2
metodo induttivo, mentre le pseudoscienze e la metafisica si
distinguevano per il loro metodo speculativo o, come diceva
Bacone, per il fatto che operavano mediante “ anticipazioni
mentali ”, qualcosa di molto simile alle ipotesi ».
2
Si tratta, dunque,
del problema dell’induzione, se è vero che la scienza progredisce
secondo il cammino che dall’osservazione, dall’esperimento,
giunge alle teorie; anzi, se è vero, addirittura che questo
induttivistico modo di procedere è lo specifico metodo delle
scienze. Popper, così scrive: « Ci vollero anni per accorgersi che i
due problemi, quello della demarcazione e quello dell’induzione,
erano in un certo senso un solo problema ».
3
Popper si è dunque
confrontato con David Hume, che si domandava come fosse
possibile passare da una molteplicità di osservazioni ad una teoria
che permettesse di prevedere il comportamento della natura,
chiedendosi se fosse davvero corretto e scientificamente affidabile
il procedimento induttivo, che permette di passare da tanti casi
particolari ad un enunciato generale. La risposta di Hume è
negativa. Egli sostenne che l’uomo è portato a credere
nell’induzione, perché guidato dall’abitudine. Popper nota che si
tratta di una spiegazione psicologica poco convincente. Dirà, infatti,
2
Karl Popper, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica. Il
Mulino, Bologna, 2003, p. 435
3
Ibidem, p. 94
3
che « l’idea centrale della dottrina di Hume è quella della
ripetizione, basata sulla similarità (o “ somiglianza ”). Quest’idea è
utilizzata in maniera assai poco critica. Siamo indotti a pensare alla
goccia che scava la pietra: a sequenze di eventi sicuramente simili,
che lentamente ci si impongono. […] Rispondiamo necessariamente
alle situazioni come se fossero equivalenti; le assumiamo come
simili; le interpretiamo come ripetizioni. […] Il tipo di ripetizioni
concepito da Hume non può mai essere perfetto; i casi in cui egli si
riferisce non possono mai essere identici; può trattarsi solo di casi
di similarità. Dunque si tratta di ripetizioni soltanto da un certo
punto di vista. Ciò che per me è una ripetizione, può non apparire
tale a un ragno. Ma per ragioni logiche, deve esserci sempre un
punto di vista - un sistema di aspettazioni, anticipazioni, assunzioni,
o interessi - prima che possa darsi una qualsiasi ripetizione; e
questo punto di vista, di conseguenza, non può essere
semplicemente il risultato della ripetizione. Ai fini di una teoria
psicologica dell’origine delle nostre credenze, dobbiamo sostituire
all’idea primitiva di elementi che sono simili, la concezione di
eventi cui noi reagiamo interpretandoli come simili. Ma se è così, e
non vedo altra possibilità, allora la teoria psicologica humeana
dell’induzione conduce a un regresso all’infinito, del tutto analogo
4
all’altro regresso all’infinito scoperto dallo stesso Hume e da lui
utilizzato per far saltare la teoria logica dell’induzione ».
4
Dopo Hume, il più importante tentativo di giustificare il carattere
epistemico della conoscenza scientifica è quello compiuto da Kant
che, se da una parte ritenne che Hume lo aveva destato dal sonno
dogmatico, dall’altra si rese conto che era necessario sottrarre allo
scetticismo il pensiero filosofico. Egli aveva, d’altronde, di fronte a
sé, il sistema newtoniano, che a quel tempo era ritenuto una
conoscenza definitiva e che lo spingeva alla convinzione che noi, se
vogliamo conoscere, dobbiamo superare il semplice empirismo,
come forse lo superò, magari senza accorgersene, lo stesso Newton.
Kant ritenne di riuscirci con il suo trascendentalismo, che gli
permise di considerare la conoscenza come risultato di una attività
dell’intelletto, supportata comunque da quelle che Hume definiva
percezioni.
« Per Kant, dunque - come dice lo stesso Popper - la teoria
newtoniana era semplicemente vera, e la credenza nella sua verità
restò intatta per un secolo dopo la sua morte. Questi, in definitiva,
accettò quello che egli, e chiunque altro, considerava un dato di
fatto, il conseguimento della scienza o epistēmē. In un primo tempo
accettò questo dato senza metterlo in discussione. Definì poi tale
4
Karl Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., pp. 80, 81
5
stato il suo “ sonno dogmatico ”, dal quale fu risvegliato studiando
Hume (che) suscitò in Kant la comprensione della semi-assurdità di
quello che egli non aveva mai dubitato fosse un fatto. […] Sorse
così il problema centrale della Kritik: “ Com’è possibile una scienza
naturale pura? ” Una conoscenza generale, precisa, matematica,
dimostrabile e indubitabile, come la geometria non euclidea, e in
più capace di fornire una spiegazione causale dei fatti osservati? ».
5
Com’è noto, la soluzione kantiana di questo problema consiste nella
celebre sua “ rivoluzione copernicana ”, secondo cui l’intelletto non
considera qualità intrinseche della natura le categorie di spazio e
tempo, che sono invece proprie dell’intelletto e vengono quasi
imposte da esso ai fenomeni, che vengono da noi conosciuti e
concettualizzati grazie a queste categorie che imponiamo loro,
determinando quel che Kant chiama trascendentalismo.
Popper interpreta correttamente la soluzione kantiana: « La
conoscenza - epistēmē - è possibile perché noi non siamo passivi
recettori di dati sensoriali, bensì attivi assimilatori. Assimilandoli,
diamo loro forma e li organizziamo in un Cosmo, l’universo della
natura. Nel corso di tale processo, imponiamo al materiale
presentatoci dai sensi le leggi matematiche che fanno parte del
nostro meccanismo di assimilazione e organizzazione. Quindi non è
5
Ibidem, pp. 162, 163
6
che il nostro intelletto scopra delle leggi universali nella natura, ma
è esso a prescrivere le sue proprie leggi e ad imporle alla natura ».
6
Sebbene Popper consideri la soluzione di Kant “ geniale ”, ne critica
però sia il presupposto stesso, sia la stessa tesi che costituisce la
soluzione di tale problema. Infatti, il problema kantiano di come sia
possibile la conoscenza certa, l’epistēmē, benché ineludibile, è
comunque un “ problema insolubile ”, un falso “ problema ”; e ciò
semplicemente perché è errata la convinzione kantiana che la
scienza elaborata da Newton sia conoscenza certa o epistēmē.
Popper scrive infatti: « La questione si imponeva inevitabilmente.
Ed era tuttavia insolubile. Infatti, quello che sembrava un dato di
fatto, il conseguimento dell’epistēmē, non era tale. Come ora
sappiamo, o crediamo di sapere, la teoria di Newton non è più di
una meravigliosa congettura, una approssimazione
sorprendentemente buona; unica, in effetti, ma non come la verità
divina, bensì solo come l’invenzione di un genio di natura umana;
non appartenente quindi all’ epistēmē, ma al regno della doxa. Con
ciò il problema kantiano “ Com’è possibile la scienza naturale
pura ” vien meno, e spariscono le più rilevanti difficoltà ad esso
connesse ».
7
Kant quindi si sbagliava nel pensare di dover spiegare
l’unicità e la verità della teoria di Newton, anche se per Popper il
6
Ibidem, p. 164
7
Ibidem
7
suo errore era da ritenere comprensibile, date le conoscenze del
tempo, in quanto fu solo con Einstein che ci si rese conto che il
sistema di Newton non è il solo possibile, ma che esso rappresenta
soltanto un’approssimazione di un’eventuale spiegazione ultima e
che, pertanto, la ragione, nel tentare ulteriori approssimazioni « è
capace di più di una interpretazione, e non può imporne alla natura
una propria, una volta per tutte ».
8
Nel pensiero di Kant, tra l’altro,
non fu svolto fino in fondo lo sforzo di demarcazione tra teorie
scientifiche e teorie metafisiche, per cui esso fu ulteriormente
trattato e sviluppato fino in epoca contemporanea a Popper. Se ne
interessarono sia Wittgenstein che tutto il “ Circolo di Vienna ”. Il
problema non poteva però essere considerato definito e risolto,
perché essi lo trattarono soltanto in termini linguistici, tant’è che lo
stesso Rorty definì questo tentativo una “ svolta linguistica ”.
Nell’interpretazione della logica da parte di tutti coloro che
facevano parte del Circolo, si pensò di poter stabilire una
demarcazione, sostenendo che la scienza era formulata con
proposizioni significanti, mentre quelle metafisiche erano prive di
significanza. La più caratteristica affermazione del positivismo
logico è, infatti, che una proposizione ha significato solo nella
misura in cui essa è verificabile. Ne segue che sono dotate di
8
Ibidem, p. 330
8
significato solo due classi di proposizioni: le proposizioni
empiriche, come tutti i gravi cadono verso il centro della Terra, che
sono verificate per via di esperimenti - questa categoria include
anche le teorie scientifiche; le verità analitiche, come tutti i mariti
sono sposati o la somma degli angoli interni di un quadrilatero è
360 gradi, che sono vere per definizione - e include anche le
proposizioni matematiche. Tutte le altre proposizioni, incluse quelle
di natura etica ed estetica, sull'esistenza di Dio, e via dicendo, non
sono quindi “ dotate di significato ”, e appartengono alla
“ metafisica ”. Le questioni metafisiche sono in effetti falsi
problemi e non meritano l’attenzione dei filosofi.
Popper si rese subito conto che il significato delle proposizioni non
era sufficiente a stabilire una demarcazione: anche le proposizioni
metafisiche hanno un significato! Questo lo costrinse a riflettere
sulla necessità di una diversa soluzione, che egli formulò
definitivamente prima nella Logica della scoperta scientifica
(1934), poi nel Poscritto alla logica della scoperta scientifica
(1956) e infine nei Due problemi fondamentali della conoscenza
(1979). In tutte queste opere, ma anche in occasione di scritti
polemici e di conferenze, Popper insistette sempre sulla validità
della sua teoria di demarcazione e con il tempo l’affinò sempre più,
inserendovi i problemi di logica ad essa inerenti, soprattutto
9
recependo il concetto di verità di Tarski, che rispetta la concezione
tradizionale della verità come “ corrispondenza ai fatti ”. E’ lo
studioso di logica polacco che, infatti, sostenne che « vero è solo
quello che corrisponde alla realtà, in opposizione, per esempio, alla
concezione utilitaristica “ vero: utile sotto un certo aspetto ” ».
9
A questo proposito, Popper ricorda anche Wittgenstein e la sua
teoria « sorprendentemente ingenua, della verità come immagine o
proiezione ».
10
Il maggiore risultato ottenuto da Tarski e il reale
significato della sua teoria, sia per la filosofia che per le scienze
empiriche, sta per Popper « nel fatto che egli riabilitò la teoria della
verità assoluta, o oggettiva, intesa come corrispondenza, che era
diventata sospetta. Egli rivendicò la possibilità di usare liberamente
l’idea intuitiva della verità come corrispondenza ai fatti. La
convinzione » prosegue Popper « che la sua teoria sia applicabile
soltanto ai linguaggi formalizzati è, a mio avviso, erronea. Essa
risulta applicabile ad ogni linguaggio coerente e anche a una lingua
“ naturale ”, purché impariamo dall’analisi di Tarski come evitarne
le incoerenze […] ».
11
I problemi della logica hanno, dunque, un’importanza radicale nella
teoria popperiana della demarcazione, come dimostra l’aggiunta di
9
Alfred Tarski trattò questa questione nell’opera Der Wahrheitsbegriff del 1933
10
Karl Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., p. 382.
11
Ibidem, p. 383
10
un Addendum alle pagine dedicate a Verità, razionalità e
accrescersi della conoscenza.
12
Si terrà conto nello sviluppo della
tesi sulla demarcazione delle teorie scientifiche da quelle
metafisiche, sia di questi approfondimenti popperiani sulla logica,
sia della soluzione che egli dà, anche servendosi di essi come
strumento, al problema del realismo.
12
Cfr. Verità, razionalità e accrescersi della conoscenza, in Congetture e
confutazioni, op. cit., pp. 39 e segg.
11
І
KARL POPPER
« Popper ha conseguito risultati d’eccezione e, in alcuni casi, rivoluzionari in
filosofia della scienza, nella teoria della probabilità, in teoria della
conoscenza, in metafisica, nella filosofia sociale e politica e nella filosofia
della storia; ha dato importanti contributi, suscitando non poche polemiche,
alla nostra comprensione della logica, della storia della filosofia, specialmente
dei presocratici, della meccanica classica, della termodinamica classica, della
fisica dei quanti, della biologia evoluzionistica, della psicologia, della
musica ».
David Miller
1. Biografia
Il 28 luglio 1902, da genitori di fede ebraica convertiti al
luteranesimo, nasce Karl Raimund Popper, a Vienna, città austriaca
dove « vengono elaborate le grammatiche di lettura con cui gli
uomini del ventesimo secolo leggeranno il mondo ».
13
E’ qui che,
infatti, nascono la musica dodecafonica, l’architettura moderna, il
positivismo legale, la pittura astratta, la psicoanalisi, il
13
Massimo Baldini, Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma, 2002,
p. 9
12
neopositivismo e la filosofia del linguaggio; è qui che, Sir Popper si
forma intellettualmente: consegue il dottorato in Filosofia (1928)
con una dissertazione dal titolo Sul problema del metodo della
psicologia del pensiero, si sposa (1938), insegna nelle scuole
elementari dal ’30 al ’36, entra in contatto col “ Circolo
neopositivista ” e pubblica la sua prima grande opera, Logica della
scoperta scientifica, in cui affronta i due problemi che costituiranno
la sua riflessione per un’intera vita: il problema dell’induzione e
quello della demarcazione tra ciò che è scientifico e ciò che è
filosofico, metafisico, etico, religioso, logico o matematico. Nei
primi anni Venti lavora come operaio nella costruzione di strade e
come apprendista presso un ebanista; compone, sulle orme della
madre, avendo come modello Bach, e viene ammesso al
Conservatorio. Nel 1925 viene ammesso all’Istituto pedagogico di
Vienna. In quegli stessi anni ascolta una conferenza di Einstein e
rimane colpito dal suo spirito critico e dal suo amore per la
polemica che invece non aveva riscontrato in quelli che
inizialmente erano stati i suoi riferimenti: Marx, Freud, Adler. Nel
1937, approfittando dell’offerta di un incarico di lettore di filosofia
presso l’Università di Canterbury a Christchurch, emigra in Nuova
Zelanda, per sfuggire al Nazismo. Nel 1946, su interessamento di
von Hayek, si trasferisce in Inghilterra dove insegnerà “ Logica e
13
Metodo scientifico ” alla “ London School of Economics ”, qui
diverrà professore nel ’49 e direttore del neonato “ Dipartimento di
Filosofia, Logica e Metodo Scientifico ”. Nel 1950 compie il suo
primo viaggio negli Stati Uniti, dove incontra per la prima volta
Albert Einstein: « L’argomento principale delle nostre
conversazioni fu l’indeterminismo. Io cercai di persuaderlo ad
abbandonare il suo determinismo, che in pratica si riduceva all’idea
che il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a
quattro dimensioni, nel quale il mutamento era un’illusione umana,
o qualcosa di molto simile. Egli era d’accordo che questa fosse la
sua opinione, e discutendo di ciò, io lo chiamai “ Parmenide ” »
14
,
come scriverà Popper, ricordando l’episodio.
Nel ’65 viene insignito del titolo di “ baronetto ” dalla regina
Elisabetta II e nel ’76 diviene membro della “ Royal Society ”,
l’accademia nazionale inglese delle scienze. In Inghilterra si scontrò
con la figura dominante dell’ambiente filosofico di quel periodo,
Ludwig Wittgenstein. Il primo e unico incontro tra i due ebbe luogo
il 25 ottobre 1946, nell’aula 3 della scala H del King’s College di
Cambridge. La sala era affollata e furono in molti a restare in piedi
per ascoltare il giovane professore. Popper così ricorda : « ricevetti
un invito, perché leggessi un saggio, […] era chiaro che dietro,
14
Karl Popper, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Armando Editore,
Roma, 2002, p. 145
14
c’era la tesi di Wittgenstein, secondo la quale in filosofia non
esistono problemi genuini, ma soltanto perplessità linguistiche.
Siccome questa tesi era fra quelle che più avversavo, decisi di
parlare su “ Ci sono problemi filosofici? ” […] Presentai un elenco
da me preparato di problemi filosofici, come : Conosciamo le cose
attraverso i nostri sensi? Otteniamo la nostra conoscenza per
induzione? Wittgenstein li respinse, dicendo che erano problemi
logici piuttosto che filosofici. Posi allora il problema se esista
l’infinito potenziale o forse anche quello attuale, un problema che
egli respinse come matematico. […] Ricordai quindi i problemi
morali e il problema della validità delle norme morali. A questo
punto Wittgenstein, il quale sedeva vicino al caminetto e giocava
nervosamente con l’attizzatoio, che talvolta usava come bacchetta
da direttore d’orchestra per sottolineare le sue affermazioni, mi
lanciò una sfida: “ Dai un esempio di regola morale! ”. Io replicai :
“ Non minacci i conferenzieri ospiti con gli attizzatoi ”. Dopodiché
Wittgenstein, infuriato, gettò giù l’attizzatoio e se ne andò adirato
dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta ».
15
15
Ibidem, pp. 139, 140