2
giurisprudenziale, o anche detto ”diritto vivente”, a testimonianza
della necessità di trovare il bilanciamento giudiziale tra i principi in
conflitto nel caso concreto, che a causa sia della larga genericità
della norma incriminatrice sia della poca capacità prescrittiva della
carta costituzionale, rende impossibile il giudizio di conformità al
tipo. Aprirò quindi la mia trattazione (anche attraverso
argomentazioni di carattere generale e una breve analisi storica)con
un primo capitolo che espone le nozioni generali dei vari diritti e beni
giuridici in campo a partire dalle definizioni che di essi dà, più o
meno esplicitamente la costituzione italiana; seguirò con un secondo
capitolo dove esamino in maniera analitica la nostra disciplina
penalistica dei delitti contro l’onore, con particolare riguardo al
reato di diffamazione in tutti i suoi elementi, le sue fattispecie e le sue
prospettive di riforma; passerò ad un terzo dove affronto
conseguentemente il tema delle principali scriminanti del delitto di
diffamazione intese come limiti invalicabili al suo esercizio, per poi
arrivare con il quarto capitolo all’analisi di alcune tra le più
significative casistiche (soprattutto di cassazione) che hanno fatto
giurisprudenza a riguardo. La conclusione è affidata ad un quinto
capitolo finale dove espongo le possibili prospettive di riforma in
materia.
Annotazione finale: stante l'ampio numero di sentenze e di opinioni
dottrinali espresse sui temi che di seguito si affrontano e nella
consapevolezza di fornire se non un quadro esaustivo dell’intero
panorama, almeno un punto di riferimento qualificato per il lettore,
ho deciso di fornire una bibliografia quanto più possibile completa
alla quale si rimanda a piè di tesi per ogni approfondimento.
3
Capitolo Primo
I FONDAMENTI (COSTITUZIONALI) DEL DIRITTO
DI CRONACA E DEL DIRITTO ALL’ONORE
1.1 LA LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO,
LA LIBERTA’ DI INFORMAZIONE E IL DIRITTO
ALL’ONORE. GENERALITÀ
La mia trattazione non può che partire dall’affrontare distintamente le
due nozioni, da una parte di diritto alla libertà di informazione e
stampa(intese queste come particolari beni giuridici da tutelare in
nome della più ampia tutela concessa in generale alla manifestazione
del proprio pensiero) e, dall’altra, di diritto all’onore e alla
reputazione.
Come accennavo nell’introduzione al mio lavoro questa distinzione si
rende necessaria per mettere meglio a fuoco il difficile compito che il
nostro ordinamento si trova ad affrontare nell’assicurare pari garanzia
e pari equilibrio a questi due fondamentali ed attuali valori, che specie
nella moderna società basata sulla comunicazione di massa, collidono
tra loro.
“Che il mondo in cui viviamo sia retto dal sapere è un dato acquisito,
ai limiti della fatica dell’ovvio. L’informazione ha assunto una
centralità indiscussa nella vita economica e sociale, tanto da
rappresentare il segno di discontinuità rispetto alla precedente
economia manifatturiera, dove i mezzi di produzione erano per
definizione beni fisici”(
1
).
1
Vedi Mirella Chiarolla, “La diffamazione a mezzo stampa: analisi critica della normativa tra
diritto di cronaca, diffamazione, privacy”, Esperta, 2004, prefazione Prof. Roberto Pardolesi.
4
L’attualità è del resto ribadita dai frequenti attacchi portati alla
personalità individuale da un selvaggio sviluppo tecnologico(internet,
tv satellitare, nuova telefonia mobile ecc.) e da una conseguente
invadenza dei mass media, molto spesso attenti più agli indici di
“share” (e di fatto a ragioni di mercato e marketing), che ai diritti del
singolo individuo.
Ci si è perfino trovati di fronte alla spettacolarizzazione dei
comportamenti privati di personaggi illustri come politici, soubrette,
uomini sportivi, attraverso la pubblicazione di stralci di verbali
giudiziari contenenti intercettazioni telefoniche irrilevanti sotto il
profilo dell’illecito penale ed in molti casi addirittura prive di
riscontro fattuale e veritiero. Intere valanghe di notizie rosa, o meglio
di pettegolezzo, hanno cosparso le prime pagine di molti giornali
infangando inevitabilmente la vita e la reputazione delle persone
coinvolte.
Sotto la spinta di queste sempre nuove forme di aggressione che
ancora si verificano nella pratica quotidiana, si è arrivati a prevedere
una duplice forma di tutela per il singolo individuo: da un lato la
riaffermazione in chiave moderna di taluni diritti definiti
personalissimi, come il diritto al decoro e all’onore; e dall’altro la
costruzione di nuovi diritti come quello alla privacy, all’identità
personale e all’essere informato.
Tutto ciò si è tradotto in ambito giuridico in un serrato conflitto che
dura da svariati anni, (ce ne parla il numero sempre maggiore di
querele ed azioni per il risarcimento dei danni causati dalla
diffamazione a mezzo stampa)tra i diritti che si è ritenuto appunto
appartenenti al singolo (i sopra indicati onore, decoro, identità
personale, informazione, privacy, ecc.) ed un diritto che si ritiene
appartenere prevalentemente alla collettività: quello di cronaca.
Il diritto di cronaca (inteso come una delle componenti attive della
libertà di informazione) viene infatti dalla giurisprudenza riconosciuto
ad un soggetto, ”non nel suo interesse personale, ma come mezzo
5
rispetto ad un fine sociale, l’informazione, la formazione degli altri
soggetti”(
2
). Formare l’opinione pubblica, accresce il patrimonio
collettivo del sapere, e consente ad ogni uomo di formarsi una
motivata opinione della realtà e di determinarsi di conseguenza nelle
proprie scelte(
3
).
Viene così in risalto la sfera pubblicistica o se vogliamo la
“concezione funzionale”della libertà di informazione(e quindi
cronaca) in contrasto con quella individualistica di diritti strettamente
personali come quello all’onore. Si è arrivati a sostenere da alcuni che
soltanto i secondi siano diritti “inviolabili”, cioè assoluti ed non
sacrificabili; mentre la prima in virtù del suo carattere non
direttamente riconducibile alla sfera personale possa soccombere in un
eventuale conflitto con essi. Questa teoria che è stata considerata
errata da altra parte della dottrina, appare come quella meno
convincente; in quanto non tiene conto che si può godere di un diritto
fondamentale anche se lo si esercita in formazioni sociali. Questo
perchè alla base non vi è il concetto dell’uomo in quanto individuo ma
quello dell’uomo in quanto persona, parte del pluralismo sociale. Il
diritto all’informazione viene quindi a ricomprendersi fra quei diritti
fondamentali e appunto “inviolabili”dell’uomo(qui inteso persona),
allo stesso grado di quello all’onore. Non si può però affermare che la
libertà di informazione assuma un valore assoluto, a sua volta tale da
non tenere conto della ugualmente meritevole tutela riconosciuta alla
dignità personale e al proprio decoro. Anche l’informazione trova dei
limiti al suo esercizio incondizionato; limiti su cui mi soffermerò nei
capitoli seguenti.
Al momento mi preme sottolineare come non potendosi avere un
riscontro generale ed astratto di quando questi limiti si ritengano
superati, per la mancanza nella nostra legislazione al riguardo di
fattispecie incriminatrici, tassative e determinate; si è avvertita la
2
V. Trib. Roma, 28 settembre 1993, Filocano c. Magri, id., 1995, I, 1021.
3
V. Michele Polvani, “La diffamazione a mezzo stampa”, Cedam, 1998, p. 6.
6
necessità di trovare una soluzione mediana demandando il problema
alla ricerca di un bilanciamento di volta in volta riferito al caso
concreto. Ed è la giurisprudenza, e l’attività della magistratura nello
specifico, che si è assunta e si assume il compito assai arduo di
avventurarsi dentro un campo così vasto e problematico; in questo
necessario tentativo di demarcazione tra principi e diritti che
riguardano la libertà di espressione e la tutela della personalità e della
persona. (Tutto questo c’è da dire purtroppo, con un’ampia
discrezionalità e senza una reale uniformità nelle decisioni).
Facile è nei fatti la possibilità di invadere zone giuridiche di comune
appartenenza, che vivono di equilibri così delicati e alla ricerca di
continui compromessi, perché “tutto quanto è dato al diritto all’onore
viene tolto alla libertà di stampa”(
4
); eppure a ben vedere, è proprio su
questo costante “tentativo” che si fonda la costruzione dei principi dei
nostri ordinamenti democratici.
1.2 LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO:
CENNI STORICI.
Pilastro di ogni ordinamento democratico di matrice liberale è la
Libertà di manifestazione del proprio pensiero che, insieme alla libertà
di espressione, “tra tutti i tipi di libertà ne costituisce insieme il
presupposto e la condizione”(
5
). Presupposto, in quanto l’attribuzione
del carattere di democraticità non può precedere alla verifica di
effettiva sussistenza della libertà di pensiero; condizione, perché la
democraticità di uno stato deve seguire all’effettivo riconoscimento di
tale libertà. Ci troviamo insomma in presenza di uno stato
democratico e possiamo valutarlo come tale, se sotto il profilo
4
V. Pardolesi, “Libertà d’informazione, tutela della reputazione e tecniche risarcitorie”, in “Riv.
critica dir. privato”, 1985, p. 307 e Mirella Chiarolla, “La diffamazione a mezzo stampa: analisi
critica della normativa tra diritto di cronaca, diffamazione, privacy”, Esperta, 2004, p. 5.
5
V. Michele Polvani, “La diffamazione a mezzo stampa”, Cedam, 1998, p. 3.
7
sostanziale (e non solo formale) persegue la libertà dei propri cittadini
di esprimere in ogni modo le proprie idee, le proprie opinioni, i propri
giudizi; anche con il fine di persuadere gli altri.
Stato democratico nel senso moderno del termine, la cui forma, i cui
valori, la cui nascita si fanno ricondurre ai principi del pensiero
illuminista e alla loro trasmutazione in quelli del costituzionalismo,
teoria giuridica alla base della rivoluzione francese.
Infatti anche se storicamente si è riconosciuto che la libertà di
manifestare il proprio pensiero“è un valore occidentale, scoperto ed
affermato dal pensiero greco”(
6
), è grazie all’illuminismo che essa
viene ad assumere un nuovo significato, di portata universale e
centrale, tale da permettere all’uomo di riscattarsi nei suoi ruoli sociali
e pubblici e nei confronti della storia.
Per Habermas(eminente illuminista) “attraverso il diritto di esprimere
liberamente le proprie opinioni, gli individui abbandonano la
dissimulazione cha a partire da Machiavelli era stata la regola, per
strutturare il Pubblico come spazio intersoggettivo di confronto
razionale”(
7
).
E’ proprio l’elemento della razionalità, cardine dell’illuminismo, che
ispira la filosofia di uno dei suoi padri, kant. Sostiene Kant che la
libertà di espressione, la libertà di conoscere e informarsi, altro non
sono che forme di partecipazione attiva della libertà di ragionare. Solo
grazie alla ragione, ed in particolare al suo esercizio pubblico senza
condizionamenti, l’uomo può arrivare al progredire della storia e
quindi al rovesciamento degli allora sistemi dispotici ed assolutistici.
Il formarsi di un’opinione pubblica grazie al “rischiararsi dei lumi”,
porterà ad uno stato aperto, senza segreti e privo di oscurantismo. Uno
stato che segnerà una tappa più evoluta nel progresso dell’uomo;
progresso che è il fine ultimo a cui tende l’umanità per perfezionarsi.
6
Così G. Sartori, “Elementi di teoria politica”, il Mulino, Bologna, 1995, p. 174.
7
V. Adolfo Marino, dal sito internet:
http: //www. rivista. ssef. it/site. php?page=20070117083250663&edition =2006-07-01
8
Questo proposito finale fu condiviso e fatto proprio dai rivoluzionari
francesi che cercarono di perseguire il miglioramento delle condizioni
dei cittadini francesi attraverso il sovvertimento, con tratti purtroppo
piuttosto sanguinosi, degli antichi regimi.
Le concezioni filosofiche di Kant hanno difatti sicuramente
contribuito a rendere pensabile la rivoluzione; perché anche se per la
sua visione solo la libertà di pensiero è quella da cui bisogna partire
per avere un vero progresso e la libertà politica e d’azione assumono
un ruolo consequenziale e subordinato al processo generato dalla
ragione(kant era un riformista e non un rivoluzionario); la seppur
dolorosa azione intrapresa dai rivoluzionari era stata a suo giudizio
soprattutto frutto del grande e positivo entusiasmo generale che si
respirava all’epoca; entusiasmo generato della presa di coscienza
partecipativa di ogni cittadino. Ognuno era stato in grado di ritagliarsi
un ruolo pubblico esprimendo le proprie idee e quindi ragionando
pubblicamente.
Fu grazie alla spinta dei fatti rivoluzionari che si tentò allora di
tradurre per la prima volta le idee sulle libertà fondamentali dell’uomo
in diritti codificati e assoluti. Si arrivò così alla approvazione della
“Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (Francia, 1789),
una sorta di carta fondamentale dei diritti umani che il primo pensiero
costituzionalista vagheggiava da tempo.
Secondo molti studiosi questo costituzionalismo(definito
classico)“non fu soltanto una sorta di codificazione in materia
costituzionale, dal momento che fu diretto all’attuazione di un
determinato sistema di princìpi, in larga misura corrispondenti a quelli
caratteristici della forma di Stato liberale, com’è documentato proprio
dall’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, in cui si afferma
che «ogni società nella quale non sia assicurata la garanzia dei diritti,
né sia stabilita la separazione dei poteri, è priva di costituzione»”(
8
).
8
V. Gianluca Famiglietti, dal sito internet:
http: //scienzaepace. unipi. it/index. php?option=com_content&task=view&id=329&Itemid=2
9
E tra questi si sanciva in via prioritaria all’art. 11, che “La libera
comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più
preziosi dell'uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere,
stampare liberamente, salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà
nei casi determinati dalla Legge”(
9
).
L’aver sancito chiaramente l’importanza che questo diritto veniva ad
assumere e, anche per la prima volta, i suoi limiti verso diritti
altrettanto meritevoli di tutela, fu svolta epocale per le concezioni sul
carattere degli stati moderni e soprattutto per il ruolo che l’individuo
vi andava a ricoprire. Basti pensare senza andare troppo indietro nel
tempo che giusto un secolo prima (nel 1689) nemmeno nella liberale e
antica monarchia inglese con il “Bill of right”, si era arrivati a tanto.
Lì si riconosceva la libertà di opinione solo come un diritto spettante
ai parlamentari; mentre gli inglesi dovettero aspettare solo il 1694, con
l’abolizione della censura, per avere un parziale riconoscimento di
essa.
Ma la breccia costituzionale ormai era aperta. Nel 1791 il primo
emendamento alla “Costituzione degli stati uniti d’america”garantisce
che “il congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di
qualsiasi religione o per proibirne il libero culto; o per limitare la
libertà di parola o di stampa; o il diritto che hanno i cittadini di
riunirsi in forma pacifica...”(
10
).
E da allora ad oggi ogni costituzione di ogni stato liberal-democratico
(o almeno come spiegavo all’inizio, che si definisce tale), annovera
per primi tra i suoi diritti quelli relativi alla libertà di espressione.
Il riconoscimento universale di questa rosa di diritti, è stato addirittura
sancito al livello mondiale in seno alle NAZIONI UNITE(O. N.
U.)con la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”,
9
V. Déclaration des droits de l'homme et du citoyen (Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e
del Cittadino), normativa, dal sito internet:
http: //www. studiperlapace. it/view_news_html?news_id=dichdiruomo
10
V. Costituzione americana: september 17, 1787, dal sito internet:
http: //www. tuttoamerica. it/storia/costituzione_americana. htm
10
approvata dall’assemblea generale nel 1948. L’art. 19 della
dichiarazione recita: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di
opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per
la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere
informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere”(
11
). Questo articolo (ovviamente anche insieme agl’altri) è
stato sottoscritto da tutti i paesi appartenenti alle nazioni unite, anche
da paesi non propriamente democratici. Purtroppo l’efficacia non
giuridicamente vincolante di tale dichiarazione non permette di far
applicare concretamente questi diritti a tali paesi, che tutt’oggi
commettono ancora violazione dei diritti umani impunemente. Dal
canto loro però i paesi membri dell’UNIONE EUROPEA (U. E.), a
seguito del 50° anniversario della dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo, celebrato nel dicembre 1998, hanno deciso di avviare i
lavori per la redazione di una “Carta dei Diritti Fondamentali”. Si
voleva in tal modo raccogliere in un unico testo i diritti fondamentali
in vigore a livello dell'Unione, in modo da conferire loro maggiore
visibilità e ribadire la loro importanza come principi costitutivi dello
spirito europeo.
La carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è stata
proclamata in forma solenne nell'ambito del Consiglio europeo di
Nizza il 7 dicembre 2000. All’10 1°comma, intitolato “Libertà di
pensiero, coscienza, religione”, viene ribadito che: “Ogni individuo
ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale
diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così
come la libertà di manifestare la propria religione o la propria
convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in
privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza
dei riti”(
12
). All’art. 11, 1°comma, che riguarda la libertà di
11
V. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, dal sito internet: http: //www. interlex. it/testi/dichuniv. htm
12
V. Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione europea, dal sito internet:
http: //www. cittadinanzaeuropea. net/cartadeidiritti/default. asp
11
espressione e d’informazione: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di
espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di
ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere
ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Al 2° comma si puntualizza invece che: “la libertà dei media e il loro
pluralismo sono rispettati”(
13
).
Come si vede questa carta che si basa sui trattati comunitari, sulle
convenzioni internazionali, tra cui la convenzione europea dei diritti
dell'uomo del 1950(CEDU) e la carta sociale europea del 1989, sulle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, nonché sulle varie
dichiarazioni del Parlamento europeo, fornisce al momento il punto di
arrivo massimo per la più ampia tutela possibile della libertà di
manifestazione del pensiero. In attesa dell’approvazione da parte degli
stati membri della “Costituzione Europea” che li vincolerà
definitivamente all’attuazione di tali principi, si può quindi già vedere
come il grado di tutela di questa libertà sia cambiato notevolmente
dalle prime dichiarazioni costituzionali di ispirazione liberale. Così, se
all’inizio si identificava la libertà di espressione “come libertà
negativa dall’ingerenza dello stato, come una liberazione dalla
censura, libertà positiva dell’uomo, che gli permetta, come singolo e
come membro della collettività, di crescere e arricchirsi”(
14
).
Ovviamente tutto questo non significa che attualmente questa libertà
abbia raggiunto valori assoluti o privi di limiti, ma mi pare che sia a
livello di dichiarazioni universali che a livello delle carte
costituzionali dei singoli stati, questi siano ampiamente previsti; ad
ogni modo non più come frutto di imposizioni di regimi dispotici ma
come necessità, garantita anche questa costituzionalmente, di tutelare
altri valori fondamentali dell’uomo come l’onore e il decoro.
13
V. Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione europea, dal sito internet:
http: //www. cittadinanzaeuropea. net/cartadeidiritti/default. asp
14
V. S. S. Gonzalez, La libertad de expression, Marcial Pons, Madrid, 1992.
12
1.2.1 L’evoluzione storica del diritto di manifestare il proprio
pensiero in Italia: dal XIX secolo al periodo fascista
La storia del diritto italiano ha risentito certamente delle spinte
liberali, democratiche ed illuministiche che giungevano da ogni parte
d’europa e dalla nascente democrazia americana tra la fine del XVIII e
l’inizio del XIX secolo. L’imperialismo Napoleonico che si era fatto
vanto, a detta dello stesso Napoleone, di diffondere gli ideali di
libertà, uguaglianza, e fraternità della Rivoluzione Francese in tutta
Europa, aveva portato sicuramente una ventata di aria nuova per la
popolazioni italiane.
Dalle varie costituzioni delle repubbliche sorte in Italia sotto il
dominio napoleonico, come quella della Repubblica Cisalpina o quella
della prima Repubblica Italiana, si poteva evincere come, almeno sulla
carta, venivano riconosciute fondamentali libertà e diritti a tutti.
L’Art. 354 della “Costituzione della Repubblica Cisalpina” recitava:
“A niuno può essere impedito di dire, scrivere e stampare i suoi
pensieri. Gli scritti non possono essere sottomessi ad alcuna censura
prima della loro pubblicazione. Niuno può esser responsabile di
quanto ha scritto o pubblicato se non nei casi preveduti dalla
legge”(
15
). Dunque, la più ampia tutela possibile alla libertà di
pensiero.
E’ risaputo però come non sia facile e come non sia stato facile
soprattutto sotto il dominio napoleonico far coesistere tali concessioni
con il controllo e la repressioni tipiche dei regimi dittatoriali; tanto da
trasformare l’immagine dell’imperatore da quella di liberatore a quella
di tiranno.
Ad ogni modo tale stato di cose resse fino all’avvento della
restaurazione conseguente alla caduta di Napoleone. La restaurazione
riportò il nostro paese alla riconosciuta arretratezza politica(ma non
15
V. Repubblica Cisalpina, Prima Costituzione Dell’anno 1797, dal sito internet:
http: //www. politicaonline. net/costituzioni/italia/cisalpina1. htm
13
culturale) in cui storicamente si era venuto a trovare; diviso tra molti
staterelli propensi più a difendere con forza il loro piccolo potere di
fronte ai moti risorgimentali di unità nazionale piuttosto che
concedere libertà ai cittadini. Le aperture su alcuni diritti fondamentali
e politici, come la libertà di espressione o stampa, tornarono anche
formalmente ad essere poche e ristrette; certamente in ritardo con i
tempi. Persino uno statuto ritenuto tra i più illuminati dell’epoca(fu il
primo ad abolire la pena di morte) come lo “Statuto del Granducato di
Toscana” emanato da Leopoldo II, veniva a riconoscere solo
timidamente la libertà di stampa affermando all’Art. 5 che: “La
stampa è libera, ma soggetta ad una legge repressiva”; e “le opere per
altro che trattano ex professo di materie religiose saranno soggette a
censura preventiva”(
16
).
Un ampliamento delle garanzie minime di libertà personale, non si
ebbe nemmeno con l’avvento dell’unità politica nazionale: la prima
Costituzione (e in definitiva anche l’unica)adottata a garanzia dei
diritti dei cittadini del Regno d’Italia fu quello “Statuto Albertino” che
era stato concesso ed imposto ai sudditi piemontesi e del Regno di
Sardegna giusto nel 1848 da Carlo Alberto.
Lo statuto risentiva dello stesso clima di timori ed arretratezza politica
che in quegl’anni aveva influenzato l’emanazione delle prime carte
costituzionali del nostro paese. (Come abbiamo visto anche quella del
Granducato di Toscana). La norma era espressione del tentativo di
conciliare i nuovi ideali liberali con la preoccupazione di difendere
l'autorità e il prestigio delle istituzioni tradizionali. Difatti l’Art. 28
riconosceva che “la stampa sarà libera”, dall’altro subordinava tale
libertà ad una legge che ne reprimerà gli abusi”(
17
). Veniva si quindi a
cadere la censura preventiva(sancita dalla precedente legislazione
piemontese e cardine degli “antichi regimi”), ma si rimandava il tutto
16
V. Statuto Del Granducato di Toscana, 1848, dal sito internet:
http: //www. politicaonline. net/costituzioni/italia/toscana. htm
17
V. Statuto del regno di Sardegna, dal sito internet:
http: //www. politicaonline. net/costituzioni/italia/albertino. htm
14
ad una specifica legge ordinaria sulla stampa, mirante a reprimerne i
possibili abusi. Fu così che il 26 marzo dello stesso anno 1848, Carlo
Alberto emanava un “editto”, nel quale la materia delle pubblicazioni
veniva regolata minuziosamente. (Editto che insieme allo Statuto fu
poi esteso a tutto il Regno d’Italia al momento dell’unificazione).
Dopo aver sancito all'art. 1 che “La manifestazione del pensiero per
mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio meccanico atto a
riprodurre segni figurativi, è libera”, l'editto puniva la provocazione a
compiere, attraverso stampati, attentato e cospirazione (art. 14) e
offese (art. 19) contro la Sacra Persona del Re e i componenti della
Famiglia Reale; i reati contro la religione dello Stato (art. 14), gli altri
culti (art. 18) e il buon costume (art. 17); le offese contro il Senato e la
Camera dei Deputati (art. 21), i Sovrani e i Capi dei Governi esteri
(art. 25), i Membri del Corpo Diplomatico (art. 26).
Per la forma più grave di diffamazione, il "libello famoso"
comportamento di chi, attraverso stampati, attribuiva ad altri fatti
determinati passibili di incriminazione o lesivi dell'onore o della
reputazione o esponevano all'odio o al pubblico disprezzo -
comminava il carcere da sei mesi ad un anno (meno rispetto alle
disposizioni precedenti) con una multa che, in relazione a prima,
aumentava da cento a duemila lire (CAPO VI, Art. 27, 28, 29)(
18
).
L'Editto prescriveva, inoltre, che non poteva provocare azione penale
la pubblicazione dei discorsi tenuti davanti alle Camere o prodotti
davanti ai Tribunali, fatti salvi, rispettivamente, le discussioni segrete
e il resoconto di processi a porte chiuse.
Tuttavia a fronte del lato repressivo molto imponente, l’aspetto
positivo e il grande merito che l’Editto ebbe, fu quello di mettere una
prima pietra fondamentale per la storia del giornalismo italiano. Fra i
principi enumerati, troviamo quello della libertà di manifestazione del
18
V. Editto sulla Libertà di Stampa n° 695, Carlo Alberto, Re di Sardegna, 26 Marzo 1848,
dal sito internet:
http: //www. dircost. unito. it/root_subalp/docs/1848/1848-695. htm
15
pensiero per mezzo della stampa, il diritto di ogni maggiorenne di
pubblicare un giornale o scritti periodici, l’obbligo della stampa di dati
di riconoscimento da parte del tipografo, l’istituzione di un gerente
responsabile (che però era, spesso, un prestanome).
Il particolare riguardo verso la stampa e i giornali era testimoniato
anche dall’art. 34, secondo il quale il carcere in cui dovevano essere
scontate le pene dell'Editto andava distinto da quello dove erano
custoditi i delinquenti per reati comuni.
In seguito all’unità del nostro paese però, numerose disposizioni
successive all'Editto, vi apportarono diverse modifiche. “Questa
disciplina dovrà fare i conti con le leggi di pubblica sicurezza del
1859, 1865, 1889, che, con vari mezzi, limitavano incisivamente nei
fatti quella libertà sancita in via di principio. La storia del settimanale
socialista “La Plebe” (nato nel 1868 a Lodi e poi nel 1874 trasferito a
Milano come quotidiano) è segnata dalle angherie prefettizie, che
impedivano la pubblicazione o mutilavano il foglio di Enrico
Bignami. In verità tutta la stampa repubblicana e di sinistra era presa
di mira dalle autorità di polizia”(
19
). Oltretutto con l’emanazione del
nuovo“Codice Penale” del 1889, il Codice Zanardelli, con i decreti
che restringevano le libertà personali negli anni delle guerre
d’indipendenza e della I Guerra Mondiale, e con successive novelle
legislative, si arrivò all’abrogazioni di intere parti dell’Editto e ad un
ulteriore inasprimento delle sue pene. Nessuna garanzia copriva ormai
le modalità di espressione del pensiero; addirittura le attività di
pubblico intrattenimento erano sottoposte a sistemi censori altamente
discrezionali e rigidamente basati su vaghi parametri di moralità e
ordine pubblico, di rispetto dell’ordinamento politico e della religione
cattolica, nonché dei principi della famiglia.
19
V. Articolo di Franco Abruzzo, dal sito internet:
“http: //www. altalex. com/index. php?idstr=87&idnot=5186”