8
In questa prima definizione possiamo già intravedere una delle linee
guida di questo lavoro: la fiction Lost, infatti, non verrà considerata
esclusivamente nella sua componente cognitiva, concernente il gioco di
inferenze e aspettative che si instaura fra Lettore modello e Autore
modello3, ma verrà analizzata anche e soprattutto per portare alla luce
l’aspetto sensibile che ne governa e dirige l’attribuzione di senso (si vedrà
come, in fondo, il sensibile sia alla base di ogni operazione cognitiva4). Da
questo punto di vista, anche le operazioni del piano semantico verranno
considerate come derivanti da logiche di carattere estetico.
In altre parole, in questa trattazione si analizzeranno le componenti
cognitive e semantiche del testo Lost, cercando, in ultima istanza, di
considerarle come necessariamente legate a un piacere estetico fondato su
dinamiche di tipo sensibile. È per questo che si è deciso di proporre una
suddivisione dell’analisi in tre capitoli, ciascuno dei quali tratterà nello
specifico le tematiche cognitive, semantiche ed estetico-tensive collegate
alla fiction Lost. Inoltre, tale suddivisione si presenterà anche come un
percorso gerarchico, dal momento che ogni capitolo preciserà quanto
affermato precedentemente, contribuendo ad approfondire sempre più
l’aspetto estetico legato alla fruizione della serie presa in esame.
3
Cfr. Eco (1979: 52-53). “Il testo è […] intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire
e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due
ragioni. Anzitutto perché il testo un meccanismo pigro (o economico) che vive sul
plusvalore di senso introdottovi dal destinatario [...]. In secondo luogo perché, via via che
passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore
l’iniziativa interpretativa […]. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare. […] Un
testo postula il proprio destinatario come condizione indispensabile non solo della propria
capacità comunicativa concreta ma anche della propria potenzialità significativa. In altri
termini, un testo viene emesso per qualcuno che lo attualizzi”.
In altre parole, per Umberto Eco il testo si delinea come il risultato di una strategia di
cooperazione, quella dell’autore empirico (“chi lo ha emesso prevedeva”) volta a far
compiere al proprio lettore una serie di operazioni tali da fargli comprendere nel modo
migliore il significato del testo. Questo lettore a cui si rivolge l’autore non è, tuttavia, un
lettore specifico, in carne ed ossa, bensì un simulacro testuale chiamato Lettore Modello.
Allo stesso modo anche il lettore empirico tratteggia, sempre in termini di strategia testuale,
l’Autore Modello, ossia inferisce la presenza di un autore che abbia voluto dotarlo di
determinate competenze per la corretta comprensione del testo.
4
A tal proposito cfr. anche Violi (2006)
9
0.1 Lost come “formalismo efficace”
Ad ogni modo, ci teniamo a sottolineare che questa predominanza
dell’ambito estetico nella fruizione della fiction sarà qui ritenuta rilevante
per il suo ricollegarsi a dinamiche di tipo sociale. Riteniamo, infatti, in
accordo con quanto sostenuto, tra gli altri, da Jacques Geninasca (1997), che
il sociale sia inscritto nel testo e che, quindi, un’analisi testuale possa
rendere conto degli aspetti sociali su cui un testo basa il suo senso.
Non esiste un “valore estetico” in sé fuori dal rapporto specifico che i Discorsi5
poetici intrattengono con gli altri Discorsi di uno spazio dialogico.
(Geninasca 1997: 125)
Quello che Geninasca sostiene è, cioè, che nell’esperienza (estetica)
di fruizione di un testo si costruiscono a un tempo soggetti e oggetti a partire
dai valori che un dato Discorso veicola confrontandosi con altri Discorsi. In
questo, quindi, il testo si fa specchio di dinamiche sociali di “conversione”6.
Possiamo, dunque, affermare che anche in Lost è possibile ritrovare
quel “riflesso” della società, di cui parlava Eric Landowski (1989).
In La società riflessa, Landowski afferma che:
Non sono importanti i rapporti soggettivi pre-esistenti ma l’insieme dei tratti
(linguistici o meno) pertinenti, selezionati nel ‘reale’ in quanto “formalismi
efficaci”.
(Landowski 1989: 227)
5
Geninasca (1997) distingue tra “Discorso” e “discorso”, considerando il primo come più
vicino all’idea di formazione discorsiva culturalmente diffusa (ad esempio il Discorso
religioso, il Discorso sociale, il Discorso poetico), mentre lascia al secondo termine il
significato che di esso ne dà la teoria semiotica generativa.
6
Ibid.: 118-119, “Un intento di conversione”
10
Il concetto di “formalismo efficace” sembra essere perfettamente
applicabile al caso di Lost. Da un lato, infatti, Lost è un meccanismo di
significazione e, in quanto tale, ha a che vedere con forme del contenuto e
forme dell’espressione; dall’altro queste forme risultano interessanti,
nell’ottica di questo lavoro, se considerate alla luce dell’efficacia che esse
hanno nei confronti del sociale.
L’efficacia testuale di Lost sarà, allora, l’argomento che si tenderà a
precisare attraverso le analisi dei seguenti capitoli.
È possibile, infatti, come abbiamo visto con Geninasca e Landowski,
intravedere all’interno del testo la presenza di dinamiche sociali che sarà
opportuno rilevare. Questo argomento, d’altronde, assomiglia molto
all’assunto base della riflessione sociosemiotica, ossia il rifiuto
dell’opposizione dicotomica tra testo e contesto. Per la sociosemiotica,
infatti, il contesto è inscindibile dal testo proprio perché è già presente al
suo interno sotto forma di “condizioni formali di possibilità”7. Considerare
l’efficacia di un testo significa, dunque, rapportarlo al contesto sociale entro
cui si colloca e che esso stesso contribuisce a creare.
Un testo, infatti, di qualsiasi natura esso sia, non si limita a trasmettere un certo
numero di contenuti, come pensava la teoria della informazione; esso presenta al
suo interno anche un’immagine della situazione comunicativa in cui si trova, del
suo mittente e del suo destinatario, e così facendo detta le regole pratiche per la sua
fruizione. Ogni testo, in altre parole, svolge un discorso, nel senso che si inserisce
in un modello generico che, da un lato, lo trascende e, dall’altro, esso stesso
contribuisce a creare.
(Dusi 2004: 382)
7
Dusi (2004: 383)
11
Da questo punto di vista, quindi, anche l’aspetto estetico relativo alla
fruizione di Lost può essere ancorato a problematiche di natura prettamente
sociale. Si potrà, infatti, notare come anche la dimensione sensibile sia
riconducibile a dinamiche sociali.
0.2 Lost e la saisie esthétique
In “Il senso del corpo”8 Gianfranco Marrone ricorda che:
Il corpo vivo, concreto, vero dell’esperienza umana è sempre già un corpo sociale,
un corpo in azione o affetto da passione che percepisce se stesso e il mondo in
quanto è già in quel mondo, ne fa parte integrante, ne condivide le configurazioni
culturali profonde, ne subisce e ne orienta i destini.
(Marrone 2005: 4)
L’autore riconduce, quindi, il sensibile alla sfera della socialità.
La percezione sensoriale, contribuendo alla costruzione della significazione dei
discorsi e dei testi, permette altresì l’edificazione stessa di qualcosa come una
soggettività e, per contraccolpo, di qualcosa come un’oggettività. Soggetto e
mondo si costituiscono reciprocamente a partire dall’atto della percezione.
(Marrone 2005: 11)
Però, nota Marrone, questo atto fondativo di percezione viene
normalmente dimenticato poiché la cultura collettiva o le abitudini
individuali preferiscono “fare economia di esso avvalendosi di stereotipi
percettivi”9. Fino a che un atto percettivo non riesce a riemergere dalla
8
Marrone (2005: 3-20)
9
Marrone (2005: 12)
12
prassi abitudinaria: avremo, allora, ciò che in semiotica prende il nome di
saisie estétique (o “presa estetica”):
[…] quell’evento abbagliante e sfuggente, rigorosamente non cognitivo, tipico
dell’esperienza estetica che ha luogo sul modo sensoriale e patemico.
(Marrone 2001: 278)
Marrone riprende qui l’idea di saisie esthétique sviluppata da
Algidas Julien Greimas in Dell’imperfezione (Greimas 1987). In quest’opera
l’autore lituano definisce la saisie esthétique (o “presa estetica”) come un
momento di trasformazione non narrativa, bensì sensoriale, in cui soggetto e
oggetto si congiungono dal punto di vista percettivo e si fondono tra loro.
Scrive Greimas:
Ad un tratto accade qualcosa, non sappiamo cos’è: né bello, né buono, né vero, ma
tutte queste cose insieme. E neppur questo: accade un’altra cosa. Cognitivamente
inafferrabile, questa frattura della vita quotidiana è suscettibile, a posteriori, di ogni
tipo di interpretazione: crediamo di ritrovarvi l’attesa inaspettata che l’aveva
preceduta, o di riconoscere la madeleine che rinvia alle sorgenti immemorali
dell’essere; essa fa nascere la speranza di una vita vera, di una fusione totale del
soggetto e dell’oggetto. Insieme al sapore dell’eternità ci lascia un fondo di
imperfezione.
(Greimas 1987: 52)
Inoltre, quest’idea greimasiana di saisie esthétique è anche alla base
della formulazione del concetto, introdotto da Geninasca (1997), di
prensione impressiva10, concetto che, come vedremo, sarà fondamentale per
l’analisi di Lost che qui verrà sviluppata.
10
Cfr. § 1.2.2 e capitolo 4
13
Vediamo, allora, di chiarire meglio, tramite il ricorso a un esempio
tratto da Lost, cosa si intende per saisie esthétique.
Se consideriamo, ad esempio, la prima scena della seconda stagione
di Lost11, vediamo come in essa venga esattamente riproposta (con la sola
modifica del punto di vista) l’ultima scena della precedente stagione. Questa
ripetizione, già prima di costituire un fatto rilevante a livello narrativo, viene
innanzitutto vissuta percettivamente come un avvenimento degno di nota,
che colpisce lo Spettatore ad un livello puramente sensibile; in altre parole
questa ripetizione viene in primo luogo vissuta come percettivamente
rilevante e poi, successivamente, ricollocata nell’ambito narrativo-
predicativo. Quello che accade, quindi, è che si costruisce un soggetto (e un
oggetto) a partire da una base esclusivamente sensibile, e poi, solo in
seguito, lo si fa rientrare in un ambito narrativo: da questo prospettiva,
dunque, Lost si configura innanzitutto come una “esperienza vissuta”12
dominata dalla saisie esthétique.
Riprenderemo questo argomento nel capitolo 4.
0.3 Il corpus d’analisi
Abbiamo fatto riferimento, in quest’ultimo capoverso, a un esempio
tratto dalla serie Lost. Sarà, allora, opportuno specificare da cosa verrà
costituito il corpus che si andrà di seguito ad analizzare.
Avendo deciso di concentrare questo lavoro sulle prime tre stagioni
di Lost andate finora in onda in Italia, ci si è trovati di fronte a una mole
testuale altamente sincretica comprendente decine e decine di puntate,
ognuna delle quali della durata di circa quaranta minuti. Per forza di cose,
11
Lost, 2x01, Man of science, man of faith (Uomo di scienza, uomo di fede), 00:00 – 03:56.
Cfr. anche § 4.2.1, 4.2.1.1, 4.3 e 4.3.1
12
Pozzato (2008: 11)
14
ossia non potendo analizzare accuratamente tutti i quasi tremila minuti che
compongono le prime tre stagioni della serie, si è dovuto selezionare
all’interno di questo vastissimo contesto uno specifico campo d’analisi.
Come accennato in precedenza l’aspetto estetico legato alla fruizione
della fiction si è delineato come ambito privilegiato d’analisi; ma anche a
questa condizione l’intera fiction sembrava presentare troppi esempi
significativi per poter permettere una disamina completa di tutti i casi
presenti nell’intero corso della serie.
Si è quindi scelto di citare, in questa trattazione, soltanto alcuni
esempi selezionati dalle prime tre stagioni di Lost, senza procedere a una
copertura completa della fiction. Ad ogni modo questi casi sono stati
selezionati in quanto fortemente rappresentativi di, o comunque molto
importanti per il significato globale di Lost.
Nello specifico ci si è concentrati soprattutto sulla prima scena della
serie
13
, su alcune scene tratte dall’episodio della terza stagione dal titolo
Exposé14, sulla scena dell’ “incontro” tra Locke e Jacob15 e sulla scena
d’apertura della seconda stagione16 a cui si è già accennato in precedenza.
Queste sequenze, infatti, presentano tutte delle caratteristiche che le
rendono estremamente esemplari per ciò che concerne il senso complessivo
di Lost.
Nei due casi delle scene iniziali della prima e della seconda stagione
della serie, infatti, ci troviamo di fronte ad una posizione testuale molto
rilevante17 se, come fa notare Armando Fumagalli (2008), a differenza di
quanto accade in ambito cinematografico in cui è il finale ad assumere
un’importanza prioritaria, nelle serie televisive è l’inizio a fare la differenza
e a trattenere lo spettatore fidelizzandolo alla fiction.
13
Lost, 1x01, Pilot (Pilota), 00:00 – 04:30
14
Lost, 3x14, Exposé (Exposé)
15
Lost, 3x20, The man behind the curtain (L’uomo dietro le quinte), 27:10 – 32:51
16
Lost, 2x01, Man of science, man of faith (Uomo di scienza, uomo di fede), 00:00 – 03:56
17
Quello che Barbieri (2004: 75-78) chiamerebbe un rilievo da posizione. Cfr. anche § 4.3
15
Discorso opposto, ma in fondo simile, per quanto riguarda la scelta
dell’ “incontro” tra Locke e Jacob: essa rappresenta, infatti, l’ultimo mistero
riguardante l’isola di Lost che la serie lascia in sospeso alla fine della terza
stagione.
L’episodio intitolato Exposé, invece, è stato scelto per la sua auto-
conclusività (caratteristica rarissima per la fiction Lost), ossia per il fatto di
essere una puntata in cui ogni sviluppo narrativo viene portato a termine,
senza bisogno di ulteriori riprese o specificazioni negli episodi successivi.
Questo elemento, per quanto poco rappresentativo della fiction nel suo
complesso, ha comunque permesso di far emergere alcuni tratti distintivi di
Lost che devono essere sempre rispettati, sia che ci si trovi in un contesto di
puntata auto-conclusiva sia nel caso in cui la narrazione rimandi ad aspetti
legati alla “saga”18 di Lost.
0.3.1 La citazione del corpus
Per quanto riguarda il problema della citazione di queste scene,
segnaliamo che esse sono state riportate in questo lavoro sotto forma di
traduzione scritta di una configurazione testuale a base prettamente visiva.
Questa scelta obbligata ha di fatto comportato il palesarsi di alcune
problematiche caratterizzanti l’ambito della traduzione dal formato visivo a
quello scritto.
Si rileva qui come la parzialità nel riportare su formato scritto una
scena vista su schermo è intrinsecamente dovuta alla differenza delle
materie dell’espressione caratterizzanti i due ambiti19.
18
Cfr. Grignaffini (2006) ed Eco (1984b)
19
Per un approfondimento della problematica della citazione in forma scritta di testi visivi
si veda Metz (1977); ripreso in Stam/Burgoyne/Flitterman-Lewis (1992: 52): “Il piano
fornisce una quantità indefinita di informazioni – un fatto, questo, che si dimostra ovvio in
ogni tentativo, come nell’analisi inquadratura per inquadratura, di registrare con le parole la
16
Inoltre questa difficoltà è ampliata dalla natura imperfetta di ogni
traduzione che, in quanto interpretazione, comporta l’assunzione di un punto
di vista, di una competenza discorsiva, che segna il processo di lettura e
porta, dunque, necessariamente al formarsi di una “pluralità delle letture”20.
Entro questa pluralità, la singola lettura (o la singola traduzione/citazione
nel nostro caso) si presenterà, quindi, solamente come una versione
possibile del testo, senza poter mai ambire all’ aderenza totale al testo in
sé
21
.
Precisato ciò, rimandiamo ai riferimenti posti in corrispondenza di
ogni scena citata in questo lavoro: essi forniranno le indicazioni necessarie
per l’eventuale ricerca di un riscontro visivo all’interno del testo Lost.
ricchezza semantica anche solo di un’unica, relativamente univoca, immagine
cinematografica”
20
Geninasca (1997: 106). Al tema delle diverse competenze discorsive messe in gioco nel
processo di interpretazione di un testo sono dedicati anche Pozzato/Violi (2002) e
Ferraro/Pisanty/Pozzato (2007)
21
Cfr. Dusi (2003)
17
CAPITOLO 1.
PREMESSE TEORICHE
Abbiamo iniziato il precedente capitolo di “Introduzione”
accennando al ruolo fondamentale assunto nell’ambito di questo lavoro dal
concetto di efficacia.
L’efficacia di un testo può venire intesa in molti modi; tutti,
comunque, faranno riferimento al processo tramite cui un testo viene letto e
interpretato. Ciò che di questo processo interesserà qui rilevare è l’aspetto
concernente la “trasformazione del lettore [e del suo simulacro testuale
(n.d.r.)] nell’atto della lettura”22. Questo è anche ciò su cui è incentrato il
lavoro del semiotico svizzero Geninasca nella sua opera La parola letteraria
(Geninasca 1997).
1.1 Il processo di lettura e l’efficacia del testo in
Geninasca
In questo libro Geninasca rileva il carattere intersoggettivo che sta
alla base della corretta instaurazione del testo; in altre parole, egli sottolinea
22
Pezzini/Pozzato (2000: 7)
18
come la lettura di un testo sia essenzialmente fondata su di un rapporto tra
enunciatore ed enunciatario che comporta un’interrogazione sul valore dei
valori messi in gioco dal Discorso.
Per Geninasca,
Un atto di lettura inizia con l’instaurazione di un testo e termina al momento della
sanzione, esplicita o implicita (di volta in volta patemica o predicativa), che il
lettore esercita non tanto sull’enunciato stesso, quanto sul Soggetto, sui valori o sui
rapporti del Soggetto con i valori che il testo presuppone.
(Geninasca 1997: 118)
Ma anche “l’instaurazione di un testo” di cui parla l’autore svizzero
ha a che vedere con la presenza di un Soggetto. Secondo Geninasca, infatti,
la lettura, ossia il processo attraverso cui si attribuisce senso a una “totalità
significante” (totalité signifiante)23, inizia dall’oggetto testuale, definito
come “la promessa o la virtualità di un testo”.
Lo “scritto” – o il “detto” – non è il testo. Prima della sua assunzione da parte di un
soggetto e della sua costruzione da parte di un’istanza enunciativa, per il
lettore/ascoltatore esiste soltanto la promessa o la virtualità di un testo: un oggetto
testuale.
(Geninasca 1997: 105)
La formazione di un testo vero e proprio si avrà solo in seguito
quando
23
Da non confondere con il “significato globale” (tout de signification) di cui parla
Greimas: se, difatti, l’espressione graimasiana si riferisce al significato di un’opera prima
della sua manifestazione, Geninasca fa invece riferimento all’opera già manifestata.