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Il termine welfare state (o più semplicemente welfare) significa letteralmente “Stato del
benessere” ed indica, fra l’altro, l’insieme dei servizi indispensabili alla vita della società (ad
esempio la sanità, l’assistenza sociale, le politiche del lavoro, ecc.) che uno Stato garantisce a
tutti i suoi membri perché, se fossero lasciati al mercato, risulterebbero inaccessibili a
un’ampia fascia di cittadini meno abbienti. Nel tentativo di individuare una definizione
scientificamente accettabile, si ritiene di aderire a quanto proposto da Maurizio Ferrera
(1993), il quale rielaborando una definizione proposta nel 1988 da Jens Alber, giunge a questa
conclusione: “il welfare state è un insieme di interventi pubblici connessi al processo di
modernizzazione, i quali forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e
sicurezza sociale, introducendo fra l’altro specifici diritti sociali nel caso di eventi prestabiliti
nonché specifici doveri di contribuzione finanziaria”.
L’analisi storica del fenomeno welfare, non può che partire dalle considerazioni di Achille
Ardigò, in seguito fatte proprie anche da Pierpaolo Donati, secondo le quali si possono
distinguere tre grandi “fasi storiche” nell’evoluzione del concetto di welfare: la prima fase
caratterizzata dallo Stato paternalistico (a partire dal XVI secolo); la seconda fase, in cui a
partire dall’esperienza bismarkiana si enuclea lo Stato di sicurezza sociale (a partire dalla fine
dell’Ottocento), ed infine la terza fase in cui nasce e si sviluppa lo Stato sociale beveridgiano
(dopo il 1948). Ad ogni fase storica di sviluppo corrisponde uno degli “ingredienti” citati da
Ferrera nella sua definizione: nella prima fase la componente dominante è l’assistenza, nella
seconda è l’assicurazione, mentre l’ultima fase è caratterizzata dalla sicurezza sociale.
Esiste un ampio consenso sul fatto che il welfare abbia contribuito a generare le condizioni
sociali e politiche necessarie al consolidamento ed alla modernizzazione democratica in
Europa. Ciò nonostante, in questo particolare momento storico, diverse pressioni, sia interne
che esterne all’apparato del welfare, hanno fatto sì che il mantenimento della struttura e dei
programmi sociali di base, abbia cessato di essere un tema su cui si raccoglie un consenso
generalizzato. Soffermandosi sull’analisi del patrimonio di conoscenza che è stato fin qui
accumulato, in merito alle pressioni diversificate che il welfare da più parti ha subito negli
anni recenti, è possibile concludere con l’affermazione di Massimo Paci affermando che “il
senso complessivo che si trae dalle analisi sin qui condotte è quello di una avvenuta rivincita
del mercato”. In particolare la maggior parte delle analisi fa riferimento alla globalizzazione
come origine - forse sarebbe meglio usare l’espressione causa - di tutte le trasformazioni in
atto. L’avvento e l’applicazione delle nuove tecnologie della comunicazione e
dell’informazione, ha avuto un ruolo determinante in questi anni; è infatti grazie a queste
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tecnologie che si è concretizzato il fenomeno della “flessibilizzazione” delle strutture
produttive, che è all’origine dei radicali cambiamenti che interessano il mondo del lavoro.
Tuttavia questa flessibilità tecnologica e del lavoro si afferma solo entro il quadro di
un’accresciuta competitività economica originatasi con la globalizzazione dei mercati.
Applicando la “sequenza esplicativa” che viene proposta da Paci, si potrebbe concludere con
la seguente concatenazione di eventi: la globalizzazione costituisce il primo anello di questa
catena; essa comporta e implica l’applicazione ai processi produttivi delle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione e delle nuove tecniche che riducono, fino ad
annullarlo, l’impatto della localizzazione. Insieme all’affermarsi di queste nuove modalità
produttive, si afferma anche il fenomeno della “flessibilizzazione” e della “precarizzazione”
del lavoro, seguita della fase della delocalizzazione e della ristrutturazione produttiva,
accompagnata da disoccupazione e prepensionamenti. Si conclude infine, con la riduzione
delle entrate per il sistema di welfare e con l’aumento delle sue erogazioni, comportando
quindi crescenti problemi al bilancio dello Stato, che risulta fortemente indebolito rispetto alle
prestazioni in grado di offrire ai propri cittadini.
Sempre secondo Massimo Paci tuttavia, non si deve trascurare la prospettiva socio-culturale, a
vantaggio unicamente dell’analisi di tipo economico, come eziologia della crisi attuale del
welfare. In questo senso infatti, la considerazione del principio della “individualizzazione”,
può rappresentare un ulteriore contributo di analisi. L’individualizzazione deve essere intesa
come percorso storico dell’uomo alla ricerca del maggior benessere possibile, come
affrancamento dalle appartenenze obbligatorie, come autodeterminazione e come possibilità
di realizzazione di sé, dei propri desideri ed aspettative.
Il potenziale innovativo di questa chiave di lettura tuttavia, risulta determinante soprattutto
perché contribuisce a formulare delle ipotesi “congruenti” per una possibile riforma del
sistema; ad individuare cioè delle soluzioni in linea con l’evoluzione del sistema sociale.
Queste soluzioni saranno infatti tanto più efficaci, quanto più sapranno essere coerenti con lo
sviluppo delle potenzialità di individualizzazione dei soggetti coinvolti.
Sulla scorta di quanto evidenziato, Donati sostiene che sarebbe necessario inventare un
welfare di “quarta generazione”. L’autore in questione esamina le proposte che l’attuale
contesto politico-istituzionale sembra avere prodotto, ovvero il cosiddetto modello neolib-lab
di riforma parziale del sistema, con riattribuzione al mercato di quote crescenti di carico
assistenziale, e il modello societario del welfare plurale, cioè la ristrutturazione complessiva
dell’intera rete sociale di welfare con il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti sociali
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coinvolti nelle dinamiche assistenziali (lo Stato con funzioni di ordinatore generale, il Privato
sociale come partner degli interventi, le famiglie e gli individui come soggetti “attivi” in
un’ottica di empowerment).
Secondo Ferrera, una delle “opzioni strategiche” per il welfare del prossimo futuro potrebbe
essere il “reddito di cittadinanza”. I teorici che hanno rielaborato negli ultimi anni questa idea
e soprattutto Philippe Van Parijs, con la locuzione “reddito di cittadinanza” intendono un
reddito corrisposto da una comunità politica a tutti i suoi membri, su una base individuale,
senza la prova dei mezzi, né esigenze di contropartita. Secondo gli indirizzi di questa corrente
di pensiero, il reddito di cittadinanza così concepito, attuato in combinazione ad
un’imposizione sui redditi fortemente progressiva, potrebbe essere uno strumento di
ricomposizione sociale utile per la lotta alla povertà e alla disoccupazione. Utile per
combattere la povertà, in quanto innalza il reddito delle fasce più povere della popolazione di
una misura corrispondente al beneficio accordato, mentre i più abbienti per effetto
dell’imposizione progressiva, finanzierebbero praticamente il beneficio di tutti gli altri. Utile
anche contro la disoccupazione, in quanto la misura del reddito di cittadinanza è cumulabile
con gli altri redditi, quindi si otterrebbe un aumento nell’attrazione dei lavori con più bassa
remunerazione e si otterrebbe altresì una divisione del lavoro fra attivi e non attivi
maggiormente rispettosa della libera determinazione degli individui. Inoltre, con questa
misura, si supererebbe una volta per tutte il problema della “trappola della disoccupazione”
(Ferrera), in quanto verrebbe a scomparire il disincentivo per il beneficiario dell’assegno di
disoccupazione, ad accettare un’occupazione con una remunerazione bassa. Gli aspetti più
critici di questa proposta sono da un lato le modalità di finanziamento della misura e dall’altro
la destinazione dell’erogazione a favore di tutti i cittadini e non solo di quelli che si trovano
nel bisogno. Proprio da questa osservazione era scaturito il dibattito filosofico - all’Università
di Harvard nel corso dei primi anni Novanta - fra Philippe Van Parijs e John Rawls. Secondo
quest’ultimo infatti, non sarebbe eticamente accettabile erogare il beneficio anche quelle
persone che liberamente scelgono di non lavorare (i famosi surfisti di Malibù). Nonostante
l’interesse che ha suscitato questo dibattito, in nessun paese al mondo la misura del reddito di
cittadinanza è stata applicata nella sua accezione “pura”, mentre parecchi sono gli esempi di
reddito minimo di inserimento, che a partire dagli anni Ottanta si sono diffusi in tutta Europa.
Anche se talvolta le diverse locuzioni vengono usate come sinonimi, il reddito minimo
d’inserimento non è un vero e proprio reddito di cittadinanza in quanto, non è destinato alla
generalità della popolazione, ma solo a quelle persone che sono ritenute bisognose, e
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soprattutto non è incondizionato, ovvero vincola il beneficiario ad attuare una serie di
comportamenti (ricerca del lavoro, formazione professionale, ecc.). Dopo che nel 1996 anche
il Portogallo ha introdotto una misura di minimo vitale, l’Italia e la Grecia sono rimasti gli
unici paesi dell’Europa occidentale a denunciare la mancanza di una rete minima di
protezione dai rischi di povertà ed esclusione sociale.
La Regione Friuli Venezia Giulia è entrata recentemente in una fase di interessante e viva
sperimentazione di misure innovative nell’ambito del welfare. In particolare sono da
rammentare la L.R. 23 del 2004, che recepisce i contenuti della legge 328 del 2000, per
quanto riguarda gli strumenti di programmazione sociale e socio-sanitaria (Piano di Zona,
Piano Attuativo Locale, Programma delle Attività Territoriali), la L.R. 6 del 2006 che
riconosce la necessità di un coordinamento delle politiche sociali molto più ampio e articolato
rispetto al recente passato, con l’integrazione delle politiche socioassistenziali di protezione
sociale, sanitarie, abitative, dei trasporti, dell’educazione, formative, del lavoro, culturali,
ambientali e urbanistiche, dello sport e del tempo libero, nonché di tutti gli altri interventi
finalizzati al benessere della persona e alla prevenzione delle condizioni di disagio sociale.
Inoltre, l’art. 59 della L.R. 6 del 2006 istituisce la misura del “reddito di base per la
cittadinanza”, sull’esempio di altre due Regioni in Italia (la Campania nel 2004, la Basilicata
nel 2005). Non si tratta naturalmente, di una misura che può essere definita “reddito di
cittadinanza” in senso stretto, quanto piuttosto di un reddito minimo di inserimento, per
accedere al quale bisognerà soddisfare i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal
regolamento in fase di predisposizione ed in ogni caso, fortemente caratterizzato dalla volontà
dell’empowerment dei soggetti beneficiari. Anche la L.R. 11 del 2006, in tema di sostegno
alla famiglia e alla genitorialità, appare particolarmente significativa, in quanto contiene degli
elementi che cercano di superare la logica tradizionale del welfare in questo settore,
caratterizzata da interventi “a pioggia” e quasi esclusivamente monetizzati. Soprattutto la
creazione della “Carta Famiglia”, prevista con l’art. 10, che mira ad abbattere determinate
spese che gravano sui nuclei familiari (rette asili, luce, imposte locali, ecc.), sembra porsi
come un mezzo di effettivo empowerment per le famiglie; un mezzo attraverso il quale sarà
possibile “accompagnare” le famiglie lungo il percorso di crescita e di educazione dei figli.
Inoltre si rileva altresì la decisa promozione dei momenti di associazionismo familiare, che
vengono sostenuti finanziariamente con la formula del “progetto”, ma anche osservati,
riconosciuti e valorizzati, soprattutto attraverso strumenti quali la Consulta regionale per le
famiglie.
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Rispetto alle novità più significative maturate in Europa, si segnala in modo particolare il caso
della Pflegeversicherung (long term care) attiva in Germania e in Austria dalla metà degli
anni Novanta; si tratta di un’assicurazione obbligatoria per fronteggiare il rischio di non-
autosufficienza e per contribuire ad evitare l’istituzionalizzazione dei soggetti affetti da
patologie cronico-degenerative. Con questa misura si tutela la persona bisognosa, evitando
finché possibile l’istituzionalizzazione, sollevando il bilancio della sanità del costo dei
ricoveri di questi pazienti. Già la Commissione Onofri nel 1997, aveva segnalato che quella
della Pflegeversicherung poteva essere una prospettiva di indubbio interesse anche per
l’Italia.
Se la costruzione di un welfare di tipo societario, è gia in parte una realtà che si sta lentamente
concretizzando, grazie soprattutto allo sforzo avviato a livello nazionale con la legge 328 del
2000, rimangono più difficili da prevedere gli sviluppi della misura del reddito di
cittadinanza. Probabilmente infatti, non si arriverà mai ad un’attuazione della misura in senso
“puro”, come teorizzata dai filosofi. Molto più realisticamente invece, la misura del reddito di
cittadinanza, intesa però in modo meno universalistico, alla maniera del reddito minimo di
inserimento, potrà contribuire significativamente alla rimodulazione delle politiche
previdenziali e del lavoro. L’urgenza di interventi tendenzialmente universalistici di sostegno
al reddito è tanto più avvertita, quanto maggiore è la percentuale della popolazione che si
trova oggi a fare i conti con la precarizzazione del lavoro, e domani si dovrà confrontare con
la difficoltà a soddisfare i parametri di una pensione calcolata sulla base del metodo
contributivo, a causa della discontinuità del percorso professionale. La maggior parte degli
autori ritiene infatti che saranno queste le prospettive nelle quali la misura del reddito di
cittadinanza potrà svolgere un ruolo chiave nel prossimo futuro: la riarticolazione del sistema
previdenziale sulla base di tre “pilastri” (contributivo, integrativo, “di base”) e il
rafforzamento delle tutele del lavoro.
Sulla scorta delle considerazioni che si sono enucleate quindi, è facilmente comprensibile
l’importanza del momento attuale nella storia del welfare; non ci si trova innanzi ad una
semplice rimodulazione del sistema, bensì ad un vero e proprio momento genetico di un
nuovo modello di protezione sociale in cui le dimensioni citate, quella del welfare societario e
quella del reddito di cittadinanza avranno un ruolo essenziale.