Introduzione
Secondo le aspettative della Commissione Europea (Commissione
Europea, 2002), così come efficacemente sintetizzate da Ernstberger e
Vogler (2007), l’introduzione dei principi contabili internazionali
(IAS/IFRS
1
) avrebbe dovuto sortire i seguenti effetti:
1. più elevati livelli qualitativi e di trasparenza per i prospetti contabili,
con conseguente riduzione dell’asimmetria informativa e del rischio
informativo nei mercati di riferimento;
2. riduzione del costo del capitale per le società europee e mercati
finanziari più efficienti nell’Unione Europea.
Focalizzandosi soprattutto sul punto 1, il presente lavoro vuole fornire una
descrizione dei principali effetti che l’introduzione dei principi contabili
internazionali ha avuto sulle proprietà qualitative degli utili
2
annunciati
dalle società europee.
Anche se nella letteratura le opinioni su quali siano gli attributi che
rendono un utile “di qualità” sono piuttosto concordi, non vi sono posizioni
altrettanto univoche quando si tratta di definire come si possa misurare
empiricamente questa “qualità” (la cosiddetta earnings quality).
Per questo motivo, si è scelto di indagare tre dimensioni esemplificative
che incontrano una certa diffusione negli studi sulla materia, con la
consapevolezza del fatto che una indagine comparativa più approfondita
della qualità degli earnings potrebbe prendere potenzialmente in
1
Per la precisione, il termine IAS (International Accounting Standards) si riferisce ai principi contabili emanati
dall’International Accounting Standards Comittee (IASC) fino al 2001, mentre il termine IFRS (International
Financial Reporting Standards) fa invece riferimento ai principi contabili fissati dal suo successore,
l’International Accounting Standards Board (IASB). Di conseguenza le aspettative qui riportate, essendo datate
2002, si riferirebbero peculiarmente solo agli IFRS, e solo per estensione anche agli IAS (ad ogni modo, non vi è
motivo di credere che le finalità ultime dei principi contabili internazionali siano variate sostanzialmente nel
tempo).
2
A fini espositivi, nel presente lavoro i termini utili ed earnings saranno usati in modo interscambiabile, facendo
in entrambi i casi riferimento al risultato di conto economico, sia esso positivo o negativo e quindi
comprendendo in entrambi i casi sia gli utili che le perdite.
2
considerazione molti altri aspetti qui non trattati. Questa scelta di limitare
il campo di ricerca è conseguenza della necessità di ottimizzare il trade-off
tra approfondimento delle singole tematiche e dei metodi trattati da un
lato e finalità (non certo esaustiva) del presente lavoro dall’altro.
Venendo ora a una descrizione più approfondita delle singole aree di
ricerca prescelte, la prima area è quella riguardante il livello di earnings
management (cioè di “manipolazione” degli utili) praticato dalle società
con diversi regimi contabili. In questo ambito, l’attenzione è volta a
individuare gli errori di misurazione contenuti negli utili e dovuti
all’esercizio della discrezionalità del management nello stimare la
componente valutativa degli utili, i cosiddetti accruals. La qualità degli utili
è stata infatti definita come inversamente proporzionale alla dimensione
dei discretionary (Jones, 1991) o degli abnormal (Dechow e Dichev, 2002)
accruals. Questo approcio è uno degli approci che incontrano la più ampia
diffusione nella letteratura
1
qualora si intenda investigare la qualità degli
earnings, e costituisce perciò una metodologia ampiamente consolidata.
Il secondo punto focale dell’indagine riguarda la value relevance degli utili
annunciati dalle imprese. In questo caso, l’approcio è teso ad evidenziare
se i prezzi e i rendimenti di mercato possano essere spiegati dagli
earnings (considerati solo nel loro livello corrente o anche nella loro
variazione annua). Non c’è dubbio che anche questa costituisca una
dimensione qualitativa degli utili in quanto finalità ultima dei dati contabili
pubblicati dalle imprese dovrebbe essere quella di consentire agli attori del
mercato di fare delle scelte. Più la relazione tra utili e prezzi/rendimenti è
solida, più si può affermare che gli utili siano affidabili per il mercato, e
quindi di qualità.
Ultimo aspetto considerato è il volume di scambio negli intorni delle date
di annuncio degli utili aziendali. Essendo questa grandezza indice del
1
Si vedano ad esempio Francis, LaFond, Olsson e Schipper (2004); Gassen e Sellhorn (2006); Van der Meulen,
Gaeremynck e Willekens (2006); Jones, Krishnan e Melendrez (2007).
3
grado di divergenza tra le opinioni degli investitori, più questa può essere
spiegata da altre variabili, più sarà ridotta la componente riferibile alla
diversa interpretazione degli utili rilasciati e quindi più elevato il grado di
consenso e di affidabilità che i partecipanti al mercato rinconoscono agli
utili rilasciati dalle imprese.
Mentre nel caso dell’earnings management il focus dell’indagine è rivolto a
una proprietà intrinseca degli earnings quale la componente di accruals (si
prendono quindi in considerazione solo dati contabili), nel caso della value
relevance ci si concentra sulla relazione tra variabili di mercato e variabili
contabili, e nel caso del volume di scambio ci si chiede come valutino gli
investitori dati contabili che rispettano diversi criteri (concentrandosi
quindi esclusivamente su dati di mercato). I tre approci sono perciò diversi
ma complementari, e permettono di ottenere una visione d’insieme
sufficientemente completa di quanto un utile si possa definire “di qualità”.
La struttura del presente lavoro è la seguente: nel capitolo 1 verrà
passata in rassegna la precedente letteratura; nel capitolo 2 verrà
presentato il contesto istituzionale di riferimento per l’analisi empirica
svolta; nel capitolo 3 verrano illustrati i criteri di raccolta dei dati e di
selezione del campione; nel capitolo 4 verranno presentati i modelli
empirici di riferimento e i relativi risultati.
4
1. Earnings quality: gli aspetti rilevanti ai fini
della presente analisi
1.1 Attributi qualitativi degli earnings
La letteratura, come già accennato, è piuttosto concorde nel definire gli
attributi in base ai quali definire il livello qualitativo degli utili (varie
interpretazioni si riscontrano invece quando si tratta di misurare
empiricamente queste proprietà).
In termini generali, una buona sintesi è stata operata da Barth (2007)
che, sulla scorta delle indicazioni dello IASB (2006), individua quattro
attributi qualitativi che le informazioni contabili dovrebbero possedere:
rilevanza, rappresentazione fedele, comparabilità e comprensibilità.
La “rilevanza” si esplicita nella capacità che un’informazione ha di
condizionare le scelte di chi ne è a conoscenza, e richiede perciò anche la
tempestività dell’informazione stessa. Un’informazione rilevante ha valore
predittivo in quanto permette di valutare gli effetti degli eventi sui cash
flow d’impresa, e ha valore confermativo in quanto consente di valutare
l’attendibilità delle stime già effettuate.
“Rappresentazione fedele” è la proprietà che un’informazione ha di
riflettere adeguatamente l’essenza dei fatti che si propone di rendere noti.
Sono ricomprese in quest’ambito anche la verificabilità, la neutralità e la
completezza dell’informazione.
La “comparabilità” consiste nella capacità dell’informazione di rendere
possibili confronti, e quindi di evidenziare analogie e differenze tra eventi
diversi. Condizione necessaria per poter effettuare dei confronti è la
consistenza, cioè l’impiego degli stessi principi contabili (nel tempo, se il
confronto si riferisce a una singola impresa, o nello spazio, qualora il
confronto sia tra aziende diverse).
5
Infine, “comprensibilità” è la caratteristica di una informazione che è
chiara nel suo significato a chi possiede le necessarie conoscenze di base e
si applica nel suo studio con la dovuta diligenza.
Vi sono due vincoli che delimitano le caratteristiche qualitative di
un’informazione: la materialità (cioè che l’omissione o il travisamento
dell’informazione possano effettivamente comportare scelte diverse per
l’investitore) e il principio di benefici eccedenti i costi (dove però entra in
gioco un criterio soggettivo nella scelta di quali costi e quali benefici
includere e nelle modalità di valutazione degli stessi). Altro fattore
importante da considerare quando si valutano gli attributi qualitativi di
una informazione è l’obiettivo dei prospetti contabili, che è determinato
dal contesto istituzionale di riferimento e che determina a sua volta i costi
e i benefici delle diverse scelte attuabili.
La trattazione fin qui svolta, pur indispensabile per inquadrare il tema
dell’earnings quality, si basa su definizioni e concetti non direttamente
applicabili nel contesto di una analisi empirica. E’ perciò opportuno fare
riferimento a Gassen e Sellhorn (2006) che, nel tentativo di
operazionalizzare il concerto di earnings quality, propongono innanzitutto
una distinzione fondamentale tra tre tipi di misure: a) basate sulle
proprietà delle serie storiche, b) che si fondano sulla misurazione della
componente di accruals degli utili e c) che adottano la prospettiva degli
standard-setter.
Le principali proprietà delle serie storiche sono rintracciate nella
persistenza, prevedibilità e conservatorismo degli utili. La persistenza
implica che gli shock che si verificano tendano ad essere
permanentemente incorporati negli utili futuri, seguendo quindi un
random walk. La prevedibilità è la capacità degli utili passati di aiutare a
prevedere gli utili futuri. Il conservatorismo e la tempestività, infine, sono
misure della trasparenza dei prospetti finanziari.
6
Quanto alla componente di accruals, considerata inversamente
proporzionale alla qualità dei relativi utili, si possono distinguere misure
che calcolano gli accruals totali e la loro variazione nel tempo (assumendo
che la porzione di accruals normale resti sostante nel tempo) da altre che
mirano ad isolarne solo la parte discrezionale o inattesa. Tra queste ultime
meritano specifica menzione il modello sviluppato da Jones (1991),
migliorato poi negli studi successivi, che calcola i discretionary accruals
come funzione lineare di misure contabili quali le vendite e il modello di
Dechow e Dichev (2002), che misura i normal accruals come funzione dei
cash flow presenti, passati e futuri e interpreta i residui della relativa
regressione come componente inattesa degli accruals (abnormal accruals).
Adottando la prospettiva degli standard-setter, le caratteristiche
considerate nella definizione del livello qualitativo degli utili sono
soprattutto la loro rilevanza e affidabilità. Il metodo di studio solitamente
adottato in questo caso è quello della value relevance (che fornisce una
misura sintetica di rilevanza ed affidabilità), in cui si cerca di verificare
quanto gli utili e altre variabili contabili siano in grado di spiegare i
rendimenti e i prezzi di mercato. E’ necessario precisare che i risultati
degli studi sulla value relevance non sono riconosciuti attendibili a livello
generalizzato, perché non conclusivi sui rapporti di causalità tra le variabili
in gioco.
Francis, LaFond, Olsson e Schipper (2004) studiano gli attributi
“desiderabili” degli utili con riferimento al loro effetto sul costo del capitale
per le imprese, considerato un buon indicatore sintetico delle decisioni di
allocazione delle risorse da parte degli investitori, per verificare quali di
questi attributi siano considerati più importanti dal mercato e quindi
contribuiscano di più alla riduzione del costo del capitale.
Gli attributi individuati in via preliminare, in base ai precedenti studi, sono
in questo caso sette: la accruals quality (riferita alla componente di
7
accruals degli utili misurata secondo l’approcio di Dechow e Dichev, 2002),
la persistenza (che cattura la sostenibilità degli utili), la prevedibilità
(l’abilità degli utili di predirre se stessi), la smoothness (ossia quanto il
management usa le proprie informazioni private per “spalmare” gli utili nei
vari anni, cancellando le fluttuazioni transitorie e contribuendo così a
ottenere una misura degli utili più rappresentativa), la value relevance
(misura sintetica di rilevanza e affidabilità, ma interpretabile anche come
grado di “utilità decisionale” dei dati contabili), la tempestività e il
conservatorismo (questi ultimi due elementi considerati in combinazione
danno informazioni sul grado di trasparenza dei prospetti contabili). Tutti
questi attributi sono visti come proxy inverse del livello di “rischio
informativo”, per cui un esito sfavorevole con riferimento a ciascuno di
essi dovrebbe essere associato a un più alto costo del capitale per
l’impresa. I primi quattro attributi sono definiti accounting-based, mentre
gli altri tre market-based.
Gli esiti dello studio empirico indicano che in effetti la prevedibilità e il
conservatorismo sembrano non essere associati al costo del capitale, che
gli attributi accounting-based sono quelli col più significativo impatto, e
che tra questi la accruals quality è l’attributo più rilevante. Tra le misure
market-based, la value relevance sembra essere l’unica con un effetto
davvero significativo sul costo del capitale per le imprese.
8