prevalentemente nel quartiere portuale della Boca: la comunità,
composta da un’alta componente di famiglie, era ben inserita nel
tessuto sociale, anche se in posizioni modeste; grazie ai capitali
accumulati con il commercio fu possibile in molti casi combinare
matrimoni tra i figli di questi primi pionieri dell’emigrazione italiana e
gli eredi dell’élite argentina, oppure consentire loro di intraprendere
una carriera nel giornalismo, nelle professioni liberali o nelle strutture
dello Stato argentino.
Dopo il 1852 l’Argentina inaugurò una fase di apertura e
promozione dell’immigrazione, che fu concepita come opportunità di
emancipazione dall’arretratezza in cui riversava il Paese e di
modernizzazione economico-sociale. Mentre da un lato la
Costituzione sancita dalla Confederazione delle province nel 1853
garantiva la libertà d’immigrazione e numerosi diritti per gli stranieri,
dall’altro il Governo di Buenos Aires creava una Commissione di
Immigrazione finanziata dallo Stato, che dal 1857 si adoperò nella
produzione di statistiche migratorie e nell’apertura di un centro di
accoglienza per gli immigrati appena sbarcati, l’antecedente del futuro
Hotel de Inmigrantes
5
. Sono questi gli anni delle leggi per la
colonizzazione agricola soprattutto delle regioni dell’estrema frontiera
- finalizzate a costituire nuclei di popolamento in zone abbandonate
dopo la cacciata degli indios nativi
6
- e della pampas, nonché di un
ciclo di prosperità dell’economia argentina, favorita dall’esportazione
di prodotti di allevamento, in particolare della lana. La situazione delle
prime colonie, fra le quali vanno menzionate quelle nelle province di
Santa Fe ed Entre Rios, che accolsero un numero considerevole di
immigrati piemontesi, risultò tuttavia molto instabile e precaria
7
.
Nello stesso periodo l’immigrazione si presentava anche e
soprattutto come fenomeno urbano, e si componeva di un nuovo e
particolare gruppo di italiani: gli esuli mazziniani e garibaldini, ai
quali si deve la nascita del primo giornale e delle prime società di
mutuo soccorso, che provvedevano ai bisogni primari degli immigrati
(l’assistenza in caso di malattia o di morte), ben presto affiancati da
altre istituzioni fondate da figure di spicco della comunità italiana, con
finalità ricreative e di socialità, piuttosto che mutualistiche, e da
giornali di diverso orientamento politico.
Il 1873 segna l’inizio di una diminuzione del numero annuo di
immigrati in arrivo, dovuta alla sfavorevole congiuntura economica
5
F. Devoto, In Argentina., cit., pp. 28-30
6
C. Vangelista, op. cit., p. 32
7
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 29-30
5
mondiale, diminuzione che si protrarrà fino al 1881, nonostante il
tentativo di rilancio attraverso la legge di immigrazione e
colonizzazione varata nel 1876 dal governo argentino: oltre a
concedere molte facilitazioni agli immigranti, fra cui un biglietto
gratuito in treno per raggiungere l’interno, prometteva la concessione
di terra pubblica
8
.
Questi primi decenni, tra gli anni Trenta e gli anni Settanta
dell’Ottocento, risultarono comunque fondamentali per i movimenti
migratori successivi, poiché gli italiani, in prevalenza liguri e
piemontesi, riuscirono a creare delle strutture comunitarie (ospedali,
banche, imprese, società di mutuo soccorso) in cui avrebbero trovato
spazio i futuri immigrati, anche se non sempre in modo vantaggioso,
nonché ad inserirsi nella nascente struttura burocratico-amministrativa
dello stato argentino
9
.
2. L’IMMIGRAZIONE DI MASSA
La grande immigrazione iniziò intorno al 1885; per circa dieci anni il
numero degli immigrati fu in costante ascesa, diminuendo, poi, in
seguito alla crisi del 1890. A partire dal 1905-1906, l’immigrazione
riprese la sua corsa, protraendosi con la medesima intensità fino al
1914, alla vigilia del primo conflitto mondiale, raggiungendo le sue
cifre massime nel 1913
10
. La punta massima relativa all’emigrazione
italiana fu raggiunta, invece, nel 1907, con 127.000 arrivi. Nel
complesso, fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del
Novecento, emigrarono in Argentina ben 2.000.000 di italiani
11
.
All’interno della massa degli immigrati esistevano due correnti,
dalle caratteristiche sociali diverse
12
: una nella quale predominavano i
giovani, in maggioranza maschi, di origine rurale
13
, che si fermavano
nelle città, dedicandosi ad ogni sorta di mestieri, oppure si occupavano
in lavori agricoli stagionali, come il raccolto o la tosatura delle
pecore
14
; l’altra costituita da gruppi familiari, che viaggiavano insieme
o separati (prima i maschi, a seguire le donne con i bambini)
15
, che
lavoravano prevalentemente nelle colonie agricole. Chi emigrava era
8
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 31- 33
9
F. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, in “Altreitalie”, n° 27, 2003, pp. 8-9
10
C. Vangelista, op. cit., p. 54
11
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 33-34
12
C. Vangelista, op. cit., p. 55
13
F. Devoto, In Argentina, cit., p. 34
14
C. Vangelista, op. cit., p. 55
15
F. Devoto, In Argentina, cit., p.34
6
spesso chiamato dai familiari o dai compaesani che si erano già
stabiliti in America
16
: seguiva, cioè, meccanismi a “catena”
17
.
Tra le fila dell’élite argentina l’immigrazione in massa degli
italiani suscitò dapprima preoccupazione, poi un vero e proprio
allarme. Le ragioni di questa situazione erano molteplici: innanzi tutto
il peso enorme degli italiani sul flusso totale degli immigrati; gli
italiani intimorivano, poi, per la solidità delle loro strutture associative
e la capacità di mobilitazione in occasione di feste e celebrazioni
patriottiche, o la partecipazione a manifestazioni in appoggio a
determinate scelte dei governi argentini; non da ultimo le apprensioni
erano legate anche all’idea di minaccia sociale che si diffondeva tra le
élites già inserite a pieno titolo nel tessuto sociale
18
. A questo
proposito si può ricordare come il romanzo naturalista argentino tentò
di stigmatizzare la possibile incorporazione degli italiani e dei loro
figli nell’élite argentina, in racconti come “Las multitudes argentinas”,
di José Ramos Mejìa, nel quale l’autore affermava che il cattivo gusto
era la condizione naturale che gli italiani portavano con sé: era l’odore
di stalla, sia riferito all’origine contadina degli italiani, sia inteso in
senso metaforico in relazione all’attività lavorativa che essi
svolgevano: erano come buoi arrivati lì per faticare. Secondo Mejìa,
dunque, spettava all’élite argentina il compito di “civilizzare” gli
immigrati italiani e non certo il contrario. Nonostante gli italiani non
fossero molto amati in Argentina, tuttavia, in quanto bianchi ed
europei, erano comunque preferiti ai nativi o ad altri particolari gruppi
di immigrati, come russi o balcanici
19
.
In coincidenza della crisi economica che colpì l’Argentina
nell’ultimo decennio del XIX secolo, si verificò un calo degli arrivi
nel Paese ed un aumento dei rientri in Italia; gli immigrati già inseriti
in Argentina persero i risparmi accumulati negli anni precedenti;
diminuì l’immigrazione settentrionale e crebbe quella meridionale e
quella proveniente dalle Marche; scese il numero degli agricoltori ed
aumentò quello dei lavoratori giornalieri, di coloro che si dichiaravano
senza professione e degli artigiani (tendenza questa, che si accentuerà
negli anni successivi).
Il censimento nazionale argentino del 1895 rilevava che gli
italiani presenti nel paese erano il 12,5% di tutta la popolazione totale,
cioè un numero pari a mezzo milione; fra loro c’erano 179 uomini per
ogni 100 donne; erano presenti in tutti i gruppi socio-professionali
20
:
16
C. Vangelista, op. cit., p. 58
17
F. Devoto, Le migrazioni italiane in Argentina. Un saggio interpretativo, Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, Napoli, 1994, pp. 48-49
7
tra gli operai e tra gli imprenditori, tra i proprietari terrieri e tra i
braccianti, tra i proprietari di case e tra i locatari, tra i lavoratori a
giornata e tra i professionisti
21
.
In questo periodo si affermava lentamente da un lato l’esigenza,
da parte dei dirigenti del nascente movimento operaio e delle nuove
forze politiche di sinistra, di sviluppare la coscienza di classe e
l’inserimento degli immigrati nelle forme organizzative operaie;
dall’altro la questione della nazionalizzazione degli immigrati e in
particolare dei loro figli, da parte dello Stato argentino. Le élites
argentine tentarono di trasformare i figli degli immigrati italiani in
“argentini” attraverso un’aggressiva politica di integrazione nazionale,
che si armò di tre principali strumenti: la legge sul servizio militare
obbligatorio (1901), il voto obbligatorio (1912) e l’educazione
patriottica, impartita nelle scuole pubbliche
22
. L’esito fu positivo,
come mostrano numerosi esempi citati anche dalla coeva stampa
italiana: non solo i figli degli italiani erano ben integrati nella società
argentina, ma a volte si dimostravano i più accaniti nell’osteggiare i
propri connazionali
23
. Questo fenomeno fu dovuto anche al fatto che il
rapporto tra la nuova generazione e la cultura d’origine era più
ambiguo, perché non vissuto ma recuperato tramite la mediazione
principale dei genitori e dei parenti: i figli degli immigrati non solo
non appartenevano alle associazioni e non leggevano i giornali
italiani, ma avevano anche perso i contatti con la lingua dei genitori
24
.
Nel 1914 fu realizzato il terzo censimento nazionale argentino,
che fornì una descrizione piuttosto dettagliata degli italiani emigrati
nel Paese: confermava la superiorità numerica del gruppo italiano,
attorno a 930.000 unità, pari al 12% della popolazione; c’erano 172
uomini per 100 donne; persisteva un’elevata presenza maschile, da
attribuirsi con probabilità sia alla meridionalizzazione del flusso, cioè
ad una maggiore presenza di lavoratori con un’alta percentuale di
ritorno, sia al fenomeno dell’immigrazione golondrina (di rondini) a
predominanza settentrionale, che interessava quei lavoratori stagionali
che si recavano nel Paese in occasione della mietitura.
Gli italiani presentavano un tasso di analfabetismo pari a quello
dei nativi (36%) ma erano più urbanizzati degli argentini: si
concentravano soprattutto nelle città nelle quali vi era stato un
18
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 34-36
19
F. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, cit., pp. 12-13
20
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 36-37
21
F. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, cit., p. 10
22
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 37-39
23
F. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, cit., p. 9
24
F. Devoto, Le migrazioni italiane in argentina. Un saggio interpretativo, cit., p. 190
8
inserimento precoce (Buenos Aires, Rosario, La Plata), ma
predominavano anche nelle aree rurali di recente o antica
colonizzazione, come la pampa gringa. Gli italiani contavano il
maggior numero di istituzioni censite (463), che avevano il più alto
numero di membri, ed erano a maggioranza maschile. I
comportamenti nelle scelte matrimoniali evidenziavano un’elevata
endogamia, in particolare femminile, perché le donne avevano più
opportunità di scelta, data la maggiore presenza di individui di sesso
maschile e spazi più ristretti di socialità al di fuori della cerchia di
parenti e amici. Per quanto riguarda l’inserimento spaziale gli italiani
risultavano ben distribuiti su tutto il territorio. Avevano una buona
leadership, istituzioni comunitarie forti che interagivano con il potere
politico argentino e con i gruppi economici locali
25
.
Gli immigrati italiani di quegli anni si inserirono in una società
plurale ed eterogenea, con un livello di conflittualità interno basso,
favorito anche da un mercato del lavoro molto fluido e dalla
possibilità di espansione urbana
26
.
3. DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE
A seguito del primo conflitto mondiale si produsse una brusca
interruzione del movimento migratorio, non solo italiano, ma più in
generale europeo; inoltre, tra il 1915 e il 1917, aumentarono i rientri al
paese d’origine: molti italiani tornarono in patria per arruolarsi
nell’esercito, mentre altri lo fecero per essere vicino alle loro famiglie.
Al termine della guerra la situazione si presentava difficile e
conflittuale, a causa dell’elevato tasso di disoccupazione, collegato
alla crisi in cui riversava l’industria argentina. E’ in questo contesto
che ebbero luogo le grandi sommosse che culminarono nella
“settimana tragica” del gennaio 1919
27
: allo sciopero degli operai
metallurgici a Buenos Aires, seguì l’azione repressiva del governo, cui
si affiancarono una serie di rappresaglie condotte da sedicenti
‘patrioti’ principalmente nei confronti degli immigrati ebrei, accusati
di tramare a favore della rivoluzione bolscevica
28
. Nonostante gli
italiani non fossero perseguiti particolarmente, la sommossa ebbe
degli effetti negativi per l’immigrazione, poiché il governo introdusse
i primi provvedimenti restrittivi: per entrare nel paese diventava
25
F. Devoto, In Argentina, cit., pp. 41-46
26
F. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, cit., p. 13
27
F. Devoto, In Argentina, cit., p. 46
28
C. Vangelista, op. cit., pp. 118-119
9
necessario possedere un passaporto con foto e dei certificati, rilasciati
dalle autorità di polizia o comunali, che attestassero la mancanza di
precedenti penali, la non mendicità e la sanità mentale. Tale politica di
controlli si intensificò negli anni successivi , con un decreto del 1923
e le leggi emanate nel 1930, nel 1932 e nel 1938, che introducevano
l’obbligo per gli emigranti di documentare l’esistenza di un contratto
di lavoro e sottoponevano la concessione del permesso di sbarco
all’arbitrio delle autorità argentine, anche nel caso in cui vi fossero
tutti i requisiti.
All’emigrazione italiana posero un freno sia le leggi fasciste
promulgate nel 1927, sia la crisi mondiale del 1930, causata dal crollo
della borsa di New York. Le conseguenze furono importanti: in quegli
anni progredì notevolmente l’integrazione sociale. Il calo degli arrivi
di nuovi immigrati tolse linfa vitale alle associazioni italiane, già
provate dalla concorrenza delle strutture sanitarie pubbliche e i
matrimoni diventarono più esogamici: si registrò un aumento di unioni
tra i figli degli emigrati italiani ed altri discendenti europei.
Nel mondo della politica entrarono nuovi soggetti, fra cui figli di
italiani; anche nella chiesa e nell’esercito si aprirono spazi nuovi per
la seconda generazione di immigrati. Se riguardo alla mobilità sociale
degli italiani tra le due guerre mancano dati certi, si può tuttavia
riconoscere un avvenuto consolidamento delle classi medie di origine
italiana, grazie all’incremento del numero di dipendenti statali.
Non va dimenticato però che, a fronte di un buon inserimento
degli italiani nella società del tempo, i pregiudizi contro di loro
continuavano a persistere.
Il periodo tra le due guerre si caratterizza anche per l’arrivo di un
nuovo contingente di immigrati: gli italiani esuli dall’Italia fascista a
seguito delle leggi razziali del 1938. Tra i soggetti che componevano
questo particolare gruppo di emigranti vi erano scienziati, intellettuali,
imprenditori e manager. Essi dovettero scontrarsi con i numerosi
ostacoli frapposti al loro ingresso dai funzionari argentini e non
sempre riuscirono ad inserirsi nel nuovo contesto valorizzando le
proprie competenze: molti furono obbligati a svolgere i lavori più
umili e persino chi aveva una lunga carriera accademica alle spalle
non sempre trovava posto nelle Università del Paese
29
. Gli esuli
politici italiani continuarono, in tal modo, l’antica tradizione di
emigrazione e azione politica in Argentina, iniziata negli anni Ottanta
del XIX secolo dai mazziniani e dai garibaldini.
29
F. Devoto, In Argentina, cit., p. 50
10
La politica fascista in Italia produsse, tuttavia, altre conseguenze:
innanzi tutto la formazione in Argentina di ulteriori associazioni e
movimenti politici tesi a sensibilizzare la comunità degli immigrati e
la società tutta sulla situazione politica europea; in secondo luogo
l’elaborazione di un discorso fascista volto a modificare l’immagine
dell’emigrante, da non considerarsi più immigrato, ma italiano
all’estero, e a conferirgli nuova dignità; in terzo luogo la
fascistizzazione delle organizzazioni autonome degli immigrati, quali i
circoli e le società di mutuo soccorso, ben presto sostituite con i fasci,
i dopolavoro, le scuole italiane, che si limitarono a diffondere tra gli
immigrati nuove forme di ritualità patriottica, piuttosto che un vero e
proprio sentimento di adesione all’ideologia fascista.
In generale si può affermare, però, che gli immigrati italiani
mostrarono di essere poco interessati al dibattito politico, che
riguardava solo in parte i ceti medi e popolari urbani, e che a fronte di
un relativo successo degli ideali fascisti nell’ambito dell’élite formata
essenzialmente da imprenditori, vi furono nette prese di posizione
antifasciste fra gli eredi dei movimenti socialisti e anarco-sindacalisti
sorti a fine Ottocento, i nuovi partiti comunisti e le comunità degli
esuli politici e religiosi.
Questa nuova immigrazione e le idee espansionistiche del
governo italiano, destarono non poche preoccupazioni in Argentina, la
cui classe dirigente corse ai ripari inasprendo le misure di controllo
dei movimenti migratori diretti nel Paese e sviluppando un acceso
dibattito sulle conseguenze politiche e culturali dell’immigrazione e
sulle modalità di selezione degli immigrati. Si diffondeva l’idea che i
gruppi immigrati fossero stati di ostacolo alla crescita della nazione, a
causa delle resistenze nei confronti dell’assimilazione linguistica e
culturale, dovute alla loro tendenza a creare reti di reciproca
solidarietà. Occorreva pertanto limitare l’immigrazione di quei gruppi
nazionali o religiosi che manifestassero una maggiore continuità
culturale, cioè un maggior grado di diversità.
Queste argomentazioni, tuttavia, non si tradussero in norme
palesemente discriminatorie e in leggi xenofobe e razziste, come le
coeve norme giuridiche europee fasciste e naziste, e i pregiudizi nutriti
nei confronti degli italiani immigrati non si trasformarono mai in
aperta persecuzione
30
. Gli italiani continuarono negli anni successivi
ad essere considerati integrabili, in primo luogo perché visti come
30
C. Vangelista, op. cit., pp. 129, 132-133
11