2
e l’art 24/1 (tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti o interessi
legittimi) in relazione all’art.113 (contro gli atti della P.A. è sempre ammessa la
tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi davanti agli organi di
giurisdizione ordinaria o amministrativa, tutela che non può essere esclusa o
limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; la
legge determina anche quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti
della Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge). Da
esso discende il principio di tipicità che a sua volta fonda l’esecutorietà del
provvedimento amministrativo.
Il principio di imparzialità che secondo la dottrina più evoluta va inteso come
esigenza di considerare e contemperare tutti gli interessi al fine di armonizzare
l’interesse pubblico con le altre posizioni soggettive tutelate dall’ordinamento
2
è
stato arricchito di contenuti particolari dalla legge 241/90 sul procedimento
amministrativo e viene in questione in questo contesto soprattutto come divieto di
favoritismi.
Il principio di buona amministrazione (o buon andamento), anch’esso
specificato dalla legge 241/90, si collega a finalità di efficacia, economicità,
efficienza, speditezza, contemperamento degli interessi.
Il principio di legalità individua limiti negativi all’attività di diritto privato della
Pubblica Amministrazione
3
; limiti positivi derivano dalla necessità di perseguire
interessi pubblici definiti dalla legge ma legati anche alla discrezionalità della
Pubblica Amministrazione, che tra diversi comportamenti leciti può scegliere il
più adatto al perseguimento di tali interessi: può cioè adattare la propria attività
alla realizzazione dell’interesse pubblico di cui è attributaria.
1
M.S. Giannini, “Diritto amministrativo”, vol. II, Milano, 1993, p.351 ss.
2
R. Marrama, “L’attività consensuale della P.A.”, in “Diritto amministrativo” (AA.VV.), Bologna,
1998, p.405.
3
M.S. Giannini, “Diritto amministrativo”, vol. I, Milano, 1993, p. 89.
3
Si può dunque sostenere, come ritiene la maggior parte della dottrina, che
obbiettivi di pubblico interesse possano essere perseguiti, oltre che con atti
amministrativi, anche con atti giuridici disciplinati dal codice civile: la Pubblica
Amministrazione potrebbe infatti, in esercizio del proprio potere discrezionale,
sostituire il procedimento amministrativo e il provvedimento conclusivo con
negozi di diritto privato ogniqualvolta ne ravvisi l’utilità
4
.
Questo tipo di attività è molto diffuso e presenta indubbi vantaggi collegati alla
maggiore flessibilità degli strumenti di diritto privato rispetto a un’azione basata
sull’impiego di atti unilaterali che sono espressione di poteri giuridici
normativamente previsti e sottostanno a vincoli procedimentali e teleologici.
Esistono tuttavia diverse critiche e riserve in dottrina che riguardano vari aspetti di
questo fenomeno. In primo luogo si sottolineano gli inconvenienti della c.d.
attività “provvedimentale concertata” (es.: accordi procedimentali previsti dalla
L.241/90, la quale contempla anche un obbligo di risarcimento in capo alla
Pubblica Amministrazione che non rispetti le condizioni previste; accordi
sostitutivi, accordo di programma ex art 27 l.142/90, convenzioni di lottizzazione
ecc.), ritenuta fonte di confusione di situazioni giuridiche soggettive non
omogenee (diritti soggettivi e interessi legittimi).
Più in generale, con riferimento all’attività propriamente negoziale, vengono
ipotizzati rischi di elusione dei controlli sulla rispondenza dell’agire della
Pubblica Amministrazione ai suoi fini istituzionali che non hanno contenuto
patrimoniale come la realtà regolata da norme di diritto privato, e sul rispetto del
principio di legalità, nonché rischi di compromissione della correttezza
dell’operare della Pubblica Amministrazione con conseguente possibilità di
4
R. Marrama, “L’attività consensuale della P.A”, in “Diritto Amministrativo” (AA.VV.),
Bologna, 1998, p.1563.
4
compromissione di valori costituzionalmente garantiti come il principio di
uguaglianza
5
.
Infatti l’atto di diritto privato non può essere condizionato nella sua validità alla
rispondenza a pubblici interessi né questa validità può collegarsi al procedimento
amministrativo, se non con riferimento alla disciplina dei vizi della volontà., la cui
presenza rende il contratto annullabile.
Peraltro da questo punto di vista non c’è assoluta unanimità: è stata infatti
prospettata la possibilità di fondare sull’art 1418 del c.c. il principio di invalidità
del contratto concluso da un ente pubblico in violazione dei fini ad esso imposti
dalla legge, in quanto questa norma permetterebbe di attribuire rilevanza, anche in
campo privatistico, al carattere di “funzione” dell’attività amministrativa
6
,dal
momento che stabilisce la nullità per contrarietà a norme imperative. Si sostiene
anche la possibilità di verificare in ogni caso la rispondenza dell’atto allo scopo,
che prescinde dai singoli motivi
7
.
In realtà, se si vuole pervenire alla soluzione dei dubbi prospettati circa l’idoneità
di soggetti di diritto pubblico a porre in essere attività di natura privatistica,
bisogna considerare aspetti ulteriori e più generali discostandosi da uno studio
incentrato sull’atto amministrativo, per evidenziare l’aspetto dinamico della
realizzazione del pubblico interesse, che può avvenire secondo schemi e categorie
risultanti da una commistione di pubblico e privato funzionale alla necessità di
comporre specifici assetti di interessi e realizzare esigenze contingenti
8
.
5
Johansen, “La società contrattuale e l’inefficienza della contrattazione”, in Marrama, “L’attività
consensuale della P.A.”in “Diritto amministrativo” (AA.VV.), Bologna, 1998, p.1560.
6
Dugato, “Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti”, Milano, 1996,
p.65 ss.
7
Marzuoli, “Principio di legalità e attività di diritto privato della P.A.”, Milano, 1982, p.164.
8
F. Caringella, “I contratti della P.A.”, in Marrama, da “Diritto amministrativo”, Bologna, 1998,
p.553.
5
Così, con riferimento all’attività definita “provvedimentale concertata” si può
constatare come il raggiungimento di intese, anche con soggetti che non sono
favoriti dal provvedimento, si collegano a una prospettiva sociologica di
accettazione degli atti da parte dei soggetti amministrati e a una prospettiva di
composizione di interessi che trova una sede nel procedimento amministrativo,
considerata anche la crescente frammentazione dell’interesse pubblico.
Quanto alla possibilità di perseguimento di interessi pubblici con attività
contrattuale e ai relativi controlli, affinchè venga di fatto rispettato il disposto
dell’art 97 Cost. è necessario che la scelta del contraente sia caratterizzata da una
fase di evidenza pubblica, che è un particolare modo di formazione e conclusione
dell’accordo contrattuale applicabile a diversi tipi di contratti che la pubblica
amministrazione può concludere, e che può anche assumere l’aspetto della
“piccola evidenza”. L’evidenza pubblica consta di quattro fasi: deliberazione a
contrattare; scelta del contraente e conclusione del contratto (aggiudicazione);
approvazione (fatto costitutivo dell’efficacia del contratto, che ne rende possibile
l’esecuzione).
Segue quindi una fase ulteriore, detta di esecuzione, condizionata dal corretto
svolgimento delle fasi precedenti e disciplinata da norme di diritto privato ma che
contempla la presenza di speciali poteri della P.A..
Di conseguenza, anche l’attività contrattuale è condizionata al rispetto di norme di
diritto pubblico, essendo caratterizzata dalla contemporanea presenza di due
“serie” parallele
9
: la serie negoziale, in cui si svolgono i rapporti reciproci tra
contraenti, e la serie procedimentale, in cui si svolgono rapporti di controllo
interorganico o intersoggettivo.
Gli atti delle due serie sono reciprocamente indipendenti quanto a validità, ma
presentano un raccordo dal punto di vista dell’efficacia nel senso che alcuni atti
6
della serie procedimentale risultano permissivi o impeditivi rispetto a quelli della
serie negoziale, che risultano quindi regolati da norme di diritto civile per quanto
riguarda la perfezione, la validità e l’efficacia inter partes, mentre sono
condizionati da provvedimenti amministrativi per quanto concerne le
modificazioni e l’estinzione del rapporto costituito (fase di esecuzione).
In questa sede alla pubblica amministrazione sono riconosciuti poteri collegabili a
una situazione di doverosità per il perseguimento di obiettivi di pubblico
interesse.
Gli atti della serie procedimentale sono invece veri e propri procedimenti
amministrativi autonomi e che producono diversi effetti e tutelano diversi
interessi: la deliberazione svolge un ruolo organizzatorio perché evidenzia gli
obiettivi della P.A. e i percorsi prescelti per la loro realizzazione, produce tuttavia
effetti giuridici nei confronti dei terzi solo in casi prefissati, mentre le procedure
concorsuali servono a garantire il rispetto del principio di uguaglianza e
producono effetti nei confronti dei privati che hanno partecipato alla gara.
Nel rispetto di queste procedure i soggetti di diritto pubblico possono porre in
essere qualunque tipo di contratto, attivo o passivo; di organizzazione (es.:
contratti di lavoro, contratti di società) o attinente alla sfera patrimoniale
(es.:compravendita); di somministrazione, di opera o rivolto all’utilizzazione di
servizi ecc.
Pertanto, mentre il rispetto del principio di legalità può considerarsi, come già
detto, un limite “negativo” all’operare della Pubblica Amministrazione in campo
privatistico, l’evidenza pubblica ne rappresenta un limite “positivo”e teleologico,
perché esprime il vincolo della Pubblica Amministrazione al perseguimento del
pubblico interesse.
9
M.S. Giannini, “Diritto amministrativo”, Milano, 1993, vol. II, p.364.
7
Lo schema dell’evidenza pubblica serve ad assicurare la trasparenza del
comportamento della P.A., che in questo modo viene reso pubblico allo scopo di
permettere il controllo sulla congruità di questo comportamento al pubblico
interesse e il rispetto del principio di legalità.
La compresenza di situazioni giuridiche differenziate rappresenta un elemento di
notevole diversità rispetto al regime semplicemente privatistico di questi contratti,
e questa circostanza ha portato una parte della dottrina a rifiutare il concetto di
capacità giuridica generale di diritto privato della Pubblica Amministrazione
(affermando l’esistenza di un principio di specialità o funzionalità
10
), dal
momento che essa giunge alla definizione di un rapporto contrattuale con i privati
mediante decisioni assunte con procedimenti pubblicistici e sottoposte alla
disciplina degli atti amministrativi.
In effetti esistono differenze indubbie tra negozi di diritto privato conclusi tra
privati in condizione di parità e corrispondenti negozi in cui interviene un
soggetto pubblico, che comunque andrebbero precisate anche quando si voglia
parlare di “doppia capacità giuridica”, tenendo presente che la c.d. attività di
diritto privato della Pubblica Amministrazione è una fattispecie normativa
complessa e originale.
10
Tra i sostenitori più recenti di questa teoria Dugato, “Atipicità e funzionalizzazione nell’attività
amministrativa per contratti”, Milano, 1996, p 65 ss.
8
CAPITOLO I
LE FONTI E IL PROBLEMA DEL LORO COORDINAMENTO
Nell’esaminare le fonti della disciplina degli appalti pubblici di servizi, si può
senz’altro constatare come esse siano molteplici ed eterogenee, cioè individuabili
non solo nel diritto amministrativo interno, ma anche nel diritto comunitario e
internazionale, nonché nella normativa civilistica, a conferma del fatto che la
disciplina complessiva di questo tipo di contratti risulta da una commistione di
schemi e categorie e che non può essere compresa nella sua sostanza se non si ha
riguardo agli aspetti dinamici e al concreto atteggiarsi del pubblico interesse.
Va subito segnalato che questa stratificazione genera alcuni problemi di
coordinamento, sia dal punto di vista teorico (problemi relativi alla compatibilità
dei principi) che pratico.
9
1. La normativa comunitaria
La normativa comunitaria degli appalti consta prevalentemente di direttive, che
non sono immediatamente applicabili, essendo atti normativi che vincolano lo
Stato membro cui sono rivolte circa il risultato da raggiungere senza
compromettere la sua competenza circa la forma e i mezzi di ricezione (art. 189/3
Trattato di Maastricht del 7.02.1992, ratificato con legge 454/92 e entrato in
vigore il primo novembre 1993), a differenza dei regolamenti, direttamente
applicabili, e di pareri e raccomandazioni, privi di effetti vincolanti.
Questo sistema, reso opportuno dalla necessità di concedere un adeguato margine
di tempo per favorire il ravvicinamento graduale delle legislazioni, presenta
inconvenienti legati alla circostanza che non sempre gli atti normativi interni sono
idonei ad assicurare la realizzazione degli scopi della normativa europea, nonché
al ritardo nell’emanazione degli atti medesimi. Proprio a causa di questo ultimo
inconveniente è più volte intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Va comunque precisato che in alcuni casi l’applicabilità in via immediata delle
direttive sussiste e discende dal fatto che esse impongono meri comportamenti
negativi o si limitano a ribadire obblighi imposti dal Trattato, ovvero appaiono
talmente dettagliate e particolareggiate da escludere ogni forma di discrezionalità
degli Stati membri (principio dell’effetto diretto, che verrà esaminato più
analiticamente in seguito).
10
2. Il concetto di appalto di servizi nella direttiva 92/50, nel decreto di
recepimento 157/95 e nel codice civile
Nelle direttive comunitarie l’appalto in generale viene definito come un contratto,
stipulato in forma scritta, tra un imprenditore o prestatore di servizi o fornitore,
avente per oggetto un’opera pubblica, un servizio o una pubblica fornitura. Per
quanto concerne l’appalto di servizi, la più importante direttiva comunitaria è la
19 giugno 1992 n. 50, contenente “Norme per il coordinamento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti di servizi”.
L’art. 1 di questa direttiva qualifica come appalti di servizi “i contratti a titolo
oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi e un’amministrazione
aggiudicatrice”, esclusi i contratti di appalto di forniture ex art. 1/a della direttiva
77/62/CEE e di lavori ex art.1/a della direttiva 71/305/CEE, nonchè altri tipi di
contratti, che verranno presi in considerazione in seguito.
Emerge dunque il carattere residuale
11
di questa definizione, nel senso che
rientrano tra gli appalti di servizi tutti i contratti non riconducibili agli appalti di
lavori o di forniture o ad altri contratti ivi indicati.
Anche il quarto “considerando” della stessa direttiva conferma tale residualità in
quanto fa riferimento al fatto che gli appalti di servizi sono compresi nel Libro
bianco sul completamento del mercato interno (contenente un programma
d’azione e un calendario per l’apertura dei mercati pubblici) nella misura in cui ad
essi non siano applicabili le norme sulle procedure di aggiudicazione degli appalti
di lavori e di forniture
12
.
11
G. Morbidelli, “Appalti pubblici”, in “Trattato di diritto amministrativo europeo”, 1997,p.230.
12
E. Picozza, “Gli appalti pubblici di servizi”, Rimini, 1995, p.49.
11
La definizione assume anche carattere formale
13
. La direttiva contiene infatti una
classificazione dei servizi che corrisponde alla classificazione comune dei prodotti
(CPC) delle Nazioni Unite, e distribuisce l’elenco dei servizi in due allegati
individuando per ciascuno di essi i numeri identificativi di tale classificazione.
L’allegato I A comprende 16 categorie di servizi:
1) manutenzione e riparazione di alcuni beni contrassegnati da categorie CPC
(es.: veicoli, motocicli, caldaie, apparecchi elettrici per la casa ecc..);
2) trasporto terrestre inclusi i servizi con furgoni blindati e di corriere,escluso il
trasporto di posta;
3) trasporto aereo di passeggeri e merci, sempre escluso il trasporto di posta;
4) trasporto di posta per via aerea e terrestre( ma non per via ferroviaria);
5) telecomunicazione (esclusi telefonia vocale, telex, radiotelefonia, radioavviso
senza trasmissione di parola, trasmissione via satellite);
6) finanziari:
6a)assicurativi;
6b)bancari e finanziari;
7) informatici e affini;
8) ricerca e sviluppo;
9) contabilità, revisione dei conti e tenuta di libri contabili;
10)ricerca di mercato e sondaggio dell’opinione pubblica;
11)di consulenza gestionale e affini(esclusi arbitrato e conciliazione);
12)attinenti all’architettura e all’ingegneria(anche integrata),all’urbanistica e alla
paesaggistica e affini di consulenza scientifica e tecnica, di sperimentazione
tecnica e analisi;
13)pubblicitari;
13
C. Galtieri, “La nozione di appalto di servizio”, in “Appalti pubblici di servizi” (AA.VV.),
Milano, 1998, p.48.
12
14)di pulizia degli edifici e di gestione delle proprietà immobiliari;
15)di editoria e di stampa in base a tariffa o contratto;
16)di eliminazione di scarichi di fogna e rifiuti, di disinfestazione e analoghi.
In base all’art 8, che richiama le disposizioni contenute nei titoli da III a VI, tutte
le disposizioni della direttiva risultano applicabili agli appalti aventi ad oggetto
questi tipi di servizi. In base all’art 9 sono invece applicabili solo gli art 14) e 16),
rispettivamente in tema di specificazioni tecniche e pubblicità, agli appalti aventi
ad oggetto i servizi indicati nell’Allegato IB, che sono:
1) servizi alberghieri e di ristorazione;
2) trasporto per ferrovia;
3) di trasporto per via d’acqua;
4) di trasporto e sussidiari per il settore dei trasporti;
5) legali;
6) di collocamento e reperimento del personale;
7) di investigazione e sicurezza eccettuati i servizi con furgoni blindati;
8) relativi all’istruzione anche professionale;
9) sanitari e sociali;
10)ricreativi,culturali e sportivi;
11)altri servizi.
La direttiva 92/50 è stata recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo
17 marzo 1995, n.157.
Anche in questo decreto si riscontra la presenza di una definizione di appalto
pubblico di servizi inteso come contratto a titolo oneroso, concluso per iscritto tra
un prestatore di servizi e un’amministrazione aggiudicatrice ed avente ad oggetto
la prestazione dei servizi elencati negli allegati 1 e 2 del decreto (che riproducono
gli allegati della direttiva), ma per questi ultimi e per quelli il cui valore prevalga
rispetto ai servizi indicati nell’Allegato 1, si applicano solo gli art. 8/3, 20 e 21
13
rispettivamente in tema di pubblicità, prescrizioni tecniche e deroghe in tema di
prescrizioni tecniche.
Anche gli appalti che insieme alla prestazione di servizi comprendono
l’esecuzione di lavori, secondo il disposto dell’art. 3, possono essere considerati
appalti di servizi qualora i lavori assumano funzione accessoria rispetto ai servizi,
siano complessivamente di importo inferiore al 50 per cento del totale e non
costituiscano l’oggetto principale dell’appalto. Questa disposizione risulta oggi
modificata dall’art. 9, comma 75, della legge 415/98, che nel riformulare l’art. 2
della legge 109/94 ha incluso nell’ambito di applicazione della normativa sui
lavori pubblici tutti i contratti in cui i lavori, anche se accessori, assumano un
rilievo economico superiore al cinquanta per cento.
Dunque qualora si riscontri la presenza di tale percentuale il criterio quantitativo
della prevalenza oggettiva mette in secondo piano quello qualitativo
dell’accessorietà
14
, come emerge anche dalla nuova formulazione dell’art. 2 della
legge 109/94 (“nei contratti misti di lavori, forniture e servizi o nei contratti di
forniture e servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme
della presente legge qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al
cinquanta per cento”).
Agli appalti che includono forniture e servizi si applica la disciplina degli appalti
di servizi quando il valore totale dei servizi è superiore al valore delle forniture
comprese nell’appalto.
Il D.Lgs 157 si applica anche agli appalti di servizi sovvenzionati in misura
superiore al 50 per cento da una amministrazione aggiudicatrice, aggiudicati
dall’ente o soggetto sovvenzionato e collegati agli appalti di lavori di cui
all’art.3/2 del d.p.r. 19. dicembre 1991, n. 406.
14
G. Turco Livieri, “Appalti di forniture e servizi”, Milano, 1999, p. 102.
14
Va segnalato che dalla lettura dell’art 3 del D.Lgs 157/95 emerge una prima
disarmonia tra normativa comunitaria e normativa interna di recepimento in
quanto in quest’ultima scompare il carattere residuale della definizione, e
risultano sottoposti alla normativa in questione tutti i servizi indicati negli allegati,
che recepiscono integralmente i corrispondenti allegati della norma comunitaria.
In via interpretativa si può cercare di comporre questa apparente contraddizione
assegnando al generale riferimento agli “altri servizi” il significato di contratti
aventi ad oggetto la prestazione di utilità di qualunque genere per cui il
committente presta un corrispettivo, esclusi quelli ricadenti in altre tipologie
specifiche di forniture e lavori
15
.
Questa soluzione interpretativa appare preferibile anche perchè può trovare
corrispondenza nell’art 60 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, che
adotta, analogamente alla direttiva, una nozione residuale di “servizi”,
considerando come tali le “prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in
quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle
merci, dei capitali e delle persone”, e comprende nel concetto sia attività di
carattere industriale e commerciale, sia attività artigiane e delle libere professioni..
Ad ogni modo, nè dal decreto 157/95, nè dalla direttiva 92/50 si può desumere il
riferimento a una tipologia negoziale determinata, dato che entrambi si limitano a
richiamare genericamente i contratti che hanno per oggetto attività economiche
individuate negli allegati.
Questa genericità appare conforme al concetto di appalto presente nella normativa
comunitaria, comprensivo di tutti i rapporti contrattuali tra un’amministrazione
aggiudicatrice e un imprenditore, a prescindere dal loro contenuto.
15
G. Morbidelli, “Appalti pubblici”, in “Trattato di diritto amministrativo europeo”, Milano, 1997,
p. 234.
15
Esiste pertanto una seconda disarmonia tra le fonti normative nella definizione di
questo istituto, desumibile dal rapporto con la normativa privatistica.
L’art. 1655 del codice civile considera infatti come appalto il contratto con cui
una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio il compimento (di un’opera o) di un servizio verso un corrispettivo in
denaro.
Trattasi dunque di un contratto (e cioè, ex art 1321 c.c., di un accordo tra due o
più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico
patrimoniale) sinallagmatico, a effetti obbligatori, che si distingue dai contratti di
prestazione d’opera professionale in quanto questi ultimi hanno tradizionalmente
carattere personale e sono caratterizzati dall’ intuitus personae inteso come
particolare rilevanza dei soggetti che li stipulano sotto il profilo delle loro qualità
personali . La fiducia personale che li caratterizza implica che la parte in senso
sostanziale debba essere sempre determinata e li rende intrasmissibili e annullabili
in caso di errore sulla persona.
Inoltre, l’appalto di servizi si distingue dalla prestazione d’opera professionale in
quanto il primo concerne prestazioni rese da un’impresa, mentre il mero incarico
di prestazione d’opera professionale è conferibile a professionisti iscritti in albi,
soggetto all’obbligo di rispetto della tariffa professionale, nonché caratterizzato da
un particolare sistema deontologico che impone comportamenti sanzionabili sotto
il profilo disciplinare.
Gli allegati contenuti nella normativa comunitaria e in quella di recepimento
indicano diversi tipi di prestazioni, ma non tutti sono riconducibili al concetto di
appalto di servizi ex art 1655 c.c. Vi rientrano senz’altro i servizi di
manutenzione, finanziari, di pulizia, di trasporto, ma non quelli di architettura, di
ingegneria, legali, sanitari, di contabilità e revisione dei conti, le cui caratteristiche
permettono di qualificarli come contratti di prestazione d’opera professionale.
16
In base a queste considerazioni si possono dunque trarre due conclusioni, una a
carattere generale e una riferibile specificamente agli appalti di servizi.
In primo luogo il riferimento al contratto di appalto presente nella normativa
comunitaria ha valore solo descrittivo se rapportato all’art. 1655 del codice civile
(anche perché questo non comprende le forniture). Il concetto di appalto pubblico
è infatti più ampio e indica qualunque contratto di rilevanza pubblica
caratterizzato soggettivamente dal fatto che uno dei contraenti è un soggetto
pubblico o un ente assimilato, oggettivamente dal fatto di essere rivolto alla
prestazione di un servizio (o prestazione di una fornitura o realizzazione di
un’opera pubblica) nei confronti di uno di questi soggetti
16
.
In secondo luogo, emerge una nozione di “servizio” intesa come categoria aperta
che si presta a comprendere diversi generi di utilità prestate dietro corrispettivo e
suscettibili di assumere rilievo ai fini dell’assoggettamento alla disciplina della
concorsualità e della trasparenza, e che si presta ad essere ampliata nel tempo,
man mano che determinate attività, fino a un certo momento di scarso rilievo,
acquistino importanza sia dal punto di vista della loro utilizzazione e della loro
connessione con altre attività, sia dal punto di vista dell’importanza economica nel
quadro generale dell’economia degli Stati membri
17
.
16
G. Morbidelli, “Appalti pubblici”, in “Trattato di diritto amministrativo europeo”, Milano, 1997,
p.216.
17
G. Pericu, “L’attività consensuale della P.A.”, in “Diritto amministrativo” (AA.VV.), Milano,
1998, p.1605.