La norma era espressione del tentativo di conciliare i nuovi ideali
liberali con la preoccupazione c1i difendere l'autorità e il prestigio
delle istituzioni tradizionali.
La censura preventiva, sancita dalla precedente legislazione
piemontese, non era più ammassa, però si attendeva una specifica
legge sulla stampa mirante a reprimerne i possibili abusi.
Fu così che il 26 marzo dello stesso anno Carlo Alberto emanava un
Editto, nel qua.le la materia delle pubblicazioni veniva regolata
minuziosamente
1
.
Iniziavano in questo modo le alterne vicende dell'affermarsi in Italia
della libertà di espressione, di informazione e dell'esercizio autonomo
e responsabile della libertà di stampa, diritti sostanziali, ineliminabili
per l'esistenza e il funzionamento di uno Stato che si trasformerà ben
presto da assoluto in democratico.
Dopo aver sancito all'art.1 che "la manifestazione del pensiero
per mezzo della stampa e di qualsivoglia artificio atto a riprodurre
segni figurativi, è libera, l'editto puniva la provocazione a compiere,
attraverso stampati, attentato e cospirazione (art.14) e offese (art.19)
contro la Sacra Persona del Re e i componenti della Famiglia Reale; i
1
LAZZARO, p.7 ; JANNITTI PIROMALLO, p.211 ss.
reati contro la religione dello Stato (art.14), gli altri culti (art.18) e il
buon costume (art.17); le offese contro il Senato e la Camera dei
Deputati (art.21), i Sovrani e i Capi dei Governi esteri (art.25), i
Membri del Corpo Diplomatico (art.26).
Rispetto al codice penale del '39, l'Editto attenuava notevolmente le
pene afflittive mentre aumentava quelle pecuniarie.
Per la forma più grave di diffamazione, il "libello famoso"
comportamento di chi, attraverso stampati. attribuiva ad altri fatti
determinati passibili di incriminazione o lesivi dell'onore o della
reputazione o esponevano all'odio o al pubblico disprezzo -
comminava il carcere da sei mesi ad un anno (meno rispetto alle
disposizioni precedenti) con una multa che, in relazione a prima,
aumentava da cento a duemila lire .
L'Editto prescriveva, inoltre, che non poteva provocare azione penale
la pubblicazione dei discorsi tenuti davanti alle Camere o prodotti
davanti ai Tribunali, fatti salvi, rispettivamente, le discussioni segrete
e il resoconto di processi a porte chiuse.
Il particolare riguardo verso la stampa e i giornali era testimoniato
dall'art.34, secondo il quale il carcere in cui dovevano essere scontate
le pene dell'Editto andava distinto da quello dove erano custoditi i
delinquenti per reati comuni.
Nei casi di cui si parla. si procedeva in genere d'ufficio. a volte
su querela di parte.
La competenza era ripartita tra i Tribunali ordinari e il Magistrato
d'Appello affiancato dalle Giurie popolari. "l'opinione pubblica
saggiamente rappresentata".
Numerose furono le disposizioni successive all'Editto. che vi
apportarono anche diverse modifiche.
Con la legge 26 febbraio 1852 si stabili che, in caso di offese ai
Sovrani e Capi di Stato esteri, il pubblico ministero poteva esercitare
l'azione penale anche senza esibire la richiesta degli oltraggiati.
L'approvazione della legge 20 giugno 1858 introdusse invece lo
specifico introdusse invece lo specifico reato di apologia
dell'assassinio politico a mezzo stampa, rimandando all'art.24
dell'Editto - che già puniva genericamente l'apologia di delitti e
crimini - lasciando però al giudice una vasta discrezionalità nel
graduare la durata del carcere.
In Piemonte, la libertà di stampa fu soppressa per la prima volta
con il decreto 28 aprile 1859, in occasione della guerra di quell'anno.
Nel testo riprodotto sostanzialmente più tardi sempre in circostanze
belliche si vietava di riportare attraverso la stampa notizie riguardanti
gli eserciti e l'andamento della guerra Che non fossero state
ufficialmente rese note dal Governo; di utilizzare gli stampati per
"eccitare le passioni o la diffidenza tra i vari ordini sociali, seminare la
discordia o turbare la pubblica tranquillità".
La cognizione dei reati venne affidata ai Tribunali ordinari.
L'azione penale, derogando all'Editto, poteva essere esercitata
cumulativamente contro l'editore, lo stampatore, il "gerente
responsabile" (distinto dal direttore, che aveva solo funzioni tecnico-
giornalistiche) e l'autore dello scritto incriminato.
In seguito a condanna, le pubblicazioni potevano essere
temporaneamente sospese e definitivamente soppresse.
Per pubblicare un nuovo giornale era necessaria l'autorizzazione del
Ministero dell'Interno.
Durante le fasi dell'unificazione dell'Italia, l'Editto e le seguenti
disposizioni furono estesi via via alle altre regioni della penisola.
Nel 1889 vide la luce il codice penale del Regno, il codice
Zanardelli. che abrogò alcune norme dell'Editto, sottraendogli i delitti
di offese ai buoni costumi, l'apologia di reato, la diffamazione; inoltre
non fece più cenno al "libello famoso", ma si riferì semplicemente alla
diffamazione a mezzo stampa che, come al solito, prevedeva pene
detentive e pecuniarie più severe rispetto alla diffamazione comune.
Al gerente rimase la responsabilità oggettiva per tutti i delitti e le
contravvenzioni commessi attraverso il suo giornale, esonerandone
cosi il direttore.
Qualche anno più tardi, nel 1894, fu promulgata una legge, promossa
da Francesco Crispi. con la quale venivano inasprite le pene per
l'istigazione a delinquere e l'apologia di reati commesse tramite la
stampa. Era, del resto. un periodo di grandi fermenti.
Per mettere un freno all'uso diffuso nell'ambito della magistratura, di
disporre sequestri di giornali senza poi procedere ai relativi giudizi -
atteggiamento che appariva un ostacolo alla libera manifestazione del
pensiero nonchè ai diritti di proprietà le Camere approvarono la legge
28 giugno 1906, che consentiva il sequestro "se non per sentenza
definitiva del magistrato", tranne nel caso di stampati "che si
riconoscessero offensivi del buon costume 13 del pudore", per i quali
il sequestro preventivo era ammesso ma doveva essere seguito, nelle
successive ventiquattro ore, dal giudizio con rito direttissimo.
Nuovamente, come era accaduto nel secolo precedente, la
situazione di emergenza dovuta ai fatti bellici del '15 '18 comportò
l'emanazione di norme eccezionali.
La legge 21 marzo 1915 consentiva al Governo di vietare, attraverso
regi decreti successivi, la pubblicazione di notizie "concernenti la
forza, la preparazione o la difesa militare dello Stato".
Terminata la guerra, le nuove norme in materia vennero fornite
dalla legge 31 dicembre 1925 che, in nome degli interessi della
nazione, sottoponeva la stampa periodica e il direttore, adesso
responsabile (scompare la figura del gerente da lui distinto) a rigidi
controlli. Veniva nuovamente ammesso il sequestro preventivo,
istituito un Ordine dei Giornalisti -posto sotto il controllo
dell'associazione sindacale fascista volto a costituire relativi albi, per
garantire la disciplina della professione.
Intanto, nel 1930, entrava in vigore il Codice Penale Rocco, che
prevedendo un'ampia serie di reati passibili di essere commessi
attraverso la stampa, attribuiva la responsabilità al direttore in quanto
tale e per fatto altrui, salva la responsabilità dell'autore della
pubblicazione (disposizione questa che sarebbe stata oggetto di
polemiche
2
e ben presto modificata con la legge 4 marzo 1958, n.127).
2. La stampa come mezzo di divulgazione del Pensiero: le
disposizioni della Costituzione.
Conclusa la seconda guerra mondiale, una delle principali
preoccupazioni del Governo fu di dare al più presto un assetto alla
normativa sulla stampa.
Il primo gennaio 1948 entrava in vigore la Costituzione repubblicana,
la quale, stabilendo che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente
il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione" attribuiva ai cittadini il potere di attuare un interesse
collettivo di grande vastità ed importanza.
Più tardi la Corte Costituzionale
3
. avrebbe avuto occasione di
precisare che quella di manifestazione del pensiero è tra le libertà "che
meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com'è
del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo
aspetto culturale, politico, sociale" .
2
NUVOLONE, Reati di stampa, p.177 ss.
3
Sent. 19 febbraio 1965, n.9, p.61.
Essa - seguendo il dettato costituzionale – può avvenire attraverso il
libero uso di strumenti idonei: "la parola", diversi mezzi di diffusione,
come la televisione, la radio, il cinema, gli spettacoli in genere, ed
infine "lo scritto", tra cui ricomprendiamo la stampa.
Poichè l'art.21 offre eguale garanzia sia al diritto di manifestare
liberamente il pensiero sia a quello del libero uso degli strumenti di
divulgazione, l'uno funzionale rispetto all'altro, e poichè tra i più
rilevanti mezzi di comunicazione del pensiero risulta, allo stato
attuale, effettivamente la stampa, il libero esercizio di quest'ultima
trova fondamento, giustificazione e specifica tutela proprio nella citata
norma costituzionale
4
.
"La stampa - afferma infatti l'art .21 - non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure" riguardanti il contenuto dello stampato e
miranti a limitare o impedire la libera circolazione delle idee
5
.
Al terzo e quarto comma la norma prende in considerazione il
sequestro, mezzo con cui si sottraggono gli stampati alla disponibilità
degli aventi diritto in modo che non possano essere divulgati, e chi li
diffonde commette reato (art .352 c.p.) .
4
LEONE. p.177.
5
NUVOLONE, Libertà di stampa e prevenzione dei reati, p.254 ss.
Il sequestro costituzionalmente disciplinato è un procedimento
preventivo, cioè anteriore al definitivo accertamento giudiziale del
reato, a cui si può procedere solo per prevenire delitti espressamente
indicati dalla legge sulla stampa (il caso più importante è quello della
pubblicazione di stampati osceni previsto dal decreto legislativo 31
maggio 1946, n.561 e dalla 1egge 12 dicembre 1960, n. 1591) o per
punire la violazione delle norme sull'indicazione dei responsabili, che
debbono impedire, tra l'altro, la diffusione della stampa clandestina
(legge 8 febbraio 1948, n.47)
6
.
Vengono fissati così alcuni principi costituzionali di grande rilievo: -
il rinvio alla legge ordinaria per la disciplina dei delitti di stampati; il
principio di legalità secondo cui delitti, pene e misure cautelari
debbono essere previsti soltanto dalla legge; l'esigenza
dell'indicazione preventiva dei responsabili.
La riserva di giurisdizione che vige inoltre, in materia, prevede che il
sequestro preventivo – da considerare sempre uno strumento
eccezionale - possa essere attuato "soltanto per atto motivato
dell'autorità giudiziaria".
6
In materia MAZZIOTTI di CELSO, p. 252.
Solo se vi sia assoluta urgenza e l'impossibilità del tempestivo
intervento del giudice, "il sequestro della stampa periodica può essere
eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono
immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, farne denunzia
all'autorità giudiziaria.