5
da far ritenere alla Commissione che il sistema del diritto della concorrenza
europeo, come disciplinato dal regolamento del Consiglio CE n. 17/62
3
, non
potesse più garantire un’efficace applicazione delle regole Antitrust.
E’ proprio la salvaguardia delle prerogative poste alla base per la creazione di un
efficiente mercato interno, che ha spinto le istituzioni comunitarie a porre in
essere una riforma che ha come scopo principale, quello di istituire un sistema che
impedisca distorsioni della concorrenza nel mercato comune.
In questo lavoro ci sono stati di guida e meritano i più alti riconoscimenti
l’opinione di alcuni Professori sulle controversie in materia di Antitrust alla luce
del regolamento comunitario 1/2003; e lo scritto dell’avv. S. Angione pregiato
commento alle principali novità del regolamento CE n° 139/2004 sul controllo
comunitario delle concentrazioni.
Le altre, pregiate opere di cui abbiamo tratto profitto sono quelle elencate nella
bibliografia e per quanto possibile, ci siamo sforzati di riportare, senza
stravolgerne il contenuto, il pensiero delle loro teorie.
Ciò premesso concludiamo che, il nostro lavoro risulta diviso in 3 parti.
Oggetto della prima parte è caratterizzato dall’esame dell’ambiente economico,
prima dell’entrata in vigore dei regolamenti comunitari. Ci siamo prodigati di
riportare, succintamente, ma nel modo più chiaro che ci è stato possibile, il
periodo storico, dalla nascita dell’antitrust fino al giorno d’oggi, analizzando le
norme concorrenziali nel trattato comunitario a garanzia del mercato.
Il contenuto della seconda parte, fulcro del lavoro, racchiude il varo della
normativa antitrust e le principali modifiche intervenute a mezzo dei regolamenti
3
Regolamento del Consiglio CE n. 17/62 del 6 febbraio 1962 attuativo degli artt. 85 e 86 (ora 81 e
82 CE) del Trattato di Roma, in G.U.C.E. n. 13 del 21 febbraio 1962 p. 204 ss.
6
1/2003 e 139/2004. Tutto ciò nei limiti delle nostre conoscenze, intese ad
individuare i vantaggi che l’economia di mercato ha ricavato, attraverso le
vicende storiche e normative, il più delle volte protezionistiche, dopo l’istituzione
e l’applicazione negli stati membri della Comunità Europea, dei regolamenti
1/2003 e 139/2004.
La terza parte è dedicata, in termini di accertamento e di procedure istruttive, alle
specifiche sanzioni applicate alle imprese, nel rispetto ed in ottemperanza delle
nuove norme comunitarie. E sono tante le imprese sanzionate che vi trovano
posto; tra le ultime la Telecom Italia che ha avuto respinto dal Tar del Lazio il suo
ricorso contro la multa antitrust e la Grippaudo che si è rivolta all’Authority per
denunciare un potenziale abuso di posizione dominante da parte di Trenitalia.
Si è dato, però, risalto alla Microsoft, società creata da William G. Gates terzo,
perché ha avuto in passato un contenzioso con il governo americano che lo
accusava di pratiche monopolistiche e recentemente con il consiglio dell’Unione
Europea che lo ha multato, per mezzo miliardo di euro, per abuso di posizione
dominante.
7
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
LA CONCORRENZA E GLI AMBITI D’INTERVENTO
DELL’ANTITRUST
1. L’economia di mercato e il ruolo della concorrenza
Antitrust è un termine il cui vero significato si ricava dalla definizione riportata
nel vocabolario della lingua italiana edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana:
qualunque legge o provvedimento che, a tutela della libera concorrenza, agisce
contro ogni coalizione limitatrice di essa, cioè contro accordi di cartello e pratiche
di monopolio. Viceversa con quello di concorrenza, si suole fare riferimento ad
una competizione fra più persone che tendono ciascuna a un medesimo fine che
spesso diventa illegale cioè in modo non conforme ai principi della correttezza
professionale ai danni degli altri imprenditori concorrenti.
“Nell’ambito di tale sistema, alla concorrenza è affidato un ruolo essenziale, in
quanto essa impone ai protagonisti del processo economico (produttori e
rivenditori) di compiere ogni sforzo inteso ad ottenere un costante miglioramento
della qualità dei prodotti ed una gara al ribasso dei prezzi verso il prezzo di costo;
esclude dal mercato le unità produttive inefficienti e marginali, liberando risorse e
rendendole disponibili per impieghi più redditizi; promuove la differenziazione
produttiva moltiplicando le alternative di scelta del consumatore; evita le
concentrazioni permanenti di potere economico, favorendo l’accesso al mercato e
l’affermazione degli operatori più capaci e meritevoli.
8
Quando al contrario il libero giuoco della gara economica viene ostacolato o del
tutto compromesso, ai produttori è consentito di percepire sovrapprofitti (rendite)
di natura monopolistica, a scapito dell’efficienza del sistema ed a svantaggio dei
consumatori cui vengono negati i benefici dovuti ad una situazione
concorrenziale.
Anche la più convinta adesione a questi elementari postulati, che stanno alla base
di ogni economia di mercato, non può tuttavia prescindere dalla consapevolezza,
variamente percepita dai diversi orientamenti, che la libera azione delle forze
economiche, se affidata a se stessa, mentre non è in grado di garantire la
compatibilità dello sviluppo con taluni ineludibili istanze di ordine sociale, non
assicura neppure la conservazione (costantemente minacciata dalla formazione di
monopoli ed oligopoli) di quel pluralismo economico che è garanzia del
funzionamento di mercato”.
4
In un determinato mercato, sovente alcune imprese invece di gareggiare tra loro,
si mettono d’accordo per spartirsi il mercato, al fine di restringere la concorrenza.
“Intese di questo tipo, alterando il gioco della concorrenza, riducono gli incentivi
ad operare in modo efficiente e ad offrire prodotti con prezzi e caratteristiche tali
da soddisfare al meglio le esigenze dei consumatori” per cui, “quando un intesa
tra imprese comporta, anche solo potenzialmente, una consistente restrizione della
concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, essa è
vietata (art. 2 legge n° 287/90).
4
V. ALLEGRI, A. CERRARI, F. d’ALESSANDRA, S. FORTUNATO, G.GRIPPO, A. MAFFEI
ALBERTI, V. MANGINI, G PARTESOTTI, A. PIRAS, G. VOLPE PUTZOLU E G
ZANORONE. – “Diritto Commerciale” - Ed. Monduzzi 1999 Osteria Grande (Bologna) pagg. 57
e 58
9
La legge non considera intesa soltanto gli accordi formali tra gli operatori
economici, ma tutte le attività in cui è possibile individuarne il concorso
volontario di più operatori diretto a regolare i propri comportamenti nel mercato.
Sono pertanto ritenute intese sia le pratiche concordate, sia le deliberazioni di
associazioni e consorzi”.
5
2. L’antitrust in difesa della libertà di concorrenza
Questa predisposizione di soggetti che operano nei mercati con lo scopo di
esercitare il controllo monopolistico sulla produzione o la distribuzione di beni e
servizi sono stati oggetto dell’attenzione della legislazione di molti Paesi, primo
tra tutti gli Stati Uniti che nel 1890 hanno varato lo “Sherman Act”, con lo scopo
di garantire la libertà di concorrenza e di impresa nel mercato fra tutti i
partecipanti al suo interno, oltre che scoraggiare i tentativi di creare monopolio,
avuto riguardo, soprattutto alla concentrazione di più imprese in una sola di grandi
dimensioni con l’intento di modificare la libera concorrenza.
Infatti, con l’articolo 1 dello Sherman Act, si proibisce qualsiasi accordo che
intenzionalmente limiti il libero commercio, con l’articolo 2, si vieta qualsiasi
accordo inteso a dare vita ad un monopolio. E per il rispetto delle leggi sulla
concorrenza, si creò in questo paese, nel 1914, la Commissione Federale per il
Commercio, “FTC”, con il compito di iniziare le azioni legali, unitamente al
Dipartimento della Giustizia “DOJ”.
5
Autorità garante della concorrenza e del mercato – Antitrust a portata di mano – Aprile 2007 -
http://www.agcm.it/E27_file.pdf
10
Questa politica economica, adottata dagli Stati Uniti, che si avvale della
normativa antitrust, modifica positivamente le turbolenze di mercato conseguenti
agli abusi, alle concentrazioni ed alle intese restrittive della concorrenza e
approda, seppur con molto ritardo, anche in Europa. Ed in effetti, molte nazioni
con mercato ristretto, per avere abbandonato il libero scambio ed adottato
protezioni con barriere doganali e con varo di leggi sui dazi e sulle importazioni
competitive, che ovviamente soffrono per la concorrenza di quelli con attrezzature
e impianti più moderni e con organizzazione commerciale più avanzata, hanno
fatto tesoro della normativa di quel paese e danno inizio ad una legislazione
antitrust, con leggi appropriate alle esigenze dei loro mercati.
In particolare, gli articoli 81 e 82 del Trattato,
vietano, rispettivamente, le intese
restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante, posti in essere da
imprese e suscettibili di arrecare pregiudizio al commercio tra gli Stati membri:
nello specifico, l’art. 81, par. 1 vieta tutte le intese “che possano pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune”
reputandole, ai sensi del par. 2, “nulle di pieno diritto”; il par. 3 tuttavia prevede
la possibilità di sfuggire al divieto qualora vengano rispettate determinate
condizioni. L’art. 82, invece, vieta “nella misura in cui possa essere
pregiudizievole al commercio degli Stati membri, lo sfruttamento abusivo da
parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su
una parte sostanziale di questo” senza prevedere alcuna possibilità di esenzione.
11
Per oltre quarant’anni, dette regole di concorrenza sono state profondamente
influenzate dall’obiettivo dell’integrazione dei mercati che ha dato loro una
caratterizzazione particolare, quasi unica, nel panorama delle legislazioni antitrust.
In primo luogo, da un punto di vista sostanziale (ovvero riguardante i principi in
base ai quali la Commissione disciplina i rapporti verticali e orizzontali fra
imprese) l’autorità di Bruxelles ha sempre applicato il divieto ex art. 81 CE in
modo decisamente legalistico. La Commissione, tendeva infatti, ad equiparare
ogni restrizione alla libertà d’azione delle parti, ad una restrizione della
concorrenza, finendo così, quasi sempre, col vietare l’accordo in questione:
l’unico obiettivo era quello di tutelare la libertà d’azione delle parti e, di
conseguenza, la libertà dei consumatori di acquistare beni o servizi nello Stato
membro di propria scelta. Questa valutazione mancava totalmente della benché
minima analisi economica: in buona sostanza, un accordo ritenuto restrittivo in
base a questo modo di ragionare, era vietato, senza che la Commissione si sentisse
tenuta, per esempio, a considerare che esso non avrebbe concretamente avuto
alcun effetto negativo sulla concorrenza, magari perché messo in atto da imprese
prive di un rilevante potere di mercato. Nonostante la Corte di Giustizia le avesse
spesso rammentato di valutare l’accordo nel suo contesto economico e giuridico,
la Commissione, salvo casi sporadici, non diede mai segni di ripensamento sulla
sua politica. Anzi, quando la Commissione fu chiamata ad emanare dei
regolamenti d’esenzione per categoria, questi furono impregnati di formalismo,
essendo costituiti da un mero elenco di clausole.
In secondo luogo, da un punto di vista procedurale (riguardante la competenza
delle autorità preposte all’enforcement delle regole comunitarie della concorrenza)
12
l’obiettivo del mercato unico spinse la Commissione a proporre al Consiglio dei
Ministri l’adozione di un regolamento che accentrasse il più possibile
l’applicazione degli artt. 81 ed 82 CE nelle sue mani. Tale presa di posizione fu
anche frutto di un’analisi che la Commissione fece sulle caratteristiche della
Comunità di allora. Essendo questa composta da Stati membri, totalmente privi di
una cultura della concorrenza, lasciare nelle mani delle Autorità nazionali
l’enforcement delle regole di concorrenza comunitarie avrebbe sicuramente
portato ad una loro applicazione poco coerente, tutto a discapito della certezza
giuridica da garantire alle imprese e della realizzazione dell’integrazione dei
mercati. Così, nonostante le difficoltà che la stesura del regolamento
d’applicazione degli artt. 81 ed 82 CE comportò, la proposta della Commissione
andò a buon fine; dopo aver ottenuto il via libera dal Parlamento di Strasburgo, il
6 febbraio 1962 il Consiglio emanò il Regolamento n. 17/62, primo regolamento
di applicazione degli artt. 81 ed 82 del trattato CE. Questo regime, da un lato
concedeva alla Commissione il monopolio esclusivo sulla concessione di
esenzioni ai sensi dell’art. 81, par. 3, dall’altro, istituiva un controllo a priori, dal
momento che per godere di un’esenzione dovevano essere notificati alla
Commissione. Il regime d’enforcement del reg. 17/62 era un classico regime
d’autorizzazione fondato sul controllo a priori e sul monopolio della
Commissione in materia d’esenzione.
13
3. L’antitrust in Italia
In Italia le prime leggi a tutela della concorrenza si sono avute nel 1981, in
tema di editoria e, nel 1990, in tema di limitazioni degli spazi pubblicitari da
parte delle emittenti televisive e private e di limitazioni delle concentrazioni di
testate televisive e private. Ma è solo con la legge 10 ottobre 1990 n. 287 – norme
per la tutela della concorrenza e del mercato – in Gazzetta Ufficiale 13 ottobre
1990 n° 24, entrata in vigore 42 anni dopo il Trattato istitutivo della comunità
europea, che viene istituita l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato c.d.
Autorità Antitrust con il compito di applicare le nome vigilando:
a) sulle intese restrittive della concorrenza;
b) sugli abusi di posizione dominante;
c) sulle operazioni di concentrazione che comportano la costituzione o il
rafforzamento di una posizione dominante in modo tale da eliminare o
ridurre in misura sostanziale e duratura la concorrenza.
“Tanto il legislatore comunitario quanto quello nazionale considerano vietate le
intese fra due (o più) imprese che abbiano come oggetto o effetto di impedire,
restringere o falsare la concorrenza.
A parte la contrapposizione già riscontrata fra i due diversi ambiti territoriali in
ordine ai quali il pregiudizio concorrenziale deve manifestarsi, le differenze fra i
due testi legislativi in tema di intese (come anche di posizione dominante)
appaiano, come in precedenza osservato, tutto sommato trascurabili.
A questo proposito - oltre all’esplicita menzione nella legge nazionale dei
consorzi e di “altri organismi similari” fra gli enti in grado di adottare
“deliberazioni” restrittive vietate - l’altra differenza di qualche rilievo risiede nel
14
riferimento, che non appare nella norma comunitaria (art., 81.1 del Trattato CE ),
alla capacità dell’intesa di alterare “in maniera consistente” la concorrenza come
presupposto di applicazione dei divieti contenuti nell’art. 2.2 L. n° 287/1990.
Ma, a ben guardare, non sembra che il criterio della “consistenza” sia molto
dissimile, se non fosse per la particolare enfasi posta su di esso, da quello
elaborato dagli organi comunitari (Corte di Giustizia e Commissione) per cui il
pregiudizio anticoncorrenziale deve essere “sensibile”: ed è in questa stessa
prospettiva che la Commissione ebbe ad enunciare il principio de minimis,
ispiratore sin dal 1970 di un’apposita Comunicazione (revisionata più volte e, da
ultimo, il 22 dicembre 2001), ove vengono indicate le dimensioni delle imprese
partecipanti all’accordo al di sotto delle quali quest’ultimo può venire considerato
di “importanza minore” e come tale non significativo, in quanto incapace di
arrecare alla concorrenza un pregiudizio apprezzabile che ne reclami la
repressione.
Secondo l’ultima versione del documento citato la Commissione si preoccupa, in
primo luogo, di dettare un criterio presuntivo di esenzione a favore degli accordi
intervenuti fra piccole e medie imprese, che sono ritenute raramente “di misura
tale da influenzare il commercio fra Stati membri. Sono piccole e medie, secondo
la commissione, le imprese con meno di 250 dipendenti ed aventi un fatturato
annuo inferiore a 40 milioni di euro. Sotto il diverso profilo delle quote di mercato
detenute dalle parti dell’accordo, ritiene la Commissione che non siano suscettibili
di produrre significativi effetti incompatibili con i divieti dell’art..81. 1 gli accordi
fra imprese quando, tenuto conto della totalità dei mercati rilevanti interessati, a)
la quota di mercato aggregata detenuta dalle parti non sia superiore al 10%, nel
15
caso di intese orizzontali, ovvero b) la quota di mercato detenuta da ciascuno delle
parti dell’accordo non superi il 15%, nella diversa ipotesi di intese verticali.
L’esenzione non può riguardare, in ogni caso, intese ritenute intrinsecamente, e
pertanto irrimediabilmente, illecite (come fissazioni di prezzo, limitazioni della
produzione e delle vendite e ripartizioni territoriali)”.
6
Fra le intese che possono essere considerate illecite (intese ad effetti illeciti) il
Prof. Osti annovera: le intese orizzontali e le intese verticali.
Per le prime “si tratta degli:
ξ accordi di ricerca e sviluppo;
ξ accordi di specializzazione, intendendosi per tali quelli per i quali una
parte s’impegna nei confronti di un suo concorrente a concentrarsi sulla
produzione di un diverso prodotto, laddove il concorrente talvolta si
impegna a concentrarsi nella produzione di un diverso prodotto
(specializzazione reciproca);
ξ Accordi di sub-fornitura: per i quali una parte s’impegna a produrre un
bene che viene poi utilizzato dall’altra nella produzione di un bene
complesso;
ξ Accordi di commercializzazione in comune;
ξ Accordi relativi ad una normazione tecnica comune (c.d.
standardizzazione), a marchi di qualità comuni, consorzi, enti di
omologazione;
ξ Accordi relativi allo sfruttamento collettivo di diritti;
6
V. MANCINI e G. OLIVIERI – Diritto Antitrust – Seconda edizione , Ed. Giuffrè 2007 (Milano)
pagg. 23 e 24