Partendo dall’oralità e dalla storia orale è nata non solo una nuova metodologia
storica, più attenta alle “storie” con la s minuscola, alla voce corale della Storia,
ma anche nuovi modi di conservare e distribuire la memoria che non hanno pretese
storiografiche ma giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'identità di
una comunità.
Dopo una prima parte dedicata alla ricostruzione dello sviluppo della disciplina e
dei metodi della storia orale, una necessaria premessa al cuore centrale di questa
ricerca, la tesi ha passato in rassegna gli “sconfinamenti” della tradizionale
metodologia della storia orale nel campo di diversi linguaggi mediali per
rielaborare e non più soltanto conservare, la memoria orale in forma narrativa (è il
caso degli esempi radiofonici e teatrali analizzati), in forma documentaristica e
polifonica (è il caso del progetto multimediale StoryCorps) e in forma artistica (è il
caso delle installazioni di Portobeseno).
Ma l'obiettivo centrale di questa tesi è rappresentato dalla terza parte di questo
lavoro, ovvero l'applicazione dei metodi della storia orale (“ibridati” con tecniche
di registrazione ed edizione digitale e con internet come teca virtuale della
memoria) per il recupero, la conservazione e la comunicazione di una memoria
orale locale, in questo caso il mio comune, quello di Mezzolombardo (TN).
Un’indagine “sul campo” per scoprire e proporre nuovi modi di restituire ad una
comunità frammenti della sua storia, pezzi di memoria mescolando pratiche e stili
diversi, intrecciando fra loro metodi, tecniche e facendo passare il tutto attraverso
la Rete, per liberare la memoria dai vincoli del territorio su cui insiste,
“globalizzarne” l'accesso.
2
Capitolo 1
PRATICHE E METODOLOGIE DELLA STORIA ORALE
1.1 LA STORIA ORALE
1.1.1 Problemi di definizione
La storia orale è una pratica che presenta non poche difficoltà di introduzione,
soprattutto se parliamo di quella italiana. Come scrive Portelli in un suo saggio
infatti “la nostra comunità intellettuale, sempre sospettosa verso le novità che
vengono dall’esterno e verso chi le propone di alzarsi per un momento dal
tavolino, già si preoccupa di ridimensionarla ancor prima di sapere a che serve, e
di attribuirle pretese che non ha per potersi tranquillizzare negandole”
1
.
Quest’affermazione riassume molto bene il punto di vista degli storici rispetto alla
storia orale e alle pratiche ad essa correlate.
La locuzione storia orale crea di per sé alcuni problemi, infatti affiancando a
“storia” l’aggettivo “orale” si dà l’impressione di volersi contrapporre alla
disciplina storica.
Come spiega Portelli l’espressione storia orale è un’abbreviazione che si riferisce
all’uso delle fonti orali in storiografia. Alle varie fonti di cui lo storico si può
avvalere si aggiungono le testimonianze rese oralmente da parte dei protagonisti.
Il passaggio che c’è dalle semplici fonti orali alla storia orale sta nel trattare queste
fonti non più come materiale aggiuntivo, che sta una gradino sotto le fonti
“canoniche”, ma impostare un certo tipo di lavoro sulla centralità di queste fonti.
L’utilizzo critico delle fonti orali implica procedimenti e atteggiamenti diversi che
derivano dal processo di formazione della fonte orale, che è molto diverso da
quello delle altre fonti. Queste infatti non vengono reperite dallo storico, ma
vengono costruite in sua presenza, con la sua partecipazione. Il lavoro con le fonti
orali è infatti in primo luogo l’arte dell’ascolto.
1
Cit. Alessandro Portelli, Problemi di metodo, in Bermani Cesare (a cura di), Introduzione alla
storia orale, 2voll., vol. I, Storia conservazione delle fonti e problemi di metodo, Odradek , Roma,
1999, p. 149
3
Forse “storia orale” non è un’espressione molto adeguata ma serve a connotare
l’attività di quegli storici che ritengono che per il loro lavoro sia indispensabile
anche l’utilizzo di materiale orale, andando contro a chi si basa solamente su
documenti scritti, quella comunità intellettuale citata da Portelli, che nega la
validità delle fonti orali. C’è da dire che l’uso delle fonti orali è da sempre presente
nella ricerca storica, l’utilizzo di testimonianze orali infatti è ben precedente
all’introduzione di apparecchiature per documentare come il magnetofono ed è a
mio avviso uno strumento molto utile se impiegato con i dovuti accorgimenti.
Naturalmente i modi di intendere la storia e di utilizzare le fonti orali sono da
sempre i più vari e perciò c’è chi crede nelle potenzialità delle fonti orali e in ciò
che rappresentano.
Io ritengo che le fonti orali e di conseguenza la “storia orale” siano molto
importanti e credo anche che debbano essere presi in considerazione in maniera
seria perché, oltre a consentire di portare alla luce memorie in contrasto con quelle
accreditate dalle culture ufficiali, mantengono viva la memoria dei luoghi e
permettono la costruzione, dal punto di vista culturale, di un’identità sociale.
Si può leggere in ciò una sorta di timore, paura che l’oralità possa trionfare sulla
scrittura e questo non ci lascia liberi di vedere e ricordare che fin’ora la scrittura ha
fatto sparire o comunque ha limitato l’oralità.
La comunicazione storica scritta infatti e quella orale non si escludono vicenda e
il paradosso finale della storia orale è quello di approdare costantemente a risultati
scritti.
Gli storici orali italiani hanno compreso come le testimonianze che stavano loro di
fronte avessero principalmente un carattere di “documento di memoria”.
Le testimonianze orali sono qualcosa di più di semplici testimonianze dirette, vere
o false che siano, perché la storia orale è un arte oltre che dell’ascolto anche della
relazione: fra intervistato e intervistatore, il dialogo, fra il presente in cui avviene
la narrazione e il passato di cui si parla, la memoria, fra pubblico e privato, fra
oralità e scrittura. Le fonti orali contribuiscono anche a mettere in discussione cosa
è storico e cosa non lo è.
L’incontro fra le vicende storiche che l’intervistatore conosce e le vicende
personali del narratore è uno dei motori del dialogo con la storia orale. Il racconto
4
di come la storia abbia fatto irruzione nella vita del narratore o di come si sia
andati incontro alla storia, questa è l’essenza, il cuore della storia orale.
La storia orale venne accolta da molti accademici con sospetto, sostenevano infatti
che i documenti scritti sono la fonte della verità storica e che le fonti orali si
basano su ricordi selettivi, hanno una percezione errata dei fatti, fondono gli eventi
e manipolano il passato per adeguarlo alle necessità del presente o a quelle del
ricercatore. Gli storici orali risposero alle critiche cercando di portare il loro lavoro
agli stessi standard della storia documentale.
La storia orale è storia degli eventi, storia della memoria e revisione degli eventi
attraverso la memoria.
Quando parliamo di storia orale parliamo perciò di testimonianze, ricordi
registrati: storie di vita, biografie orali, tutti questi termini implicano che oltre al
narratore ci sia sempre qualcun’altro coinvolto, l’intervistatore, colui che ascolta,
colui che domanda e che vuole sapere.
Per tirare le somme una definizione di storia orale data da Portelli “…c’è una
relazione complicata tra le persone, le storie che raccontano, e i libri che leggiamo,
che studiamo e che scriviamo. Per ragionarci sopra dobbiamo inoltrarci in un
territorio relativamente inesplorato che sta all’incrocio fra storia, antropologia,
linguistica e letteratura. Il nome di questo territorio è storia orale: una narrazione
dialogica che ha per argomento il passato e che scaturisce dall’incontro fra un
soggetto che chiamerò narratore e un altro soggetto che chiamerò ricercatore,
generalmente mediato da un registratore…”
2
.
1.1.2 Dalle origini della storia orale ad oggi
Memoria e passato non sono solo essenziali per costituire il presente ma sono
anche a loro volta ri-costruiti da questo presente.
In Italia l’interesse per la testimonianza orale all’interno della ricerca storica si è
imposta soprattutto negli studi sul movimento operaio e si è sviluppata
prevalentemente attorno ai movimenti di massa.
I primi interessi per la testimonianza orale nella ricerca storica risalgono agli anni
Trenta, i primi a utilizzare le testimonianze orali sono stati alcuni militanti
2
Cit. Alessandro Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Donzelli Editore, Roma,
2007, pp. 75-76
5
socialisti che si occupavano di storia, tuttavia fino agli anni Settanta sono rari gli
esempi di utilizzazione storiografica delle testimonianze orali, per una sorta di
rifiuto verso qualsiasi tipo di ricerca che si muovesse liberamente e soprattutto dal
basso, espressione di una passione politica.
Tutti i personaggi che volevano ricostruire storie di lotte contadine, movimenti
operai venivano ritenuti negli anni Cinquanta dei “deviazionisti”, fra questi anche
Ernesto de Martino (1908-1965) antropologo, etnologo e musicologo, per lui la
verità stava nel lavoro sul campo, infatti si interessa allo studio etnografico delle
società contadine del sud Italia, ma la sua era una battaglia controcorrente e così
finì per essere isolato. Negli anni Sessanta però un gruppo di ricercatori e storici si
interessò a lui, quello che presero dall’esperienza di de Martino fu il raccogliere
tutte le memorie orali senza valutarle con la mentalità derivata dalla cultura scritta,
cosa non facile visto che è quella in cui noi siamo immersi da sempre.
Un altro dei deviazionisti fu Gianni Bosio (1923-1971), storico rigorosissimo fino
alla minuziosità filologica sui documenti, considerato un anticipatore della storia
orale, precursore e promotore dell’uso delle fonti orali per la storia e fra i fondatori
del movimento di ricerca e riproposta della musica popolare. Bosio affermava la
necessità di creare un intellettuale “rovesciato”, capace di portare la cultura alle
masse e allo stesso tempo di apprendere da esse e di restituire questo sapere, la
necessità di far emergere la storia della classe.
Questo è un nuovo tipo di storia perché l’unico protagonista è il popolo e non una
persona che può dare una testimonianza scritta e logicamente organizzata, perciò
l’unica vera possibilità per scrivere questa storia è quella di avvicinarsi ai suoi veri
protagonisti e stabilire una collaborazione con il popolo.
Lentamente le fonti orali iniziarono ad essere accettate come fonti vere e proprie
per lo studio della storia contemporanea, il fatto fondamentale per le testimonianze
dirette era che rispondessero ad un preciso schema di domanda risposta, così da
permettere allo studioso di utilizzarle in modo adeguato. Questo perché, come
scrive Bermani
3
nel suo saggio, il problema dell’uso delle testimonianze orali nella
ricerca storica non stava tanto nel loro utilizzo, ma nella possibilità di un uso
“incontrollato” della fonte orale stessa, che poteva ledere la storiografia, concepita
3
Cfr. C. Bermani, Le origini e il presente, in C. Bermani (a cura di), op. cit., pp. 1-126
6
come storiografia della classe dirigente, dove le classi “subalterne” erano chiamate
a rispondere solamente a domande precise.
Quello che nascerà poi con gli studi sulla Resistenza è un tipo di storia nuova, in
cui il protagonista è il popolo, non la persona che sa scrivere o che sa riportare una
testimonianza scritta e organizzata in modo logico, perché l’unico modo che si ha
per scrivere questa storia è avvicinarsi ai suoi protagonisti e stabilire con loro una
collaborazione.
Per la riuscita del lavoro è necessario che i protagonisti di quella storia che
vogliamo raccontare partecipino direttamente e in modo attivo allo studio della
loro esperienze.
L’uso delle testimonianze orali restava comunque limitato, soprattutto perché per
poterle raccogliere bisognava stenografare, prendere appunti, fare una trascrizione
istantanea; solo con l’avvento del magnetofono è stato possibile ampliarne l’uso e
sfruttare le numerose potenzialità di cui la testimonianza orale è portatrice.
Resta il fatto che queste testimonianze dal basso continuarono ad essere
considerate dalla cultura accademica come delle cose di poco conto.
Nel 1946 abbiamo un primo lavoro di inchiesta nel dopoguerra, senza riferimenti
specifici alle fonti orali, solo dieci anni dopo inizierà a farsi strada l’inchiesta in
funzione politica integrata dall’uso della fonte orale. Dalla metà degli anni
Cinquanta infatti in Italia si sviluppano le ricerche attraverso le “storie di vita”
4
.
Dagli anni Sessanta alla metà degli anni Settanta la storia orale viene realizzata
all’interno di piccoli gruppi critici, laboratori di esperienze alla ricerca di nuove
forme di cultura e di politica. Questi gruppi sono tutti accomunati dalla necessità
di allargare il loro campo di ricerca e ampliare le fonti, una spinta a guardare oltre
le partizioni poste dal sapere accademico, integrando fra loro strumenti e
metodologie che erano diverse da gruppo a gruppo.
Negli anni Settanta la ricerca è stata poi molto disordinata, ma comunque ricca di
risultati attraverso un uso delle fonti orali principalmente come materiale da
utilizzare per la politica culturale; in più l’uso del magnetofono ha permesso alle
minoranze linguistiche etniche e culturali di ribadire la loro presenza e diversità.
La potenzialità di questo strumento è stata colta soprattutto a livello locale, ha
4
Vedi p.16
7
prodotto la nascita di numerose raccolte sonore e ha contribuito alla nascita di
centri indirizzati verso la documentazione e promozione della tradizione, della
storia e della cultura di gruppi e di situazioni minoritarie e marginali.
Sul piano storiografico comunque la ricerca con le fonti orali ha stentato a trovare
legittimità e riconoscimento proprio per le sue caratteristiche destabilizzanti.
Il carattere fortemente impegnato dell’esperienza italiana con le fonti orali aveva
orientato il lavoro in tre direzioni: la storia della Resistenza e delle forme del
conflitto di classe, le interconnessioni e le trasformazioni della cultura contadina in
seguito all’incontro con la cultura urbana e di massa; lo studio dei gruppi marginali
e delle ideologie minoritarie all’interno della storia del movimento operaio
5
.
Nella seconda metà degli anni Settanta la ricerca con le fonti orali si allarga
coinvolgendo tutti gli istituti di storia della Resistenza, che diventano così il punto
di riferimento del dibattito sull’utilizzo delle fonti orali nella didattica.
Alla fine degli anni Settanta, inizi anni Ottanta, vi sono molte esperienze
significative che vengono portate avanti nella scuola e gli istituti vedono aprirsi
nuovi filoni di indagine di storia sociale. Oltre alle tematiche si amplia anche il
confronto teorico e metodologico che fornisce nuovi strumenti interpretativi,
parallelamente al lavoro di ricerca sul campo.
In questi anni la ricerca con le fonti orali si scrolla di dosso quello stato di
subalternità disciplinare e dei risultati, per diventare lo strumento privilegiato di
interpretazione del rapporto fra storia e memoria.
Il dibattito teorico permette di mettere in luce la complessità della produzione di
fonti orali, il rapporto fra intervistatore e narratore, la ricchezza del documento
orale, la delicatezza dei documenti raccolti .
Le fonti orali contribuiscono anche all’individuazione di nuove strade
interpretative, così come hanno aperto la via all’utilizzo di altre fonti totalmente
ignorate in passato.
Da una decina d’anni a questa parte, come sottolinea Martini nel suo saggio
6
, è
entrato in funzione un meccanismo che lui definisce di secondo livello rispetto alla
tradizionale ricerca con le fonti orali. L’obiettivo di quest’ultima era quello di dare
delle risposte a domande sulla storia della cultura di gruppi e popolazioni,
5
Cfr. G. Contini, A. Martini, Verba manent, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993
6
Cfr. A.Martini, La conservazione delle fonti, in C. Bermani (a cura di), op. cit., pp. 137-148
8
attraverso una documentazione innovativa, strumento essenziale per ricostruire gli
eventi.
Il nuovo filone invece si affianca alle fonti orali con l’obiettivo primario di
conservare e riprodurre pezzi di memoria, anche indipendentemente da specifici
progetti di ricerca. A questo si può aggiungere l’utilizzo del racconto, delle
autobiografie orali per la realizzazione di documentari, ma non solo, anche di
installazioni, rappresentazioni teatrali.
La fonte orale è uscita dall’ombra ritagliandosi il suo spazio all’interno della
ricerca storica ed imponendosi come strumento per la realizzazione di opere d’arte
con l’obiettivo di riproporre dei pezzi di memoria, riportare a galla dei ricordi o
anche solo proporli per la prima volta.
Il presente delle fonti orali è internet e tutte le potenzialità che offre. Attraverso la
rete le fonti possono essere condivise molto facilmente e vi si può avere accesso
senza bisogno di trovarsi fisicamente nel luogo in cui la fonte viene conservata.
Grazie al passaggio da analogico a digitale perdono completamente la loro fisicità
e diventano disponibili sempre e ovunque. In internet si trovano molti progetti di
raccolta di fonti orali e alcuni i questi hanno un archivio consultabile.
Il più grande presente in rete è il progetto americano Story Corps, iniziato nel 2003
ma con un archivio vastissimo, progetto che verrà analizzato nel secondo capitolo.
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