Che cos’è veramente la politica? La definizione tradizionale ci risponde che essa è la cura degli affari
pubblici, la cura e la loro gestione. Senza dubbio, prendersi cura delle faccende pubbliche, provvedere a
esse e gestirle, significa proprio, logicamente, prendersi cura dell’uomo e del mondo in cui l’uomo
vive. E ciò significa comprendere l’uomo e percepire tutte le dimensioni della sua autocomprensione
nel mondo. Non so immaginare come un politico possa essere tale senza che percepisca anche la
dimensione drammatica di questa autocomprensione umana; dunque la drammaticità come uno degli
aspetti essenziali del mondo, di come l’uomo vede il mondo e, con ciò, anche come uno degli strumenti
fondamentali della comunicazione umana
3
.
Pertanto, se l’uomo si conosce per mezzo del teatro, uno degli strumenti per colpire e
infondere una visione della vita che si distacchi dagli assolutismi e dai giochi di
potere, è il teatro stesso. Per potersi prendere veramente cura del proprio popolo,
bisogna riuscire a dialogarci e avere fiducia in lui. Attraverso le sue opere, Havel è
arrivato al cuore della sua gente, ma anche al nostro, poiché a quanto pare ci
scontriamo con gli stessi problemi rivestiti di altro ‘smalto’.
Tutto contribuisce a questo scopo, anche la forma. Se la meta è svelare e mettere a
nudo i processi più nebulosi, la struttura non può essere nient’altro che snella,
rettilinea, geometrica, in altre parole il più chiara possibile. E il linguaggio? Il
linguaggio fa altrettanto, ma diventa anche strumento al servizio dell’ironia e della
comicità. Il nostro mondo è fatto di parole, dice Havel, a tal punto che spesso le
interpretazioni linguistiche sono diventate più importanti della realtà stessa. Godiamo
della retorica, ci parliamo addosso, c’incastriamo in discorsi senza via d’uscita e tutto
ciò non fa che portarci fuori strada, farci perdere la bussola. Il linguaggio, allora, in
questo autore diviene soggetto e mezzo, forma e contenuto.
3
Quivi, Appendice in V. Havel, Politica come teatro, in www. phanea.it.
6
Capitolo I: Chi è Václav Havel?
1. “Vita nella verità”
La vera prova dell’uomo non
sta nel come egli svolge il ruolo
che si è ideato, ma nel come
svolge il ruolo che gli è stato
assegnato dal destino.
(Jan Patocka)
La poliedricità d’interessi, la lucidità nell’approfondirli e concretizzarli è quello
che più colpisce della personalità di Václav Havel. Ci troviamo di fronte prima di tutto
ad un uomo di cultura, uno scrittore e un artista, che ha fatto dei propri mezzi uno
strumento da porre a servizio della comunità a cui appartiene. Proveniente da una
famiglia di origini medio-borghese, nasce a Praga da Václav M. Havel e da Bozena
Vavreckova il 5 ottobre del 1936 (agli inizi degli anni Trenta Václav M. Havel
progetta la famosa città-giardino Barrandov, dove su consiglio del fratello Milos
Havel verranno costruiti gli studi cinematografici Barrandov Studios). Compie gli
studi durante la guerra, nel 1951 conclude le scuole medie e lavora per quattro anni in
un Laboratorio farmaceutico, proseguendo gli studi liceali tramite corsi serali (le
possibilità di studio per i meno abbienti erano limitate) e diplomandosi nel 1954. In
quegli anni con alcuni amici fonda il gruppo “Classe del '36” (1951-1953): stampano
una rivista clandestina dattiloscritta e organizzano convegni. Scrive poesie e frequenta
personalità di gran peso nel mondo letterario boemo, fra le quali il nobel Seifert,
Holan, Zábrana, Kolar
1
. Ottenuto il diploma tenta di entrare nella facoltà di Chimica,
ma non viene accettato e così inizia il lungo vagabondare tra un esame di ammissione
e l’altro (facoltà di Storia dell’arte, facoltà di Filosofia). Riesce finalmente ad entrare
ad Economia del trasporto automobilistico, ma dopo due anni decide di passare alla
facoltà di Cinematografia dove però non viene accettato. Nel frattempo nel 1955 gli
viene pubblicato un articolo di critica letteraria su “Květen“
2
. Nel 1957 viene
1
Fondatore del Gruppo 42 , un circolo letterario detto anche L alta scuola di morale letteraria .
2
Il primo numero di Květen esce nel settembre 1955, collaborarono occasionalmente alla rivista: I.
Diviš, V. Havel, B. Hrabal, V. Karfík, I. Klíma, K.Kosík, L. Kundera, M. Kundera, A. Lusting, J.
Opelík, Z. Pešat, J. Škvorecký, L. Vaculík. J. Zábrana. Nel 1956 ci fu un incontro pubblico tra questi
7
chiamato per la leva militare ed arruolato tra i genieri, (“il nostro esercito aveva fatta
propria la tradizione di mandare nel genio i cittadini che contano meno, perché i
genieri, che precedono l’armata, hanno in guerra la maggior percentuale di perdite”
3
).
Dunque, vita dura fin dai primi anni! Durante questo periodo si realizza il primo
contatto con il teatro. Insieme a Karel Brynda, oggi direttore del teatro stabile di prosa
di Ostrava, fonda nell’unità militare di appartenenza una compagnia teatrale e nel
1958 scrivono e allestiscono La vita davanti a sé (Život před sebou). A ritorno dal
servizio militare va a lavorare come macchinista nel Teatro ABC, grazie all’amicizia
di vecchia data fra il padre e Jan Werich.
In quegli stessi anni, in Cecoslovacchia, rinascevano i piccoli teatri e il cabaret
(spariti dopo il 1948), il Teatro ABC era il solo ponte con questa tradizione, poiché
dedicava il suo programma a improvvisazioni, clownerie, libero umorismo e poesia. Il
risveglio da un lungo sonno durato circa trent’anni dà alla luce nuove figure di registi
e di attori, come Alfred Radok, Ivan Vyskočil, Jaromir Pleskit, Otomar Krejca, Jan
Grossman, Pavel Kohout, Milan Kundera.
Praga era come se non fosse stata ancora sommersa dalla lava dell’apatia generale e non fosse rimasta
irrigidita come un cadavere, sotto il proprio peso. Allora, paradossalmente, aveva un senso occuparsi
dell’assurdità del vivere, perché ancora non tutto era indifferente. I piccoli teatri a loro modo
rispecchiavano, esprimevano, creavano tutto questo. Erano insomma uno dei fenomeni più significativi
e al tempo stesso uno degli elementi di mediazione di quel processo spirituale che chiamano
'autocoscienza e autoliberazione della società' e che più tardi sfociò in modo organico nei noti
mutamenti politici del Sessantotto
4
.
Nel frattempo si lega sentimentalmente con Olga Splíchalova,
una ragazza proletaria molto originale, sentimentalmente sobria, a volte mordace e antipatica, insomma
una persona difficilmente accontentabile […] ho trovato a suo tempo in Olga proprio quello di cui
avevo bisogno: la risposta mentale alla mia incertezza mentale, un sobrio revisore delle mie folli idee,
un sostegno privato alle mie avventure pubbliche
5
.
La coppia era legata da una forte passione per il teatro (Olga lavorò dapprima
scrittori e fu allora che si definirono quelle che sarebbero state le due anime della primavera culturale
degli anni ’60: da una parte il mondo della cultura sommersa che rifiuta di scendere a patti con
l’ideologia dominante, dall’altra chi cerca all’interno dell’ideologia di restituirle il suo volto umano.
3
V. Havel, Interrogatorio a distanza. Conversazione con Karel Hv zdala, prefaz. di Paolo Flores
d Arcais, traduz. di Giancarlo Fazzi, Garzanti, Milano 1990, p. 56.
4
V. Havel Interrogatorio…, cit., p. 69.
5
V. Havel, Interrogatorio…, cit., p. 159.
8
come maschera e poi attrice al teatro Na Zabradlí) e da una volontà d’impegno nei
confronti della situazione cecoslovacca. La sposerà nel luglio del 1964, e sarà per
Václav un importante punto di riferimento, come lui stesso afferma in più scritti, fino
all’ultimo.
Il Teatro Na Zabradlí
6
, Alla ringhiera, viene fondato nel 1958 a Praga, al centro
della capitale, e lì Havel andrà a lavorare dall’estate del 1960 al 1968 inizialmente
come macchinista e poi man mano tecnico delle luci, segretario, lettore, direttore
artistico. L’esperienza al Teatro ABC e poi al Teatro Alla ringhiera sarà fondamentale
per Havel e per tutta la sua carriera artistica.
Là ho capito e ho potuto osservare giorno per giorno, 'dal' di dentro, che il teatro […] può essere
qualcosa di più: un centro spirituale vivo, un luogo di presa di coscienza sociale, punto d’intersezione
delle linee di forza del tempo e loro sismografo, spazio di libertà e strumento di umana liberazione; che
ogni rappresentazione può essere un vivo e irripetibile avvenimento sociale […] Tutto era piuttosto un
gioco – solo che questo 'gioco' arrivava in un qualche modo misterioso a toccare i nervi più profondi
dell’epoca, l’esistenza umana, la vita sociale […] Si diceva che questo humour che era puro […]
esprimeva stranamente -sebbene per vie traverse e indirette- quanto c’era di più 'scottante': cosa
veramente è un uomo
7
.
Già questo estratto mi sembra mostrare con estrema lucidezza il nocciolo della
questione. Il teatro è inscritto in un’ottica più ampia della pura passione: è esperienza
comunitaria, dialogo e scambio, ma soprattutto è la possibilità di cambiare, creare del
nuovo e lasciare un segno nelle coscienze individuali, un seme che ognuno poi
crescerà per proprio conto. Teatro come strumento di ricerca, di sviluppo morale. Ciò
non significa strumentalizzarlo, ma farlo proprio. Per Havel, quindi, compito del
teatro non è insegnare, ma mostrare: palesare situazioni quotidiane nelle quali tutti
sono coinvolti, magari ironizzandole e in questo modo ammonire. Porre il punto sul
senso, mostrando situazioni prive di senso. A questo punto ho già toccato un altro
argomento, o meglio, un genere più specifico di fare teatro, il genere che Havel, ma
già Beckett, Ionesco e molti altri praticavano: il teatro dell’Assurdo. Forse non è vano
aprire una breve parentesi a riguardo. Il Teatro dell’Assurdo è un fenomeno teatrale
che si è sviluppato nel ventesimo secolo ed ha avuto come centro propulsore Parigi. E’
pur vero che quest’espressione è stata coniata dagli studiosi per racchiudere al suo
6
Si tratta di un teatrino sperimentale di circa duecento posti con un piccolo palcoscenico, nato da una
sala di un vecchio municipio. Qui nel 1958 Ladislav Fialka costitu la sua compagnia di mimi e nel
1959 critici, registi, teorici del teatro e il traduttore di Brecht, Jan Grossman, si stabilirono per dar vita
ad un vero teatro Drammatico.
7
V. Havel, Interrogatorio…, cit, p. 58-70.
9
interno una particolare sensibilità di alcuni autori a rapportarsi col mondo tramite un
teatro fatto di determinate caratteristiche e analogie. E’ importante quindi capire che
non si sta parlando né di una scuola, né di un movimento, né di un partito. Perché
assurdo? Assurdo come la paradossale esistenza dell’uomo. Ricordo che stiamo
parlando di un periodo segnato da stravolgimenti a tutti i livelli ove l’uomo è senza
obiettivi, ingoiato dal senso d’inutilità, privo di un ideale a cui aggrapparsi,
angosciato. Già gli Esistenzialisti scrivevano qualcosa a riguardo, ma la differenza sta
nel fatto che qui l’irrazionalità non è manifestata tramite logica, ma la forma assume
le vesti dei contenuti, ossia: la modalità in cui il Teatro dell’Assurdo si esprime è
illogica ed insensata quanto i suoi contenuti. In ultimo l’assurdità non è mai spiegata,
è solo esplicitata, messa in scena nel suo farsi. Il linguaggio verbale è messo in
discussione, ossia proprio perché non c’è nulla da spiegare, ma solo da palesare, la
parola perde il “trono” e la poesia deve fuoriuscire dalle immagini sceniche
8
.
Al Teatro Alla ringhiera Havel inizia a scrivere autonomamente testi drammatici.
La prima opera teatrale in realtà l’aveva scritta nel 1959 ed era: Sera di famiglia
(Rodinny vecer). Poi Alla Ringhiera inizialmente aveva collaborato con Ivan Vyskočil
(allora direttore artistico) alla stesura di Autostop (1961) messo in scena nel 1961, con
Miloš Macourek al testo cabarettistico I migliori anni della signora Herman (Nejlepší
rocky paní Hermanové, 1962) messo in scena nel 1962 ed infine aveva scritto alcune
scene della Tortora impazzita (Vyšinutá hrdlička 1962). La prima opera autonoma è
La festa agreste (Zahradní slavnost, 1963) messa in scena al teatro Alla Ringhiera nel
1963. Nel 1965 viene messo in scena Memorandum (Vyrozumění, 1965) che aveva
già iniziato ad abbozzare nel 1960. Nel 1966 consegue diploma in drammaturgia
presso l’Accademia di Arti performative di Praga dove era stato finalmente accettato
nel 1962 come studente-lavoratore. Nel 1968 è la volta della messa in scena di
Difficoltà di concentrazione (Ztížená možnost soustředění, 1968). Intanto scrive un
testo per la radio L’angelo custode (Anděl strážný, 1968) trasmesso nel 1968 con
Josef Kemr e Rudolf Hrusinsky e un lavoro per la televisione, La farfalla sull’antenna
(Motýl na anténě, 1968), mai realizzato. Nel 1965 era entrato nella redazione del
mensile letterario "Tvář". Per conto della rivista, partecipa nel giugno dello stesso
anno al Congresso dell’Unione degli scrittori cecoslovacchi, intervenendo a favore
degli autori censurati e allontanati dalla cultura ufficiale. Nel 1966 esce la raccolta di
poesie tipografiche Antikódy. L'anno dopo, al IV Congresso degli scrittori, Havel,
8
A proposito del Teatro dell’Assurdo vedi: M. Esslin, Il teatro dell’assurdo, traduz. Di Romeo De
Baggis e Magda Trasatti, Abete, Roma 1990.
10
Klíma, Kohout e Vaculík vengono depennati dalla lista dei candidati ad entrare nel
Comitato Centrale dell'Unione degli Scrittori cecoslovacchi, Literární noviny, ormai
passato sotto il diretto controllo del ministero della cultura.
Durante la Primavera di Praga Havel gioca un ruolo attivo in qualità di scrittore.
Partecipò alla prima riunione politica alla Slovansky dum che iniziò alla sera e durò
fino a notte inoltrata, ove i politici s’intrattennero con un pubblico anonimo in
un’atmosfera di piacevole confronto.
La pressione sempre più robusta e variamente strutturata della nuova coscienza doveva prima o poi
proiettarsi nella sfera politica; fra la vita e il sistema c’era un abisso sempre più profondo
9
.
In questi termini Havel descrive il processo che ha portato alla Primavera di Praga.
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto, la tragedia: gli eserciti del Patto di Varsavia
invadono la Cecoslovacchia. Václav si trovava con Olga e Jan Triska a Liberec, nella
Boemia Settentrionale, da alcuni amici e lì dalla radio locale trasmetteva i comunicati
quotidiani. In più scritti farà menzione di questo periodo così fondamentale per la
storia della Cecoslovacchia, analizzando lucidamente gli impenetrabili meccanismi
della politica. Il 25 agosto 1968 Havel partecipa ad una manifestazione in piazza San
Vencislao contro il massacro di pochi giorni prima. Nel settembre 1969 scrive una
lettera ad Aleksander Dubček ove è già presente in nuce il presupposto che si tradurrà
in atto negli anni successivi nell'esperienza di Charta '77. In quello stesso anno i suoi
lavori vengono messi al bando, lascia Praga e si ritira con Olga a più riprese nella
casetta di campagna di Hrádeček, sulle Krkonoše, luogo di incontro per le riunioni con
gli amici Kohout, Vaculík, Klíma, Trefulka, e poi ancora con Vohryzek, Urbánek, e
tanti altri, scrittori e attivisti. Erano riunioni in cui ciascuno leggeva i propri nuovi
testi e si scambiavano opinioni sulla situazione comune, non c’era la possibiltà che
questi discorsi potessero essere fatti in un contesto più ampio. Tale ‘ghetto’ era
conosciuto dalla gente comune e marchiato in modo piuttosto preciso: i dissidenti.
Ma chi sono in realtà questi cosiddetti 'dissidenti'? […] Possono cambiare qualcosa? Penso che una
riflessione su questi interrogativi –cioè una riflessione sulle possibilità dei 'senza potere'- non possa
cominciar bene se non attraverso una riflessione sul carattere del potere nella situazione in cui questi
'senza potere' operano
10
.
9
V. Havel, Interrogatorio…, cit., p. 106.
10
V. Havel, Il potere dei senza potere, traduz. di Antonietta Tartagni, postfaz. di Luciano Antonetti, I
Coriandoli/Garzanti, Milano febbraio 1991, pp.7-8.
11
Così Havel esordisce nel libro Il potere dei senza potere (1978) e più avanti
continua:
Per esperienza personale so che esiste una specie di confine invisibile che un uomo ha dovuto – senza
volerlo e senza sapere quando e come l’ha fatto- superare perché la smettessero di scrivere di lui come
di uno scrittore che per un verso o per l’altro mostra una coscienza civile e cominciassero a parlarne
come di un 'dissidente' che (quasi tra parentesi, forse nel tempo libero?) scrive anche qualche lavoro
teatrale
11
.
Come dire che forse non si tratta di uomini, con un proprio background ed un
excursus personale. Perché pensare a loro come ad un’unica massa da contemplare
indistintamente?
La definizione di 'dissidente' necessariamente richiama l’idea che si tratta di una professione speciale;
quasi che, oltre ai vari modi più normali di vivere, ce ne fosse uno speciale, cioè il brontolare
'dissenziente' sulla situazione; quasi il 'dissidente' non fosse semplicemente un fisico, un sociologo, un
operaio o un poeta che si comporta come sente che deve comportarsi e che solamente dalla logica
interna del suo pensare, agire e lavorare (messa a confronto con le occasionali circostanze esterne) è
stato portato – senza premeditazione o compiacimento – a uno scontro aperto con il potere, ma fosse
invece uno che ha deciso di intraprendere la carriera di scontento di professione, come un altro decide
che farà il calzolaio o il fabbro […] Istituzionalizzare in una categoria eletta i 'dissidenti' noti o di
spicco significa realmente negare il particolarissimo punto di partenza morale della loro situazione.
Abbiamo visto che esso è proprio il principio della parità dei diritti fondato sull’invisibilità dei diritti e
delle libertà dell’uomo
12
.
Così Havel pone l’accento sulla responsabilità interiore dei cittadini verso il
proprio Stato e sull’insulsatezza della ghettizzazione dei cosiddetti dissidenti. Perché
travisare l’impegno di chi in realtà non fa altro che rispettare i doveri del buon
cittadino? Perché abbattersi verso chi sta cercando di creare le condizioni per la
realizzazione di uno Stato morale?
E’ appunto in questa situazione di divieto che egli anni settanta scrive I congiurati
(Spiklenci, 1970-1971) e L’opera dello straccione (Zebrácká opera, 1972), a seguire il
ciclo Vánek con Udienza (Audience, 1975), Vernissage (Vernisáz, 1975) e La firma
(Protest, 1978), infine Albergo di montagna (Horský hotel, 1976). A così poco tempo
di distanza dagli eventi del 1968, queste opere non possono che rispecchiarne la
problematicità. Una domanda assilla l’autore: Perché? Per Havel, forse, la risposta è
11
ivi, p. 53.
12
ivi, p. 53-56.
12
ancora una volta nella crisi dell’identità umana, nella frattura della sua unità. Nel 1974
Havel lavora per nove mesi come operaio nella fabbrica di birra di Trutnov (ad essa
s’ispira scrivendo Udienza), vicino a Hradecek. Un periodo piuttosto sterile nella vita
culturale del drammaturgo, finalmente l'anno dopo decide di prendere in mano la
situazione. L’8 aprile 1975 scrive Lettera al segretario generale del Partito
comunista Gustav Husák (Dopis Gustavu Husákovi), una denuncia della miseria dello
Stato Cecoslovacco e una richiesta di una piena assunzione di responsabilità rispetto
allo stato di cose.
Maturai il proposito di non essere più da allora in avanti soltanto l’oggetto passivo di quella ‘storia
scritta dai vincitori’, come dice Václav Bělohradský, ma di cercare di essere di nuovo per un attimo il
suo soggetto; in breve di non aspettare sempre solo quello che ‘loro’ facevano, ma fare al contrario io
qualcosa e costringere ‘loro’ al cambiamento, affinché si occupassero di qualcosa di diverso da quello
che loro stessi avevano programmato. E così scrissi una lunga lettera aperta al dott. Husák, in cui
provavo ad analizzare la triste situazione sociale nel nostro paese, a mostrare la profondità della crisi
spirituale, morale e sociale che si nascondeva dietro una vita apparentemente calma, e in cui facevo
appello al destinatario affinchè si rendesse conto della misura della sua responsabilità per tutta quella
miseria
13
.
Nell'inverno del '76 conosce Ivan Martin Jirous, in arte "Magor", collaboratore
artistico di un gruppo rock non conformista, messo al bando fin dalla nascita
(settembre 1968) insieme ad altri giovani gruppi underground. Si tratta dei "Plastic
people". Durante il periodo della normalizzazione ebbero diversi problemi con le
autorità fino a quando, in seguito al concerto del 21 febbraio 1976, tutto il gruppo fu
incarcerato. La vicenda processuale durò diversi mesi con continue revoche e
modifiche alle condanne. Alla fine Havel ed altri dissidenti organizzarono
manifestazioni che smuovessero l’opinione pubblica cercando di far capire la gravità
della cosa: “era un attacco del sistema totalitario contro la vita stessa, contro la stessa
libertà e integrità dell'uomo...”
14
. Oltre 70 persone, fra cui molti scrittori,
sottoscrivono una lettera aperta allo scrittore tedesco Heinrich Böll, perché intervenga
presso le autorità cecoslovacche: lo stato totalitario è sorpreso dal gesto imprevisto e
contrattacca dapprima diffamando la petizione e in un secondo momento
cominceranno le persecuzioni dirette contro le singole persone. Nel gennaio del 1977
nasce Charta 77 (nome simbolico, in quanto era l'anno dedicato ai diritti dei
prigionieri politici) ad opera di Havel, Nemec, Komeda, Uhl, Vaculík, J. Hajek,
13
V. Havel, Interrogatorio…, cit., p. 129.
14
V. Havel, Gli inizi di Charta 77, in “L'altra Europa” n. 3, 1987.
13
Mlynar, Kohout.
Nasceva aprendosi il varco con fatica nello spazio, anzi impenetrabile spazio occupato dal socialismo
reale. Nasceva come voce dei 'senza potere' con diritto alla vita, all’espressione, all’esercizio della
responsabilità e alla creatività
15
.
e ancora:
iniziativa civile per il rispetto dei diritti umani in Cecoslovacchia, libera società di uomini diversi per
opinioni, per fede, per orientamenti e interessi, uniti dalla disponibilità ad impegnarsi per la piena
attuazione dei diritti umani, della dignità e della creatività dell’uomo nella nostra società. […] Dunque
all’inizio del 1977, 211 cittadini cecoslovacchi fra cui molte significative personalità nella sfera della
cultura, della scienza, sottoscrissero una dichiarazione
16
.
Ben presto quelle 211 persone aumentarono, nel 1990 il numero dei firmatari è
arrivato a 1.883. Interessante osservare l’estrazione sociale di questi firmatari: si tratta
di gente comune, uomini di cultura che hanno a cuore le vicende del proprio paese.
Non è quindi solo un atto politico, stiamo parlando dell’espressione della volontà “dei
molti”, di tutti colore che generalmente, in fatto di potere, non contano, stiamo
parlando proprio dei “senza potere”. Havel è anche tra i primi tre portavoce del
Documento n. 1 datato 1 gennaio 1977, con J. Hajek e J. Patocka; quest'ultimo
morirà il 13 marzo 1977 dopo estenuanti interrogatori. Il giorno dopo la morte di
Patocka anche Havel viene arrestato perché incriminato di sovvertimento della
repubblica per aver inviato la Lettera a Husák e per aver contribuito alla fondazione
di Charta '77. Resterà in carcere fino a maggio, mentre i mass media cecoslovacchi
attivano una campagna di diffamazioni sul suo conto, finché, pressato dalle minacce,
si dimette dall'incarico di portavoce. Ad ottobre viene processato con l'accusa di
danneggiamento degli interessi della repubblica cecoslovacca all'estero, la condanna è
di 14 mesi, con la condizionale a 3 anni. Fondamentale in questi anni la presenza di
Olga, più che in passato. Egli stesso dice:
in quanto unico rappresentante del mondo reale a cui si può scrivere, unico che si può di tanto in tanto
vedere per un momento, e che quindi rappresenta il proprio mondo reale, quale centro di esso, sovrano
e punto fisso, diventa alla fine necessariamente l’unico punto di fuga di tutte le speranze e l’unica
15
Charta 77, cinque anni di non consenso, CESO outprints, Bologna, 1982, p. 4.
16
ivi, p. 19.
14