2
proprio per questo una sua analisi è l’occasione per
comprendere l’incidenza del turismo, e dell’incontro con
l’occidente in generale, sulla cultura dell’isola.
La ricerca si è articolata principalmente in tre fasi:
raccolta del materiale bibliografico, effettuato soprattutto
presso la Biblioteca Nazionale di Roma e la biblioteca del
dipartimento di musica e spettacolo dell’Università Degli Studi
di Bologna; studio del materiale e progettazione del lavoro da
compiere, includendo l’esperienza sul campo per avere una
maggiore comprensione e colmare la carenza bibliografica
sull’argomento; ricerca sul campo, durante la mia permanenza
a Bali nei mesi di Luglio e Agosto 2003, in cui ho seguito
delle lezioni di Kecak grazie al maestro I Nyoman Sukerta e
sono riuscito ad avere libri di pregevole importanza attraverso
la libreria e centro risorse “Pondok Pekak” di Ubud, Bali.
L’esigenza principale è stata quella di contestualizzare
l’oggetto di studio: analizzare il Kecak senza comprendere la
cultura che lo ha generato e a cui partecipa, credo sarebbe stato
come voler studiare il comportamento delle seppie,
prelevandone una dal mare, mettendola, per comodità, in una
vasca con acqua salata. Isolare l’oggetto della ricerca è si
possibile, ma solo temporaneamente. E’ metodologicamente
3
importante “prendere in considerazione il fatto che gli oggetti
e soprattutto gli esseri viventi costituiscono dei sistemi aperti
che non possono essere definiti se non ecologicamente, cioè
nelle loro interazioni con l’ambiente, il quale fa parte di essi
nella stessa misura in cui essi fanno parte di lui.”
3
Questa
convinzione mi ha portato ad analizzare nel primo capitolo
alcuni aspetti storici, politici, ed economici dell’isola di Bali, a
partire dalle origini. Ho cercato in questo capitolo di non
anticipare niente sul periodo contemporaneo, che verrà invece
fuori nell’evoluzione del Kecak, sviluppato nel secondo
capitolo. Esso rappresenta il nodo centrale della tesi: il
passaggio dal sacro al “turistico”.
Nel terzo capitolo, oltre a seguire l’evoluzione del
Kecak fino ai giorni nostri, ho cercato attraverso la pratica
acquisita con I Nyoman Sukerta e l’osservazione di numerose
rappresentazioni, di entrare nello specifico della messa in
scena, costruendo una sorta di “copione” dello spettacolo, che
a Bali non esiste.
Ho iniziato questa ricerca chiedendomi cosa poteva
esser rimasto della “pura” cultura balinese in un’epoca dove il
3
Morin (1982) in Quattrocchi (1989), pag. 66.
4
mercato è considerato, anche a Bali, un dio. Ebbene, i balinesi
si sono adattati anche a questo “dio”, ma con equilibrio, come
sempre. Il Kecak ne è un perfetto esempio. Dobbiamo, infatti,
vederlo come “invenzione della tradizione”: una pratica
spettacolare che si è adeguata al gusto occidentale, tenendo
forti legami con il passato.
4
Il Kecak, nato come coro sacro all’interno del rituale
Sanghyang, è diventato Monkey Dance da un idea di Walter
Spies che né incluse un episodio danzato tratto dal Ramayana.
Cambiò lo status, ma non da sacro a profano, bensì dal primo
al terzo cortile del tempio. Infatti, come ben spiega il libro
“Kaja and Kelod - Balinese Dance in Transition”
5
di I Madé
Bandem e Frederik de Boer, la cultura balinese prevede la
distinzione delle danze in base alla successione dei cortili dei
templi, successione stabilita dalla vicinanza o lontananza dalla
dimora degli dei, il monte vulcano Gunung Agung.
I balinesi abituati da sempre ad accogliere ed integrare
elementi esterni nella propria cultura, convivono da tempo con
il turismo traendone vantaggio. Persino i governanti locali,
impegnati nei primi decenni d’indipendenza a combattere le
contaminazioni esterne, oggi cercano lo scambio con le altre
4
Savarese (1992), pp. 397 – 405.
5
Bandem - de Boer (1981).
5
culture. Essi si sono resi conto che il turismo non solo non
distrugge la cultura ma la (e li) arricchisce. A tal proposito
diventa emblematico il detto con cui I Gde Pitana conclude il
suo libro sul turismo culturale a Bali: “non uccidere il cigno
che ci da le uova d’oro”
6
.
Avvertenze
All’interno del secondo capitolo vengono citati scritti
degli anni ’20 e ’30. In quel periodo l’ortografia delle parole
balinesi era influenzata dalla lingua allora ufficiale
nell’arcipelago Indonesiano, l’Olandese. Dopo l’indipendenza
e la costituzione della Repubblica Indonesiana, varie
modifiche furono apportate in questo campo. Nel 1972 si è
infine arrivati ad una riforma che ha stabilito, fra l’altro, i
seguenti cambiamenti: oe diventa u; dj diventa j; tj diventa c e
j diventa y.
L’ortografia utilizzata in questa tesi è conforme alle
modifiche del ’72 per cui ad esempio si troverà Kecak e non
6
Pitana (2000), p. 80.
6
ketjak ma viene, comunque, rispettata la scrittura originale nei
testi citati.
FONETICA
Le lettere dei termini indonesiani si leggono quasi
come in italiano se si escludono le seguenti differenze: c
sempre dolce come in ceci; g sempre gutturale come in gatto;
h leggermente aspirata talvolta muta; j come la g dolce; k come
la c dura ( quasi muta in fine di parola ); kh come la c dura
seguita da una aspirazione; ng suono nasale in cui la n è muta;
ny come gni; sy come sci; w come la u semivocalica; y come la
i semivocalica.
Per quanto riguarda l’accento, a Bali, cade
solitamente sull’ultima sillaba, fanno eccezione alcune parole
con più di due sillabe in cui l’accento cadrà sulla penultima.
7
I.Il contesto storico e culturale dell’isola di
Bali
I.1 Bali
“Dopo aver creato il cielo per le divinità, la terra per gli
animali e gli oceani per i pesci, Iddio decise di donare al primo
uomo e alla prima donna un verde paradiso terrestre.
Prese allora un gran pesce che nuotava verso la luce e
lo pietrifico: così nacque Bali, l’alba del mondo”.
7
Si dice Bali e subito si pensa a quel paradiso
tropicale in quella catena d’isole che è l’Indonesia. Di questo
universo fatto di mille e mille culture e infiniti dialetti, Bali, è
una delle punte di diamante. Un’isola dove la vita può
assomigliare più che altrove ad una rappresentazione teatrale,
nella quale l’azione si svolge negli atti stessi della vita
quotidiana; per esempio, nella grazia dei gesti delle donne, che
ogni mattina preparano con infinita cura le offerte agli dei,
7
Leggenda balinese citata da Marotti (1984), p. 77.
8
oppure nelle cerimonie dove tutti si ritrovano al tempio,
affermando l’unita e la saldezza della comunità del villaggio.
Bali chiede solo di essere un pò scoperta, fuori dalle
località più vistose e luccicanti e andando invece per sentieri e
stradine di campagna. Questo è ciò che generalmente consiglia
una buona guida turistica, ma è sufficiente? Per vedere i
villaggi tradizionali, le feste nei templi e le relative danze,
sicuramente sì, ma non per capire la loro cultura. Essa non può
essere analizzata attraverso gli strumenti della nostra cultura,
ma dal suo interno, a partire dalle sue origini.
I.2. Le origini
Bali fa parte di una vasta area che oltre al resto
dell’Indonesia comprende Brunei, Myanmar (già Birmania),
Cambogia, Laos, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia e
Vietnam, a cui durante la seconda guerra mondiale è stato dato
il nome di Sud-Est asiatico. Gli stati suddetti sono così
differenti l’uno dall’altro che nulla sembra aver conferito unita
a quest’area, tranne l’influenza delle civiltà che si sono
sovrapposte nei secoli. Cinesi, Indiani, Persiani e Arabi hanno
9
dato vita a culture complesse: miscugli di elementi, tra cui non
trascurabili i più recenti influssi occidentali, che in differenti
territori hanno prodotto sintesi originali.
E’ difficile stabilire quali siano le origini dei popoli del
Sud-Est asiatico, tuttavia sono stati individuati due principali
movimenti migratori sovrappostisi ad un ceppo australoide.
Tra il tremila e il mille a.C. i Protomalesi, ceppo
caucasico-mongolo, dalla Cina si spinsero fino all’isola di
Pasqua: sapevano coltivare il riso, usare la canoa a bilanciere,
allevare bestiame ed erano capaci di costruire monumenti
megalitici.
Nello stesso periodo, secondo l’archeologo olandese
Stutterheim, si sviluppò nell’odierno arcipelago indonesiano
una cultura che aveva come caratteristica basilare l’uso della
trance, per mezzo della quale i medium del villaggio entravano
in contatto con le anime degli antenati, anche attraverso l’uso
di ritmi musica e danze
8
.
Intorno al 300 a.C. si verificò la migrazione dei
Deuteromalesi, che dal nord giunsero anche in Indonesia,
soprattutto a Java. Di religione animista, consideravano la
maggior parte degli spiriti, in cui credevano, malefici. Ogni
8
Stutterehim (1935), pp. 1-5.
10
attività era volta a mantenere l’equilibrio e l’armonia ed erano
gli spiriti dei defunti ad impedire ogni allontanamento dalla
tradizione. Proprio dei Deuteromalesi era il considerare le
montagne sacre.
Pur non avendo riscontri certi della presenza di questi
“migranti preistorici”
9
a Bali, troviamo in loro quelle
caratteristiche tipicamente balinesi, che sviluppatesi per tutto il
primo millennio a.C., si fusero successivamente con il culto
indù.
I.2.La diffusione dell’induismo
Dalle più antiche iscrizioni in lingua sanscrita,
ritrovate nell’arcipelago indonesiano, si presume che l’isola di
Giava, sin dai primi secoli dell’era cristiana fosse sotto la sfera
dell’influenza induista, grazie ai rapporti commerciali con il
continente indiano. Le prime tracce di induismo nell’isola di
Bali risalgono, invece, alla fine del primo millennio d.C., lo
stesso periodo (929 d.C.) in cui “un sovrano di nome Sindok
trasferisce la corte giavanese a Kediri (Giava orientale) non
9
Brandon,( 1967), pp. 6 - 12.