5
dalla nascita delle prime Facoltà di Psicologia a Roma e a Padova negli anni ’70, fino
alla Legge 56/89 istitutiva della professione psicologica in Italia. Inoltre in questo
primo capitolo espliciteremo l’ottica metodologica che ci ha guidato nella
realizzazione della ricerca e nella stesura di questo lavoro di tesi e riassumeremo i
risultati ottenuti e le ipotesi formulate rispetto alle Culture Locali degli psicoterapeuti
e dei clienti, Culture che sono state rilevate attraverso la metodologia dell’AET.
Il lavoro di ricerca sulla Cultura Locale dei non clienti è stato integrato con una
indagine esplorativa della letteratura scientifica sulla psicoterapia di cui viene
riportata un’analisi nel secondo capitolo. Tale esplorazione è stata indirizzata in
particolar modo a riviste e volumi, rappresentativi dell’ambito italiano, aventi come
oggetto di analisi la ricerca in psicoterapia, dagli anni ’80 ad oggi. L’intento del
nostro lavoro non vuol essere di certo quello di esaurire il dibattito sull’argomento, né
di dimostrare precise ipotesi definite a priori, ma si fonda sull’idea di organizzare i
contributi della letteratura attraverso categorie psicologico-cliniche, che possano
servirci come linee guida nel processo di conoscenza relativo all’ambito di interesse da
noi circoscritto, e in particolar modo nell’intento di capire quale funzione viene
attribuita a chi si rivolge allo psicoterapeuta.
Nel terzo capitolo verrà presentata la metodologia e gli strumenti della ricerca sulla
Cultura Locale di un gruppo di non clienti di psicoterapia. Si parlerà dunque
dell’Analisi Emozionale del Testo, dei suoi presupposti teorico-metodologici e
dell’ottica che la fonda, e si farà riferimento ai criteri che ci hanno orientato nella
conduzione di interviste libere quali strumenti utilizzati per la raccolta di un testo su
cui è stata condotta l’analisi nell’ambito della metodologia dell’AET.
Infine, nel quarto capitolo, si discuteranno i risultati della ricerca sulla Cultura Locale
del gruppo di non clienti implicati, cercando di proporre un’interpretazione possibile
dei risultati ottenuti, all’interno di un lavoro che si basa sull’analisi statistica di come
determinate parole, da noi definite “parole dense”, co-occorrano alla formazione del
testo. Tale analisi viene condotta ancorando tali interpretazioni alla fase istituente la
ricerca, e quindi tenendo ben a mente chi sono i nostri interlocutori e quale è stata la
domanda loro posta, nell’idea che questi possano essere criteri fondanti il lavoro di
interpretazione.
6
CAPITOLO I
LE PREMESSE DELLA RICERCA
La ricerca da noi resocontata si pone come obiettivo l’esplorazione dei vissuti – nei
termini del modello che adotteremo dinamiche collusive o Cultura Locale
1
– che
connotano la psicoterapia in un gruppo di persone che non ne hanno mai avuto
esperienza, e che quindi definiremo non clienti.
Tale lavoro si inserisce entro un progetto più ampio, che nasce dalla committenza della
Cattedra di Psicologia Clinica dell’Università La Sapienza; progetto che ha preso in
considerazione, in una prima fase, l’analisi delle Culture Locali di un gruppo di clienti
e di un gruppo di psicoterapisti, con l’obiettivo di esplorare i modelli culturali che
organizzano la professione psicoterapeutica ed orientano la domanda ad essa rivolta.
Ma su questo torneremo più avanti.
Per ricostruire il punto di partenza di questi lavori di ricerca e il senso della
committenza della Cattedra di Psicologia Clinica nei confronti dell’intervento
psicoterapico, dobbiamo recuperare alcune considerazioni in merito al rapporto tra
Psicologia Clinica e Psicoterapia, legate anche allo sviluppo storico di questa pratica di
intervento.
1. Alcuni cenni storici
Per quanto riguarda lo sviluppo della pratica psicologica e di quella psicoterapeutica, è
opportuno fare alcune differenziazioni.
La psicoterapia nasce storicamente in ambito medico (Lombardo, 2005), in pieno
positivismo ottocentesco, avendo come obiettivo quello di fondare nell’area degli studi
sulla psiche una relazione stretta e scientificamente fondata tra psicopatologia, quale
1
Torneremo più approfonditamente su questi concetti nel paragrafo 5 di questo stesso capitolo.
7
fenomenologia descritta eziopatogeneticamente e terapia, coerentemente con il modello
diagnostico causale tipico della medicina.
Parlando della psicologia il discorso si complica, soprattutto se ripercorriamo le tappe
dello sviluppo di questa disciplina in Italia negli ultimi decenni. Negli anni settanta gli
psicologi erano qualche centinaio, e operavano soprattutto presso l’Università, l’Ente
Nazionale Prevenzione Infortuni, e entro qualche grande agenzia nel settore della
selezione e della formazione.
In particolare, entro il contesto universitario, la Psicologia si suddivideva in due grandi
aree: da un lato c’erano gli sperimentalisti, che ignoravano le competenze applicative
della disciplina e orientavano la ricerca rispetto a tematiche quali per esempio la
percezione; dall’altro c’erano psicologi che esploravano vie applicative della pratica
psicologica accomunata con la ricerca, e che indagavano varie questioni, quali per
esempio quelle dell’orientamento scolastico, della prevenzione degli infortuni, della
ricerca motivazionale e della dinamica dei gruppi sociali nell’ambito della formazione.
Si colloca in questi anni l’inizio dei Corsi di Laurea in Psicologia
2
, che nascono proprio
in quei contesti accademici, Roma e Padova, in cui è più ricca l’attività di
sperimentazione rispetto alla pratica dell’intervento psicologico. In tali contesti
vengono impiegati con la funzione di docenti per la formazione professionale degli
psicologi, professionisti con un’altra formazione non psicologi, ma psicoanalisti,
psichiatri, medici. Tutti avevano quale loro caratterizzazione professionale la pratica
2
I Corsi di Laurea in Psicologia vengono istituiti presso la Facoltà di Magistero con il D.P.R.
del 21 luglio 1971, n. 183, a Roma, e con il D.P.R. 5 novembre 1971 n. 279, a Padova. Con il
D.P.R. 6 febbraio 1985 n. 216 si realizza la modificazione dell'ordinamento didattico dei corsi
di laurea in Psicologia con l'istituzione di corsi quinquennali, distinti in un biennio propedeutico
e in trienni distinti per indirizzi; gli indirizzi previsti erano: Psicologia generale e sperimentale;
Psicologia dello sviluppo e dell'educazione; Psicologia clinica e di comunità; Psicologia del
lavoro e delle organizzazioni. Nel novembre del 1991, in seguito alla ristrutturazione della
Facoltà di Magistero alla quale sino a quel momento appartenevano i Corsi di Laurea in
Psicologia, viene istituita la Facoltà di Psicologia a Roma. Nel novembre del 1992 viene
istituita la Facoltà di Psicologia di Padova.
Nel 2002 si realizza una nuova riforma degli studi universitari, nota come 3+2: anche a
Psicologia si organizzano corsi triennali "professionalizzanti" e bienni specialistici che
completano l'iter degli studi per il conseguimento della vera e propria laurea in Psicologia. È in
quell'anno che a Roma la "vecchia" Facoltà di Psicologia si separa in due Facoltà, Psicologia 1
(a prevalente indirizzo generale e clinico) e Psicologia 2 (a prevalente indirizzo sociale e del
lavoro). Nel 2006 esistono in Italia 49 corsi di Laurea triennali e 52 corsi biennali specialistici.
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psicoterapeutica entro Scuole che si andavano sviluppando in quegli anni in Italia,
mutuando spesso acriticamente la loro prassi da modelli statunitensi.
In questo modo la formazione entro i corsi di laurea in Psicologia non viene orientata
alla promozione di un’attività professionale coerente con il titolo accademico. Così, in
virtù della mancanza di una formazione psicologica specifica, e della subordinazione al
modello psicoterapeutico-medico, si sono andate diffondendo scuole private che
dovrebbero sopperire all’inconsistenza professionale della formazione in psicologia
date dall’Università.
Di conseguenza l’incontro della psicologia, nella sua declinazione applicativa, con il
vasto campo dell’utenza pubblica dei Servizi, evidenzia le carenze di una
professionalità psicologica così come era andata costituendosi in quegli anni. Nella
necessità di fronteggiare il vuoto d’identità professionale, si assiste, nella maggior parte
dei casi, all’acquisizione di specialità diverse dall’ambito psicologico clinico, fino
all’identificazione con altre professionalità presenti nei Servizi. Quindi anche nel
Servizio Sanitario Nazionale le mansioni professionali dello psicologo tendono a ridursi
ad un’offerta di psicoterapia, che, nei diversi contesti, crea, da parte degli utenti, una
generale domanda di psicoterapia.
Tali identità sostitutive sembrano in particolare legate alle difficoltà che gli psicologi
hanno incontrato nell’elaborare la propria cultura professionale in alternativa alle
culture professionali dominanti, soprattutto quella psichiatrica.
Quindi all’assenza di un programma formativo psicologico corrispondeva una presenza
forte e sistematica delle psicoterapie, che diventavano modelli sostitutivi che gli
psicologi avrebbero dovuto seguire e hanno seguito per recuperare quel vuoto
formativo, al prezzo di diventare qualcos’altro. Così molti laureati in psicologia si sono
orientati alla formazione psicoterapeutica, incrementando il mercato delle scuole
private.
9
2. Tra metodo clinico e psicologia clinica
Innanzitutto partiamo da un’analisi dell'aggettivo "clinico”, che deriva dal greco klinē,
e indica la posizione sdraiata del malato con il medico chino al suo capezzale. Una tale
raffigurazione contiene l'essenza del "metodo clinico", la relazione del medico col
paziente: una relazione che, visti gli strumenti e le conoscenze della medicina antica,
doveva necessariamente essere personalizzata, prolungata nel tempo, attenta e intima.
Tutta la storia di vita di una persona e l'ambiente in cui si era svolta, lo stesso stile di
vita e il contesto familiare dovevano essere conosciuti perché il medico di allora avesse
qualche indizio per poter in qualche modo curare il paziente. In altri termini, il medico
di allora stabiliva col paziente quella che oggi nei servizi psicosociali viene definita
"presa in carico" (Grasso, 2004). Questa iniziale concezione del metodo clinico, inteso
appunto come presa in carico, si è modificata negli anni, soprattutto con il diffondersi
delle ricerche in campo medico che andavano continuamente verificando teorie rispetto
al funzionamento dell’organismo umano e dei processi di patogenesi a cui va incontro.
Le diverse tecniche e i forti modelli teorici di riferimento segnano la pratica medica,
relegando l’utilità della relazione con il proprio paziente ad una posizione di secondo
ordine ai fini della diagnosi e del trattamento terapeutico.
Si nota quindi un cambiamento nel modo di intendere l’aggettivo clinico e il metodo
clinico. La clinica si ancora alla pratica medica della cura, intesa come comprensione
eziopatogenetica e rimozione del sintomo. Conseguentemente, nel considerare la clinica
riferita alla psicologia, dobbiamo tener presente anche l’ambivalenza dell’aggettivo
stesso, che si ritrova nel modo culturalmente condiviso di intendere la psicologia
clinica. Tale ambivalenza apre a due modi di intendere la psicologia clinica: da una
parte come intervento che si orienta rispetto alla domanda specifica e alla relazione di
consulenza, d’altra come intervento ortopedico (dal latino orthos, riconduzione alla
norma). Quindi si fa strada l’idea della psicologia clinica come ambito di cura, da cui
deriverebbe il termine psico-terapia nel senso di psicologia della cura, o meglio terapia
della psiche.
Al di là di questi riferimenti etimologici e della storia del metodo clinico, è importante
proporre una definizione della psicologia clinica come un settore della psicologia molto
ampio, identificabile con le metodiche psicologiche volte alla consulenza, diagnosi,
10
terapia o comunque all’intervento con individui o gruppi, su aspetti problematici, di
sofferenza e di disadattamento. La psicologia clinica è altresì finalizzata agli interventi
atti a promuovere le condizioni di benessere e i relativi comportamenti, anche
preventivi (Grasso, 2006).
La psicologia clinica, come disciplina autonoma, nasce nel contesto statunitense
(Witmer, 1896)
3
, e si sviluppa nell’Università Italiana piuttosto tardi in rapporto alla
nascita dei corsi di laurea. Nel 1985 si rifonda il Corso di Laurea in Psicologia
inaugurando l’indirizzo Clinico e di Comunità; nel 1986 iniziano le scuole di
specializzazione in Psicologia Clinica; forse troppo tardi, perché nel frattempo si è
consolidata una forte tradizione psicoterapeutica in Italia. Tra l’altro è significativo
della forte componente medica nell’ambito clinico e del forte ancoraggio a questo tipo
di intervento il fatto che fino al 1987, la psicologia clinica era una disciplina inserita nel
raggruppamento psichiatrico per ciò che concerneva i concorsi per la docenza
universitaria. Solo di recente è stata formalmente riconosciuta la matrice psicologica
della psicologia clinica, creando un raggruppamento apposito in quest’area.
Coerentemente con questo modo di intendere la psicologia clinica si è andata
sviluppando l’idea che la psicoterapia nelle sue differenti strategie e metodiche
costituisca l'ambito applicativo che più caratterizza la psicologia clinica, come punto
di massima convergenza tra domanda, conoscenze psicologiche disponibili, fenomeni
indagati e metodi utilizzabili.
3
La psicologia clinica viene pensata da Witmer (1986) come una prassi basata sul metodo
clinico fortemente ancorata alla concezione del parallelismo psicofisico, attraverso cui è
possibile esaminare sia dal punto di vista psichico che da quello fisico lo sviluppo dei bambini
in età scolare.
Da subito la psicologia clinica si radicò da un lato nella tradizione metodologica psicometria,
dall’altro negli interventi clinici ad orientamento psicodinamico (Lombardo, 2005).
11
3. La legge 56/89
Ricordiamo inoltre i rapporti fortemente intrecciati tra psicologia e psicoterapia segnati
anche dalla legge 56/89, istitutiva della professione psicologica in Italia, la cui
conseguenza sembra essere che la Psicologia Clinica, in quanto area professionale degli
psicologi, è sistematicamente identificata con la Psicoterapia.
Attualmente l’unico sbocco professionale percorribile dagli psicologi sembra essere
quello della psicoterapia. Dato confermato dal grande numero di iscritti all’Ordine degli
psicologi presenti anche nell’elenco degli psicoterapeuti.
Nella legge 56/89, ricordiamolo, l'art. 1 definisce la professione di psicologo, mentre
l'art. 3 regolamenta l'accesso degli psicologi, assieme ai medici, all'esercizio della
psicoterapia. Ragioni storiche e di tradizione della professione psicologica in Italia (che
abbiamo cercato di esplorare nelle pagine precedenti) hanno destrutturato la pratica
clinica, regolamentata in base all'art. 1, ed hanno creato le premesse per il
perseguimento dell'abilitazione alla psicoterapia nella grande maggioranza degli
psicologi italiani gravitanti entro l'area clinica
4
.
“Si pensi alla debole tradizione della professione psicologica sino agli anni settanta del
secolo scorso: quando, nel 1972, sono iniziati i Corsi di Laurea in Psicologia, gli
psicologi italiani erano poco più di 200 in tutta Italia; alla fine del 1994 gli psicologi
iscritti all'Albo professionale erano circa 23.000, mentre al 31 dicembre 2005 siamo
già arrivati a 53.063 iscritti, con un tasso di incremento elevatissimo di anno in anno.”
(Carli, 2006
5
).
4
Per chiarimenti riportiamo i due articoli della legge citati:
Art. 1. La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento
per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito
psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.
Art. 3. L 'esercizio dell'attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione
professionale da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e
chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata
formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso
istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all'articolo 3 del citato decreto del
Presidente della Repubblica.
5
Le citazioni dirette in cui non sono riportati i numeri di pagina riguardano file internet. Ogni
volta che c'è un testo riportato tra virgolette senza indicazione delle pagine sarà per questo
motivo.
12
“Gli psicologi, quindi, sembrano rappresentare un gruppo professionale arroccato
nell’identificare psicologia e psicoterapia, scarsamente attento ai segnali che vengono
dal contesto e che propongono attese e domande ben diverse” (Carli, Paniccia,
Salvatore, 2004).
Sembra quindi profilarsi un’immagine della psicologia come corporazione
professionale tendenzialmente autoriferita, senza competenza a cogliere una domanda
diversa da quella di psicoterapia.
Nasce l’interrogativo sul perché non ci sia un interesse a recuperare una specificità
dell’intervento psicologico, un interrogativo meritevole di approfondimento per gli
sviluppi della professione. In questo senso sembra importante evidenziare la dinamica
emozionale che regge questa convinzione ripetitiva degli psicologi, e la loro
tendenziale cecità verso domande diverse, provenienti dal sistema sociale in cui
operano (Carli, Paniccia, Salvatore, 2004).
Il primo elemento da considerare, ovviamente, è la declinazione della domanda sociale
nei confronti della psicologia.
Partendo da tali premesse, la Cattedra di Psicologia Clinica dell’Università La
Sapienza ha indirizzato il suo interesse verso la domanda rivolta alla psicoterapia,
nell’intento di poter cogliere questioni attinenti sia il mandato sociale che legittima la
professione psicoterapeutica, che il modo in cui la domanda viene proposta dai clienti
e trattata dagli psicoterapeuti nella loro pratica clinica.