2
criticamente al modo con cui essa persegue i propri obiettivi. Utilizzando una
perifrasi ad alto impatto comunicativo, si può affermare che il fine non giustifica
più i mezzi: redditività e responsabilità diventano due facce della stessa
medaglia
3
.
La responsabilità sociale dell’impresa, dunque, portando a riconsiderare e
persino a ridefinire il rapporto tra etica ed economia, spinge alla ricerca di modi
atti a coniugare l’efficienza e il valore economico con valori non economici
ritenuti come fondamentali dalla società civile. In quest’ottica, la possibilità da
parte dell’impresa di integrare la dimensione etica all’interno della propria attività
diventa il principale tema di dibattito che, come ricorda Maggi (1992), richiama
l’antica questione, tanto aperta quanto difficile, del rapporto tra etica e scelte
d’impresa.
L’azienda che desideri sposare la CSR, quindi, deve curare la dimensione
sociale della sua attività e produrre benessere sia all’interno dei confini
organizzativi, sia a favore dell’ambiente esterno. In altre parole, la CSR,
spostando l’orizzonte operativo dal breve termine al medio-lungo termine, spinge
l’impresa verso la soddisfazione di interessi anche diversi da quelli degli azionisti
e, al contempo, verso una comunicazione trasparente che possa dimostrare la
sostenibilità dei componenti di un’impresa a livello economico, ambientale e
sociale.
Ecco allora che la responsabilità sociale si sostanzia, in particolar modo, nel
rispetto dimostrato dall’impresa verso i propri dipendenti e nei confronti della
comunità locale in cui essa si trova ad operare. Con riferimento ai lavoratori, ad
esempio, l’impresa deve garantire loro l’assenza di pratiche discriminatorie,
l’igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro, la formazione e la crescita
professionale. Nei confronti dell’ambiente di riferimento, essa dovrà, allo stesso
tempo, minimizzare gli impatti negativi (come l’inquinamento) e massimizzare gli
3
“È sempre più forte la richiesta di responsabilità sociale dell’impresa accanto a quella di
dividendi e di valori economici. Non si rifiuta né la ricchezza né l’idea che essa crei benessere. Se,
tuttavia, vi è accordo sul fine (generare ricchezza) non si è più disposti a sorvolare sui mezzi:
l’impresa deve essere riconosciuta come responsabile socialmente nei confronti di grandi temi
come l’influenza dominante, la trasparenza, il rispetto delle minoranze, l’ambiente, i diritti umani,
il rispetto delle diversità, la crescita compatibile, la filantropia, la solidarietà, l’onestà, l’etica”
(Hinna, 2002: p. 13).
3
effetti positivi (come l’aumento di occupazione e lo sviluppo economico della
comunità locale).
Appaiono allora evidenti le ragioni che hanno favorito lo sviluppo
dell’interesse generale attorno ai temi della CSR. Tanto che la responsabilità
sociale d’impresa è diventata oggi, però, anche una vera e propria “moda” e
quindi, come tale, presenta implicazioni contrastanti: i sostenitori ne difendono la
natura innovativa e la capacità di aprire importanti spazi di riflessione, mentre i
critici, proprio come verso ogni moda, sottolineano come essa sia fugace e
superflua .
La diffusione di pratiche di responsabilità sociale da parte delle imprese,
inoltre, rappresenta un aspetto particolarmente delicato della questione anche sotto
un altro punto di vista. Questo fenomeno, infatti, può diventare patologico e
portare le imprese a millantare la loro responsabilità sociale al solo fine di
mantenere alta la reputazione e nascondere così pratiche di natura radicalmente
antitetica. A tale proposito, ovviamente, sarebbe possibile richiamare moltissimi
esempi; tra questi, il caso dell’azienda americana Enron è un riferimento
obbligato, perché emblematico. I dirigenti di questo colosso energetico, infatti,
sono riusciti a nascondere truffe e pratiche di corruzione attraverso la costruzione
artificiosa di un’immagine apparentemente responsabile (ottenuta, ad esempio,
anche grazie ad un’accurata redazione del bilancio sociale
4
). Tale situazione è
perdurata fino a che l’improvviso e irreversibile dissesto della società ha travolto
lavoratori e azionisti, fornendo così un tragico epilogo alla vicenda sia dal punto
di vista economico che da quello umano. Gli scandali finanziari sul modello
Enron hanno contribuito in maniera estremamente significativa ad accendere il
dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa e se da un lato hanno alimentato le
perplessità degli scettici, dall’altro hanno stimolato la richiesta di maggior
responsabilità avanzata dalla società.
4
A tale riguardo, diventa estremamente interessante rileggere quanto, con largo anticipo,
affermava Vermiglio (1984: p. 168): “Il bilancio sociale può essere utilizzato come uno strumento
che consente di mascherare comportamenti discutibili o tali da giustificare risultati economici
negativi. In questo senso esso può rappresentare un comodo alibi dietro cui si nascondono
l’aggressione dell’impresa nei confronti della società ovvero l’incapacità di gestire proficuamente
le risorse disponibili”.
4
Proprio questa grande attenzione rivolta dall’opinione pubblica verso la
CSR ha determinato la proliferazione di “strumenti responsabili” per favorire
l’integrazione delle preoccupazioni etiche nelle attività aziendali
5
. A tale riguardo,
è importante sottolineare come questi strumenti abbiano riscontrato un enorme
successo anche dal punto di vista dell’applicazione pratica: il crescente utilizzo da
parte delle imprese di codici etici e bilanci sociali è un esempio lampante di come
questi temi siano di indiscussa attualità.
Si spiega, dunque, il grande interesse di cui il bilancio sociale gode anche a
livello accademico, dimostrato dal consistente numero di pubblicazioni fiorite
negli ultimi anni su questo tema. Il bilancio sociale, infatti, offre una forte
evidenza pratica alla discussione sulla responsabilità sociale e coinvolge le
imprese anche a livello strettamente operativo. In questo senso, tale strumento
rappresenta uno stimolo per riflettere su numerosi aspetti della rendicontazione
sociale, come il rapporto della stessa con il bilancio di esercizio, l’opportunità o
meno di un intervento legislativo, i contenuti e i modelli utili alla redazione del
bilancio sociale. Non solo; la rendicontazione sociale offre svariate opportunità
alle imprese, ma, al contempo, impone attente valutazioni dal punto di vista
organizzativo: il bilancio sociale non deve essere adottato ad ogni costo, ma è
importante capire quando è utile, quando lo è meno e, soprattutto, se si dispone
delle adeguate risorse da impegnare nella rendicontazione sociale. Risorse che non
sono semplicemente finanziarie, ma umane, culturali e organizzative.
II – Sintesi dell’elaborato
Con riferimento alla struttura dell’elaborato, la trattazione si articola in tre
parti distinte che, pur ispirandosi tutte al tema della responsabilità sociale delle
imprese, rappresentano aree di analisi differenti.
La prima parte – “Alle radici della responsabilità sociale delle imprese” – si
propone di individuare alcuni importantissimi contributi, provenienti da ambiti
disciplinari economici ed extraeconomici, che hanno influenzato in maniera
5
Cfr. capitolo 3.
5
significativa gli studiosi contemporanei, favorendo così sia lo sviluppo di una
forte sensibilità verso la CSR da parte della dottrina economica, sia l’integrazione
di tali tematiche all’interno dell’attività di numerose imprese. Lo stimolo che ha
animato questo genere di indagine risiede, principalmente, nel desiderio di
adottare un approccio allo studio della responsabilità sociale delle imprese di
natura non esclusivamente economico-aziendale. In questo modo, inoltre, si
desidera accompagnare alla tradizionale analisi della letteratura economica
americana successiva agli anni Ottanta (esposta all’interno della seconda parte
dell’elaborato) un esame di taluni contributi che, pur essendo meno recenti, si
dimostrano senza dubbio molto interessanti. Per tali ragioni, è sembrato opportuno
allargare gli orizzonti d’analisi sia dal punto di vista spaziale che temporale.
Infatti, pur sottolineando come la dimensione economica sia evidentemente
indispensabile ad affrontare un tema che riguarda in primis le imprese, è sembrato
utile sposare un approccio pluridisciplinare che fosse in grado di offrire una
maggior ricchezza alla trattazione dal punto di vista contenutistico. A questo fine
è preposto il primo dei sette capitoli che compongono l’intero elaborato. Infatti,
tale capitolo – “Responsabilità, equità, altruismo: un’analisi pluridisciplinare” –
contiene l’analisi delle riflessioni svolte in filosofia, sociologia, economia
generale ed economia aziendale su quei temi che, solo col passare del tempo,
sarebbero divenuti gli elementi fondanti della CSR così come è attualmente
conosciuta.
Per quanto riguarda la filosofia, gli elementi più interessanti ai fini
dell’analisi ruotano attorno alla questione etica. Persino analizzando le antiche
riflessioni dei classici greci, è possibile osservare come Socrate qualifichi l’uomo
come essere sociale impegnato politicamente nella ricerca del bene comune,
mentre Aristotele sottolinei la necessità di scegliere responsabilmente i mezzi del
proprio agire (Abbagnano e Fornero, 2002). L’impronta dei classici è poi
riscontrabile nel pensiero di Shaftesbury e Hutcheson, esponenti dell’illuminismo
scozzese del primo Settecento, che rifiutano la visione egoistica della natura
umana e, sviluppando il concetto di senso morale, delineano l’uomo come
soggetto teso al conseguimento della felicità dei propri simili e non del mero
6
interesse individuale (Antiseri e Reale, 1997)
6
. Successivamente Hume eleva
l’utilità sociale ad imprescindibile parametro su cui basare l’approvazione o meno
dei comportamenti (Antiseri e Reale, 1997)
7
. Nella seconda metà del Settecento si
colloca poi l’importante contributo di Kant che, attraverso la formulazione del
concetto degli imperativi categorici, alimenta la discussione sulla questione etica
ed attribuisce alla bontà delle intenzioni un ruolo chiave nel giudizio delle azioni
(Abbagnano e Fornero, 2002)
8
. Infine, considerando gli sviluppi più recenti del
pensiero filosofico, diventa necessario richiamare il contributo di Jonas, autore
dell’opera “Il principio responsabilità” (1979). Al filosofo tedesco, infatti, viene
riconosciuto il grande merito di aver sottolineato come la responsabilità umana
debba essere analizzata anche con riferimento alle generazioni future, le quali non
devono essere penalizzate dalle scelte di chi le precede (Becchi, 2004). La
riflessione di Jonas permette quindi l’estensione del concetto di responsabilità da
un’ottica esclusivamente sociale ad una nuova prospettiva che sappia considerare
anche la dimensione ambientale
9
.
Oltre al pensiero filosofico, il primo capitolo si propone di analizzare i
contributi forniti dai “padri fondatori” della sociologia allo sviluppo delle
tematiche caratterizzanti la responsabilità sociale delle imprese. Il riferimento
doveroso è quindi alle opere di Weber, Marx e Durkheim. Weber affianca
all’“etica dell’intenzione” di stampo kantiano la cosiddetta “etica della
responsabilità” per sottolineare come sia possibile ragionare anche sulle
conseguenze delle proprie azioni, poiché queste possono non coincidere con le
intenzioni che hanno animato l’azione stessa (Guillaume, 2000). Inoltre, egli
evidenzia come l’etica protestante, insieme ad altre cause concorrenti, abbia
favorito lo sviluppo del capitalismo proprio perchè essa condanna qualsiasi
finalità edonistica nell’impiego dei guadagni e genera, come logica conseguenza,
6
I due filosofi si oppongono così al pensiero di Bernard de Mandeville che, attraverso la celebre
“Favola delle api”, attribuisce ad egoismo, immoralità e vizi il merito del progresso economico.
7
Un altro elemento fortemente innovativo del pensiero di Hume risiede nell’ancoraggio della
questione morale ai sentimenti: l’utilità sociale di un’azione e la sua conseguente approvazione
non si valutano tramite un freddo calcolo razionale, ma attraverso i sentimenti e la capacità di
generare felicità nell’altro. In questo senso, Hume segna il passaggio dall’utilitarismo razionale
individuale all’utilitarismo collettivo basato sui sentimenti (Antiseri e Reale, 1997).
8
La rilevanza assegnata da Kant alle intenzioni è alla base dell’attuale consuetudine di rivolgersi
alla morale kantiana utilizzando il termine “etica delle intenzioni”.
9
Il contributo di Jonas diventa perciò la base su cui si è sviluppata la più recente questione del
cosiddetto “sviluppo sostenibile” (Cfr paragrafo 2.2.2).
7
la tendenza a reinvestire il capitale in attività produttive (Trigilia, 1998). Il
contributo di Marx, invece, appare particolarmente interessante poiché l’autore,
identificando nell’economia la struttura della società
10
, evidenzia la straordinaria
intensità che caratterizza il legame tra la dimensione economica e quella sociale
(Giddens, 1971; trad. it 1991). Egli, inoltre, criticando il duro e primitivo
capitalismo cui si trova di fronte, denuncia il carattere alienante tipico del lavoro
industriale. In questo senso, l’attenzione verso i lavoratori che attualmente anima
la CSR sembra essere una diretta risposta proprio al problema individuato dallo
stesso Marx. Anche Durkheim, pur non soffermandosi specificatamente sulla
figura dell’imprenditore o sul ruolo dell’impresa, sottolinea l’indissolubile legame
tra fenomeni economici e fenomeni sociali (Crespi, 2002), affermando inoltre che
una società nella quale ciascuno perseguisse esclusivamente il suo interesse
personale si disgregherebbe in breve tempo (Giddens, 1971; trad. it 1991).
Dopo aver considerato l’influenza esercitata dagli studi filosofici e
sociologici sullo sviluppo della CSR, il capitolo si conclude analizzando i
contributi prima degli economisti generali e poi di quelli più strettamente
aziendali. Tra i primi, è sembrato particolarmente interessante richiamare le figure
di Smith e Marshall. Smith, infatti, riprendendo le riflessioni di Shaftesbury e
Hutcheson, identifica l’uomo come un essere naturalmente volto ad ottenere
approvazione dagli altri poiché interessato non solo alla propria ricchezza, ma
anche alla felicità altrui (Soliani, 2002). Un uomo, quindi, costantemente
impegnato a trovare il giusto punto di equilibrio tra gli interessi egoistici e i
sentimenti socialmente orientati (Zanini, 1995). Allo stesso modo, inserendo il
pensiero di Smith nella realtà contemporanea, le imprese devono generare profitto
per garantire la propria sopravvivenza e al contempo rispettare le esigenze del
contesto sociale in cui sono inserite. La grande rilevanza assunta da Marshall,
invece, deriva dal fatto che egli ha sviluppato il concetto di distretto industriale
(Miglietta, 2004) e tale realtà organizzativa rappresenta un ottimo esempio per
comprendere come il successo di un’impresa e quello della propria comunità di
riferimento vadano necessariamente di pari passo e non si possa ignorare perciò
questa inevitabile influenza reciproca. Infine, arrivando al contributo degli
10
In altri termini, per Marx, la relazione tra economia e società è di tipo unidirezionale: gli eventi
economici modellano la società e non viceversa.
8
economisti aziendali italiani, il primo capitolo si chiude analizzando le riflessioni
di Zappa, Onida, Masini e Coda. Zappa (1956) sottolinea come, anche nei
problemi economici, l’azione non possa essere guidata da un tornaconto privo di
morale che comprometterebbe la possibilità di ottenere il bene comune a cui la
società deve volgere
11
. Successivamente, Onida (1960) definisce l’impresa come
“istituto sociale” che deve tendere al benessere collettivo. Per l’autore
l’economicità non va valutata in base al profitto dei soli portatori di capitale, bensì
in relazione alla possibilità per l’impresa di creare posti di lavoro e ricchezza per
la società. Masini (1960), invece, identifica l’impresa come una “comunità”
impegnata sia a contemperare gli interessi dei diversi soggetti che ne fanno parte,
sia a gestire responsabilmente le relazioni con i soggetti che sono all’esterno della
comunità stessa. Il pensiero di questi tre autori si ritrova poi in Coda che, in tempi
più recenti (1984), qualifica come formula imprenditoriale ideale per l’impresa
quella che persegue contemporaneamente successo economico e successo sociale.
La seconda parte dell’elaborato – “La responsabilità delle imprese tra etica
ed economia” – è dedicata ad una più tradizionale trattazione della Corporate
Social Responsibility e si articola nei capitoli secondo e terzo.
Il secondo capitolo – “Impresa e responsabilità sociale” – dopo una
necessaria premessa sul rapporto tra etica ed economia, si propone di ripercorrere
l’evoluzione della CSR dagli studi manageriali americani del secondo Novecento
fino ai suoi più recenti sviluppi. In primis, soffermandosi sulla teoria degli
stakeholder che trova l’apice nel contributo di Freeman (1984), secondo il quale
l’impresa deve operare facendosi carico degli interessi di tutti quegli individui –
gli stakeholder appunto – che possono influenzare l’attività dell’impresa o essere
influenzati dalla stessa
12
. Dopo aver esaminato i contributi allo sviluppo di questa
teoria forniti da altri importanti autori (quali Donaldson e Preston, 1999;
Clarkson, 1999; Sacconi, 2005), la trattazione procede affrontando il concetto di
11
Nella visione zappiana, infatti, l’azienda acquisisce specifiche funzioni di promozione
dell’interesse pubblico.
12
Il termine stakeholder (letteralmente “portatore di interessi”) è stato coniato in contrapposizione
a quello di shareholder che, tradizionalmente, viene utilizzato con riferimento agli azionisti. A tale
proposito, infatti, pare opportuno anticipare già in questa sede che il cambiamento più significativo
dovuto all’affermarsi della cosiddetta stakeholder view consiste nell’aver individuato a carico del
management delle responsabilità che non fossero legate ai soli azionisti, ma ad una più ampia
cerchia di soggetti.
9
sviluppo sostenibile che, utilizzando le parole di Brundtland (1987), è “quello
sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza
compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i
propri”. Con riferimento alla CSR, sembra sensato affermare che le riflessioni
svolte nel corso degli anni attorno al problema dello sviluppo sostenibile abbiano
giocato un ruolo fondamentale per favorire l’integrazione delle preoccupazioni
ambientali all’interno della responsabilità sociale delle imprese. Il capitolo
secondo, poi, si sofferma sulla definizione di CSR data dalla Commissione
europea all’interno del Libro verde
13
, sui contenuti dello stesso e sull’impegno
profuso dalle istituzioni comunitarie per diffondere le pratiche di responsabilità
sociale all’interno dell’Unione Europea
14
. Infine, vengono esposte sia le principali
critiche rivolte alla CSR, sia una valutazione dei costi e dei benefici a cui va
incontro l’impresa che decida di operare responsabilmente
15
. A tale riguardo,
risulta particolarmente interessante sottolineare, da un lato, come la responsabilità
sociale non implichi necessariamente una correlazione positiva con le
performance dell’azienda e, dall’altro, come ciò tuttavia possa accadere se sono
presenti le giuste condizioni organizzative.
Il terzo capitolo – “Gli strumenti” – sposta l’analisi dalla dimensione teorica
a quella pratica e passa in rassegna i cosiddetti “strumenti della CSR”
16
. Per
chiarezza espositiva, il capitolo si divide in tre parti, ciascuna dedicata ad una
specifica famiglia di strumenti. In primis, vengono analizzati gli “strumenti di
consumo socialmente responsabile”, che rispondono all’esigenza, affiorata nella
13
All’interno del cosiddetto Libro verde (2001), il cui titolo è “Promuovere un quadro europeo
per la responsabilità sociale delle imprese”, la CSR viene definita come l’“integrazione volontaria
delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei
loro rapporti con le parti interessate”.
14
A tale riguardo l’elaborato richiama la Comunicazione “La responsabilità sociale delle imprese:
un contributo allo sviluppo sostenibile” (Commissione europea, 2002), il report “European
Multistakeholder Forum on CSR. Final results & reccomendations” (2004) e la Comunicazione “Il
partenariato per la crescita e l’occupazione: fare dell’Europa un polo di eccellenza in materia di
responsabilità sociale delle imprese” (Commissione europea, 2006).
15
Tra i principali benefici che l’adozione di comportamenti responsabili offre alle imprese va
senza dubbio annoverata la possibilità di migliorare la propria reputazione sul mercato di
riferimento. Tuttavia, questo aspetto nasconde in sé elementi di criticità: molte imprese, infatti,
proprio per godere dei suddetti benefici, potrebbero mascherare comportamenti deprecabili
attraverso una “responsabilità di facciata”, che spesso viene scoperta solo dopo che i danni si sono
ormai verificati (a tale proposito, all’interno del capitolo secondo, si richiamano i casi Enron e
Parmalat).
16
Il riferimento principale è al documento “ABC of the main instruments of CSR” sviluppato nel
2004 dalla direzione generale su “Occupazione ed affari sociali” della Commissione europea.
10
società contemporanea, di conoscere il modo con cui i beni vengono prodotti e
commercializzati e il metodo con cui i servizi sono erogati. A tal fine, infatti, sono
nati due specifici strumenti: le guide al consumo e le etichette (o label). Le guide
al consumo attribuiscono ad imprese e prodotti valutazioni basate su “parametri
responsabili” per supportare il consumatore interessato nelle sue scelte
17
. Le label,
invece, sono vere e proprie etichette che vengono applicate direttamente ai
prodotti per testimoniarne una produzione attenta alle questioni etiche. All’interno
della trattazione, è sembrato opportuno distinguere tra etichette sociali, etichette
ambientali ed etichette di commercio equo. Successivamente, sono esposti gli
“strumenti di investimento socialmente responsabile”, con particolare riferimento
a fondi etici ed indici di sostenibilità. Infatti, la CSR ha ottenuto un riscontro
positivo sempre crescente all’interno della società, tanto che persino le scelte di
investimento risultano fortemente influenzate da questioni etiche e morali. I fondi
etici sono fondi di investimento mutualistico che operano la selezione del
portafoglio attraverso criteri di tipo etico, sociale e ambientale. Gli indici di
sostenibilità, invece, riflettono le performance sociali di quelle società che si
distinguono non solo per i loro fatturati, ma anche per l’attenzione dimostrata nei
confronti di istanze sociali ed ambientali
18
. Infine, il terzo capitolo si conclude
richiamando i cosiddetti “strumenti di gestione socialmente responsabile”. Tra
questi, è possibile distinguere: codici etici, standards di gestione e strumenti di
rendicontazione. Mentre i codici etici rappresentano una dichiarazione dei principi
e dei valori in cui l’impresa si riconosce e di cui si fa carico, gli standards di
gestione consistono in quell’insieme di procedure e processi attivabili dalle
organizzazioni per gestire specifiche implicazioni sociali ed ambientali delle loro
attività. Tra questi, SA8000 e AA1000 sono quelli che godono di maggiore fama.
Infine, gli strumenti di rendicontazione, come desumibile dal nome stesso,
servono all’impresa per render conto del proprio operato a tutti gli stakeholder.
Facendo riferimento alla responsabilità sociale dell’impresa, appare evidente
17
A tale proposito, per fornire un esempio che sia sufficientemente esplicativo, i cosiddetti
“parametri responsabili” attribuiscono una pessima valutazione (o addirittura non attribuiscono
alcuna valutazione) a quelle imprese che si trovino impegnate nella produzione o nella
commercializzazione di armi.
18
Con riferimento agli indici di sostenibilità, sembra interessante osservare come anche dal
celebre indice globale Dow Jones sia stato derivato il più specifico Dow Jones Sustainability
Index.
11
come, in questo caso, non si parli della rendicontazione tradizionale, orientata
prevalentemente agli azionisti, il cui simbolo è il bilancio di esercizio. La
rendicontazione in questione, infatti, deve essere necessariamente economica,
sociale ed ambientale (da qui nasce il termine spesso utilizzato di Triple Bottom
Line o Tbl). In quest’ottica i destinatari della rendicontazione non sono solo gli
azionisti, ma tutti gli stakeholder e lo strumento principe è il bilancio sociale, a
cui si è deciso di dedicare l’ultima parte di questo elaborato.
Infatti, la terza e ultima parte della trattazione – “Il bilancio sociale” –
desidera approfondire l’analisi di questo importante strumento a disposizione
delle imprese. A tale proposito, è sembrato utile sviluppare la trattazione in
quattro differenti capitoli (dal quarto al settimo).
Il quarto capitolo – “Bilancio sociale e rendicontazione sociale” – inizia
ripercorrendo lo sviluppo del dibattito sul bilancio sociale nato negli Stati Uniti
intorno agli anni Sessanta e poi giunto anche in Europa circa un decennio dopo
(Rossi e Tomasin, 2005). Successivamente, si propone l’analisi sia dei possibili
destinatari del bilancio sociale
19
, sia del rapporto esistente tra lo strumento in
esame ed il bilancio di esercizio. Particolarmente interessante a riguardo è il
dibattito tra chi sostiene la necessità del bilancio sociale come documento
autonomo e chi, invece, preferirebbe inserire la rendicontazione sociale
direttamente all’interno del bilancio di esercizio. Proseguendo nella trattazione, la
seconda parte del quarto capitolo si interroga sull’opportunità o meno di rendere
obbligatorio il bilancio sociale in Italia
20
. A tal fine si espongono i casi antitetici
di Francia e Germania. Nel primo caso la rendicontazione sociale è stata resa
obbligatoria dalla legge sul bilan social del 1977
21
. In Germania, invece, non è
presente alcuna norma che imponga la redazione del bilancio sociale. Tuttavia, nel
contesto tedesco, si riscontra un’ampia diffusione della rendicontazione sociale e
19
A tale proposito, sembra utile anticipare che i potenziali destinatari del bilancio sociale, per sua
stessa natura, sono ben più numerosi di quelli cui fa riferimento la tradizionale rendicontazione
civilistica del bilancio di esercizio.
20
Con riferimento al contesto italiano, sembra utile ricordare che la non obbligatorietà della
rendicontazione sociale presenta due eccezioni: fondazioni bancarie e imprese qualificate come
sociali ai sensi del d. lgs 155/2006.
21
I soggetti tenuti all’applicazione della legge sono le imprese pubbliche e private con almeno 300
dipendenti. Inoltre, sembra utile anticipare in questa sede che il bilan social è un documento
rivolto prevalentemente (se non esclusivamente) ai lavoratori, tralasciando così colpevolmente le
esigenze di numerosi altri stakeholder.
12
questo elemento rappresenta uno stimolo particolarmente interessante per il
dibattito. Per tale motivo, il capitolo si chiude presentando i principali pregi e
difetti dell’una e dell’atra scelta.
Il quinto capitolo – “Le funzioni del bilancio sociale” – è interamente
dedicato all’analisi delle diverse funzioni che possono essere svolte dallo
strumento in esame. A fini espositivi, è sembrato utile suddividere dette funzioni
in esterne e interne. Tra le prime è possibile annoverare le differenti funzioni di
informazione e di gestione dell’immagine
22
. Il bilancio sociale, infatti, rappresenta
un utile strumento sia per informare gli stakeholder sulle performance
economiche, sociali e ambientali dell’impresa, sia per promuovere l’immagine e
la reputazione dell’azienda che si impegna in pratiche responsabili. Dal punto di
vista interno, invece, è sembrato opportuno considerare le funzioni di gestione
interna e di rafforzamento mission. Con riferimento alla gestione interna, il
bilancio sociale, attraverso al comparazione tra risorse consumate (e magari
distrutte) e risultati conseguiti, permette un’attenta riflessione sui processi
produttivi e sulla formulazione della strategia. Allo stesso tempo, il bilancio
sociale offre la possibilità di verificare la coerenza tra l’attività svolta e quei valori
che dovrebbero ispirare l’agire dell’impresa, favorisce il coinvolgimento di tutti
gli attori organizzativi e permette così di rafforzare la mission dell’azienda stessa.
Successivamente, nell’ultima parte del capitolo quinto, si considera come tali
funzioni non debbano essere necessariamente adottate in toto da parte
dell’impresa, ma come ogni singola realtà organizzativa possa scegliere su quale
(o quali) funzione puntare maggiormente, ricordando però che lo strumento ha in
sé tutte queste potenzialità.
Il capitolo sesto – “Bilancio sociale: contenuti e modelli” – desidera
approfondire la tematica del bilancio sociale dal punto di vista contenutistico. A
tal fine, è sembrato utile, in primis, individuare i principali argomenti che, in linea
generale, sono oggetto della rendicontazione sociale e vengono evidenziati
all’interno del documento. Successivamente, vengono esposti i principi di
rendicontazione a cui chi redige il bilancio sociale deve (o meglio, dovrebbe)
necessariamente ispirarsi. La seconda parte del capitolo sesto, invece, è dedicata
22
Come ricorda Vermiglio (1984), la prima funzione ad essere attribuita al bilancio sociale è stata
proprio quella informativa.
13
all’analisi dei principali modelli utilizzati dalle organizzazioni per la redazione del
proprio bilancio sociale. Tuttavia, a causa della consistente diffusione degli
strumenti di rendicontazione sociale, il panorama dei modelli risulta
particolarmente ampio e variegato. A tale riguardo, è sembrato opportuno
concentrare le varie esperienze a livello italiano in otto distinti modelli
23
.
All’interno della trattazione, tali modelli vengono prima analizzati singolarmente
e poi inseriti in una tavola ad hoc che ne permetta la comparazione, evidenziando
così i principali punti di forza e di debolezza di ciascun modello.
Il settimo ed ultimo capitolo dell’elaborato – “Bilancio sociale e forme
organizzative” – si propone di analizzare il rapporto tra lo strumento ed il
particolare tipo di organizzazione che lo adotta. Infatti, le differenze che
sussistono tra imprese profit, organizzazioni non profit e Pubblica
Amministrazione possono influenzare significativamente le finalità e le modalità
di utilizzo dello strumento. Se da un lato, indipendentemente dalla forma da essa
assunta, ogni organizzazione utilizzerà lo strumento per ottenere consenso
all’interno dell’ambiente di riferimento, dall’altro le specificità di ogni singola
realtà comporteranno differenti implicazioni sia a livello strategico-organizzativo,
sia a livello gestionale. A tale riguardo, perciò, è sembrato utile individuare per
ogni contesto quelle funzioni che, di regola
24
, assumono una rilevanza del tutto
peculiare. Con riferimento alle imprese profit sembra sensato affermare che
l’adozione del bilancio sociale sia specialmente dettata da esigenze sia
comunicative che legate alla promozione dell’immagine all’interno del mercato di
riferimento: la rendicontazione sociale, infatti, permette a questo genere di
imprese di rassicurare il consumatore sulla qualità sia del prodotto che del
processo e rappresenta una fonte di vantaggio competitivo nei confronti dei
competitors. Nella Pubblica Amministrazione, invece, emerge la rilevanza del
23
All’interno del capitolo si troveranno esposti i seguenti otto modelli: bilancio di responsabilità
sociale, bilancio sociale cooperativo, modello IBS, modello Comunità e Impresa, modello GBS,
bilancio di missione, rendiconto sociale-economico e modello CSR-SC.
24
Come evidenziato dalla letteratura, infatti, i diversi contesti organizzativi tendono ad enfatizzare
in maniera differente le funzioni comunicative e quelle gestionali. Tuttavia, per non rischiare
grossolane generalizzazioni, si rende necessario premettere che scopi, funzioni e potenzialità del
bilancio sociale sono percorribili congiuntamente o singolarmente indipendentemente dalla
categoria organizzativa in cui è inscrivibile l’impresa. Inoltre, l’appartenenza ad una “famiglia” di
organizzazioni (profit, non profit o Pubblica Amministrazione) non implica necessariamente la
prevalenza di una funzione del bilancio sociale sull’altra. Anche in questo caso, infatti, assume
fondamentale importanza la scelta della singola azienda.
14
bilancio sociale come “strumento di dialogo” (Viviani, 2002) che rende possibile
una comunicazione di tipo bidirezionale tra amministrazione e cittadini,
permettendo sia di valutare la coerenza tra impegni assunti e azioni svolte, sia di
ottenere importanti feedback sul grado di accettazione dell’attività dell’ente.
Infine, l’elaborato si chiude considerando il caso delle organizzazioni non profit
(ONP). Le ONP si caratterizzano, soprattutto, per essere realtà “mission oriented”
e non “profit oriented” (Giorgetti, 2005): il profitto passa dall’essere fine
dell’organizzazione ad essere strumento per raggiungere altri fini ritenuti prioritari
che, di regola, sono di natura sociale o ideale. In un contesto così caratterizzato,
appare fin da subito la rilevanza assunta dal bilancio sociale come strumento per
creare valore attraverso una migliore gestione dei processi interni (Hinna, 2002),
per rafforzare la mission evitando fenomeni imitativi del troppo differente mondo
profit (Ecchia e Zarri, 2005) e, certamente, per ottenere la legittimazione
necessaria all’organizzazione per la propria sopravvivenza. Considerando
globalmente le tre forme di organizzazione analizzate, quindi, sembra possibile
osservare che il ruolo di strumento principe di rendicontazione ricoperto dal
bilancio di esercizio nelle imprese profit spetti invece al bilancio sociale nel caso
di ONP e Pubblica Amministrazione.
III – L’impresa responsabile: utopia o realtà?
Per concludere questa parte introduttiva dell’elaborato, sembra utile
riflettere ancora sul rapporto tra teoria e pratica in materia di responsabilità sociale
delle imprese. Analizzando il fenomeno della CSR, infatti, si è sottolineato come
la responsabilità sociale debba rappresentare un aspetto costitutivo dell’essere
impresa. Tuttavia, una considerazione di questo genere, categorica ed imperativa,
lascia alcuni legittimi dubbi di diversa natura. In particolare, tentando una sintesi
il più possibile fedele dell’attuale dibattito relativo alla responsabilità sociale,
sembra emergere un interrogativo su tutti: l’impresa responsabile è pura utopia
oppure è un’entità effettivamente riscontrabile nella realtà?
15
Per trovare una risposta soddisfacente a tale questione, sembra opportuno
riferirsi ad un caso che, forse più di ogni altro, rappresenta la quintessenza del
legame tra attività di impresa e responsabilità sociale: il caso Olivetti
25
. In
particolare, sotto la guida illuminata dell’ingegner Adriano Olivetti
26
(a capo della
società dagli anni Trenta fino alla sua prematura scomparsa avvenuta nel 1960), la
Olivetti ha rappresentato un nitido esempio di come l’impresa possa produrre
ricchezza sociale e contemporaneamente contribuire allo sviluppo umano
(Gallino, 2001)
27
. In tale periodo, infatti, l’azienda ha raggiunto i massimi livelli
di espansione e di successo (conseguendo margini di profitto elevatissimi
28
) e, al
contempo, ha contribuito in modo determinante allo sviluppo del territorio
circostante. A tale proposito, diventa particolarmente interessante, in questa sede,
il modo con cui i suddetti profitti vennero ottenuti e poi utilizzati.
Adriano Olivetti riteneva che l’impresa dovesse produrre ricchezza ed
occupazione, diffondendo sul territorio circostante i frutti del proprio successo sul
mercato. In questa logica, egli pensava che gran parte dei profitti ottenuti
andassero reinvestiti nella comunità locale: l’azienda era mezzo per garantire ai
lavoratori un migliore tenore di vita e per promuovere la cultura nel territorio di
riferimento.
Dal punto di vista del rapporto con i lavoratori, l’ingegner Adriano non si
limitò a pagare stipendi ben più alti della norma. Egli promosse percorsi di
formazione professionale di indiscussa qualità, coinvolse i dipendenti nelle
decisioni aziendali e offrì loro un vero e proprio stato sociale integrativo. Inoltre,
Adriano Olivetti rifiutava la pratica del licenziamento ed inseguiva l’aumento
della produttività non per congedare parte del personale ma per aumentare
l’occupazione. Egli sposò la flessibilità dell’intera azienda (nella capacità di
adattarsi e reagire ai cambiamenti di mercato) non la flessibilità con ripercussioni
25
Il gruppo industriale Olivetti, attivo nel settore dell’informatica e dell’automazione d’ufficio, è
stato fondato a Ivrea da Camillo Olivetti nel 1908. Celeberrima per la produzione di macchine per
scrivere, l’impresa costruì anche macchine da calcolo e contabili (“l’Universale”, Enciclopedia
generale Garzanti, 2005).
26
Adriano Olivetti, figlio di Camillo, ne diventò Direttore generale nel 1933 e Presidente nel 1938.
27
Il riferimento è all’opera dal titolo “L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti”
(2001) in cui Gallino, intervistato da Ceri, racconta i passati fasti dell’azienda eporediese
soffermandosi, con toccante enfasi emotiva, sulla figura dell’ingegner Adriano.
28
“Essi [i margini di profitto] erano il risultato dei forti aumenti di produttività , della originalità
dei prodotti, della continua innovazione organizzativa. Nonché da ultimo, della straordinaria
aggressività ed efficacia dell’organizzazione commerciale” (Gallino, 2001: p. 15).