro che collaboravano con continuità alla stampa periodica, pur
esercitando altre professioni;
3) frequentatori: personalità del mondo della cultura e della politica che
pubblicavano periodicamente propri articoli nei quotidiani e nella stampa in
genere.
Questa originaria classificazione rappresenta un primo passo per la
realizzazione di un vero e proprio ordine di tutela.
Nel 1901 l’On. Luigi Luzzati, Presidente dell’Associazione, presenta al
Parlamento uno schema di legge per il riconoscimento giuridico della professione
giornalistica ma la fine della legislatura non ne permette la discussione. Ad esso si
perverrà per la prima volta, sia pure in modo indiretto, con la legge 9 luglio 1908,
n. 406, sulle concessioni ferroviarie. Erano previsti, infatti, sconti sui biglietti per
coloro che svolgessero l’attività giornalistica in modo “abituale, unico e
retribuito”, previamente inseriti in un elenco (albo) tenuto da una commissione.
Quella dei giornalisti inizia, così, ad essere considerata “una categoria
particolare di professionisti”.
Sempre nell’anno 1908 nasce la Federazione della stampa italiana, riservata ai
soli giornalisti professionisti, con il compito di garantire la dignità della
professione proteggendone l’esercizio
1
.
1
Per un’accurata ricostruzione storica del processo istitutivo della Federazione della stampa
italiana, cfr. A. VIALI e G. FAUSTINI, La professione di giornalista, Roma, CDG, 1992, p. 21 ss.
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I.2 La legislazione fascista in materia di professione giornalistica
L’istituzione dell’Ordine affonda le sue radici nella legislazione fascista che,
restringendo l’ambito delle libertà personali, considerava la stampa uno strumento
di propaganda politica da asservire agli interessi del regime. Alla luce di tale
progetto, l’Ordine sarebbe dovuto essere un meccanismo di selezione politica con
il compito di controllare la fedeltà dei giornalisti al regime, tacendo su qualsiasi
espressione di dissenso ed omettendo qualsiasi notizia in grado di generare una
possibile opposizione al governo.
La legge n. 2307 del 1925, infatti, stabiliva che fosse istituito un Ordine dei
giornalisti cui affidare la tenuta degli albi da depositarsi presso la cancelleria delle
Corti d’Appello e che ai soli iscritti negli elenchi fosse consentito esercitare la
professione.
L’albo (successivamente istituito con il r.d. n. 384 del 1928 )
2
si componeva di
tre elenchi: giornalisti professionisti, praticanti e pubblicisti.
L’iscrizione nell’elenco dei professionisti era vincolata all’esercizio esclusivo
della professione giornalistica per la durata di almeno 18 mesi. Potevano iscriversi
come praticanti coloro che, pur rispettando il requisito dell’esclusività,
esercitavano la professione da meno di 18 mesi o non avevano ancora compiuto il
ventunesimo anno di età. Erano pubblicisti coloro che esercitavano l’attività
giornalistica non in via esclusiva.
Tra i requisiti ostativi all’ammissione, esemplificativo dello spirito del
provvedimento, c’era l’aver svolto «una pubblica attività contraria agli interessi
della Nazione», mentre tra i requisiti positivi occorreva presentare, unitamente
alla domanda di iscrizione, un’attestazione rilasciata dal Prefetto riguardante la
condotta politica del richiedente.
L’Ordine, in realtà, non fu mai istituito e, a seguito dell’entrata in vigore della
legge n. 563 del 1926 sull’organizzazione sindacale, le funzioni ad esso attribuite
(deliberazioni sulle richieste di ammissione all’albo; provvedimenti di
sospensione dall’attività o di cancellazione a seguito di provvedimenti
2
Cfr. R.D. 26 febbraio 1928, n. 384, “Norme per la istituzione dell'albo professionale dei
giornalisti”, art. 1: “Per esercitare la professione di giornalista nei periodici del regno e delle
colonie è necessaria l'iscrizione nell'albo professionale”.
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disciplinari) furono affidate agli undici comitati regionali in cui si articolava il
Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, i cui aderenti erano iscritti d’ufficio
all’albo. Ogni comitato si componeva di cinque membri di nomina governativa.
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I.3 Dopo la caduta del Fascismo
Caduto il Fascismo, con il d.lg.lt. 23 ottobre 1944, n. 302, si scelse di non
abolire la legislazione del 1928 ma di riconfermarla emendata di quegli aspetti
selettivi e punitivi apertamente illiberali. Permane la distinzione fra professionisti,
pubblicisti e praticanti (questi ultimi devono operare per 18 mesi prima di essere
iscritti all’albo). A differenza della normativa del 1928, in quella del 1944 non si
richiede per l’iscrizione all’albo alcun titolo di studio, ma solo il limite dei 21 anni
di età.
L’espulsione dall’albo viene decretata per la commissione di reati che
comportano la perdita dei diritti civili, della cittadinanza e di gravi scorrettezze
professionali
3
, mentre non è più causa di espulsione la mancata fedeltà al regime
fascista.
La tenuta degli albi e i relativi poteri disciplinari furono affidati ad una
Commissione unica con sede a Roma, i cui membri venivano nominati dal
Ministero di Grazia e Giustizia con l’avallo del sottosegretario per la Stampa e
l’Informazione e della Federazione nazionale della stampa.
Nei propositi transitorio, tale regime si protrasse, invece, sino al 1963, anno in
cui, con la legge n. 69, originata dal disegno di legge dell’allora Ministro di
Grazia e Giustizia Guido Gonella, si istituisce l’Ordine dei giornalisti e viene
stabilita una nuova disciplina professionale.
3
Cfr. A. VIALI e G. FAUSTINI, op. cit., p. 341 ss.
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I.4 L’Ordine e l’Albo dei giornalisti: Legge n. 69 del 1963
I.4.1 Struttura dell’Ordine
L’Ordine si articola in Consigli regionali o interregionali (composti da sei
giornalisti professionisti e da tre pubblicisti eletti dagli appartenenti alle rispettive
categorie) e dal Consiglio nazionale (composto da due giornalisti professionisti e
da un pubblicista per ogni consiglio regionale o interregionale).
Il Ministro di Grazia e Giustizia, avendo il compito di vigilare su tutti i
Consigli regionali dell’ordine, udito il Consiglio nazionale, può disporre lo
scioglimento di quei Consigli che non siano in grado di esercitare le loro funzioni
o violino la legge in materia.
La struttura democratica e il carattere elettivo dei suoi membri sono tra le
caratteristiche principali che differenziano la riformata disciplina dell’Ordine da
quella del periodo fascista.
I.4.2 Attribuzioni di ciascun Consiglio
Ai Consigli regionali o interregionali compete la tenuta dell’albo
(iscrizioni e cancellazioni) e l’esercizio del potere disciplinare nei confronti degli
iscritti, tenuti al rispetto delle regole imposte loro dall’ordine a difesa della dignità
propria, di quella della professione e dell’organismo cui appartengono.
I.4.3 Modalità e requisiti di iscrizione all’Albo
L’albo si compone di due elenchi:
1. giornalisti professionisti (la professione giornalistica è svolta in modo
continuativo ed esclusivo);
2. pubblicisti (l’attività giornalistica è svolta in modo non occasionale e retribuito
ma non esclusivo).
L’iscrizione nell’elenco dei professionisti è subordinata al raggiungimento del
ventunesimo anno di età, all’iscrizione nel registro dei praticanti, all’esercizio
continuativo della pratica giornalistica per non meno di 18 mesi e al superamento
di una prova di idoneità professionale da svolgersi davanti ad una commissione
mista, composta da cinque giornalisti professionisti e due magistrati, nominati dal
Presidente della Corte d’Appello di Roma (sede della prova nazionale).
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Accanto a questi requisiti positivi, la legge ne prevede anche di negativi e, più
in particolare, richiede che colui che avanza istanza di iscrizione non abbia
riportato condanne penali che comportino l’interdizione dai pubblici uffici (il
divieto di iscrizione si protrae per tutto il tempo per il quale tale interdizione è
stata disposta). Nell’ipotesi in cui l’interessato abbia riportato una condanna che
non comporta l’interdizione dai pubblici uffici, ovvero l’interdizione sia venuta
meno, si affida alla valutazione discrezionale del Consiglio dell’Ordine
l’accettazione o meno della domanda di iscrizione «vagliate tutte le circostanze e
specialmente la condotta del richiedente successivamente alla condanna»
4
.
Per l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti, oltre ai requisiti richiesti per
l’iscrizione all’Albo dei giornalisti professionisti (esclusi ovviamente quelli
relativi al praticantato), è necessario dimostrare di aver collaborato, in maniera
non occasionale e dietro retribuzione, con una o più testate giornalistiche per un
periodo di almeno 24 mesi.
I.4.4 Cancellazione dall’Albo
La cancellazione dall’Albo può intervenire per perdita di uno dei requisiti
richiesti per l’iscrizione, per cessazione dell’attività o per inattività protratta per
un periodo di tempo da due a tre anni (la cancellazione per inattività è comunque
esclusa per i giornalisti che siano iscritti all’Albo da almeno quindici anni).
I.4.5 Sanzioni disciplinari
L’art. 48, comma I, della legge n. 69/63 dispone che «gli iscritti nell’Albo,
negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al
decoro e alla dignità professionale, o di fatti che compromettano la propria
reputazione o la dignità dell’Ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare».
Il procedimento viene iniziato d’ufficio dal Consiglio regionale o
interregionale, o su richiesta del procuratore generale della Corte d’Appello
competente.
4
Legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 31 “Modalità di iscrizione nell’elenco dei professionisti”.
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Le sanzioni previste sono proporzionate alla gravità del comportamento e
pronunciate con decisione motivata dal Consiglio
5
. Esse sono:
1. l’avvertimento: si tratta di in richiamo orale, rivolto dal presidente del Consiglio
dell’Ordine per mancanze di lieve entità;
2. la censura: consiste in un biasimo formale per mancanze di grave entità;
3. la sospensione: per un minimo di due mesi ma non per più di un anno, il
giornalista che con la sua condotta abbia compromesso la dignità dell’Ordine può
essere sospeso dall’esercizio professionale;
4. la radiazione: può essere disposta quando il giornalista con la sua condotta abbia
gravemente compromesso la dignità professionale fino a rendere incompatibile la
sua permanenza nell’albo. Il giornalista può chiedere di essere riammesso una
volta che siano trascorsi cinque anni dal giorno della radiazione.
«Nessuna sanzione disciplinare può essere inflitta senza che l’incolpato sia
stato invitato a comparire davanti al Consiglio» (art. 56). Il giornalista è portato a
conoscenza dei fatti che gli vengono addebitati e delle prove raccolte a mezzo di
lettera raccomandata e ha trenta giorni di tempo per presentare al Consiglio
un’eventuale linea difensiva. I provvedimenti disciplinari sono adottati a
votazione segreta. L’azione disciplinare si prescrive in cinque anni.
I.4.6 Reclami contro le deliberazioni dei Consigli dell’Ordine
I soggetti ai quali sia stata negata l’iscrizione all’albo o per i quali sia stata
disposta la cancellazione o che a seguito di provvedimento disciplinare siano stati
colpiti da sanzione possono ricorrere al Consiglio nazionale dell’Ordine (entro
trenta giorni) e, nel caso la deliberazione impugnata sia confermata, alla giustizia
ordinaria con la possibilità di esperire tutti i tre gradi di giudizio (Tribunale, Corte
d’Appello e Corte di Cassazione). In tutto cinque gradi di giudizio a garanzia del
giornalista e dei destinatari dell’informazione
6
.
5
Legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 51 “Sanzioni disciplinari” e artt. ss.
6
Per una più ampia trattazione in tema di Albo professionale cfr. R. RAZZANTE, Manuale di diritto
dell’informazione e della comunicazione, III ed., Padova, Cedam, 2005; S. SICA, V. ZENO-
ZENCOVICH, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, Cedam, 2007;
A. VIALI, Giornalista: la professione, le regole, la giurisprudenza, CDG.
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I.5 La legittimità costituzionale dell’Ordine e dell’Albo dei giornalisti
I.5.1 Sentenza Corte Costituzionale 23 Marzo 1968, n. 11
A distanza di pochi anni dalla sua entrata in vigore con regolamento di
esecuzione d.p.r. n. 115/1965 e pur segnalandosi per le garanzie a favore del
singolo giornalista e dell’intera categoria, nasce e si sviluppa in Italia un acceso
dibattito sulla costituzionalità della legge istitutiva dell’Ordine.
Con sentenza 23 marzo 1968, n. 11, la Corte Costituzionale è stata chiamata a
valutare se l’obbligo di iscriversi all’Albo dei giornalisti, imposto dall’art. 45
della legge 69/63 a quanti vogliano scrivere professionalmente su quotidiani e
periodici, sia compatibile con l’art. 21 della Costituzione in virtù del quale “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
È legittimo, quindi, che l’esercizio di tale diritto, se concretizzato in un’attività
di tipo professionale, sia vincolato ad un meccanismo di selezione che attribuirà
solo ad alcuni lo status giuridico di giornalista?
A tale riguardo la Corte Costituzionale, premettendo che non era di sua
competenza valutare l’opportunità dell’istituzione dell’Ordine, ma che ad essa
spettava solo il compito di accertare se la riserva della professione ai soli iscritti
all’Ordine non violasse l’art. 21 della Costituzione, ha stabilito che la legge
istitutiva:
«Disciplina l’esercizio professionale giornalistico e non l’uso del giornale
come mezzo della libera manifestazione del pensiero: sicché […] essa non tocca il
diritto che a “tutti” l’articolo 21 della Costituzione riconosce. Questo sarebbe
certo violato se solo gli iscritti all’Albo fossero legittimati a scrivere sui giornali,
ma é da escludere che una siffatta conseguenza derivi dalla legge. Ne costituisce
riprova, oltre l’oggetto stesso del provvedimento, l’esplicita disposizione
contenuta nell’art. 35 il quale, in quanto subordina l’iscrizione nell’elenco dei
pubblicisti alla prova che il soggetto interessato abbia svolto “un’attività
pubblicistica regolarmente retribuita per almeno due anni”, dimostra che la
stessa legge considera pienamente lecita anche la collaborazione ai giornali che
non sia né occasionale né gratuita».
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I giudici della Corte confermano, quindi, la legittimità dell’Ordine in relazione
all’articolo 21, in quanto la legge 69/63 non disciplina l’uso del giornale come
mezzo di libera manifestazione del pensiero, bensì l’esercizio dell’attività
professionale.
L’esistenza di un albo professionale, di fatto, non impedisce anche al comune
cittadino di utilizzare il mezzo della stampa per esprimere liberamente le proprie
opinioni.
La Corte, poi, rinviene, come giustificazione costituzionale dell’esistenza
dell’Ordine, l’esigenza di tutelare la categoria giornalistica dalle indebite
influenze del potere economico degli editori.
«Il fatto che il giornalista esplica la sua attività divenendo parte di un
rapporto di lavoro subordinato non rivela la superfluità di un apparato che […]
si giustificherebbe solo in presenza di una libera professione, tale in senso
tradizionale. Quella circostanza, al contrario, mette in risalto l’opportunità che i
giornalisti vengono associati in un organismo che, nei confronti del contrapposto
potere economico dei datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto
della loro personalità e, quindi, della loro libertà: compito, questo, che supera di
gran lunga la tutela sindacale dei diritti della categoria e che perciò può essere
assolto solo da un Ordine a struttura democratica che con i suoi poteri di ente
pubblico vigili, nei confronti di tutti e nell’interesse della collettività, sulla
rigorosa osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e
soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e nel
non cedere a sollecitazioni che possono comprometterla»
7
.
Quindi la Corte approva l’esistenza di un Ordine che, andando oltre la mera
tutela sindacale (per il contratto di lavoro) della categoria, sia in grado di tutelare
le libertà dei giornalisti, di garantirne la preparazione tecnica e il rispetto delle
norme deontologiche in funzione della qualità dell’informazione offerta al
pubblico.
Sulla base di tali funzioni si spiega l’“anomalia” di questo Ordine che, in
quanto ente pubblico e non semplice associazione, non si limita a tutelare gli
7
Cfr. Corte Cost. sentenza 23 marzo 1968, n. 11, in Giur. cost., 1968, p. 311.
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