10
Diviene quindi importante riuscire a stabilire una chiara regola per la
localizzazione territoriale dei redditi derivanti da attività d’impresa e per
individuare il presupposto territoriale relativamente alla prestazione di servizi.
La presente trattazione si apre con la disanima del processo di
internazionalizzazione delle imprese articolato nelle sue fasi principali, prestando
particolare attenzione alle motivazioni, al piano strategico, alle forme possibili di
internazionalizzazione ed alla fase di avvio di tale processo.
Successivamente l’argomentazione si sposta sui principi generali di fiscalità
internazionale.
Il diritto tributario internazionale si prefigge un duplice scopo: una tassazione
equa e neutrale degli investimenti internazionali.
Un ambito importante, all’interno di tale disciplina è occupato dalla doppia
imposizione internazionale, così come è rilevante il principio della residenza,
fondamentale per l’applicazione della potestà impositiva da parte di uno Stato.
Stabilito quale sia lo schema giuridico di riferimento, analizziamo il concetto di
stabile organizzazione nei suoi vari aspetti, alla luce delle definizione dell’art. 5
del modello di convenzione contro le doppie imposizioni OCSE e del contenuto
dell’art. 162 del nuovo TUIR.
Se la stabile organizzazione è lo strumento fondamentale per definire la
localizzazione della base imponibile, per completezza, viene definito ed
analizzato anche il concetto di residenza, sulla base del diritto interno e del
modello convenzionale OCSE.
Di seguito, per soddisfare l’esigenza di mobilità delle società in questo mondo
globalizzato, vengono analizzate le varie modalità con cui le imprese possono
operare all’estero, concentrandosi principalmente sul trasferimento della sede
sociale, con le implicazioni civilistiche e fiscali che ne derivano.
Infine, dopo aver stabilito i confini applicativi del concetto di stabile
organizzazione, ci soffermiamo sulla determinazione del reddito e sugli obblighi
contabili della stessa, secondo l’art. 7 del modello OCSE e secondo la normativa
interna.
11
CAPITOLO PRIMO
L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE IMPRESE: COME
COSTRUIRE UNA SOLIDA PRESENZA OLTRE CONFINE
1. 1 Definizioni di internazionalizzazione
La base di partenza della nostra analisi si focalizza sulle definizioni di
internazionalizzazione delle imprese, in virtù delle quali osserviamo la mancanza
di un consenso unanime su cosa si debba intendere sia parlando di “processo di
internazionalizzazione” che di “impresa internazionalizzata”; in ogni tentativo di
definizione emergono infatti i differenti punti di vista e di analisi con cui è
possibile approcciarsi al fenomeno nonché le differenti basi teoriche di
riferimento.
Si tenterà comunque di arrivare a definizioni il più possibile complete, che
inglobino quegli aspetti distintivi riscontrabili in tutte le imprese che si sono
spinte in un percorso maturo di sviluppo all’estero.
Punto ideale da cui iniziare l’analisi sarà interpretare l’internazionalizzazione di
un sistema aziendale come “un processo che, a partire da un rapporto
relativamente semplice ma sistematico delle imprese con i mercati esteri, come
quello generato da flussi esportativi non occasionali, porta via via verso forme
di investimenti più importanti e comunque verso lo sviluppo di relazioni
competitive transattive e di collaborazione con altre imprese nei diversi Paesi”
1
.
1
Questa la definizione riportata in M. RISPOLI, Le forme di internazionalizzazione delle
imprese, Università degli Studi di Venezia, 1994. Cfr. inoltre C. DEMATTÉ, F.
PERRETTI, Strategie di internazionalizzazione, Egea, Milano, 2003. p. 81 dove
l’internazionalizzazione viene definita come “il risultato di un processo che porta al
progressivo stiramento spaziale della catena del valore dell’impresa oltre i confini nazionali”;
e dove viene sottolineato come nella stessa parola “processo” sia rintracciabile la natura
evolutiva e dinamica del fenomeno, mentre il concetto di spazio “sia da intendere in senso
ampio: […] spazio regionale, sub-continentale, continentale, globale”.
12
Due sono gli elementi attinenti l’impresa che emergono immediatamente da
questa definizione di internazionalizzazione:
1) Non può definirsi “internazionale” un’impresa che si cimenti in maniera
occasionale in attività di vendita all’estero, magari per richieste provenienti
da clienti di altri Paesi con cui si è entrati in contatto in maniera casuale;
componente minima indispensabile sarà dunque gestire in maniera
permanente attività economiche in almeno un altro Paese estero. Ciò significa
che sono internazionalizzate esclusivamente quelle imprese che mettono in
atto un’estensione geografica pianificata delle attività aziendali.
2) L’internazionalizzazione è un processo sequenziale, passante attraverso vari
stadi, di cui il primo comprende esperienze, in ogni caso pianificate e
strutturate, di export per poi arrivare, negli stadi successivi, ad investimenti
diretti, alleanze o altre forme di collaborazione interaziendale.
Tale processo non è oggettivamente percorso o percorribile dall’intero tessuto
imprenditoriale di un Paese, quanto piuttosto una dimensione soggettiva di quelle
imprese che assumono “consapevolmente un orientamento strategico ed
organizzativo, non legato esclusivamente al proprio Paese d’origine ma
funzionale ad aree geografiche più estese, e che trova corrispondenza, da un
lato nella formalizzazione di un piano e nel relativo investimento di risorse e
dall’altro nel coinvolgimento dell’impresa in maniera stabile e significativa in
una rete di relazioni strategiche con altri soggetti presenti nelle varie aree”
2
.
L’impresa internazionale è quindi quella “che opera stabilmente sui mercati
esteri, guidata dall’obiettivo della creazione di valore, e con ciò dell’espansione
e della crescita”.
È chiaro quindi che la dimensione internazionale influenza l’azienda nel suo
complesso, dal contesto ambientale di riferimento, al processo di formulazione
2
M.G. CAROLI, “Globalizzazione e localizzazione dell’impresa internazionalizzata”,
F. Angeli, Milano, 2000. Quanto qui detto troverà conferma quando, parleremo dei fattori
interni ed esterni alle imprese e dell’influenza che questi hanno sulle loro decisioni
internazionali, si vedrà come gli stimoli esterni possono ben poco se non sono
opportunamente colti dalla struttura aziendale.
13
delle strategie, alla gestione operativa
3
. E non solo; alcuni autori pongono
l’accento anche su un coinvolgimento della struttura organizzativa, oltre che
gestionale e strategica, per garantire stabilità all’attività oltre confine.
Ed è proprio l’aspetto organizzativo a presentarsi come uno dei problemi
fondamentali per coloro che intraprendono la strada dell’internazionalizzazione,
visto che l’organizzazione costituisce per le imprese una fonte di conoscenza
nonché la base del proprio orientamento strategico
4
.
In questa sede però vogliamo precisare che l’impresa è un sistema complesso,
aperto agli stimoli che provengono dall’ambiente in cui è inserito e per i quali si
trova in uno stato di continua evoluzione. Un’evoluzione in cui si alternano fasi
di cambiamenti e fasi di pause, di routine.
La stessa internazionalizzazione all’interno di questa visione d’impresa viene ad
essere, a seconda dei casi, causa o effetto dell’impulso al cambiamento che
aleggia nella struttura aziendale; causa in quanto la presenza all’estero fornisce
sempre ulteriore innovazione, grazie al differente macroambiente con cui si viene
in relazione; effetto invece in quanto punto di arrivo di una precedente spinta
innovativa, venuta dal contesto locale o da quello aziendale, che si è risolta
nell’espansione territoriale.
Non è difficile infatti che un’impresa dotata di una forte struttura aziendale e di
importanti vantaggi competitivi trovi nella diversificazione geografica un’ottima
opportunità di ampliamento del proprio business
5
.
3
C. GUERINI, “Imprese internazionali e marketing”, EGEA, Milano, 1997.
4
Questa impostazione non trova consenso presso tutti gli studiosi. Eppure in M. CAROLI,
Opera citata, 2000, l’autore la sostiene in quanto non accetta tutto quel corpus teorico che
presenta una relazione inversa tra struttura e strategia, per cui la prima deriva dall’impostazione
data alla seconda. Il rifiuto si basa sull’asserzione di tre punti principali che smentiscono
l’approccio strategia-struttura:
-esiste una discrasia temporale tra modifiche strategiche e organizzative;
-c’è una relazione tra le caratteristiche della struttura organizzativa internazionale e le
competenze di base necessarie per gestirla;
-l’organizzazione di un singolo prodotto può non essere sempre applicabile a tutto il portafoglio,
i cui prodotti richiedono magari altre modalità d’entrata.
5
A riguardo, in M.CAROLI, L.FRATOCCHI, “Nuove tendenze nelle strategie di
internazionalizzazione delle imprese minori”, F. Angeli, Milano, 2000, p. 20, si parla di
“relazione logica circolare tra internazionalizzazione e impulso innovativo, per cui l’impulso
14
1. 2 L’avvio dell’internazionalizzazione: motivazioni interne e
motivazioni esterne all’impresa
Volendo individuare ed analizzare gli elementi che portano imprenditori e
managers a favorire l’internazionalizzazione ad altre forme di innovazione
nonostante le complessità, i rischi e i costi che questa scelta inevitabilmente porta
con sé c’è da dire che varie sono le macro forze che intervengono in questo
senso: tra queste certamente:
il desiderio dei vertici aziendali di ridurre la propria dipendenza dal
mercato locale;
la necessità di diventare meno vulnerabili, di mettersi al riparo da
eventuali fluttuazioni che potrebbero verificarsi in una determinata area
geografica;
la necessità di accrescere la propria capacità concorrenziale grazie alla
permanenza stabile su mercati esteri;
il conseguimento della global sourcing, per cui si tenterà di individuare ed
utilizzare le migliori fonti disponibili sul mercato mondiale col fine di
ottimizzare i costi e la produzione aziendali
6
.
In realtà queste condizioni, nonostante rivestano un certo peso nelle decisioni dei
vertici dell’azienda, forniscono solo una prima, generica spiegazione che dovrà
essere integrata con altri elementi, ampiamente descritti dalla letteratura e
solitamente distinti in fattori interni e fattori esterni all’azienda, che in diversi
modi possono favorire ed incoraggiare le decisioni di internazionalizzazione del
management.
può spingere l’innovazione dell’impresa in molte direzioni possibili; l’espansione estera è un
tra queste. A sua volta, la presenza nei mercati stranieri può essere semplicemente stabilizzata
in una routine; oppure costituire una fonte di nuovi impulsi innovativi”.
6
Con il termine anglosassone source ci si riferisce alle materie prime, alle componenti, alla
manodopera, ai prodotti, a tutte quelle risorse insomma che rientrano nel processo produttivo di
un’azienda e che in quanto tali comportano dei costi. La loro riduzione rientra tra i fattori che
spingono l’impresa verso un processo di internazionalizzazione.
15
Vedremo come nelle imprese internazionalizzate, nella fase di elaborazione e
avvio del progetto internazionale, si siano in realtà presentati stimoli appartenenti
ad entrambe le categorie.
I fattori interni che possono favorire o, a seconda dei casi, limitare i percorsi di
internazionalizzazione, sono da ricondurre allo sviluppo della posizione
competitiva dell’azienda e rintracciabili in:
¾ la formula imprenditoriale, intesa come “l’insieme specifico di risorse,
competenze e di relazioni che distingue l’identità dell’impresa e che la
indirizza lungo un certo percorso di sviluppo”
7
. Si caratterizza per
l’atteggiamento dell’impresa nei confronti dell’ambiente, e quindi per il
suo modo di rispondere ed interagire con gli stimoli ambientali;
un’attitudine più o meno innovativa, la capacità o meno di cogliere le
opportunità in ambiti mercati diversi, sono tutte caratteristiche soggettive
aziendali derivanti dalla formula imprenditoriale costituita.
¾ L’insieme di risorse e competenze controllate dall’azienda. Relativamente
alle prime, maggiori saranno le risorse “critiche” in suo possesso
8
, più
facile sarà che si decida di sfruttarle sui mercati esteri; mentre non si può
dire lo stesso delle risorse finanziarie: queste svolgono, in tale processo,
un ruolo essenzialmente negativo, in quanto possono costituire un
ostacolo alle mire internazionali se non sono sufficienti a sostenere i costi
che queste, come ogni innovazione, comportano; allo stesso tempo il solo
7
Cfr. M. G. CAROLI, L. FRATOCCHI, Opera citata, 2000, p. 23. Vengono fatti rientrare
nella formula imprenditoriale dell’impresa elementi quali le caratteristiche del personale
aziendale, la sua cultura, ma anche aspetti economico finanziari come il patrimonio
dell’impresa, le cui passività ed attività intervengono a vario titolo e subiscono diversi
cambiamenti nel corso dell’internazionalizzazione. Per approfondimenti a riguardo, Cfr. D.
DEPPERU, Opera citata, 1993, p. 213-223.
8
Per “risorse critiche” intendiamo qui le conoscenze tecnologiche, la struttura economico-
finanziaria, le caratteristiche socio-culturali del capitale umano nonché la struttura produttiva e
l’eventuale esperienza maturata all’estero dall’impresa. La disponibilità di risorse
qualitativamente migliori diventa un fattore critico non solo per la decisione di avvio all’estero,
ma anche per il successo di tale processo.
16
fatto di disporne non costituisce una spinta sufficiente a metterne in moto
la realizzazione.
¾ Il possesso di un vantaggio competitivo forte e duraturo da esportare in
altre aree geografiche. Fondamentale sarà infatti aver consolidato il
proprio vantaggio competitivo all’interno del Paese d’origine per pensare
di sfruttarlo sui mercati esteri.
¾ Il desiderio di ricercare oltre confine nuove fonti di vantaggio, derivanti
dai vantaggi comparati delle aree estere considerate ma anche dalla stessa
posizione internazionale dell’azienda. È perciò più facile che questa
motivazione emerga nelle fasi più avanzate del processo di
internazionalizzazione, in quanto implica che l’impresa sia già inserita in
un’ottica internazionale.
¾ L’orientamento dell’imprenditore, in quanto principale decision maker, è
la condizione indispensabile perché gli stimoli che si presentano
all’impresa, siano trasformati in concrete azioni di espansione in nuovi
mercati. Suo compito principale sarà, oltre che motivare gli altri attori
aziendali, collegare le diverse risorse e competenze disponibili nella sua
impresa.
Con gli stimoli provenienti dall’interno dell’azienda interagiscono alcune forze
esterne, riconducibili a tre principali situazioni che l’impresa potrebbe gestire a
proprio vantaggio internazionalizzandosi:
1) Un ambiente locale che favorisce l’espansione oltre confine delle aziende che
vi operano, in quanto offre sostegno e agevolazioni alle imprese interessate.
Rientrano in questa categoria specifici fattori quali: la struttura socio-economica,
le politiche scientifico-tecnologiche, la dotazione infrastrutturale del Paese,
Servizi reali alle imprese, come concreto supporto pubblico o privato
all’internazionalizzazione.
2) Un elevato grado di apertura internazionale del mercato servito che in qualche
maniera costringe le aziende locali a differenziare la loro presenza geografica, in
quanto le espone alle azioni di competitors stranieri o di imprese leaders locali
17
già internazionalizzate
9
. In realtà tutti gli attori del sistema competitivo, quali
concorrenti, fornitori, clienti, produttori di prodotti sostitutivi e potenziali
entranti
10
, possono in qualche modo con le loro azioni ostacolare o incentivare un
percorso all’estero.
3) La saturazione del mercato locale. Quando infatti il mercato finora servito
raggiunge una fase di maturità, o addirittura di declino, all’impresa lanciarsi in
nuove aree può apparire una valida alternativa alla riconversione del proprio
business, previa verifica della trasferibilità delle proprie risorse e competenze
all’area estera individuata.
A queste condizioni ambientali se ne deve aggiungere una quarta, relativa al
settore industriale di appartenenza dell’impresa. Non tutti i settori infatti
presentano lo stesso grado di internazionalizzazione né i modelli di competizione
internazionale in essi applicabili combaciano. Di conseguenza la spinta che si
riflette sulle industrie cambia in base al settore di riferimento.
Porter è stato chi per eccellenza ha sottolineato questo aspetto, distinguendo tra
settori industriali multidomestici e settori globali. Se l’impresa sarà attiva in un
settore multidomestico, avrà maggiori possibilità di decidere se rimanere locale,
nazionale oppure internazionalizzarsi. Al contrario se opererà in un settore
globale, in cui le attività sono integrate su scala mondiale, non potrà sottrarsi a
questa spinta internazionalizzante, in vista di un vantaggio competitivo valido a
far fronte ai concorrenti globali, e quindi in vista della stessa sopravvivenza
dell’azienda
11
. Si tratta dunque di quelle macro tendenze come la globalizzazione
9
Lo sviluppo estero come reazione competitiva nei confronti di un rivale, locale o straniero che
sia, avviene quando l’impresa percepisce il nuovo ingresso o la nuova mossa del concorrente
come una minaccia alla propria posizione competitiva e al proprio vantaggio. I comportamenti
reattivi che ne conseguono sono essenzialmente due:
1. il band wagon effect, ossia un effetto di trascinamento per cui l’azione intrapresa dal first
mover viene emulata dai suoi concorrenti, determinando così investimenti a catena nella stessa
area estera;
2. l’exchange of threat, un vero e proprio scambio di minacce tra due imprese che mirano ad
entrare l’una nel mercato dell’altra. Cfr. M.G. CAROLI, Opera citata, 2000, p. 88-91.
10
Questi gli attori che costituiscono il sistema competitivo secondo Porter.
11
Cfr. M. E. PORTER, Competizione globale, Isedi, Torino, 1987, p. 6-8.
18
economica, l’integrazione dei mercati e delle strutture produttive con i loro effetti
concreti sulla gestione aziendale. In realtà però il contesto ambientale di
riferimento, per quanto rilevante nella vita dell’impresa, non fornisce degli input
capaci di innescare delle risposte e degli adattamenti concreti. Tali risposte infatti
partono esclusivamente da tre componenti aziendali, tre aspetti cui fanno capo
tutte le scelte strategiche ed operative messe in atto: l’assetto istituzionale, gli
obiettivi e la struttura dell’impresa.
L’assetto istituzionale, indicante “l’insieme delle persone che
compongono il soggetto economico, dei fini e delle prerogative che ad
esso fanno capo e delle modalità di esercizio di tali prerogative”
12
. Da
esso dipendono gli obiettivi, le finalità aziendali e le linee che si
utilizzeranno per perseguirli. Varia a seconda delle dimensioni
dell’azienda.
Gli obiettivi aziendali, tra i quali possono trovare spazio eventuali
obiettivi di internazionalizzazione.
Struttura dell’azienda, definibile come “l’insieme ordinato degli elementi
che la compongono”
13
, identificati in: le combinazioni economiche, che
esprimono le caratteristiche delle attività svolte dall’azienda; l’assetto
organizzativo, espressione della struttura organizzativa adottata e dei
meccanismi operativi utilizzati; l’organismo personale, cui fanno capo le
competenze e capacità dell’azienda; l’assetto tecnico, ossia le capacità
tecnologiche ed operative acquisite; il patrimonio, con l’insieme delle
risorse, non solo finanziarie indispensabili per la sopravvivenza.
Dall’analisi della struttura è possibile osservare scelte e comportamenti, punti di
forza e di debolezza nonché risorse e competenze dell’impresa, tutti fattori
dunque determinanti ai fini del successo internazionale dato che le competenze e
12
Cfr. G. AIROLDI, G. BRUNETTI, V. CODA, “Lezioni di Economia aziendale”, Il
Mulino, Bologna, 1989, p. 76.
13
Sempre in G. AIROLDI, G. BRUNETTI, V. CODA, Opera citata, 1989.
19
lo sviluppo raggiunti per ognuno di questi può condizionare in diverso modo le
scelte e i comportamenti dell’impresa nel mercato estero
14
.
Le variabili esterne all’azienda da sole non possono dunque innescare alcun
processo di espansione, in quanto più che input innovativi sono semplici stimoli
che agiscono sui fattori interni critici dell’azienda, i quali saranno gli unici diretti
responsabili dell’attivazione dell’impulso all’internazionalizzazione. Questo
perché le condizioni esterne sono elementi oggettivi del macro ambiente e in
quanto tali, affinché si esplicitino all’interno di una strategia aziendale, debbono
trovare un’interpretazione soggettiva dell’impresa, disponibile o meno alla
ricezione e rielaborazione interna dei segnali e delle opportunità che il mercato
oggettivamente presenta.
Non sarà allora sbagliato affermare che un progetto di internazionalizzazione si
origina e si sviluppa concretamente all’interno dell’azienda.
1. 3 Il primo passo verso i mercati esteri: l’elaborazione di un piano
strategico
1.3.1 Perché elaborare una strategia di internazionalizzazione
Una volta pervenuti alla struttura aziendale determinati input, l’impresa li
elabora, valutandone la validità. In tale fase, ruolo fondamentale sarà svolto
dall’imprenditore in quanto unico attore con il potere di decidere se differenziare
la distribuzione geografica delle risorse e competenze aziendali per far fronte ai
cambiamenti ambientali.
Qui si vuol solo fare riferimento agli input occasionali, sempre più comuni
soprattutto per le PMI, originati da contatti non previsti con clienti o altri attori
esteri che chiedono all’azienda di fornire in tempi rapidi una risposta alle
14
La classificazioni delle variabili interne qui proposta si rifà a quanto presentato in: D.
DEPPERU, Opera citata, 1993, p. 21-25.
20
richieste presentate. Tali risposte, seppur non opportunamente organizzate,
risultano, per un verso, assai utili in quanto generatrici di una massa di
informazioni che se gestita in maniera opportuna sarà un’ottima base per
continuare il rapporto sì nato e persistere nel nuovo mercato con passi successivi,
più complessi, ma anche in quanto creano un processo di apprendimento “in
itinere” grazie al quale l’impresa entrerà in quella spirale di apprendimento,
innovazione, internazionalizzazione di cui abbiamo parlato nel paragrafo
precedente.
Per un altro verso però, nei contatti occasionali l’impresa assume un
atteggiamento passivo che, privo di una base informativa solida sul cliente e sul
mercato di riferimento, difficilmente si trasforma in un approccio attivo, mirato
al raggiungimento di obiettivi precisi.
Le esperienze di imprese internazionalizzate con successo raccontano infatti di
una ricerca attiva e sistematica di nuove opportunità oltre confine, che permetterà
di presentarsi preparati all’incontro con i clienti esteri e con le loro esigenze.
Poco spazio per l’improvvisazione dunque: l’avvio di un progetto di espansione
estera imporrà un’accurata analisi delle condizioni interne all’impresa ma anche
dei mercati di interesse, al fine di portare a casa tutte quelle informazioni
indispensabili per l’elaborazione di una strategia di internazionalizzazione.
Quest’ultima secondo alcuni sarà da intendersi come “una sottospecie della
strategia di espansione spaziale che le imprese si trovano comunque ad
affrontare nel loro tragitto di sviluppo”
15
; un’espansione che in questo caso
finisce però col travalicare i confini nazionali, comportando un complesso di
situazioni del tutto sconosciute per l’impresa da sempre attiva sul mercato
nazionale, o addirittura locale.
Dovrebbe essere palese che la strategia di espansione utilizzata sul proprio
territorio sarà difficilmente utilizzabile per arrivare con la propria attività
all’estero; eppure così non è se si considera che molte imprese continuano a
lanciarsi in nuovi mercati senza avere preparato un piano ad hoc. Il risultato di
15
C. DEMATTÉ, F. PERRETTI, Opera citata, 2003, p. 10.
21
tali azioni è prevedibile: alle prime difficoltà che si presentano, non essendo
preparati a fronteggiarle, l’esperienza oltre confine si conclude, senza avere
nemmeno recuperato i costi d’avvio sostenuti. Ciò perché il tipo di problemi e i
conseguenti rischi che si incontrano nel varcare i confini statali sono
essenzialmente diversi da quelli che si fronteggiano nell’espansione nel mercato
nazionale:
ξ le barriere doganali, che impediscono la libera circolazione di merci,
servizi e capitali;
ξ i confini valutari, con i cambi che possono variare molto rapidamente
possono comportare rischi non previsti sulla convenienza della scelta
spaziale effettuata;
ξ le differenze normative in varie materie, che possono richiedere notevoli
costi per l’impresa che dovrà adeguarsi;
ξ le differenze linguistiche, barriera spesso sottovalutata, ma che influenza
l’intero processo informativo, che risulterà così più lungo e costoso, così
come le fasi successive, per l’adeguamento del packaging per esempio, o
per i costi di comunicazione, maggiorati rispetto a quelli locali;
ξ un contesto competitivo diverso da quello cui si è abituati nel proprio
Paese d’origine.
La strategia si dovrà appunto occupare della determinazione dell’azione
internazionale dell’impresa lungo tre dimensioni fondamentali:
1) il raggio d’azione, con cui si stabilisce il Paese in cui impiantarsi, il segmento
di clientela cui rivolgersi ed il tipo di bisogni da soddisfare;
2) la struttura con cui costruire la propria presenza nel nuovo mercato;
3) il sistema di prodotto che si intende offrire.
Oltre a ciò, la strategia sarà lo strumento che punterà all’ottimizzazione del
vantaggio competitivo detenuto dall’impresa.
Abbiamo infatti dato per scontato che precondizione allo sviluppo internazionale
sia il possesso di un vantaggio competitivo forte conquistato nel territorio
d’origine e che si pensa di poter esportare in altri mercati, con l’obiettivo di
22
arrivare a gestire un vantaggio internazionale, se non addirittura globale.
Obiettivo questo conseguibile esclusivamente mediante l’efficiente
compenetrazione tra il vantaggio relativo all’impresa e quello proprio dell’area
geografica in cui l’impresa pensa di costruire una presenza solida. Quest’ultimo
vantaggio, definibile anche come comparato
16
, deriva dalla disponibilità in loco
di determinate risorse strategiche, nonché una maggiore produttività delle stesse
e la presenza di specifiche condizioni ambientali
17
che permettano alle imprese
che vi concentrano le attività della propria catena di valore di generare e
trattenere un valore maggiore di quello conseguibile altrove.
All’azienda toccherà allora valutare il divario di costo e/o rendimento diretto
riscontrabile per le stesse risorse qualora fossero impiegate nell’area specifica o
al contrario in altre zone del mondo, oltre che la stabilità di tale vantaggio
comparato, ossia se le basi su cui questo si fonda siano destinate a perdurare nel
tempo o a mutare nell’arco di periodi più o meno lunghi.
È risaputo infatti che molte risorse o vantaggi ambientali sono fortemente
sensibili a cambiamenti climatici, politici o economici, anche repentini.
Come abbiamo detto, rientra tra gli obiettivi di queste analisi strategiche
preliminari individuare il Paese o i Paesi in cui operare al fine di raggiungere una
dislocazione ottima delle attività aziendali, auspicabile nonostante ciò dovesse
comportare che attività poste per sequenza operativa una dopo l’altra, si ritrovino
ad essere realizzate in territori distanti tra loro anche migliaia di chilometri. Le
articolazioni internazionali dei processi di creazione del valore si sono andate
diffondendo a ritmi che fino a qualche decennio fa non erano nemmeno
immaginabili, grazie alla facilità con cui è possibile ammortizzare i costi di
16
Cfr. STAMPACCHIA, “L’impresa nel contesto globale”, G.Giappichelli, Torino, 2000. p.
187 195, riprende la nomenclatura proposta originariamente da Porter.
17
Le risorse di cui stiamo parlando, sono definite sempre in STAMPACCHIA, L’impresa nel
contesto globale, G.Giappichelli, Torino, 2000, risorse “di mercato”, in quanto “possono
essere acquisite nella specifica area a condizioni migliori che altrove, anche se esse, per
condizioni di conservabilità/trasportabilità, fossero disponibili in altri territori”. Mentre per le
condizioni ambientali l’autore fa riferimento a caratteristiche naturali, sociali, culturali,
strutturali e politiche.
23
coordinamento e di comunicazione tra le varie filiali sfruttando i vantaggi
comparati di cui stiamo trattando.
Uno dei criteri di cui servirsi nella scelta dei Paesi sarà dunque la stabilità del
vantaggio piuttosto che la concentrazione geografica delle filiere di attività: nelle
zone con vantaggio comparato altamente stabile sarà consigliabile dislocare le
attività la cui rilevanza prescinda dai confini nazionali e per le quali si richiedano
investimenti dal ritorno a medio lungo termine; mentre nelle aree con vantaggio
comparato tanto interessante quanto instabile, si adotteranno forme di presenza
molto flessibili che permettano cioè di ottimizzare il vantaggio momentaneo,
grazie a investimenti con recupero a breve termine.
Altri elementi da considerare saranno:
ξ la distanza psicologica del Paese individuato rispetto a quello di origine
18
;
ξ il grado di rischio che può comportare
19
;
ξ le caratteristiche dei sistemi competitivi che in esso agiscono
20
.
Ma vediamo un po’ più nel dettaglio quali debbono essere gli elementi costitutivi
di una strategia internazionale e come procedere nell’elaborarla.
1. 3. 2 Gli elementi costitutivi di un piano strategico
La fase di elaborazione strategica richiede di solito molto tempo, energie, e soldi;
per questo, soprattutto nelle PMI, si tende a saltarla. In realtà dovrebbe essere
considerata un investimento molto intelligente in quanto permette di recuperare
18
La distanza psichica di un’area rispetto a quella di origine fa riferimento alle differenze
culturali, sociali, scolastiche oltre che economiche, ritrovabili tra i Paesi considerati. Minore
sarà la distanza, minori saranno i cambiamenti strategici oltre che di marketing richiesti
all’impresa.
19
In riferimento alla stabilità politica, economica non del vantaggio comparato dell’area..
20
Più la concorrenza sarà intensa, aggressiva meno conveniente sarà per l’impresa
internazionalizzarsi verso questo mercato. Fattori comunque da considerare a riguardo sono
anche la dimensione e lo stadio di sviluppo del mercato. Cfr. D. DEPPERU, Opera citata,
1993, sull’importanza di una strategica definizione del raggio d’azione.