contribuendo al nutrimento e alla salute delle piante, alla struttura del suolo e alla
sua fertilità. Più in particolare i procarioti, che si evolsero 3,8 bilioni di anni fa,
sono organismi rappresentati in tutti gli habitat e in qualsiasi tipo di nicchia,
inclusi suolo, sedimenti, substrati marini e terrestri, tessuti animali e vegetali (un
grammo di suolo può contenere 1000-10.000 specie di procarioti non conosciuti,
contenendo la più alta popolazione di microbi di qualunque altro habitat).
Quando possibile, l’isolamento e la caratterizzazione dei microrganismi permette
di studiarne le interazioni con l’ambiente e con altri organismi, e di utilizzare
alcune di queste conoscenze per la soluzione di problemi ambientali e tecnologici
in moltoi campi, tra cui quelli di maggiore interesse per uno sviluppo sostenibile
sono:
1) Biocontrollo
2) Biofertilizzazione
3) Biorisanamento
4) Sfruttamento di interazioni favorevoli per la produzione agricola.
1.2 Metodi di studio dei microrganismi,
indipendenti dalla loro coltura
Tradizionalmente, l’analisi delle comunità microbiche del suolo richiede
l’isolamento di microrganismi dai campioni, seguito da una serie di test
biochimici o molecolari, per identificarli e caratterizzare le loro attività, o per
sottoporre i risultati ad analisi numeriche (conta su piastra). Le tecniche di
coltivazione in laboratorio rimangono di grande interesse quando delle cellule
target devono essere isolate, per esempio per la capacità di metabolizzare
specifici substrati o di degradare composti xenobiotici deleteri, anche se solo i
microrganismi per cui sono stati fissati criteri ottimali di coltura possono essere
isolati con questi tipi di approccio (Robe et al., 2003). Sin dai tempi di Pasteur, la
non coltivabilità di molti microrganismi (viable but not culturable, VBNC (Olivier
1993)) e la mancanza di metodi di identificazione dotati di un’adeguata
specificità e sensibilità hanno impedito il progresso dell’ecologia microbica
soprattutto nei riguardi di complessi ecosistemi come suolo e sedimenti (Bakken
et al., 1985). Per questo, le specie di microrganismi validamente descritte,
basandosi sull’isolamento e la coltura in laboratorio, non riflettono l’effettiva
diversità delle specie nel suolo. Questo è dovuto a l fatto che i metodi tradizionali
per la coltura di microrganismi limitano la loro analisi a quelli che crescono in
3
laboratorio( Hugenholtz et al., 1996). Il suolo rappresenta uno degli habitat
terrestri più difficili da comprendere. Infatti, numerosi ricercatori hanno
evidenziato come la maggior parte dei microrganismi non sono pronti per essere
coltivati o isolati in vitro, mentre solo una piccola proporzione può essere isolata
mediante le tecniche tradizionali di coltura (Jannasch et al. 1959; Wayne et al.,
1987). Gran parte dei microrganismi appartiene a specie per le quali le condizioni
di coltura già mote non sono adatte per pH, variazioni di temperatura, etc. Inoltre,
molto spesso in natura, le cellule sono in uno stato di quiescenza, che ne permette
la resistenza a stress dovuti ad essiccamento o mancanza di nutrienti (Kjelleberg
1993). Una spiegazione per tale refrattarietà potrebbe essere fornita
dall’interdipendenza dei differenti organismi l’uno dall’altro; un’altra è
certamente la mancata conoscenza delle reali condizioni di crescita di molti
microrganismi nel loro ambiente naturale (Smalla and Van Elsas, 1995; Turpin et
al., 1993). Qualsiasi stima del numero delle specie microbiche rappresenta solo un
mera approssimazione (von Wintzingerode et al., 1997).
Infatti, stime recenti indicano che i batteri isolabili attraverso i mezzi di coltura
standard rappresentano solo una piccola proporzione della comunità microbica del
suolo. Di conseguenza, a causa dell’elevato grado di selettività e di bias
intrinseci nei metodi di coltura, solo 5000 specie batteriche sono state descritte
(Amann 1995). La consapevolezza che gran parte dei microrganismi non possono
essere facilmente coltivati in terreni di coltura standard, ha portato allo sviluppo
di tecniche che permettessero di studiare microrganismi recalcitranti alle colture
cellulari. Come conseguenza della discrepanza tra l’abbondanza microbica
osservabile in situ e i numeri di colonie ottenuti in vitro su un mezzo di coltura, è
stato proposto da Pace (1986) , l’isolamento diretto di DNA microbico
dall’ambiente (figura 1) per una rappresentazione genomica non condizionata da
errori. L’approccio ideale consiste nel raggirare le tendenze all’errore implicite
nelle procedure basate sulle colture cellulari, attraverso ad esempio, l’estrazione
diretta di molecole informative come acidi nucleici o acidi grassi.
4
Figura 1: la metagenomica rappresenta l’analisi diel
genoma collettivo dei microrganismi nelle comunità
di un dato habitat (in questo caso il suolo).
1.2.1 Il metagenoma
Una nuova disciplina, la metagenomica, si occupa dell’accesso diretto ai geni
delle comunità microbiche, rendendo il DNA di microrganismi non coltivabili
disponibile per analisi molecolari (Moré et al., 1994). Il valore di questo nuovo
approccio è mostrato in fig.2, in cui viene presa in considerazione la produzione
di biocatalizzatori secondo il metodo tradizionale e attraverso l’accesso diretto al
metagenoma di un determinato habitat.
Figura 2: Lo schema riporta il confronto tra gli approcci
metagenomici e le tecniche di coltura cellulare per
ottenere nuovi biocatalizzatori. Usando le colture
cellulari (parte sinistra, solo una frazione della diversità
microbica esistente può essere isolata e fatta crescere in
coltura pura. Ai microrganismi non coltivabili, invece, si
può accedere solo attraverso l’estrazione dei genomi. In
questo approccio (parte destra della figura), il genoma
totale dei microrganismi di un dato habitat
(metagenoma) è isoalto e clonato all’interno di un
sistema ospite per lo screening dei prodotti di espressione
(Lorenz et al., 2002).
5
Il genoma dei microbioti totali presenti in un dato habitat, noto con il termine di
‘metagenoma’, contiene più informazioni genetiche di quante siano presenti tra
le specie isolabili (Handelsman et al., 1998). I procarioti, giocando un ruolo
chiave nei cicli biogeochemici della biosfera, sono una fonte di prodotti
biotecnologici essenziali e di strutture molecolari nuove, da utilizzare sia in
ambiente medico che nell’industria (Madsen 1998). I microrganismi del suolo
rappresentano un’importante risorsa di composti bioattivi: antibiotici,
antitumorali, immunosoppressori, e altri composti usati in agricoltura e terapia
(Berry et al., 2003). Con le biotecnologie si può bypassare l’isolamento,
ravanando nel loro metagenoma.
1.2.2 il DNA come target
Il principale materiale di partenza per molte tecniche di analisi del metagenoma è
rappresentato dagli acidi nucleici delle cellule microbiche, sia DNA che RNA.
Gli acidi nucleici consentono l’identificazione e la caratterizzazione delle
comunità microbiche in quanto sono presenti nel suolo, nei sedimenti e in altri
campioni ambientali. In generale, tuttavia, il DNA è molto più stabile in
condizioni ambientali e meno suscettibile alla degradazione rispetto all’RNA, che
è molto più labile chimicamente e suscettibile all’attacco di enzimi ubiquitari
come le RNAsi (Johnson et al., 1992). Inoltre è stabile negli alcali, anche se tende
a denaturare nella forma a singolo filamento (Sayler et al., 1993), risultando così
una molecola target molto comune (Bakken 1997).
1.2.3 Tecniche molecolari per l’analisi della diversità dei
microrganismi del suolo
I metodi per studiare e misurare la diversità microbica del suolo possono essere
divisi in 2 gruppi: tecniche biologiche (conte su piastra) e tecniche molecolari. In
queste ultime, il recupero di DNA dai suoli può essere suddiviso in due fasi
(figura 3): 1) lisi cellulare ed estrazione del DNA crudo e 2) purificazione di tale
DNA da contaminanti coestratti che inibiscono la PCR.
Nel decennio scorso, lo sviluppo e le applicazioni di nuovi metodi di biologia
molecolare, basati principalmente sull’amplificazione (PCR) degli acidi nucleici
estratti dal suolo, hanno rappresentato un’alternativa pertinente ai metodi
microbiologici classici, basati sulle colture (Hill et al., 2000; Kuske et al., 1997;
Nusslein and Tiedje, 1998; Stackebrandt et al., 1993). A tale scopo, l’estrazione di
6
DNA totale da campioni di suolo ha permesso ai microbiologi di ottenere
informazioni senza bisogno di ricorrere all’isolamento dei microrganismi in
coltura, dando la possibilità di identificare geni specifici di microrganismi che non
possono essere messi in coltura, altrimenti considerati criptici ed inaccessibili, e
permettendone il monitoraggio direttamente dai campioni ambientali (Smalla et
al., 1993; Selenska and Klingmuller, 1991; Bej et al., 1991). Il DNA estratto dai
microrganismi del suolo può fornire informazioni circa la composizione genetica
delle loro popolazioni (Clegg et al., 1996). In particolar modo, l’applicazione di
queste tecniche negli studi di microbiologia ecologica è diventata una vera e
propria disciplina: l’ecologia microbica molecolare (Akkermans et al., 1995).
Figura 3: Illustrazione dei passaggi fondamentali dell’analisi
molecolare di campioni di suolo (immagine fornita da Los
Alamos National Laboratory).
1.3 La Rizosfera e suo ruolo nell’ecologia microbica
La rizosfera (vedi figura 4) è generalmente definita come la regione di suolo, zona
relativamente ristretta del suolo che circonda la radice all’interfaccia suolo-radici
(Hiltner 1904) e che si trova sotto l’influenza delle radici. Alcuni fattori che
7
condizionano la rizosfera (dal greco rhiza = radice e spere = campo d’azione,
influenza) sono l’elongazione delle radici, lo sviluppo e i differenti stadi di
maturazione e di senescenza ). Le reali dimensioni fisiche della rizosfera variano
a seconda del tipo di pianta e di suolo. Regioni di suolo che si estendono per molti
cm dalle radici possono essere spesso identificate come rizosfera (Campbell and
Greaves, 1990), anche se molto più spesso la rizosfera è ristretta a uno strato di
pochi millimetri (1-2 mm) intorno alle radici. La rizosfera può essere considerata
come un ambiente dinamico, rappresentato da interazioni triplici tra le piante, il
suolo immediatamente adiacente alle radici e gli organismi associati ad esse.
Figura 4: Elementi principali della rizosfera (Lynch, 1990).
La Rizosfera sostiene un elevato numero di batteri , un elevata crescita e attività
microbica rispetto al resto del suolo che non viene influenzato dalla presenza delle
radici. Tale regione include una varietà di microhabitat quali il rizoplano
(superficie delle radici), l’endorizosfera (lo spazio intercellulare nei tessuti delle
radici può essere considerato come un microambiente multistrato, che include lo
strato epidermico, lo strato corticale, quello endodermico e l’apice radicale) e
l’ectorizosfera (si estende dalla superficie radicale e comprende i peli radicali, uno
strato mucoide di polisaccaridi, essudati e cellule radicali rimosse (McDougall
1968), la zona apicale delle radici, priva di microrganismi a causa del rapido
avanzamento delle stesse attraverso il suolo e della conseguente abrasione.
8
Le piante, poi, sono in grado di sviluppare una densa rizozolla, che è un strato
fortemente compatto di apparato radicale, materiale mucoide, microrganismi e
particelle di suolo, che si può estendere per un tratto di radice o per tutto l’intero
sistema radicale (Belandreau and Knowles, 1978)
L’influenza delle radici si esplica attraverso la rizodeposizione, che consiste nella
produzione e rilascio di sostanze organiche (C organico) ed inorganiche da parte
delle radici nel suolo, che rappresenta importanti fonti di energia e carbonio per i
microrganismi che abitano la rizosfera. Una varietà di materiale viene rilasciato
dalle radici, compresi amminoacidi ed enzimi, vitamine, zuccheri, in particolar
modo all’apice radicale, sotto forma di mucillagini polisaccaridiche
(esopolisaccaridi, EPS) che agiscono da lubrificanti mentre le radici avanzano
attraverso il suolo. Nelle radici mature, gli strati mucillaginosi legano particelle di
argilla, materia organica e microrganismi, formando una matrice intorno alle
radici(Campbell and Drew, 1983). L’avanzamento stesso delle radici porta alla
rimozione di cellule corticali morte o lisate. Questi materiali sono usati dai
microrganismi della rizosfera come siti per adesione e protezione
dall’essiccamento formando una matrice per l’assorbimento ed il trasporto di
acqua, risorse di energia e di altri nutrienti, esibendo inoltre attività ormonale nei
confronti delle popolazioni microbiche adiacenti. Le radici secernono una varietà
di composti che influenzano il numero e la diversità dei microrganismi. Di
conseguenza con lo sviluppo e la crescita delle radici si crea un aumento di
biomassa microbica nell’ectorizosfera (Liljeroth et al., 1990).
1.3.1 L’effetto rizosfera
Il cosiddetto ‘effetto rizosfera’ (Hiltner, 1904) riflette l’influenza delle radici delle
piante sulle dimensioni e la composizione del suolo che circonda la comunità
microbica. Le radici, inoltre, influenzano la rizosfera creando un gradiente
negativo di ossigeno (respirazione radicale, vedi figura 5), assorbendo acqua e sali
minerali. Per tale motivo, è noto che il numero di batteri che si trovano nella
rizosfera sia più grande di quello del suolo nudo; tale effetto diminuisce,
aumentando la distanza dalle radici (Bazin et al., 1990). I batteri crescono
debolmente nel suolo nudo a causa della mancanza di substrati organici di vita
breve. L’attività microbica stessa è massima nel rizoplano e diminuisce
all’aumentare della distanza dalla superficie delle radici. Le popolazioni
microbiche sono da 5 a 100 (più frequentemente 20) volte più numerose nella
rizosfera che nel resto del suolo. Il rapporto R/S (numero di microrganismi nella
rizosfera/ numero di microrganismi nel suolo nudo) è un indice dell’area
9
delimitata dalla rizosfera e dipende dalla quantità di suolo che aderisce alla
rizosfera (Katznelson, 1946).
igura 5: Determinazione su microscala dei profili di O
2
.3.2 I microrganismi della rizosfera
scita nella rizosfera vengono
F
nella rizosfera di Orzo (Hordeum vulgare), usando un
microelettrodo a ossigeno (Hojberg and Sorensen, 1993).
1
I micorganismi che mostrano un’ elevata cre
denominati rizosfera-competenti. Essi rispondono specificatamente e
preferenzialmente ai composti presenti nella rizosfera. Non appena le cellule
radicali muoiono o vengono rimosse, i microrganismi rapidamente degradano i
componenti cellulari. I microbi della rizosfera generalmente sono più grandi e
hanno capsule più sottili rispetto alle loro controparti nel suolo nudo (Foster
1986). Molti di questo sono Gram negativi, non formano spore e possono essere
sferici. Alcuni microrganismi sono patogeni in grado di penetrare nel tessuto
10
superficiale delle radici, avendo rapido accesso negli strati corticali , causando un
vasto numero di infezioni (Sørensen 1997).
Alcuni dei batteri per lo più gram negativi eterotrofi nella microflora rizosferica,
Nutrizione attraverso trasporto, azotofissazione, solubilizzazione dei
• e di esopolisaccaridi (EPS) (xantani, glucani, galattomannani),
• romuovono la crescita delle piante
ompetezione con essi per la
i dai rizobatteri, il DAPG gioca un ruolo
.3.3. Preparazione dei campioni di rizosfera
prima vista, la preparazione dei campioni potrebbe essere vista come l’aspetto
i Plant Growth Promoting Rhizobacteria (PGPR) (Kloepper et al., 1978) hanno la
capacità di promuovere la crescita delle piante, rivestendo ruolo di biofertilizzanti,
biopesticidi, biorisanatori (detossificanti), come Azospirillum, Azotobacter,
Bradyrhizobium, Xanthomonas, Pseudomonas, Rhizobium e Bacillus spp.
mostrano effetti benefici sulle piante, quali:
•
fosfati).
Secrezion
costituenti principali di molte capsule e biofilm (Foster 1988), e
lipopolisaccaridi (LPS), probabilmente responsabili di ancoraggio
irreversibile ( de Weger et al., 1987).
Secernere antibiotici o composti che p
• Inibizione della crescita di patogeni vegetali
• Induzione della resistenza ai patogeni, o c
colonizzazione della superficie delle piante. Resistenza a patogeni tellurici
(produzione di antibiotici come fenazina (Pierson and Tomashow 1992) e
2,4- DAPG (2,4-diacetilfloroglucinolo (Kloepper 1980), o produzione di
siderofori (Shanahan et al., 1992) recettori che chelano il Fe mediante
meccanismi di uptake specifico).
Tra i metaboliti secondari prodott
importante nella soppressione di funghi e batteri patogeni. Il gene PhlD
(Bangera and Tomashow 1999), coinvolto nella biosintesi del DAPG è al
momento usato come marker genetico nell’identificazione di potenziali
rizobatteri produttori di tale antibiotico (Mavrodi et al., 2001).
1
A
più semplice del protocollo analitico. In realtà rappresenta una fase critica e
cruciale per tutte le analisi successive, rappresentando una fonte di problemi ed
errori. Infatti se un aliquota del campione non rappresenta accuratamente il
campione di partenza, il risultato dell’analisi diviene discutibile. Come regola
generale, bisogna considerare che l’errore commesso durante il campionamento e
11
la preparazione del campione sia molto più grande di quello commesso durante la
realizzazione del metodo di analisi (vedi figura 6). Uno degli obiettivi delle
preparazioni dei campioni in laboratorio è di ottenere aliquote rappresentative e
di riuscire a conservarle intatte fino all’analisi. Un campionamento
rappresentativo di suoli dipende in maniera rilevante da come viene effettuato .
Figura 6: Grado di errore nella preparazione in laboratorio
er quanto riguarda la rizosfera, il campionamento prevede la raccolta del suolo
.3.3.1 Periodo di campionamento
eneralmente il periodo migliore per effettuare campionamenti risulta essere metà
dei campioni (Scwedt 1997).
P
che aderisce alle radici delle piante, dopo che la pianta è stata rimossa dal suolo e
scossa per rimuovere le particelle più grosse (metodo di campionamento ‘pull and
shake’(Katznelson 1948)). Nel prelevare le radici è consigliabile che venga
recuperato l’intero sistema radicale per evitare di generare artefatti di
campionamento, rimovendo il suolo privo di radici (Angle et al., 1993), ma
lasciando il suolo che circonda le radici dato che la rizosfera, inclusi i peli radicali
si può estendere all’interno del suolo. Gran parte del suolo visibilmente associato
alle radici viene così rimosso. Ciò viene drasticamente fatto solo se si vogliono in
particolar modo selezionare i microrganismi che sono intimamente associati alle
radici, non volendo comunque considerare quelli presenti nel suolo rimosso che
sono comunque sotto l’influenza delle radici (van Elsas et al., 1997). Va inoltre
ricordato che a seconda del tipo di trama del suolo e del grado di umidità, risulta
variabile la quantità di suolo che circonda e aderisce alle radici ( Parke et al.,
1986).
1
G
estate o inizio autunno, quando gli effetti stagionali sono minimi. In inverno
infatti il suolo sarebbe troppo duro e ghiacciato, mentre in primavera durante le
12
piogge, il suolo risulterebbe troppo umido. In realtà, il periodo ideale potrebbe
essere realizzato in concomitanza dei cicli di coltivazione e di raccolta (Tan
1995).
1.3.3.2 Trasporto dei campioni
pioni così ottenuti vengono trasferiti in buste di plastica per il trasferimento
I cam
in laboratorio preferibilmente tenuti sotto ghiaccio per prevenire essiccamento. Il
suolo all’interno di queste buste possono mescolarsi, mentre le radici ed il suolo
adeso, verranno processati in laboratorio. Queste buste di plastica sottili sono
alquanto utili in quanto permettono lenti scambi gassosi (O
2
e CO
2
) e bloccano
l’eccessivo essiccamento del suolo e delle radici. (van Elsas et al., 1997). Una
particolare attenzione deve essere rivolta al trasporto in laboratorio per evitare
perdite di acidi nucleici dovute a prematura lisi delle specie, prima degli appositi
trattamenti (von Wintzingerode et al., 1987). Tale materiale viene collocato per il
trasporto in laboratorio che deve essere effettuato il prima possibile per evitare
cambiamenti nei campioni prima delle analisi. Precauzioni da adottare durante il
trasporto, prevedono la collocazione in ghiaccio, il mantenimento a 4°C o
semplicemente alla stessa temperatura in cui erano al momento del prelievo e la
protezione dei campioni dai raggi solari, evitando così un prematuro essiccamento
che causerebbe una diminuzione del numero di batteri e un conseguente
cambiamento della struttura delle popolazioni microbiche (Sparling and Cheshire
1979). In campioni essiccati per esempio i lieviti più che i batteri ed i funghi
diventano dominanti, aumenta l’acidità del suolo, diminuisce il Mn, e aumenta la
solubilità e l’ossidabilità della frazione organica. La riumidificazione, tuttavia non
è in grado di ripristinare la composizione fisico-chimica dei campioni, ma finisce
per alterarla; i batteri denitrificanti potrebbero aumentare la loro attività , e la
popolazione microbica in generale andrebbe in contro ad una crescita esplosiva
anomala e impredicabile. In tal senso si consiglia di non permettere all’acqua
derivante dal ghiaccio sciolto, usato per evitare l’essiccamento, di entrare in
contatto con i campioni per non alterare le popolazioni microbiche presenti
(Patten et al., 1980).
13
1.3.3.3 Processamento dei campioni
Per ottenere suolo e segmenti di radici con suolo aderente, i campioni
preferibilmente vengono tagliati con forbici sterili, evitando di rompere il
materiale vegetale. I campioni dovrebbero poi essere processati e poi analizzati
immediatamente , dato che cambiamenti potrebbero verificarsi durante i tempi di
attesa nel sito di raccolta subito dopo il campionamento, o in laboratorio durante il
processamento dei campioni. Gli effetti di tali tempi morti, risultano più evidenti
quando un elevato numero di campioni viene raccolto. Se tali campioni vengono
raccolti o processati secondo un ordine logico, questi effetti temporali possono
essere scambiati per effetti geografici o di trattamento. Un modo per poter
compensare questo problema è quello di randomizzare sia la raccolta che il
processamento dei campioni stessi (van Elsas et al., 1997).
1.3.3.4 Significato di Bias nelle metodiche molecolari di analisi
di campioni biologici
Ogni fase fisica, chimica, e biologica coinvolta nell’analisi molecolare di un
ambiente è una fonte di condizionamenti (bias), che conducono ad una visione
‘distorta del mondo reale’ (von Wintzingerode et al., 1997). Tra gli errori che
sono connaturati al comportamento ordinario degli esseri umani, il bias è definito
come la differenza tra la media statistica (la media aritmetica dei risultati di un n
numero di analisi) ed il reale valore scientifico.
B = M – T (Allmares, 1965)
Dove B = bias, M = media statistica, T = valore scientifico reale
Se tale differenza è attribuita a metodi impropri, si parla di bias scientifico,
mentre se deriva dall’analisi di campioni non rappresentativi si ha il bias di
campionamento. Se in ultimo dagli strumenti o dagli agenti chimici impiegati si
ottengono misurazioni improprie, ci si trova nell’ambito di bias di misurazione.
14
1.4 Metodi di conservazione del suolo rizosferico
La conservazione in alcuni casi è inevitabile, specie se lo stesso campione di suolo
deve essere utilizzato in esperimenti successivi.
Dopo che il campione di suolo è stato raccolto, la massima attenzione deve essere
prestata per evitare contaminazioni e per prevenire eventuali reazioni chimiche. Il
campione deve essere preservato mantenendo le condizioni originarie, le proprietà
e l’identità dei campioni in tutte le fasi della preparazione. Nessun metodo in
grado di alterare o eliminare le informazioni che potrebbero essere ottenute dalle
analisi, dovrebbe essere utilizzato nella preparazione dei campioni (Anderson,
1987; Tan 1995).
Poiché la manipolazione dei campioni (vedi figura 7) e la loro conservazione
possono alterare la struttura delle comunità microbiche, viene di seguito fatta una
rassegna di vari metodi descritti in letteratura (Haldeman et al., 1995).
Figura 7: I disturbi fisici come il setacciamento e l’agitazione
hanno un effetto stimolatorio sulla respirazione microbica nel
suolo (Madsen, unpublished data).
1.4.1 Basse temperature
Le basse temperature sono spesso usate per preservare i campioni, perché infatti
bloccano o rallentano le attività di alcuni enzimi degradativi quali nucleasi e
ossidasi (polifenolo ossidasi).
I campioni di suolo rizosferico vengono solitamente conservati in sacchetti di
plastica a 4° C in condizioni di umidità (conservazione in frigorifero) (Moré et
al., 1994; Harry et al., 2000; Frostegard et al., 1999; Tien et al., 1999; Zhou et al.,
1996), 5° (Steffan et al., 1988) e 10°C (Burgmann et al., 2000; Stach et al., 2001)
per 1, 2 o al massimo 3 settimane, secondo alcuni autori possono durare anche per
15
6 mesi (Frostegard et al., 1999) o da 1 a 3 anni (Moré et al., 1994). Conservandoli
a 4°C in buste di plastica, i campioni potrebbero divenire anaerobici a causa della
perdita di permeabilità della plastica (polietilene) all’ossigeno a basse
temperature, o seccarsi in seguito a lunghi periodi di conservazione. L’uso di
doppi strati di materiale plastico dovrebbe diminuire l’essicazione, ma
promuoverebbe l’anaerobiosi. In tali condizioni, si potrebbero, inoltre,
evidenziare problemi di degradazione per il DNA (Tien et al., 1999). Comunque,
si preferisce questo metodo al congelamento, a causa dello stress fisico introdotto
dal passaggio congelamento-scongelamento (Burgmann et al., 2000).
1.4.2 Congelamento
Generalmente, le temperature sotto lo zero vengono usate per preservare
campioni di DNA batterico. Dopo il campionamento, di solito i preparati vengono
messi in sacchetti di polietilene e congelati a –20°C (Xia et al., 1995; Lee et al.,
1996; Miller et al., 1999; Howeler et al., 2002; Gabor et al., 2003), -40°C (Hurt et
al., 2001) o a –70°C (Bornemann et al., 1996; Mumy et al., 2004), –80°C (Macrae
et al., 2001) fino al momento dell’estrazione di DNA. Le radici possono essere
anche ghiacciate in azoto liquido e polverizzate in un mortaio (Lechner et al.,
1997).
1.4.3 Essiccamento
L’essiccamento è un modo di conservare i campioni per lunghi periodi di tempo,,
dato che permette di avere a disposizione suoli di riferimento che non variano nel
tempo, di confrontare tecniche differenti, senza doverle applicare tutte
contemporaneamente, di ripetere facilmente gli esperimenti e di studiare gli effetti
dei cambiamenti stagionali nelle popolazioni microbiche. Inoltre, l’essiccamento
del terreno è un fenomeno naturale che si verifica regolarmente come variazione
climatica durante le stagioni, anche se non in maniera così forte come la
liofilizzazione (Frostegard et al., 1999). L’essicazione naturale (mediante flussi di
aria in movimento, non con aria calda) è la procedura che meglio si addice alla
conservazione dei campioni dato che ridurrebbe al minimo la velocità di possibili
reazioni chimiche e biochimiche nel campione di suolo. Temperature
relativamente alte (superiori ai 35°C causerebbero drastiche variazioni nelle
caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dei campioni di suolo.
16