Il termine avorio qui impiegato vuole indicare la materia derivata dalle zanne di
elefante, differenziandosi da altri materiali animali ugualmente definiti avorio, ma di
qualità inferiore. Molti oggetti rinvenuti in Cina e la maggior parte dei pezzi presenti
nelle collezioni e musei occidentali sono classificati avorio di elefante. E’ necessario
però sottolineare la rilevante presenza dell’avorio di mammut –chiamato avorio
fossile– sia in Cina, sia in Europa come importazione dall’Asia. Questo tipo di
avorio è molto scuro e relativamente friabile. Sebbene presentino qualità differenti,
frequentemente nella produzione di oggetti in avorio sono compresi per definizione
anche quelli in avorio di mammut.
L’avorio di narvalo è il migliore dopo quello di elefante: resistente, dalla densa
struttura e di colore bianco che tende a conservarsi nel tempo. Il suo valore è limitato
dalla ridotta misura di diametro della zanna (pochi centimetri) e dalla sua cavità
interna, pari a due terzi della lunghezza totale della zanna. Molti oggetti in avorio di
narvalo e un regolare commercio di questo materiale con le regioni artiche risalgono
alla dinastia Qing.
L’avorio di elefante è il più ricercato e più facilmente lavorabile. Nel corso dei
secoli gli artigiani cinesi hanno sempre avuto a disposizione zanne di elefante da
intagliare. Nel primo capitolo sono analizzate le modalità della disponibilità di avorio
in Cina secondo criteri storico-geografici, sottolineando la presenza del materiale
nelle varie dinastie.
Le qualità dell’avorio risiedono nella sua struttura la quale, in sede di lavorazione,
pone comunque dei limiti all’opera dell’artigiano: un abile intagliatore è chi riesce a
sfruttarne appieno –esaltandole– tutte le caratteristiche, ottenendo risultati
assolutamente non raggiungibili con altri materiali. L’analisi della composizione del
materiale, affrontata nel secondo capitolo, unitamente a una panoramica dei maggiori
metodi di datazione a esso applicati, hanno condotto a un’indagine dei processi di
lavorazione impiegati dagli artigiani cinesi.
Questa indagine, proposta nel terzo capitolo, è volta da un lato a chiarire le varie
modalità di approccio al materiale, dall’altro a cercare di rivelare il ‘segreto’ oppure i
‘segreti’ degli intagli in avorio cinesi, caratterizzati da bellezza e abilità spesso
inaspettate. L’indagine delle varie fasi della lavorazione (intaglio, politura,
policromia) è preceduta da alcune considerazioni sulla figura dell’intagliatore
d’avorio cinese in rapporto al materiale con il quale viene a contatto.
Un’applicazione molto estesa dell’avorio riguarda gli intarsi decorativi, eseguiti
soprattutto per i mobili. Lo studio dell’avorio in relazione all’arredamento cinese
esula dai confini del presente lavoro: l’avorio realizzato per l’intarsio, lavorato
quindi per essere inserito su un corpo maggiore e principale, non offre, a differenza
delle statuette in tuttotondo e degli oggetti per uso quotidiano, sufficienti elementi
per una comprensione del livello tecnico-artistico delle varie epoche.
Nel quarto capitolo viene presa in esame la produzione di avori cinesi nelle
diverse dinastie sulla base dello stato attuale dei ritrovamenti. La quasi totalità degli
avori considerati è conservata in collezioni e musei occidentali. Tra i musei
principali vi sono: Cleveland Museum of Art, Metropolitan Museum of Art,
Fitzwilliam Museum, British Museum, Victoria and Albert Museum, Graves Art
Gallery (Sheffield). Le maggiori collezioni si trovano quasi tutte in Europa:
collezione L. Lion, Parigi; collezione Stoclet, Bruxelles; collezione V. Sassoon,
Londra; collezione Ionides, Sussex. Negli Stati Uniti sono da segnalare le collezioni
R.M. Chait e F.L. Hough a New York.
Gli avori sono analizzati principalmente in base al loro utilizzo e sotto il profilo
tecnico-realizzativo, evidenziando i mutamenti di stile tra le produzioni delle diverse
epoche. Gli avori della dinastia Tang segnano il punto di partenza di questa analisi:
soltanto a partire da quest’epoca è possibile rilevare in maniera soddisfacente
l’esistenza di tecniche di lavorazione avanzate e complesse. Alla dinastia Tang
appartengono le prime realizzazioni di statuette in tuttotondo in avorio e molti dei
migliori e meglio conservati esempi di avori policromi; in questi secoli nasce la più
famosa delle tecniche di intaglio dell’avorio –bachiru– e si registrano i primi avori
cinesi con datazione sicura, ovvero quelli conservati nello Shoso-in a Nara.
L’indagine si conclude con la dinastia Qing e i primi anni del XX secolo, quando
l’aumentata meccanizzazione dei processi di lavorazione ha condotto a una svolta –
tendenzialmente negativa– nella storia degli avori cinesi, aumentando la produttività
ma indebolendo creatività e abilità individuali. Bisogna attendere il primo periodo di
rinascita dell’intaglio dell’avorio tra gli anni cinquanta e sessanta per poter assistere
a una ripresa dell’aspetto artistico e a un generale sviluppo del settore, fondati sulla
riscoperta delle tradizioni artigiane.
Nel capitolo quinto sono introdotte alcune problematiche concernenti due
produzioni particolari di avori cinesi in relazione a una realtà europea che dal XVI
secolo si faceva sempre più concreta lungo le coste dell’impero cinese. L’incontro di
due universi così differenti ha lasciato delle tracce anche nell’arte cinese dell’avorio,
forse meno visibili che altrove, in ogni caso esistenti e almeno in parte identificabili
con chiarezza.
[...]
4.6.2. GLI AVORI D’ÉLITE
La classe di avori che più contraddistingue la produzione Qing è quella costituita
da oggetti destinati a usi particolari in alcune attività di vita quotidiana, e da pezzi
essenzialmente ornamentali come i vasi completamente in avorio. Interessanti in
modo speciale sono i vari strumenti per scrivere sul tavolo dello studioso e gli
accessori del fumatore d’oppio. Sulla definizione di questa classe di avori esistono
pareri contrastanti. Il primo di questi pone l’accento su una situazione definibile
come una élite sul piano qualitativo: la classe dei letterati confuciani, oltre a
occupare gli strati più alti nella società imperiale, era anche detentrice di un
tradizionale gusto estetico. Studiosi dai gusti raffinati, amavano circondarsi di
piccole cose piacevoli allo sguardo e al contempo utili nelle loro faccende
quotidiane: il fascino esercitato da un materiale come l’avorio non poteva passare
inosservato, quindi si assiste all’incremento di oggetti in avorio, materiale che ora
prende il sopravvento sul bambù. In quest’ottica, quindi, pennelli, portapennelli,
appoggia polso da un lato, spatole e tabacchiere dall’altro –tutti in avorio– sono visti
come simboli di prestigio di una classe dominante.
85
A questa visione se ne oppone
un’altra che tende a estrapolare gli avori d’uso Qing da un qualsiasi contesto di tipo
elitario. Dallo studio di alcuni testi di epoca Ming-Qing di estetica della vita
quotidiana e su come condurla, riguardanti l’abitazione, la disposizione
dell’arredamento, fino ai dettagli sui piccoli oggetti per scrivere o dipingere, sono
state tratte alcune considerazioni. Viene innanzitutto criticato il cosiddetto “gusto
degli studiosi”, in quanto questi ultimi costituiscono una classe troppo eterogenea per
poter esprimere un unico senso estetico; l’avorio, poi, non rientra in maniera
determinante tra i materiali di moda all’epoca e anzi, stando ai testi, viene spesso
posto ai margini.
86
Questi avori d’uso, diffondendosi sempre più, non sarebbero
dunque associabili a un unico settore della società.
Il termine ‘élite’ usato nel titolo prende in considerazione le due interpretazioni: se
non è possibile parlare senza incertezze di avori di una élite culturale, è comunque
lecito definirli di élite in generale, non fosse altro per le disponibilità economiche
richieste per tali oggetti. L’avorio era e sempre rimarrà un bene di lusso.
85
B.C. EASTHAM, Chinese Art..., «cit.», passim.
86
C. CLUNAS in W. WATSON, Chinese Ivories..., «cit.», pp. 118-121: tra gli altri vengono citati un
“Treatise on Things that Matter” del XV secolo e “Xiang jin bu”, scritto dal collezionista-scrittore Kong
Shangren (1648–1718).
I portapennelli in avorio (bitong ) costituiscono una delle produzioni tipiche
di quest’epoca (Tav. XXVII). Ricavati dalla base cava di grandi zanne, diventarono
il metodo più usato per conservare i pennelli, e furono realizzati in una varietà di
materiali fin dall’epoca Ming: ceramica, giada, lacca e soprattutto bambù. L’avorio
diventa il più usato solo in epoca Qing. La superficie esterna dei bitong mostra la
[...]
CONCLUSIONI
Se si escludono le dinastie Ming e Qing, la storia degli avori cinesi dei secoli
precedenti è ancora in gran parte da scrivere. Gli avori dei periodi Song e Yuan così
come quelli databili agli Han, spiccano per la loro ‘assenza’: mentre per i secondi si è
ipotizzata nel primo capitolo una fase di transizione tra sfruttamento di avorio
indigeno e avorio importato, per gli avori Song e Yuan resta la perplessità circa
l’esiguo numero di ritrovamenti. Problemi di reperibilità di avorio sono inesistenti in
questi secoli, è quindi lecito prospettare ulteriori rinvenimenti che porteranno
maggiore luce alle conoscenze attuali.
L’analisi della reperibilità di avorio in territorio cinese condotta nel primo capitolo
ha delineato due percorsi complementari: lo sfruttamento dell’avorio indigeno e
l’impiego di avorio importato. Per secoli l’avorio usato in Cina proveniva –e
proviene tuttora– dal Sud-est asiatico e dall’Africa, ma la fonte iniziale di avorio di
elefante era indigena. L’elefante era presente su buona parte del suolo cinese,
comprese le regioni settentrionali dove, come si è visto, il clima era molto più
temperato di quello odierno. Esauritasi la fonte interna di avorio iniziò l’incremento
dell’importazione di zanne dall’estero.
Dall’indagine sulla tecnica di intaglio e sulla produzione di avori lungo il corso
dei secoli affrontate nei capitoli terzo e quarto emergono alcuni elementi ricorrenti.
Sotto il profilo tecnico i risultati migliori sono riscontrabili nella lavorazione in
tuttotondo, ovvero nella realizzazione delle statuette, sempre presenti dai Tang in
poi. L’evoluzione dello stile e dei soggetti delle statuette presenta una continuità
dell’alto livello della lavorazione, valida per tutti i settori dell’arte cinese dell’avorio:
i pochi avori datati Shang e Zhou mostrano una notevole perizia nella realizzazione
come se fossero il risultato di una tradizione consolidata da tempo già a quell’epoca.
Volendo proporre un paragone con altre forme di intaglio e incisione, gli studi
condotti sull’argomento generalmente concordano nel sottolineare l’elevata qualità
degli avori di periodi –dinastia Qing– in cui per converso si assiste a una fase di
inerzia di molte forme d’arte cinese.
La policromia è un altro aspetto importante degli avori cinesi. Applicata di rado in
epoca pre-Tang diventa comune a partire dal VI-VII secolo. Quasi tutti gli avori
presentano tracce di colore artificiale. I pigmenti utilizzati sono di natura vegetale o
minerale (più resistente). I migliori esempi di avori policromi risalgono alla dinastia
Qing e alla dinastia Tang.
Tra i temi non prettamente tecnici proposti nel presente lavoro, figura quello
concernente l’artigiano e le sua identificazione. La figura dell’intagliatore cinese
fatica a emergere dal panorama degli avori esistenti. I pezzi recanti la firma del loro
autore sono pochissimi, di norma rimangono oggetti attribuiti a una generica classe
artigiana. Alcuni nomi di intagliatori sono comunque sopravvissuti nelle rispettive
epoche ma le notizie sulle loro vite sono frammentarie. Maggiori informazioni sono
disponibili circa gli artigiani di epoca Qing sostenuti dal favore imperiale e inseriti
nello zaobanchu, al quale è dedicata l’ultima parte del quarto capitolo. Alcuni studi
cinesi recenti condotti su fonti non accessibili agli stranieri hanno raccolto un buon
numero di nomi di artigiani di corte Ming e Qing e costituiscono il primo passo verso
una definizione dell’artigiano cinese del passato come individualità all’interno della
classe nella quale è inserito.
Un altro aspetto importante concernente gli avori dell’ultima fase della storia
dinastica va rilevato nell’impatto degli acquirenti occidentali sulla produzione di
avori cinesi, il quale ha avuto i maggiori effetti nell’ambito dei pezzi da
esportazione, con modalità simili al settore delle ceramiche ma con risultati spesso
inferiori, come si è visto nella seconda parte del quinto capitolo. A questo proposito
nel medesimo capitolo viene analizzato lo stesso tema in un ambito differente,
ovvero l’influenza esercitata dal culto cattolico della Madonna sulla tradizione
buddhista di Songzi Guanyin. L’analisi del contesto storico dell’insediamento delle
missioni cristiane e il confronto tra l’iconografia della Madonna con Bambino e
l’iconografia di Songzi Guanyin, effettuati nella prima parte del quinto capitolo,
sembrano suggerire la matrice straniera nella genesi delle statuette di Songzi
Guanyin in avorio, le quali costituiscono una novità della produzione di avori Ming.
Nello stesso periodo in cui giungono in Cina i missionari cristiani con le loro
statuette, si assiste alla diffusione di immagini in avorio della dea Guanyin.
Un ostacolo alla completa affermazione di questa interpretazione è costituito dalla
attuale assenza di modelli originari certi: non si hanno notizie riguardanti le sorti
delle statuette che i missionari portarono con sé in Cina, di conseguenza al momento
non è possibile effettuare un confronto definitivo tra modello e copia, avendo
soltanto le copie definite Madonne cinesi. Malgrado l’assenza di studi
sull’argomento, una svolta risolutiva per stabilire il grado dell’influenza europea in
questo contesto è senz’altro individuabile in una futura identificazione dei modelli
originari e nell’analisi approfondita del culto di Songzi Guanyin in epoca Ming e
pre-Ming.
Lo studio dell’intaglio dell’avorio in Cina, raramente affrontato in occidente,
rivela un settore dove l’artigiano cinese ha ottenuto risultati spesso irraggiungibili
per i suoi colleghi asiatici e occidentali e dove la varietà delle tecniche impiegate
testimonia di un’arte che minore non è, se non nelle dimensioni degli oggetti
lavorati.