della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo come parametro
di riferimento della disciplina processuale penale in tema di intercettazioni
telefoniche (cap. I, par. 1.2).
Analizzando l’art. 15 Cost., si evidenzierà come la pregnanza della
garanzia costituzionale si palesa nel rigore che caratterizza le norme dettate
dal codice penale in ordine ai delitti contro l’inviolabilità dei segreti: con
l’espressione intercettazioni private si descrive un’ipotesi che, sebbene
ascrivibile al concetto empirico di intercettazione, non è sovrapponibile a
quello dettato dal codice di rito: l’improvvisato intercipiens, ricorrendone i
presupposti, incorrerà in sanzioni penali per violazione, ad esempio degli
artt. 615-bis e 617 ss. c.p. (cap. I, par. 1.4); ci si soffermerà poi sul tema
della privacy: l’evoluzione normativa registratasi in tale settore impone di
esaminare il fondamento e l’esatta delimitazione di questa posizione
soggettiva, nella prospettiva dei potenziali profili di interferenza con il
diritto processuale (cap. I, par. 1.5).
Verrà affrontato il tema dell’acquisizione dei dati esteriori alle
comunicazioni sottoposto per un decennio a ripetuti interventi della Corte
costituzionale e del giudice di legittimità. Si cercherà di trovare una risposta
all’annoso quesito se i dati esteriori di un colloquio telefonico godono
anch’essi della tutela predisposta dall’art. 15 Cost. o, viceversa, la
disposizione è dettata soltanto per il contenuto delle comunicazioni. (cap. II,
par. 2.2).
Nel capitolo II, si parte da una definizione giurisprudenziale
dell’istituto (cap. II, par. 2.1) - mancandone una a livello legislativo –
secondo la quale l’intercettazione “rituale” «consiste nell’apprensione
occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una
comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti,
estranei al colloquio1». Le Sezioni unite, affermano che, per rientrare nella
1
Cass. pen., Sez. un., 28 maggio 2003, in Dir. pen. proc.,2004, 69.
II
disciplina codicistica, l’intercettazione richiede, per essere qualificata come
tale, una serie di requisiti:
- deve esserci il preciso intento, tra i soggetti che comunicano, di
escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo
modalità tali da tenere quest’ultima segreta;
- l’utilizzazione di strumenti tecnici di percezione,
particolarmente invasivi ed insidiosi, idonei a superare le cautele
elementari che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del
colloquio e a captarne i contenuti;
- l’assoluta estraneità al colloquio del soggetto captante che, in
modo clandestino, consenta la violazione della segretezza.
Partendo da questa definizione, l’obiettivo dell’elaborato è quello di
ricostruire la disciplina dell’istituto, analizzando gli artt. 266 ss., così come
interpretati dai giudici di legittimità: ci si soffermerà sulla analisi dei
soggetti attivi (cap. II, par. 2.3) per poi prendere atto della mancanza di una
definizione dei soggetti passivi nei cui confronti è possibile effettuare le
intercettazioni: si potrà rilevare un’evidente asimmetria in cui è incorso il
legislatore, per cui alla precisa determinazione degli operatori non fa
riscontro, dal lato passivo, un’esplicita delimitazione soggettiva (cap. II,
par. 2.4); nell’ultimo paragrafo del capitolo II, si affronterà il tema delle
intercettazioni telefoniche eseguite nei confronti dei parlamentari: in
particolare ci si soffermerà sulla disciplina delle intercettazioni indirette
prevista dalla legge 20 giugno 2003, n. 140 (cap. II, par. 2.5).
Nel capitolo III, si inizierà ad analizzare la disciplina processualistica
ex art. 266 ss. c.p.p., sempre nell’interpretazione datane dai giudici di
legittimità: in primo luogo verrà analizzato l’art. 266 c.p.p. in tema di limiti
di ammissibilità, per poi affrontare il tema delle intercettazioni per la
ricerca del latitante (art. 295, comma 3, c.p.p.) e le intercettazioni
preventive (Art. 226 disp. att. c.p.p.) le quali non sono riconducibili
III
all’istituto contemplato dagli artt. 266 ss. c.p.p., in quanto orientati al
perseguimento di finalità diverse da quella investigativa (cap. III, par. 3.1);
verrà analizzato l’art. 266-bis, in tema di intercettazioni di comunicazioni
informatiche o telematiche: norma ancora poco applicata (cap. III, par. 3.2);
si affronteranno i presupposti del provvedimento così come interpretati
nella giurisprudenza dei giudici di legittimità (cap. III, par. 3.3), per poi
passare alla disciplina della richiesta di utilizzo di questo mezzo di ricerca
della prova, soffermandosi, in particolare, sul provvedimento di
autorizzazione del g.i.p.: il decreto motivato e i contrasti giurisprudenziali
sulla prassi di ricorrere a motivazioni per relationem (cap. III,
rispettivamente parr. 3.4 e 3.5); verrà analizzata la disciplina di cui all’art.
267, comma 2, in tema di intercettazione urgente (cap. III, par. 3.6); ci si
soffermerà negli ultimi paragrafi del capitolo III, da un lato, sulla modalità
e la durata delle operazioni ex art. 267, comma 3, prendendo in esame due
pronunce della Corte di cassazione che affrontano il tema delle modifiche
della sim card (par. 3.7), dall’altro, sulla disciplina del registro di cui all’art.
267, comma 5, c.p.p. (par. 3.8).
La fase propriamente esecutiva delle operazioni captative verrà
analizzata nel capitolo IV, ponendo al centro della trattazione, forse uno dei
temi più caldi e irrisolti dell’intera disciplina: l’utilizzazioni di impianti
diversi da quelli installati nella procura della Repubblica di cui all’art. 268,
comma 3, c.p.p. (cap. IV, par. 4.2). Verranno presi in esame gli altri commi
dell’articolo che disciplina l’esecuzione delle operazioni: la registrazione
delle comunicazioni e il contenuto del verbale ex art. 89 disp. att. c.p.p.
(par. 4.1); il deposito di verbali, registrazioni e il potere di segretazione di
cui all’ art. 268, quinto comma, c.p.p. (par. 4.3); lo stralcio delle
registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione di cui all’art. 268,
comma 6 c.p.p.(par. 4.5); la trascrizione delle informazioni da acquisire,
osservando le regole sulla perizia e l’ art. 268, settimo comma, c. p. p. in
IV
combinato disposto con l’art. 431 c. p. p. (rispettivamente par. 4.6 e 4.7).
Il capitolo V prenderà in esame le possibili destinazioni del materiale
intercettato: la distruzione della documentazione che non sia necessaria per
il procedimento, possibilità prevista al secondo periodo del comma 2
dell’art. 269 c.p.p., a tutela della riservatezza degli interessati (par. 5.1);
l’utilizzazione del materiale intercettato come prova nel dibattimento (par.
5.2); l’utilizzazione del medesimo in altri procedimenti ex art. 270 c.p.p.
ovvero l’utilizzazione delle intercettazioni in contesti pre-dibattimentali,
quando il p.m. si serve del materiale a supporto della sua richiesta di misura
cautelare ex art. 291, comma 1, c.p.p. (rispettivamente par. 5.3 e 5.4).
La disciplina dell’inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p., troverà trattazione
nel capitolo VI (parr. 6.1, 6.2 e 6.3); in conclusione del capitolo citato verrà
analizzata la legge 20 novembre 2006, n. 281, soffermandosi in particolare
sul regime dell’inutilizzabilità previsto dal novellato art. 240 c. p. p. (par.
6.4).
L’elaborato si concluderà con una breve considerazione sul regime
delle prove atipiche di cui all’art. 189 c.p.p.(cap. VII, par. 7.1), per poi
analizzare due recenti mezzi investigativi, che presentano elementi di
affinità con le intercettazioni ex art. 266, ss. c.p.p.: da un lato, le
videoregistrazioni (par. 7.2 e 7.3); dall’altro il pedinamento elettronico (par.
7.4).
V
CAPITOLO I
La tutela dell’individuo. Inviolabilità della sua sfera personale.
1.1 L’art. 15 Cost. nell’interpretazione della Corte costituzionale.
L’art. 15 della Costituzione1 dichiara inviolabili la libertà e la
segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione,
disponendo che la loro limitazione può avvenire “soltanto per atto motivato
dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”. Il Costituente
ha imposto una duplice riserva, di legge e di giurisdizione a tutela delle
“inviolabili” libertà e segretezza delle comunicazioni2 ; viene così attribuito
al legislatore il monopolio normativo in subiecta materia e all’autorità
giudiziaria il potere, tendenzialmente esclusivo, in ordine alla valutazione
dei presupposti per l’adozione di atti, debitamente motivati, su di essa
incidenti.
La locuzione “con le garanzie stabilite dalla legge”, usata dall’art. 15,
comma 2, Cost. non equivale all’espressione “nei soli casi e modi stabiliti
1
Art. 15 Cost. : La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di
comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie
stabilite dalla legge.
2
Secondo CAPRIOLI, Colloqui riservati e prova penale, Torino, 2000, p. 60, la segretezza delle
comunicazioni e l’inviolabilità del domicilio ( vd. infra,paragrafo 1.3 ), tutelati rispettivamente
dagli artt. 15 e 14 Cost. , «concorrono nell’assicurare all’individuo un più generico diritto
costituzionale all’inacessibilità (o intimità) della propria sfera privata, da intendersi come diritto a
coltivare la propria personalità in ambiti spirituali (la comunicazione riservata) e spaziali (il
domicilio) sottratti all’ascolto e all’osservazione degli estranei ».
1
dalla legge” (contenuta nell’art. 13 Cost.3 e alla quale l’art. 14 Cost.4
rinvia), ma sembra implicare qualcosa di più: «oltre le garanzie consistenti
nelle riserve anzidette, in se stesse considerate, altre debbono essere istituite
dalla legge5».
La valenza garantistica della normativa in esame è stata ulteriormente
valorizzata dalle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, in tema di
intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, cui si deve la
enucleazione di margini di tutela che assurgono a condizioni necessarie di
legittimità della legge ordinaria. Una celebre sentenza della Corte
costituzionale6 ricavò dall’art. 24 Cost. e dai princìpi generali del processo
3
Art. 13 Cost. : La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi
altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli
casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di
pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro
quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto
ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
4
Art. 14 Cost. : Il domicilio è inviolabile.
Non vi possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla
legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e
fiscali sono regolati da leggi speciali.
5
Così in, FILIPPI, L’intercettazione di comunicazioni, Milano, 1997, p.42; MAZZIOTTI DI CELSO,
Lezioni di diritto costituzionale, parte II, Milano, 1985, p. 261. Concorde MARINELLI,
Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Torino, 2007, p. 69: “il raffronto
tra l’art. 15, comma 2 e l’art.13 Cost. in tema di libertà personale suggerisce, inoltre, una tutela
più assorbente. L’espressione usata dalla prima disposizione, infatti nel riferirsi alle garanzie
stabilite dalla legge sembra alludere ad un quid pluris rispetto alla mera predeterminazione dei casi
e dei modi nei quali si ammette la compressione del valore tutelato”.
6
Corte cost. 6 aprile 1973, n. 34, in Giur. Cost., 1973, I, p.340. Nella fattispecie concreta il
tribunale di Bolzano dopo aver rilevato che uno dei principali indizi a carico degli imputati era
stato acquisito nel corso delle indagini preliminari mediante intercettazione – regolarmente
autorizzata dalla procura della Repubblica – dell’apparecchio telefonico dell’albergo dove si
sospettava che avvenissero gli incontri organizzati dagli imputati, pronunciava ordinanza con la
quale, in accoglimento della richiesta dei difensori, sollevava la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 226, ultimo comma, c.p.p. (abrogato), in relazione agli artt. 15 e 24 Cost.
Ad avviso del giudice a quo l’intercettazione telefonica di comunicazioni era un mezzo di indagine
lesivo della facoltà riconosciuta anche a chi sia soltanto indiziato o sospettato di reato, di non
rispondere agli interrogatori degli inquirenti: mediante l’intercettazione vengono ricavate dalla
viva voce dell’ indiziato ammissioni o argomenti di prova che possono poi essere utilizzati contro
lo stesso.
2
penale regole che rimanevano implicite nel codice7; la Consulta in quella
occasione affermò che l’eccezione di incostituzionalità in riferimento
all’art. 15 Cost. era infondata: « la norma non si limita a proclamare
l’inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra
forma di comunicazione, ma enuncia che la loro limitazione può avvenire
soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite
dalla legge. Nel precetto costituzionale trovano perciò protezione due
distinti interessi: quello inerente alla libertà e alla segretezza delle
comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità
definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di
prevenire e reprimere i reati, vale a dire un bene anch’esso oggetto di
protezione costituzionale, (…) la compressione del diritto alla riservatezza
delle comunicazioni telefoniche, che l’intercettazione innegabilmente
comporta, non resta affidata all’organo di polizia ma si attua sotto il diretto
controllo del giudice »; il rispetto dell’art. 15 Cost. si ha nel lasciare al
magistrato il contemperamento dei due interessi costituzionali protetti,
accertando se ricorrono effettive esigenze che legittimano simile mezzo di
ricerca della prova e se sussistono fondati motivi per ritenere che mediante
lo stesso possono essere acquisiti risultati positivi per le indagini in corso.
La Corte costituzionale nella sentenza in esame afferma che altre
garanzie sono richieste per il rispetto della norma costituzionale: il giudice
deve dare “adeguata e specifica motivazione del provvedimento
autorizzativo”; il decreto di autorizzazione “deve stabilire la durata delle
intercettazioni”; ogni proroga deve essere giustificata da una motivata e
7
Secondo CAMON, Le intercettazioni nel processo penale, Milano, 1996, pp. 3 ss., il grande merito
della Consulta fu di rimediare in via interpretativa a quello che in dottrina, era stato ritenuto un
serio difetto dell’art. 15 Cost. : imporre al legislatore la fissazione di “garanzie”, senza specificare
quali esse siano. La Corte, oltre a chiarire i parametri che dovevano guidare l’autorità giudiziaria
nella decisione sul provvedimento autorizzativo, si impegnò in una difficilissima ricostruzione
dell’intero istituto, volta ad individuare quali, fra le possibili cautele, dovessero essere considerate
come doverose ( tanto il codice di rito del 1913 quanto quello del 1930, rispettivamente agli artt.
170 comma 3 e 226 comma 3, consentivano agli organi di polizia giudiziaria interventi di propria
iniziativa incidenti sulla libertà e segretezza delle comunicazioni).
3
concreta esigenza; la necessità di “servizi tecnici” idonei a far si che
l’autorità giudiziaria possa controllare in fatto che si proceda solo alle
intercettazioni autorizzate e nei limiti dell’autorizzazione, sul punto invita il
legislatore a realizzare opportuni interventi legislativi; garanzie “di ordine
giuridico”, attinenti al controllo della legittimità del decreto di
autorizzazione e ai limiti entro i quali il materiale raccolto attraverso questo
strumento d’indagine possa essere utilizzato come prova nel dibattimento8.
La Suprema Corte in successive riprese ha individuato i parametri ai
quali il legislatore doveva attenersi per regolare la materia9: in una
pronuncia del 199110 si afferma che il diritto tutelato dall’art. 15. Cost.
rientra tra i valori supremi costituzionali tanto da essere qualificato come
“diritto inviolabile”, viene sottolineata la stretta attinenza di tale diritto al
nucleo essenziale dei valori della personalità «che inducono a qualificarlo
8
La Consulta, inoltre dichiara infondato il motivo d’incostituzionalità riferito all’art.24, comma 2,
Cost sul quale prevalentemente si sofferma l’ordinanza di rimessione del giudice a quo: «il
richiamo alla garanzia del diritto di difesa, in collegamento con la facoltà oggi riconosciuta
all’imputato di serbare il silenzio dinanzi all’autorità giudiziaria o all’ufficiale di polizia
giudiziaria interrogante non è affatto pertinente alla ipotesi di indagine preliminare all’istruttoria
effettuata col mezzo delle intercettazioni telefoniche che viene in considerazione». Il diritto a non
rispondere secondo la Corte costituzionale è riferito unicamente all’ipotesi in cui l’inquisito viene
posto in contatto diretto con l’autorità procedente; la ratio è quella «di rafforzare la libertà morale
dell’imputato per sollevarlo dallo stato di soggezione psicologica in cui possa venire a trovarsi a
cospetto dell’autorità e per porlo a riparo da eventuali pressioni che su di lui possono essere
esercitate». Durante l’intercettazione telefonica il soggetto non è posto a confronto diretto con
l’autorità e non può subire pressioni. Nello stesso senso, Cass. pen., sez VI, 1 febbraio 1994, in
Giust. Pen., 1994, III, c. 488 (solo massima): «in materia di intercettazioni telefoniche non trovano
applicazione gli art. 62 e 63 c.p.p., in quanto le ammissioni di circostanze indizianti, fatte
spontaneamente dall'indagato nel corso di una conversazione telefonica la cui intercettazione sia
stata ritualmente autorizzata, non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese nel corso
dell'interrogatorio dinanzi all'autorità giudiziaria o a quella di polizia giudiziaria, nè le
registrazioni e i verbali delle conversazioni telefoniche sono riconducibili alle testimonianze "de
relato" sulle dichiarazioni dell'indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle
dichiarazioni stesse di cui rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto».
Secondo la dottrina nella disciplina delle intercettazioni si incontrano “istanze e valori
confliggenti: da un lato, l’esigenza di un’efficace azione repressiva del crimine; dall’altro, la
segretezza della corrispondenza, cioè un diritto che l’art. 15 Cost. colloca all’apice del nostro
ordinamento”. Si afferma che l’istituto sia caratterizzato da un’irrimediabile antinomia: “pur
collocandosi all’interno di un sistema processuale che garantisce il principio nemo tenetur se
detegere punta essenzialmente a catturare inconsapevoli confessioni”. Così in CONSO–GREVI,
Commentario breve al c.p.p., Padova, 2005, p. 267.
9
Le sentenze trattate in questo capitolo saranno esaminate in riferimento all’art. 15 Cost., per gli
ulteriori profili rilevanti si rinvia ai capitoli ss.
10
Corte. cost., 23 luglio 1991, n. 361, in Cons. Stato, 1991, II, 1321.
4
come parte necessaria di quello spazio vitale che circonda la persona senza
il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della
dignità umana, questo comporta una duplice caratterizzazione della sua
inviolabilità: in base all’art. 2 Cost., il diritto a una comunicazione libera e
segreta è inviolabile, nel senso generale che il suo contenuto essenziale non
può essere oggetto di revisione costituzionale, in quanto incorpora un valore
della personalità avente un carattere fondante rispetto al sistema
democratico voluto dal Costituente; in base all’art. 15 Cost., lo stesso diritto
è inviolabile nel senso che il suo contenuto di valore non può subire
restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’
inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario
costituzionalmente rilevante». La Corte costituzionale è consapevole che il
mezzo delle intercettazioni telefonica sia dotato di “formidabile capacità
intrusiva”, “uno strumento estremamente penetrante, in grado di invadere
anche la privacy di soggetti terzi”, per questo è necessario che sia
sottoposto a condizioni di validità «particolarmente rigorose, commisurate
alla natura indubbiamente eccezionale dei limiti opponibili a un diritto
personale di carattere inviolabile, quale la libertà e la segretezza delle
comunicazioni».
Nel giudizio di legittimità11 dell’art. 266 c.p.p. in riferimento all’art.
15 Cost., la Suprema Corte, afferma che la disciplina contenuta nel capo IV,
titolo III, libro III, del codice di procedura penale costituisce “un’attuazione
per via legislativa” dei princìpi affermati negli anni dalle sentenze della
stessa Corte e che rispetto alle norme del codice di rito previgente12, viene
stabilita dal legislatore una disciplina complessiva delle intercettazioni
11
Corte cost. 11 marzo 1993, n. 81, in Foro It., 1993, I, 2133; Cons. Stato, 1993, II, 389; Cass.
Pen, 1993, 2471. Vd. anche Corte cost. 17 luglio 1998, n. 281, in Cons. Stato, 1998, II, 1026;
Giur. costit., 1998, 2167.
12
L’istituto appare per la prima volta nel codice del 1913 (artt. 170 e 238). Il codice del 1930 lo
ripropone all’ art. 226: Gli ufficiali di polizia giudiziaria, per i fini del loro servizio, possono
accedere agli uffici o impianti telefonici di pubblico servizio per trasmettere, intercettare o
impedire comunicazioni, prenderne cognizione o assumere altre informazioni.
5
telefoniche «in relazione ai poteri d’indagine a fine di repressione penale e
alla loro utilizzabilità come mezzi di prova in giudizio»; viene sottolineato
che il particolare rigore delle garanzie previste dagli artt. 266 ss. c.p.p.
intende far fronte «alla formidabile capacità intrusiva posseduta dai mezzi
tecnici usualmente adoperati per l’intercettazione delle comunicazioni
telefoniche, al fine di salvaguardare l’inviolabile dignità dell’uomo da
irreversibili e irrimediabili lesioni».13
In una pronuncia14 del 1994 al vaglio della Corte Costituzionale è l’art.
269 15, secondo comma, c.p.p., viene riaffermato il necessario
bilanciamento di due interessi contrapposti: la segretezza e le esigenze
investigative. Nella motivazione si evidenzia che per salvaguardare il
diritto inviolabile tutelato dagli artt. 2 e 15 Cost., di fronte a un intervento
fortemente intrusivo, come quello realizzato dalle intercettazioni
telefoniche, il legislatore ha stabilito all’art. 269, comma 2, c.p.p. due
principi fra loro complementari: «nella prima proposizione ha disposto che
le registrazioni delle intercettazioni ritenute necessarie per il procedimento
debbono essere conservate fino alla sentenza non più soggetta a
impugnazione; nelle restanti proposizioni ha statuito che, per quanto
riguarda le intercettazioni non ritenute necessarie per il procedimento gli
interessati possono chiederne la distruzione a tutela della loro riservatezza»,
13
La prevalente dottrina, verificando la conformità della disciplina delle intercettazioni al dettato
costituzionale, ha rilevato un adeguamento solo parziale a tali parametri con il conseguente
prevalere delle istanze repressive su quelle garantistiche, cfr. CAMON, Le intercettazioni, op. cit,, p.
6 s.: secondo l’autore ai lavori preparatori per il nuovo codice di procedura penale, si arriva con
«la pesante eredità di una disciplina cresciuta a strati» e segnata da un’involuzione in senso
autoritario legata agli anni di piombo. Inizia alla fine degli anni ’80, per proseguire negli anni ’90 e
arrivare fino ai giorni nostri, un diverso rapporto degli inquirenti con l’intercettazione: la
captazione segreta di colloqui riservati era diventata un punto di partenza delle indagini.
14
Corte cost. 30 dicembre 1994, n.363, in Giur. Cost, 1994, f.6, Cons. Stato, 1994, II, 1891.
15
Art 269, comma 2, c.p.p. (Conservazione della documentazione): Salvo quanto previsto dall’
articolo 271, comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a
impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il
procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha
autorizzato o convalidato l’intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma
dell’art. 127.
6
in questo caso, il giudice procederà a norma dell’art. 127; la Corte conclude
affermando che, se non si applicasse il rito camerale ad una richiesta di
distruzione, qualunque sia la motivazione addotta dal p.m. , si
sacrificherebbe il diritto delle parti a essere sentite «riguardo all’eventuale
utilità di uno strumento probatorio, acquisito con sacrificio della propria
sfera di riservatezza, sul quale in futuro, in caso di riapertura delle indagini,
potrebbe fondarsi, un giudizio di non colpevolezza a proprio vantaggio».
Con la sentenza n. 63 del 199416, l’art. 15 Cost. diviene il parametro
per dichiarare manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 270 c.p.p., comma 1, sollevata dal giudice a quo,
nella parte in cui consente l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in
altri procedimenti solo limitatamente ai casi in cui “risultino indispensabili
per l’accertamento di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza”. La
Corte afferma che una trasformazione della disciplina tale da permettere la
piena utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni nell’ambito di
procedimenti penali diversi da quello per il quale le stesse sono state
validamente autorizzate, sarebbe «apertamente contrastante con le garanzie
poste dall’art.15 Cost. a tutela della libertà e della segretezza delle
comunicazioni, dal momento che trasformerebbe l’intervento del giudice,
richiesto (dal dettato costituzionale) per l’irrogazione in concreto di
restrizioni alla predetta libertà, in un’inammissibile autorizzazione in bianco
a disporre le intercettazioni, con conseguente lesione della sfera privata
legata al riconoscimento del diritto inviolabile di libertà di comunicazione a
al connesso dovere di riservatezza incombente su tutti coloro che per
ragioni d’ufficio vengano a conoscenza di fatti inerenti a quella sfera».
In una pronuncia del 200417 al vaglio della Corte costituzionale è l’art. 268.
16
Corte cost. 24 febbraio 1994, n 63, in Cass. pen, 1994, 1477; Cons. Stato, 1994, II, 1891.
17
Corte cost. 27 luglio 2004, n. 275, in Dir. Pen. e Processo, 2004, 1349. Sullo stesso argomento
Corte cost. 17 luglio 2001, n. 259, Giur. costit., 2001, f. 4; Corte cost. 2004, n 248; Corte cost. 6
luglio 2004, n. 209, in Dir. Pen e Processo, 2004, 1077. Le sentenze verranno esaminate nei
capitoli ss.
7
comma 3, c.p.p.: il giudice a quo chiedeva di inserire in via additiva uno
specifico meccanismo di controllo giurisdizionale sulle modalità di
esecuzione delle operazioni di intercettazione: in particolare per quanto
attiene alla congruità della motivazione del provvedimento del p.m. che
autorizza l’impiego di impianti diversi da quelli installati presso la procura
della Repubblica; la Consulta ritenendo manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale afferma nella motivazione che
«l’intervento richiesto implica una manipolazione del vigente sistema
processuale a carattere marcatamente creativo». Nel sistema previgente era
stata la medesima Corte, a richiedere come necessaria garanzia, nel rispetto
dell’art. 15 Cost., una disciplina normativa relativa alla predisposizione
materiale dei servizi tecnici che assicurasse un controllo di fatto sulle
operazioni di intercettazione autorizzate e solo nei limiti
dell’autorizzazione. L’art. 268, comma 3, c.p.p. prescrive di compiere le
intercettazioni “esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella
procura della Repubblica”, ma nel periodo seguente stabilendo che “quando
tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni
di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento
motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico
servizio o in dotazione della polizia giudiziaria”, la norma collide con l’art.
15 Cost., in quanto attribuisce il controllo sull’esecuzione delle
intercettazioni al p.m.
La prevalente dottrina lamenta lacune e poche garanzie nella
disciplina contenuta nel capo IV, titolo III, libro III, del codice di
procedura. Si afferma a più riprese che solo alcune delle garanzie enunciate
dalla Corte costituzionale nella sentenza del 1973 sono state attuate dal
legislatore, altre sono state disattese: «non viene precisato che il ricorso a
questo strumento deve essere considerato, l’extrema ratio alla quale
ricorrere soltanto quando gli altri mezzi d’indagine sono risultati inefficaci
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ed è impossibile ottenere aliunde le informazioni necessarie per
l’investigazione del reato18»; alcuni dei reati indicati dall’art. 266 c.p.p. non
vengono considerati di una gravità tale da giustificare l’utilizzazione di
questo mezzo di ricerca della prova, per cui si è ripetutamente osservato
come la legge sacrifichi eccessivamente il diritto alla segretezza delle
comunicazioni, laddove estende la possibilità di servirsi di questo strumento
per i reati di ingiuria, minaccia, molestia o disturbo alle persone col mezzo
del telefono ai sensi dell’art. 266, comma 1, lett. f) c.p.p.; viene evidenziato
come al giudice non è consentita alcuna commisurazione del quantum di
compressione di tale valore in funzione della gravità del reato e delle
esigenze investigative emerse nel procedimento, non essendo possibile
circoscrivere l’impiego degli strumenti o delle modalità più invasive ai casi
di maggior rilievo19; ulteriori critiche riguardano il fatto che la legge non
prevede alcun mezzo d’impugnazione avverso il provvedimento che decide
sulla richiesta di limitare la segretezza delle comunicazioni, una parte della
dottrina auspica il riconoscimento anche al difensore del diritto di
richiedere al giudice l’intercettazione di comunicazioni, prevedendo altresì
l’impugnabilità del provvedimento di rigetto20.
La Corte costituzionale come si può notare dalle sentenze esaminate, è
stata ripetutamente chiamata ad affrontare numerosi dubbi di
costituzionalità della disciplina delle intercettazioni di conversazioni e
comunicazioni. Nelle sue motivazioni si è sempre appellata all’esigenza di
un contemperamento tra due contrapposti interessi: da un lato, la tutela di
un diritto inviolabile e essenziale, quale quello della libertà e segretezza di
una conversazione; dall’altro, tutelare l’amministrazione della giustizia, la
18
Così in FILIPPI, L’intercettazione, op. cit, p. 49.
19
PANSINI, Relazione conclusiva al Convegno di Osimo del 10-12 marzo 1994, in Arch. Pen., 1994,
p.157. Secondo l’Autore, tale condizione andrebbe ponderata empiricamente ovvero «in relazione
al caso, non al reato in astratto, dovendo essere il singolo caso a fornire l’indicazione della
proporzione tra questa limitazione della libertà personale e la necessità dell’accertamento».
20
PANSINI, Relazione, op. cit. p. 159.
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repressione dei reati, le esigenze investigative che non possono fare a meno
di uno strumento così potente, al punto da poter sacrificare uno dei principi
fondamentali del sistema accusatorio: quello del “nemo tenetur se
detegere”.
1.2 (segue). Le intercettazioni telefoniche nella giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo.
L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali21, resa esecutiva nel nostro
ordinamento con la legge 4 agosto 1955, n. 848, riconosce ad ogni
individuo “il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo
domicilio e della sua corrispondenza”; il comma 2 dispone che “non può
esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non
in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una
misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza
nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la
prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la
protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
21
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
firmata il 4 novembre 1950, attribuisce sia competenze alla Corte europea, quale organo
giudiziario cui si rivolgono gli Stati e gli individui che lamentino la violazione dei diritti e libertà
in essa contenuti (artt. 2-18), sia al Comitato dei ministri, quale organo esecutivo avente il compito
di sorvegliare che le sentenze della Corte siano rispettate. Il profilo più rilevante della
Convenzione è quello che garantisce alla persona, una volta esaurite le vie del ricorso interno, la
legittimazione processuale a far valere la violazione di un diritto (art. 34). Al diritto sostanziale
corrisponde dunque il diritto processuale o di azione idoneo a farlo valere autonomamente, e
direttamente, così assicurando quella piena giustiziabilità del diritto stesso, assente in altri
strumenti internazionali. Per un’analisi della tutela internazionale dei diritti umani vd. NASCIMBENE,
L’individuo e la tutela internazionale dei diritti umani, in Istituzioni di diritto internazionale,
Torino, 2003. p.337 ss.
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