ultime della competitività di un’impresa si riconducono
sostanzialmente alla disponibilità di mano d’opera e di risorse
naturali (e quindi sostanzialmente al lavoro e ai fattori produttivi). Ma
se con la globalizzazione dell’economia è aumentato il numero di
soggetti in competizione fra loro, alla stessa maniera è aumentata
anche la possibilità di accedere e condividere risorse, e quindi la loro
disponibilità in termini di lavoro e fattori produttivi. Data questa
nuova disponibilità, quelle che prima erano risorse scarse ora non lo
sono più, e si sposta anche l’ambito della competizione. La
competizione è diventata sempre più funzione dell’abilità di utilizzare,
combinare, gestire le risorse. Dall’ambito materiale la competizione si
è spostata verso l’ambito dell’immateriale, diventando funzione di
“abilità”, di “competenze”, di “conoscenze”. Nell’economia globale la
competitività si acquisisce sul piano di questi asset intangibili. Non a
caso si parla di “economia della conoscenza”: il vero fattore
strategico, la vera fonte di vantaggio competitivo e quindi di creazione
di ricchezza è funzione della conoscenza di cui si dispone. Questo
nuovo paradigma
2
contribuisce ad individuare sempre di più il capitale
umano e la conoscenza di cui è portatore, come la fonte ultima della
ricchezza economica. Interesse delle imprese è quello di poter disporre
di un capitale umano dotato di conoscenza. Tuttavia la conoscenza, da
sola, non è in grado di garantire lo sviluppo economico in un contesto
ipercompetitivo quale quello globale: in tale contesto, che abbraccia
tutto il mondo e dove gli standard di conoscenza si innalzano
continuamente, bisogna anche essere capaci di adeguarsi di volta in
volta a questi standard, anzi di anticiparli: l’innovazione diventa
elemento essenziale, insieme alla conoscenza, della competitività. Ci
si chiede allora da dove deriva l’innovazione. Il paradigma della
spirale cognitiva è paradigma utile a fornire una spiegazione: è la
nuova conoscenza l’elemento alla base dell’innovazione, ed essa si
crea dalla codifica della conoscenza tacita in conoscenza esplicita. Si
deduce da ciò che l’innovazione scaturisce dall’interazione fra la
2
L’avvento della Knowledge Society e dell’economia fondata sulla conoscenza fu sancito già nel 1968 con il testo di
Peter Drucker. Si veda Drucker P.,The Age of discontinuity: Guidelines to our Changing Society, Transaction
Publishers, NJ, 1992.
8
conoscenza contestuale, pratica, radicata in un contesto, e la
conoscenza esplicita, codificata, trasferibile, presente nel contesto
globale.
E’ la dialettica locale-globale ad alimentare la spirale cognitiva cioè a
creare innovazione. Da ciò deriva un’altra importante implicazione:
locale e globale, conoscenza tacita e conoscenza esplicita, devono
continuamente interagire per generale ricchezza. Più un sistema sarà
in grado di gestire efficacemente questa interazione, più sarà in grado
di innovarsi e svilupparsi. Ne consegue che c’è un ulteriore elemento
essenziale per la competitività globale oggi consiste nella capacità di
gestire le relazioni. Anche per questo motivo è opportuno parlare
dell’economia odierna come “economia delle reti”. Lo sviluppo
economico dipende in ultima istanza dall’abilità di un’organizzazione,
di un’impresa di instaurare reti, relazioni, col contesto che gli sta
intorno, col contesto globale. Più la relazione è gestita
strategicamente, più l’organizzazione potrà attingere efficacemente
alle risorse e in particolare alle conoscenze esterne per tradurle in
innovazione. Si può quindi concludere che la fonte ultima di
competitività nell’economia globale sta nella capacità di gestire
relazioni. L’acquisizione di tale capacità consiste prima di tutto nel
comprendere la natura e la dinamica delle relazioni. La prima
caratteristica delle relazioni è quella di dar luogo a delle
interdipendenze. Le interdipendenze, che derivano dalla natura stessa
delle relazioni, e sono da concepirsi come “condivisione di risorse”, e
quindi, in un’ottica di impresa, come acquisizione di nuove
opportunità. L’interdipendenza implica che ciò che accade in
un’impresa, in un’organizzazione, in un paese, si ripercuote anche su
ciò che accade in un’altra impresa, organizzazione, paese col quale si
entra in relazione. Alla stessa maniera, la crescita, lo sviluppo di uno
significherà opportunità di sviluppo anche per l’altro. E a sua volta, il
mancato sviluppo di una parte significherà una mancata opportunità
per l’altra. L’approccio applicato nell’economia delle reti, alla luce di
tali interdipendenze è un approccio di sistema, nel quale l’interesse
della singola impresa o organizzazione è quello di sostenere e
9
promuovere lo sviluppo diffuso dal sistema nel quale è inserita così da
garantire maggiori opportunità di innovazione per sè stessa.
Parlando di vantaggio competitivo abbiamo visto come esso sia
sempre più determinante di asset intangibili quali esperienza,
conoscenza, capacità, cultura, presenti nel capitale umano. Con questa
affermazione, col posizionamento delle risorse umane e delle loro
capacità al centro del fenomeno economico, acquisiscono
implicitamente importanza i contesti nei quali il capitale umano
cresce, si forma, attinge le sue risorse culturali e conoscitive. E in un
approccio sistemico, di sviluppo diffuso, i contesti assumono ancora
l’importante ruolo di funzionare da “diffusori” di conoscenza, cultura,
sviluppo fra gli attori che vi fanno parte. I contesti territoriali, che
sono anche contesti socio-culturali, conoscitivi, nei quali si trova a
svilupparsi ed agire il capitale umano, assumono in questa prospettiva
una nuova importanza strategica.
In un’ottica di competizione globale, qualsiasi impresa o
organizzazione avrà l’interesse ad arricchire la propria dotazione di
risorse cognitive e promuovere la diffusione e l’innovazione delle
stesse. Ne deriva l’interesse ad instaurarsi in un contesto territoriale
capace di offrire risorse cognitive strategiche al suo capitale umano,
capace di creare un contesto innovativo, cioè capace di relazionarsi a
contesti esterni e con ciò generare nuova conoscenza, capace di
promuovere uno sviluppo diffuso, che offra maggiori opportunità di
circolazione e condivisione di conoscenze all’interno del sistema.
Si può dire con ciò che in un’economia che è economia della
conoscenza, imprese e territori vedono convergere i loro interessi:
l’uno ha l’interesse ad instaurarsi in un territorio che stimoli la
conoscenza, così da innovarsi e svilupparsi, l’altro ha l’interesse ad
attrarre la localizzazione di imprese per acquisire nuove risorse e
quindi crescita economica. Ne deriva anche che pure i territori entrano
in competizione fra loro, cercando di migliorare la loro attrattività nei
confronti delle imprese, e così attrarre ricchezza. Interesse dei territori,
a qualsiasi livello, municipale, regionale, nazionale, è quello di
10
divenire attrattivi per la localizzazione di imprese, di capitale umano
qualificato, di conoscenze.
Lo sviluppo del sistema economico italiano, quale tema principale
affrontato nel presente lavoro, è da ascriversi ai distretti industriali. In
questi particolari contesti produttivi la convergenza di interessi e la
co-evoluzione fra imprese e territori è una realtà radicata già da
decenni. E’ stato proprio grazie a questa dinamica coevolutiva
imprese-territorio che, come vedremo, si è realizzato il “miracolo
economico” italiano e si è andato consolidando un marchio, quello
del Made in Italy, che è stato garanzia di alta qualità in tutto il mondo
negli ultimi anni. Grazie al lavoro e alla creatività di questi piccoli
sistemi produttivi locali sparsi per il territorio, l’Italia ha potuto
conoscere un suo sviluppo economico ed acquisire un alto credito nei
confronti dei mercati internazionali, conquistare una posizione di
rilievo nella politica economica mondiale, crearsi una reputazione
vantaggiosa nei confronti del contesto globale. Proprio in un’ottica di
competizione globale, interesse delle PMI italiane è quello di giocare
la propria competitività sugli elementi di differenziazione racchiusi
nel Made in Italy, e quindi sui valori distintivi racchiusi nei contesti
territoriali nei quali le imprese operano.
Tuttavia la crisi che si trova a dover affrontare negli ultimi anni il
sistema produttivo italiano porta necessariamente ad interrogarsi circa
la validità del sistema distrettuale e il suo futuro. In effetti, come
analizzeremo nel corso del lavoro, tali sistemi si trovano a dover
affrontare una serie complessa di cambiamenti, primo fra tutti quello
della competizione globale. L’assetto produttivo si deve adeguare alle
nuove esigenze globali e anche le PMI italiane sperimentano nuove
strategie di internazionalizzazione. In questo necessario riassetto
produttivo il rischio tangibile è quello che si venga a spezzare, o
comunque attenuare, l’effetto sinergico fra territori e imprese,
volgendosi queste ultime alla ricerca di nuove occasioni, nuove
conoscenze, nuovi vantaggi in altri luoghi. In un’ottica di
competizione che è anche competizione fra territori, altri contesti
11
potrebbero diventare più attrattivi per le imprese rispetto a quelli
italiani. Con ciò il Made in Italy finirebbe per perdere il suo vantaggio
competitivo, contraddistinto da quella peculiare forma produttiva
radicata nel territorio.
Ci si chiede allora, nel corso del presente lavoro, quali possano essere
le possibili, ed anche urgenti strategie da mettere in atto al fine di
rivitalizzare l’attrattività dei territori italiani per le imprese. La tesi
propone i distretti culturali quali possibili strumenti di rivitalizzazione
dell’attività dei territori.
Il distretto culturale si presenta quale un sistema locale integrato di
valorizzazione delle risorse territoriali. Osserveremo nel corso del
lavoro, come tale sistema integrato possa essere capace di soddisfare
le attuali esigenze delle imprese in una economia della conoscenza,
ovvero di arricchire di risorse cognitive il capitale umano, creare un
contesto innovativo relazionandosi con i contesti esterni, promuovere
uno sviluppo diffuso e con ciò garantire la crescita dell’intero sistema
e dei singoli soggetti che ne fanno parte.
Motivazione della tesi proposta è quella di indagare come conferire
nuova attrattività ai territori tramite l’implementazione di distretti
culturali, con ciò offrendo al Made in Italy nuove opportunità di
sviluppo, innovazione, crescita. Tuttavia, il distretto culturale dispiega
un’ulteriore, importante funzione: per il fatto di consistere, come
abbiamo detto, di un “sistema integrato di valorizzazione delle risorse
territoriali”, esso diventa un sistema capace di tradurre in ricchezza e
sviluppo tutta l’ampia gamma di risorse presenti in un territorio, tanto
quelle tangibili quali le risorse naturali, i sistemi produttivi, le
infrastrutture, il capitale storico-artistico, quanto quelle intangibili
quali l’insieme di competenze e conoscenze incorporate nel capitale
umano, le risorse sociali e relazionali, il capitale simbolico e il
contenuto culturale insito in un territorio. Come abbiamo visto tale
capitale immateriale diventa sempre più fattore strategico di crescita
economica.
12
Si prospetta allora un’occasione preziosa per i tanti sistemi locali
sparsi per il territorio italiano che, per vicende storiche, per
caratteristiche geografiche, per scelte di politica economica, o anche
per immaturità imprenditoriale, sono rimasti ai margini dello sviluppo
nazionale, e non sono riusciti ad allinearsi al vincente sistema di
offerta del Made in Italy.
Il contesto economico generale, per le dinamiche esposte, appare
propizio per poter sfruttare una vasta serie di risorse presenti sul
territorio italiano rimaste per buona parte inutilizzate. D’altra parte,
vista la dinamica di crisi in cui versa il sistema del Made in Italy, la
necessità di innovarsi, ricrearsi, attingere a nuove risorse, diventa
un’esigenza dell’intero sistema nazionale.
E se, nell’economia delle reti, il mancato sviluppo di un soggetto
significa una mancata opportunità per il sistema, lo studio portato
avanti nel seguente lavoro è motivato dalla necessità che lo sviluppo
diventi uno sviluppo realizzato e le opportunità delle opportunità
colte.
Alla luce di quanto esposto, gli obiettivi del lavoro si possono
ricondurre a:
- analisi delle caratteristiche peculiari dei distretti industriali, per
comprendere le dinamiche fondamentali che hanno dato luogo al
successo del Made in Italy;
- analisi degli attuali percorsi evolutivi dei distretti industriali alla
luce delle esigenze di internazionalizzazione, per comprendere le
prospettive di sviluppo che si presentano ai territori nei quali i
distretti industriali sono inseriti;
- valutazione delle interdipendenze fra sistemi locali e sistema
nazionale, in un’ottica relazionale e di sistema quale quella
caratterizzante l’economia odierna e soprattutto in un’ottica di
concorrenza internazionale;
- analisi delle caratteristiche peculiari dei distretti culturali, al fine di
comprendere quali opportunità possano offrire in termini di
sviluppo di un territorio. Considerando tale sviluppo in funzione
13
della propria attrattività e della capacità di localizzare al suo
interno delle risorse esterne, internazionali, il lavoro prevede lo
svolgimento di una ricerca empirica volta a valutare il potenziale
di attrattività e di internazionalizzazione di un territorio specifico,
quello della regione Sardegna.
Il presente lavoro si articola in cinque capitoli.
Il primo capitolo è volto ad esaminare le caratteristiche del contesto
economico attuale, in particolare le dinamiche del vantaggio
competitivo nella competizione internazionale. Si espongono a
riguardo le teorie di Porter (1980, 1990), con particolare attenzione
alle affermazioni in esse contenute circa il ruolo dei contesti
territoriali nella creazione del vantaggio competitivo, le dinamiche del
vantaggio nazionale, l’importanza strategica del processo di
formazione dei cluster industriali. Si propone una rilettura delle teorie
porteriane secondo un approccio relazionale, rifacendoci in particolare
allo studio delle reti e delle relazioni portato avanti dall’IMP group e
dal suo Network Approach. Su questa base teorica si propone un
possibile schema relazionale volto a mettere in luce le interrelazioni
fra i sistemi del vantaggio competitivo di Porter, e quindi fra sistema
della singola impresa, sistema del valore, sistema dei cluster
industriali, sistema del vantaggio nazionale e sistema della strategia
globale. Lo schema così elaborato, che verrà denominato “circolo
dell’internazionalizzazione”, ci servirà da schema di orientamento nei
capitoli successivi, che si articoleranno difatti sulla base del livello di
relazione che verrà osservata: dalla rete locale fra sistema dei distretti
e sistema del vantaggio nazionale, alla rete globale che collega il
sistema del vantaggio nazionale al sistema della strategia globale,
prima in un’ottica di configurazione, poi di coordinamento.
Il secondo capitolo affronta, sulla base dello schema elaborato,
l’analisi delle relazioni fra i distretti industriali e il sistema del
vantaggio nazionale. Si osserveranno le caratteristiche peculiari dei
distretti industriali italiani sulla base della letteratura di riferimento e
in particolare quella di Giacomo Becattini (1998, 2000). Si passa poi
14
ad analizzare la situazione di crisi del sistema produttivo italiano
cercando di circoscriverla a delle cause principali, sia di carattere
esogeno, ma soprattutto di carattere endogeno, a livello di sistema
nazionale. Si prosegue nel corso del capitolo con una trattazione
preliminare delle teorie sui distretti culturali, inserendole nel contesto
generale dell’economia della cultura, per comprenderne al meglio le
dinamiche e gli obiettivi.
Il terzo capitolo vuole osservare la relazione che intercorre fra il
sistema nazionale e quello della strategia globale. Per fare ciò ci
riconduciamo alle teorie del country-of-origin effect e del marketing
del made in per conoscere le dinamiche attuali che interessano il
marketing internazionale. Si rileva l’interrelazione esistente fra
produzione e immagine del paese d’origine, affermando con ciò la
necessità strategica di promuovere nel mercato globale un’immagine-
paese positiva, forte, omogenea. La letteratura recente offre degli
spunti per implementare tali strategie, e il capitolo presenterà in
particolare la teoria dell’Identità Competitiva di Simon Anholt (2007).
Il quarto capitolo vuole osservare le relazioni intercorrenti fra la
strategia globale e la singola impresa, analizzando quindi la strategia
globale dal punto di vista del coordinamento. Mantenendo tale punto
di vista si analizzano le dinamiche di internazionalizzazione attuali dei
distretti industriali, cercando di individuare gli elementi di
coordinamento che ne garantiscono la sopravvivenza e lo sviluppo.
Allo stesso modo si cercano di individuare gli elementi di
coordinamento fra rete locale e rete globale che intervengono nel
distretto culturale per comprenderne i possibili vantaggi e opportunità
da offrire ai sistemi produttivi, specialmente in un’ottica di sviluppo di
conoscenze e di innovazione.
Il quinto ed ultimo capitolo propone l’analisi di un “caso territoriale”
specifico, quello della regione Sardegna. Si cercano di delinearne le
caratteristiche produttive e le evoluzioni recenti, i recenti progetti e
studi di fattibilità per la realizzazione di distretti culturali, e si
presentano infine i risultati di una ricerca empirica svolta sul territorio
15
al fine di valutarne punti di forza e di debolezza quali percepiti da un
pubblico internazionale.
La metodologia di svolgimento del lavoro si basa sull’analisi della
letteratura di riferimento fondamentale per i temi affrontati, in una
logica di internazionalizzazione e di vantaggio competitivo nella rete
globale. Segue una fase di ricerca empirica condotta tramite la
somministrazione di questionari, volta alla raccolta di dati su un caso
territoriale specifico e alla valutazione degli stessi alla luce di obiettivi
quali il confronto del brand territoriale analizzato (il brand Sardegna)
con il brand Italia, la rilevazione delle possibili interazioni sinergiche
fra l’uno e l’altro brand, le eventuali opportunità di sviluppo che si
prospetterebbero al brand regionale con la realizzazione dei distretti
culturali.
16
CAPITOLO 1
IL MERCATO GLOBALE IN UN APPROCCIO
NETWORK: SISTEMI, RETI, RISORSE
INTRODUZIONE
Prendendo atto delle profonde trasformazioni che hanno interessato
l’economia internazionale negli ultimi anni, si ravvisa l’esigenza di
comprendere quali siano diventate oggi le reali fonti di competitività
per le imprese che si trovano a dover agire in un mercato globale.
Cercheremo dunque nel seguente capitolo di analizzare la natura e i
processi necessari per acquisire la competitività da parte delle imprese
partendo dalla teoria del vantaggio competitivo di Porter. Tale teoria
conduce ad un cambio di prospettiva rispetto agli studi tradizionali del
commercio internazionale: se prima l’indagine partiva dalla questione
del “cosa” doveva disporre una nazione, di quali risorse, di quali
fattori produttivi, per poter competere economicamente con altre
nazioni, ora la questione centrale diventano il “come” e il “dove”
“Il vantaggio competitivo si consegue
e si mantiene grazie a un processo
fortemente localizzato. Le differenza
nelle strutture economiche nazionali,
nei valori, nelle culture, nelle
istituzioni e nella storia,
contribuiscono profondamente al
successo competitivo.”
Porter M.E, Il vantaggio competitivo
delle nazioni
17
un’impresa, un settore industriale, una nazione, devono gestire le
singole attività della catena del valore per acquisire un vantaggio
competitivo rispetto ai concorrenti nel mercato globale. Vedremo
dunque nello specifico quali sono le modalità di implementazione del
vantaggio competitivo (il come), e quali importanti implicazioni
accompagnano i luoghi di implementazione dello stesso (il dove).
In una simile prospettiva la forma del distretto industriale diventa
utile strumento di analisi: in questo contesto circoscritto è possibile
distinguere e scomporre in maniera più agevole i meccanismi specifici
che entrano in gioco nella creazione del vantaggio competitivo,
andando a costituire in pratica un micro-sistema del più generale
sistema nazionale.
18
1.1 La necessità di un nuovo impianto teorico per lo studio
dell’economia globale:
Il fenomeno della globalizzazione impone oggi una necessaria
revisione dell’impostazione teorica che dall’‘800 ai giorni nostri è
stata posta a base degli studi sul commercio internazionale, ovvero la
teoria del vantaggio comparato di David Ricardo
3
. Secondo la teoria
ricardiana, era la dotazione di fattori di produzione (in particolare
risorse naturali e manodopera) di cui poteva disporre una nazione, a
determinarne il successo nel commercio internazionale. I fattori di
produzione erano concepiti come elementi stabili e statici, ereditati
una volta per tutte da una nazione, che aveva pertanto possibilità
minime di modificarne la loro composizione
4
.
La globalizzazione sta cambiando radicalmente questa impostazione:
le moderne tecnologie di comunicazione e trasporto sempre più rapido
introducono il concetto di mobilità, e in virtù di esso anche i fattori di
produzione diventano mobili. Conoscenze, tecnologie, manodopera,
risorse, sono da vedersi in una prospettiva dinamica, e là dove una
nazione non abbia ereditato risorse sufficienti allo sviluppo di un
determinato settore economico, può sempre andarle a reperire altrove:
il bacino di approvvigionamento dal quale una nazione può attingere
oggi corrisponde pressoché a tutto il globo; la globalizzazione
dispiega alle nazioni una possibilità di fornitura di fattori enorme ed
estremamente flessibile
5
.
Se il commercio internazionale e i suoi vantaggi erano giustificati da
una dotazione di fattori limitata e statica, oggi che la situazione è
3
Ricardo D., «On Foreign Trade»,, in On the Principles of Political Economy and Taxation:cap. 7, 1817,John Murray,
London, 1821, [Online] available from http://www.econlib.org/library/Ricardo/ricP2a.html; accessed 1 November
2007; Internet.
4
La teoria ricardiana deriva a sua volta dal concetto di vantaggio assoluto di Adam Smith: il vantaggio del commercio
internazionale risiede nella differenza dei costi di produzione assoluti tra le diverse nazioni, costi che derivano
principalmente dalla disponibilità di capitali e lavoro, concepiti come fattori immobili ed ereditari. Smith, Adam. An
Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations: Book IV «Of Systems of Political Economy», Methuen
and Co., London,1904. [Online] available from http://www.econlib.org/library/Smith/smWN1.html; accessed 1
November 2007; Internet.
5
Sulla mobilità dei fattori di produzione Peter Dicken propone una nuova “geo-economia” che ridisegni la mappa
dell’economia sulla base delle recenti trasformazioni della globalizzazione. Scrive a proposito: «National boundaries no
longer act as “waterright” containers of the production process», cfr. Dicken P., Global shift. Reshaping the global
economy Map in the 21st Century, SAGE Publications Ltd., London, 2003, p. 9.
19
radicalmente mutata ci si potrebbe chiedere per quale motivo esista
ancora la pratica di tale commercio. Estremizzando le possibilità
offerte dalla globalizzazione, non potrebbe ciascuna nazione,
attingendo ad una bacino globale, sopperire alle proprie carenze di
risorse, sviluppando un’economia autosufficiente? Aldilà delle
complesse implicazioni che tale prospettiva comporterebbe dal punto
di vista politico, sociale,…in un’ottica unicamente economica, pur se
teoricamente (viste le premesse sulle possibilità offerte dalla
globalizzazione) la risposta potrebbe essere positiva
6
, nella realtà dei
fatti le cose risultano essere molto diverse. Non è sufficiente infatti
una data disposizione di fattori di produzione per sviluppare
un’economia forte; elementi altrettanto decisivi sono il come e il dove
questi fattori vengono utilizzati. Il meccanismo di specializzazione
che sottende al commercio internazionale, scaturito dalla differenza
dei costi-opportunità nelle produzioni nazionali
7
, è ancora oggi
sostenuto, ma non più dalla dotazione dei fattori di produzione, quanto
piuttosto dall’efficienza e efficacia con la quale i fattori vengono
impiegati.
1.2 La teoria del vantaggio competitivo
La revisione teorica del commercio internazionale imposta dalla
globalizzazione trova una possibile risposta in Michael Porter con
l’elaborazione della teoria del «vantaggio competitivo»
8
. L’analisi non
parte più dalla comparazione dei fattori di produzione di una nazione,
ma dalla capacità di sfruttare le risorse in maniera più efficace ed
efficiente possibile (il “come”) e di individuare nel bacino globale, il
luogo strategicamente più adatto per l’approvvigionamento (il
6
La gestione dell’approvvigionamento globale, oggetto dei più recenti studi manageriali, si muove in termini di
aumento di efficienza e riduzione da parte dell’impresa dei condizionamenti provenienti dall’esterno. Uno dei più
influenti studiosi, Dick Locke, ha elaborato i principi del Global Supply Management esposti nel suo libro Global
Supply Management: a Guide to International Purchasing, Mc Graw Hill, London, 1996.
7
Mankiw N.G., Principles of Economy, Harcourt College Pubblishers Fort Worth, 2001, Trad. It. Principi di Economia,
Zanichelli, Bologna, 2001, pp. 38-47.
8
La teoria è stata esposta per la prima volta in :Porter M. E., Competitive advantage, New York, The Free Press, 1980.
Trad. It. :Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1987.
20
“dove”). Nella competizione globale vince in sostanza chi sa
combinare il “come” e il “dove” in maniera più innovativa. É questo il
concetto riassunto nel termine di vantaggio competitivo. Un simile
vantaggio è il risultato di un consapevole processo di innovazione
messo in atto dalle imprese, implica un intervento attivo e creativo da
parte delle stesse.
L’autore analizza con numerosi studi quali siano dunque le strategie
di creazione del vantaggio competitivo, partendo dalle implicazioni
all’interno di una singola impresa, arrivando ad analizzare le
conseguenze per un intero settore industriale, per l’economia a livello
nazionale e infine per la possibile strategia globale da perseguire.
1.2.1 La catena del valore
Il primo livello di azione è quello che parte dalla singola impresa. A
questo livello il vantaggio competitivo consiste essenzialmente nel
valore che un’azienda è capace di creare per i suoi clienti. Può essere
perseguito fondamentalmente secondo due modalità: gestendo
efficientemente le attività per offrire prezzi più bassi dei concorrenti a
parità di benefici, o fornendo benefici con caratteristiche di unicità,
differenziandosi dal resto dell’offerta e spuntando prezzi più alti dei
concorrenti.
La «leadership di costo» o la «differenziazione» dipendono
sostanzialmente dalla maniera in cui l’impresa organizza le sue
attività. Il modo di svolgere e coordinare le varie attività dell’impresa
costituisce la «catena del valore»
9
. Obiettivo di qualsiasi impresa è
quello di creare un valore per gli acquirenti che superi i costi sostenuti
dall’impresa stessa. Il concetto di catena del valore disaggrega
un’azienda nelle sue attività strategicamente rilevanti, allo scopo di
comprenderne le dinamiche dei costi e le fonti potenziali di
differenziazione. Essa visualizza il valore totale creato dall’impresa,
che risulta dalla somma di due elementi: attività generatrici di valore
9
Ibid., pp.46-79.
21