1) Dalla carta ai giornali on-line: l’evoluzione della giornalismo
1.1 – Nella preistoria: I text, molto croce e poco delizia
Da quando le tecnologie elettroniche, a partire dagli anni ’80 del XX secolo, si sono
potentemente inserite sulla scena mondiale ed hanno iniziato a far trasparire enormi
possibilità dal punto di vista comunicativo, i grandi gruppi editoriali (per ovvie
ragioni, soprattutto quelli statunitensi) hanno iniziato a porsi la questione su come
trasformare le edizioni cartacee dei loro quotidiani e periodici in pubblicazioni
telematiche, fruibili a distanza in qualsiasi momento.
La distribuzione delle notizie su carta, per forza di cose statica (in quanto legata ad
un supporto fisico), doveva essere quindi resa dinamica e “comoda”: il paradigma
era quello di portare a domicilio le notizie, sfruttando il telefono o la televisione,
apparecchi che chiunque possedeva in casa propria.
La tendenza, in questo senso, era soprattutto dovuta al costante calo del numero di
copie vendute da parte dei quotidiani (in riferimento agli Stati Uniti d’America, si
parla di un calo dalle 62 milioni di copie vendute giornalmente del 1990 alle 55
milioni del 1999, secondo dati della Newspaper Association of America). Si trattava,
quindi, di creare un nuovo mercato, distaccato dalle edicole e dall’inchiostro, e assai
più completo e aggiornato dell’edizione cartacea di un giornale qualunque.
I primi veri esperimenti di “giornalismo tecnologico” si possono quindi ricercare
negli esperimenti (quasi tutti falliti) dei videotext e dei teletext: l’americana
Gateway, la britannica Prestel e la francese Minitel furono esempi di pionierismo in
questo campo, ma tutte si arresero a problemi insormontabili, per le tecnologie
dell’epoca. Prima di tutto, la mancanza di interattività, a fronte di elevate spese
dell’utenza per abbonarsi al servizio; inoltre, la poca velocità degli aggiornamenti e
la grafica deficitaria rendevano ben poco seducente un prodotto che sarebbe stato
sviluppato e implementato dai primi anni ’90.
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1.2 – 1992-93: Signore e Signori, sua Maestà il PC
La data del 25 dicembre 1992 non è solo un banale e già vissuto momento di
consumismo nella lunga storia delle transazioni commerciali dell’umanità. Questa è
una data che vede l’esplosione, dal punto di vista delle vendite e della confidenza
nel suo utilizzo, del personal computer nelle famiglie americane. Il PC si afferma, in
questa sede, come il “regalo preferito” per quasi il 20 % dei nuclei familiari a stelle e
strisce, vale a dire per diversi milioni di utenti. E con il PC, entra nelle case un
apparecchio fondamentale per il “villaggio globale” cui siamo oggi avvezzi: il
modem. Quest’accoppiata formidabile, PC e modem, porta rapidamente ad un
incremento del numero di abbonati ai servizi on-line. Inutile dire che i gruppi
editoriali, vedendo i dati delle vendite natalizie, sentono profumo di affari e iniziano
a studiare business plan per conquistare la loro fetta di mercato.
A cavallo tra il 1992 e il 1993, in realtà solo 13 quotidiani, degli oltre 1500 presenti
negli USA, offre un’edizione on-line, più o meno rudimentale. L’esperimento più
interessante ed innovativo, nel campo del giornalismo on-line, è sicuramente quello
del “Mercury Center”, che nasce e sviluppa proprio in quel periodo.
Esso faceva riferimento al “San Jose Mercury News”, quotidiano la cui sede si trovava
in un posizione quanto mai strategica per lo sviluppo della tecnologia digitale,
nell’omonima città-porta d’ingresso alla Silicon Valley. Sfruttando proprio il bacino
d’utenza potenziale della zona, dove i lettori erano probabilmente i più abituati
all’uso del PC e della navigazione in rete (si stima una percentuale tra il 20 e il 25
delle famiglie locali), il “San Jose Mercury News” aprì la sua vetrina digitale negli
spazi virtuali di America OnLine (con un interfaccia visibile in Figura 1).
Era il maggio 1993, e per la prima volta un prodotto d’informazione via web
otteneva una sua fetta di mercato, nonostante due aspetti quanto mai scomodi: da
un lato, gli alti costi di abbonamento al servizio, dall’altro la veste grafica ai limiti
dell’imbarazzante. Si trattava di pagare 9, 95 dollari al mese (nei quali erano
comprese 5 ore di connessione a internet), in cambio di “Sei titoli di prima pagina
[…] tutti in corpo piccolo” per cui “[…] nessuno sembra più importante dell’altro”.
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Figura 1: Mercury Center negli anni 90
A fronte degli inconvenienti grafici e degli alti costi, che scoraggiavano la
prosecuzione dell’esperienza informativo-informatica per gli utenti, per la prima
volta si affacciavano, nel campo dei mass media, due aspetti assolutamente nuovi, e
probabilmente rivoluzionari, almeno per come potevano sembrare all’epoca.
Il primo era sicuramente il rimando automatico da un articolo ad un altro, grazie ai
link appositamente inseriti, di modo che il lettore potesse collegarsi ad altre notizie
inerenti o ripescare dall’archivio precedenti articoli. Nessun media, prima di allora,
dava la possibilità di essere fruito nuovamente in così poco tempo e tanto
semplicemente, su un arco di tempo sufficientemente ampio (si escludano quindi le
registrazioni audio e vhs, che riportavano trasmissioni di solito molto recenti, e
comunque non permettevano grande libertà di movimento sulla linea temporale).
Il secondo aspetto, di grandissimo impatto per l’assoluta mancanza di precedenti,
era l’inedita possibilità d’interazione tra lettori e giornalisti. Era qualcosa di
certamente diverso dalla solita “rubrica delle lettere” ospitata in un qualsiasi
quotidiano, nella quale confluivano, solitamente, appunti e critiche sui contenuti,
ma non certo sulle forme: sarebbe tuttora impensabile che un lettore discuta lo
spazio o l’impaginazione delle notizie di qualsiasi testata, mentre le proprie
personali opinioni sono spesso accolte o per supporto alla linea editoriale o per
particolari casi di polemica.
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L’interazione tra lettori e giornalisti, sul web, metteva in discussione strutture,
contenuti, spazi e linee guida della testata on-line, ponendo un vero confronto tra
comunicatori e utenti. Questo può essere certamente ricondotto alla novità, e quindi
all’appeal da essa derivante, del nuovo mezzo informativo. Ma non va sottovalutato
l’aspetto economico della faccenda: pagare per un servizio insoddisfacente è il
veleno del consumatore.
I quasi 3000 messaggi giunti alla redazione del Mercury nei primi 6 mesi di attività
on-line sono stati forse il primo, piccolissimo cromosoma del giornalismo
partecipativo.
1.3 – 1994: Vengo anch’io, no tu no!
L’esperienza del “Mercury Center” era tra le più significative di informazione sul
web, ma non poteva certo restare l’unica. Tra il 1993 e il 1994, America OnLine
aveva visto crescere un assortimento di 35 quotidiani, nella sua edicola virtuale,
dove spiccavano, oltre al già citato Mercury, “Time”, “USA Today”, “The New York
Times”, “The New Republic”, “Wired” e “National Geographic”.
In particolare, si segnalava il “NY Times”, che scese nell’arena informatica forte di
una reputazione inossidabile, quanto a professionalità nella carta stampata, ma con
armi decisamente innovative. “@times”, questo il nome della testata on-line, era
formata principalmente da recensioni di spettacoli, e gruppi di discussione ed
elenchi tematici su argomenti inerenti lo svago e il tempo libero. Nessun archivio,
per sfortuna del quotidiano liberal newyorkese: dieci anni prima, con assai poca
lungimiranza, erano stati venduti i diritti di utilizzo dell’archivio elettronico al
database Nexis: sicuramente, questo fu uno smacco, a posteriori, per quello che
oggi è uno dei quotidiani on-line di maggior richiamo.
A ruota del “NY Times” si fecero avanti anche il “Washington Post” e i quotidiani di
San Francisco, a testimonianza che nessuno più voleva stare fuori dal giro. Ma, come
spesso accaduto nella storia della rete, i più piccoli hanno molto da insegnare ai più
grandi, e diventano, a sorpresa, maestri nell’attraversare una nuova frontiera.
Prova ne sia il caso del piccolo quotidiano “News & Observer” (Nando in acronimo),
la cui sede era nella piccola città di Raleigh, Carolina del Nord. Il suo direttore, Frank
Daniels III, annusando le potenzialità del calcolatore elettronico e della
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partecipazione del pubblico in rete, diede una fortissima impronta informatica alla
sua redazione ed alla sua testata.
Tutti i cronisti furono “alfabetizzati”, con corsi appositi di informatica e
videoscrittura, ed aiutati finanziariamente per acquistare un PC da usare a casa. Si
innescò quindi un circolo virtuoso, per cui il nuovo mezzo fece ben presto
dimenticare la vecchia macchina da scrivere, e tutti i giornalisti impegnati al Nando
cercavano con sempre maggiore convinzione di sfruttare le capacità della macchina.
Il Nando poteva così vantare una redazione totalmente informatizzata, presupposto
fondamentale per la pubblicazione di “Nando.net”. Esso offriva, grazie anche ad
alleanze tecnologiche con importanti fornitori di servizi on-line, sia il collegamento
ad internet che una casella di posta che gli articoli del quotidiano. Il tutto al modico
prezzo di 26 dollari, ben presto pagati da più di 2000 utenti solo nella fase
sperimentale.
I lettori dunque apprezzavano la versione elettronica del giornale, e le ragioni,
secondo lo stesso Daniels, stavano nella puntualità e nella completezza dei
cosiddetti “servizi utili”, rispetto (come nel caso dell’ @times) alla cura per
l’entertaiment. L’essere rivolti in particolare alla propria comunità, e non all’esterno
ed al vasto pubblico, costituivano un punto di forza di Nando.net, e, come
rafforzativo, vi era l’uso di mettere in calce ad ogni articolo l’indirizzo di posta
elettronica e il numero di telefono del redattore.
Questo particolare mette in risalto un’ancora piccola (all’epoca) contraddizione della
rete. La tecnologia che, McLuhan docet, crea il “villaggio globale”, nella prassi
quotidiana viene sfruttata per obiettivi locali, proprio come gli utenti di Nando.net.
Una contraddizione ancora irrisolta, e, a ben vedere, oggi più rilevante che mai.
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1.4 – 1995: Tutti sulla balaustra!
Tra il 1994 e il 1995, i giornalisti del “San Francisco Examiner”, a causa di questioni
su contratti non rinnovati ed altre divergenze economiche con la proprietà, misero
in piedi autonomamente un sito d’informazione. Esso constava di tutte le principali
rubriche del giornale, ed era particolarmente attento alle notizie di cronaca locale. Il
successo fu presto di grande portata, addirittura nazionale, nonché di enorme
impatto per il mondo del giornalismo on-line.
E’ in questo clima che David Talbot lascia, nel novembre 1995, proprio il “San
Francisco Examiner”, per fondare un magazine orientato solo sul web (una webzine,
in gergo).
Si tratta di “Salon”, rivista specializzata in recensioni di libri, con un occhio ed un
punto di vista particolare sull’attualità. La costituzione di “Salon” non si deve certo
solo a Talbot, e ai suoi 3 compagni d’avventura (che, insieme a lui, scrivevano i testi
e portavano i con-tenuti in html, fungendo da vera e propria “bottega artigianale”
dell’informazione web).
“Salon” aveva alle spalle la software house Adobe, che si specializzerà nella
diffusione del formato di documento multipiattaforma PDF (Portable Document
Format), grazie al quale è tutt’oggi possibile riportare un documento con la sua
formattazione originale, senza la possibilità di variare quest’ultima da parte
dell’utente. Il formato PDF, per le sue caratteristiche, era quello prediletto da coloro
i quali volevano aprire un’edizione on-line di un giornale senza possedere
competenze specifiche di formattazione in html.
Inoltre, la webzine fondata da Talbot ricevette importanti finanziamenti dalla banca
Hambrecht & Quist, istituto particolarmente sensibile agli investimenti tecnologici.
Negli anni, il marchio “Salon” ha acquisito una sua rispettabilità e credibilità a livello
nazionale ed internazionale, ampliando in seguito anche i suoi argomenti.
E’ interessante, nel caso “Salon”, rilevare come più volte la webzine abbia rischiato il
fallimento economico, assecondando l’assioma per cui un giornale on-line, fino a
quegli anni, era dispendioso quanto poco redditizio. In effetti, Talbot e soci hanno
sperimentato diverse vie per riempire le casse e garantire la sopravvivenza alla
testata, non ultima quella della “versione premium”, tutt’oggi disponibile su
salon.com (come evidenziato in Figura 2) . Ma, come allora, i banner pubblicitari
sono i veri salvatori della patria, i principali finanziatori di “Salon”.
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