7
Lavorando da diversi anni come danzamovimentoteapeuta e come arte
terapeuta, (mi sono formata e diplomata come è
DanzaMovimentoTerapeuta in Chiave Simbolica presso l’Istituto Riza di
Medicina Psicosomatica di Milano nel 1990, allieva della Dott.sa Paola de
Vera D’Aragona, e come Arte Terapeuta preso la Scuola Il Porto.Adeg di
Torino nel 1996 ), ho sempre provato un profondo interesse per la
possibilità di conoscere le persone attraverso i canali espressivi non
verbali.
Nel mio lavoro con i gruppi ho visto spesso emergere contenuti interni,
difficili da esprimere a parole, in una forma rappresentativa permessa dal
movimento del corpo, dalla danza e dalla creazione di immagini. Questi
contenuti, una volta esternalizzati, potevano essere contattati ed elaborati,
per poi ottenerne una rappresentazione verbale.
Sono vicepresidente dell’APID (Associazione Professionale Italiana
DanzaMovimentoTerapeuti, Supervisore e Docente delle scuole di
Formazione
( Milano, Cagliari, Firenze, Genova, Lecco), Membro del Consiglio
Direttivo e Docente della Scuola di Formazione in Arte Terapia Clinica –
Lyceum-Vitt3 di Milano. Ho una lunga esperienza di conduzione di
gruppi di arte e danza terapia, con adulti e adolescenti in contesti pubblici
e privati e mi sono specializzata nella terapia espressiva con adolescenti
disabili, portatori di handicap intellettivi, ritardi e disturbi
dell’apprendimento, nonché nella formazione di adulti.
Il mio interesse parte quindi dall’utilizzo del corpo e del movimento, del
processo e della produzione artistica, principalmente come strumenti che
mi appartengono e che mi hanno formata, che utilizzo costantemente sia
per il sostegno alle persone, ma anche come strumenti personali di
autoanalisi e di conoscenza.
Ho ripreso lo studio della Psicologia, iniziato da giovane, presso
l’Università di Padova, in seguito interrotto per motivi familiari, mai del
tutto abbandonato, in quanto la formazione nelle terapie espressive ed il
loro studio mi ha permesso di continuare lo studio della psicologia, di
affrontare un percorso terapeutico personale, indispensabile e tra i
8
requisiti della formazione, e di riprenderlo negli ultimi anni,
completandolo all’Università degli studi di Pavia.
Questa tesi vuole rappresentare un’integrazione delle conoscenze e delle
esperienze apprese, per poter realizzare, attraverso chiarificazioni,
contributi teorici, studi ed esperienza pratica, un quadro teorico più
scientifico che permetta una visione più chiara e specifica delle terapie
espressive, arricchendole del loro contenuto psicodinamico e
psicoterapeutico più approfondito e correttamente interpretato.
Questo lavoro vuole essere un completamento quindi teorico e scientifico
che riguarda la mia storia, ma anche offrire un quadro di riferimento più
aggiornato alle persone in formazione che vogliono approfondire e
solidificare i presupposti teorici e pratici di questa affascinante pratica di
relazione di aiuto.
Lo sviluppo di questa tesi parte dalla mia esperienza come
danzamovimentoterapeuta e come arte terapeuta, per cui nasce dal mio
lavoro pluriennale sul corpo e il processo artistico. Oltre al mio interesse
per la psicologia, la passione e la convinzione della validità degli
strumenti terapeutici a mediazione artistica la volontà di inquadrare questi
elementi in una forma teorica meglio definita e articolata.
Nel Capitolo 1 verrà illustrata la Psicoterapia Corporea, la sua nascita, il
suo impianto teorico, il suo sviluppo, la rivoluzione teorica provocata
dalla sua comparsa, e gli ulteriori e successivi sviluppi. La visione del
corpo come contenitore e portatore della memoria antica a livello
ontogenetico e filogenetico, e come strumento di conoscenza
fondamentale.
Nel capitolo 2 si propone una descrizione della DanzaMovimentoTerapia
(Dmt), costola della psicoterapia corporea, la sua nascita e il suo sviluppo.
Il passaggio dalla danza alla danza terapia, la sua matrice psicoanalitica,
l’influenza della psicologia del profondo, il contributo di alcuni autori che
ne hanno colto l‘importanza teoria e pratica nella cura della persona. I
primi lavori su pazienti psicotici e l’incontro con le teorie psicoanalitiche.
Verrà illustrata anche la sua diffusione internazionale, la crescita
scientifica e metodologica fino ai giorni nostri. L’importanza
fondamentale come mezzo di cura.
9
Nel capitolo 3 sarà descritta l’Arte Terapia, le sue origini, l’influenza
delle teorie psicoanalitiche, delle teorie dello sviluppo e
dell’attaccamento, e l’importanza del processo artistico( comune anche
alla dmt), il passaggio dalla psicopatologia dell’arte all’arte come terapia.
Si passerà poi nel capitolo 4 a considerare l’applicazione di queste due
discipline in forma integrata, in una lunga esperienza pluriennale con
soggetti disabili, sottolineandone gli aspetti facilitatori rappresentati dal
linguaggio corporeo e da quello creativo. Verrà illustrata la tecnica della
narrazione attraverso il corpo e le immagini e le analogie tra dmt e at e le
teorie della psiche.
Nel capitolo5 si illustrerà il concetto di creatività di Winnicott, elemento
essenziale e comune ad entrambe le terapie a mediazione artistica.
Nel capitolo 6 si evidenzieranno le principali caratteristiche e specificità e
le analogie tra la danzamovimentoterapia e l’arte terapia.
Nel capitolo conclusivo saranno raccolte le riflessioni e gli approcci a
nuove forme terapeutiche o comunque di sostegno alla persona.
“ Sono là fin dove arriva il mio tatto, la mia voce, fin dove penetra il
mio sguardo, e così tu sei là fin dove io posso toccarti ma anche dove
avverto il tuo respiro, il tuo odore, e comunque la tua presenza fisica,
sia pure anche solo come semplice pre-sentimento.” (Schilder)
10
Cap. 1 - La psicoterapia corporea
Sistema anatomofunzionale specifico per la conoscenza
corporea
Da un punto di vista neurofisiologico la rappresentazione neurale legata
alla percezione della posizione e dei segmenti corporei e dei loro
mutamenti in rapporto al corpo e allo spazio esterno è espressa a livello
talamico e corticale in mappe topografiche somatosensoriali. Tali mappe
non sono stabili ma potenzialmente modificabili attraverso alterazioni
dell’input sensoriale, per cui per esempio la percezione sensoriale di un
arto può essere influenzata da segnali diversi provenienti dal muscolo.
Più complesso è il problema dell’esistenza di un sistema
anatomofunzionale specifico per la conoscenza corporea. Tale concetto si
sviluppa a cavallo tra il XIX e XX secolo per spiegare la natura di sintomi
legati alla perdita totale o parziale o non utilizzazione da parte della
coscienza, di un modello mentale della configurazione corporea che
forma la base su cui le reazioni percettive , motorie e corporee si devono
confrontare. Entrano così nel lessico neurologico e psichiatrico i termini
schema corporeo e immagine corporea, per cui si ipotizza una specifica
base neuronale, (parietale sinistra).
Il termine immagine corporea si riferisce alla rappresentazione conscia
del modello corporeo, mentre schema corporeo si riferisce all’immagine
inconscia. Il primo viene usato in campo psichiatrico mentre il secondo
prevalentemente in ambito neurologico e neuropsicologico.
Nel fenomeno dell’arto fantasma (persistenza cosciente della percezione
di un arto o segmento corporeo, nonostante la sua mutilazione, o la sua
assenza congenita), non c’è la mancanza o la perdita quindi del modello
corporeo, bensì la persistenza di un modello intatto.
Sul versante psicodinamico alcuni sintomi a forte carica emotiva e
implicazioni interpersonali, sono stati attribuiti ad una distorsione
dell’immagine corporea
11
( dismorfofobia), nei disturbi alimentari come l’anoressia le dimensioni
reali del proprio corpo vengono sovrastimate, nelle allucinazioni
somatognosiche in cui si percepisce il proprio corpo con dimensioni
diverse o proiettato all’esterno come su uno specchio, i sintomi possono
dipendere da un danno cerebrale o da disturbi dello stato di coscienza.
3
Da un punto di vista clinico un disturbo della conoscenza corporea
dipende prevalentemente da un danno cerebrale, spesso non isolato ma
concomitante ad altri disturbi cognitivi, linguistici e spaziali.
Da un punto di vista teorico l’esistenza di un sistema specifico
anatomofunzionale non è sostenuta da evidenza sperimentale, la
conoscenza corporea sembra organizzata in sistemi specifici che operano
con caratteristiche differenti,( sistema concettuale-linguistico, e un
sistema di rappresentazione spaziale che interagiscono nella percezione
cosciente del corpo).
Cenni storici
Già Pick e Head all’epoca della prima guerra mondiale parlavano di
“schema corporeo”come modello del corpo
4
.
Per Pick (1851-1924) il criterio spaziale assume una grande importanza
riferito alla sindrome di autopoagnosia
5
tale criterio si basa
sull’esistenza di una funzione conoscitiva continua, quasi topografia del
3
Ajiuriaguerra, J., Manuale Di Psichiatria del bambino, Masson, Milano, 1979
4
Termine coniato da Bonnier a cavallo dei due secoli, che riguardava la nozione di “cenestesia”la
quale allude al senso generale che abbiamo del nostro corpo, insieme di sensazioni che, partite dalle
parti più interne e incontrollabili dell’organismo, ci informano di varie e molteplici sollecitazioni
sensitive vaghe o incoscienti, distinte ma fuse nella coscienza di sé quando arrivano al sensorio
(senso di vita, sensibilità comune, viscerale,..) fornendo il senso (sentimento) del nostro corpo.
Bonnier si pone di fronte al concetto di cenestesia o cinestesia, in modo originalmente critico
introducendo il ” criterio topologico” secondo il quale noi sappiamo di occupare un certo nostro
luogo, che ci permette di orientarci “oggettivamente” nel mondo e”soggettivamente”sulla
localizzazione del nostro corpo e delle sue parti, (Cfr. Immagine di Sé e Schema corporeo- Schilder
P., Franco Angeli, Milano, 1986).
5
Disturbo neuropsicologico, perdita della coscienza spaziale del proprio corpo, difficoltà selettiva di
indicare sia su ordine verbale che su imitazione, parti del corpo che vengono correttamente riconosciute e
denominate se isolate dall’esaminatore, tale difficoltà è indipendente da disturbi della comprensione del
linguaggio, si manifesta sia sul proprio corpo che su quello dell’esaminatore che su disegno schematico.(
da Manuale di Neuropsicologia, Denes G.,Pizzamiglio L, Zanichelli, Bologna, 2005),
12
nostro corpo, che ci informa continuamente della situazione in cui si
trova, e per la sua tenuta è importante la sfera visiva, tattile e motoria.
Questa immagine spaziale si crea piano piano nel bambino, costituendo
l’impalcatura a cui si riporta la coscienza della nostra corporeità.
Head (1861-1940) adotta il criterio estesiologico, secondo il quale gli
stimoli che dalla periferia convergono ai sistemi centrali non risultano
consci se prima non vengono vagliati da un sistema cerebrale che li
relaziona, li plasma e li integra ai precedenti per una continua e rinnovata
integrazione, egli chiama questo dispositivo “modello” o “schema” .
6
Schilder definisce l’immagine corporea come il quadro mentale che ci
facciamo del nostro corpo, il modo in cui il nostro corpo ci appare, “..
oltre agli apporti sensitivi che arrivano al cervello,vi è poi l’esperienza
immediata dell’esistenza di un’unità corporea che oltre ad essere
percepita è qualcosa di più di una percezione ,che definiamo schema
corporeo,che non è solo una percezione ma un’immagine tridimensionale
che ciascuno ha di se stesso, che oltre alla percezione attraverso i sensi
comporta schemi e rappresentazioni mentali, pur non essendo solo una
rappresentazione”
7
. Questa immagine può essere cosciente o incosciente,
pronta ad apparire o restare segreta, non è statica ma in continuo processo
di strutturazione-destrutturazione-ristrutturazione, dalla nascita a tutto il
ciclo di vita. Il suo stato sempre in evoluzione dipende dall’investimento
libidico che tende all’appagamento e lo rapporta al mondo oggettuale
attraverso i principi del piacere e della realtà. L’investimento libidico
configura l’immagine di Sé (lo schema corporeo) a seconda dell’epoca di
sviluppo e di evoluzione della sua libido, o della sua regressione a
precedenti fasi (orale, anale, genitale..), l’immagine o schema può
formarsi con la prevalenza del cavo sul prominente, come la bocca, cavità
orale per eccellenza, o altre cavità come la vagina, utero, ano, narici,… o
6
Head lo paragona ad un tassametro in cui la distanza è continuamente trasformata in costi.
7
Nell’ambito del XXX Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria (Milano,12-17
ottobre 1968) un intero simposio è stato dedicato all’argomento Psicopatologia della corporeità. Gli
Atti del Convegno sono apparsi ne Il lavoro neuropsichiatrico. In particolare nel Vol XLV, A. XXII,
fasc. III , ricorre un saggio dello scrivente : Il problema della corporeità.
13
al contrario con la prevalenza della prominenza sulla cavità, pene e i suoi
derivati simbolici ( naso, dito, ma anche cravatta, ombrello, pennello..).
Le due grandi porte delle maggiori sensorialità sono gli occhi e gli
orecchi, quindi è di fondamentale importanza l’esperienza che si apprende
dalle immagini esterne che ci circondano, dai suoni e rumori, nonché dal
linguaggio, oltre che dalle sensazioni somatiche.
In una prospettiva sociologica il singolo si riferisce alla società che
abita, al continuo rapportarsi con altri corpi, e agli altri modelli esistenti.
Pensiamo all’importanza dell’immagine del corpo e della bellezza
rispetto alla moda, al valore che viene dato all’aspetto fisico e
all’abbigliamento.
Inoltre l’immagine che abbiamo di noi stessi cambia a seconda di colui
col quale ci rapportiamo, ci sentiamo belli o brutti, inadatti o valorizzati,
ascoltati o non capiti, spesso si esprime per metafore “ quando ti vedo mi
si allarga il cuore”, “mi sento un pugno nello stomaco”, ecc..con le quali
si annunciano con immediata evidenza esperienze che si riferiscono alla
nostra corporeità, universalmente riconosciute. Scrive Schilder : “
Un’immagine corpoea è sempre in qualche modo la somma delle
immagini corporee della comunità…abbiamo una tendenza a mantenerla
entro i suoi confini e una tendenza ad estenderla e ad espanderla.
8
Il corpo, nel suo articolarsi con altri corpi costituisce lo spazio sociale,
interumano, lo spazio comune a me e a te, in cui io e tu acquisiscono la
qualifica di soci in quanto ci “appariamo” e ci “affrontiamo”
corporalmente. Sappiamo quanto l’esibirsi e la curiosità sia importante
per la crescita dell’individuo, e anche come spesso siano manifestazioni
patologiche di alcune malattie psicologiche.
Noi vogliamo sempre sapere del nostro corpo, e questo sapere lo si
acquisisce nel rapporto quotidiano con altri corpi, fin da quando
manipoliamo il corpo materno e ne siamo manipolati, esperiamo
fisicamente il suo avvicinarsi o allontanarsi.
Ogni volta che si verifica una sensazione tattile, ha inizio una serie di
processi mentali che la mettono in correlazione con le nostre altre
esperienze. Il modello posturale del nostro corpo è correlato con quello
8
Schilder P., in Immagine di Sé e schema corporeo, Franco Angeli, Milano, 1986, pag.24.
14
dei corpi altrui, come anche l’esperienza della nostra immagine corporea
è correlata con quella degli altri.
Le origini della psicoterapia corporea
Negli anni ‘20 Wilhelm Reich proponeva le prime ipotesi sull’esistenza
di interconnessioni profonde e complesse tra lo psichico e il somatico,
sulle leggi di identità funzionale tra due aspetti di una medesima realtà,
sulla necessità in psicoterapia di intervenire anche sul versante corporeo.
In Freud questo aspetto si presentava, in accordo con il modello della
scienza del tempo, come “biologismo”, nella sua teoria delle pulsioni.
Il corpo non può essere relegato alla sola storia infantile dell’individuo; è
comunque presente anche all’interno della stessa relazione terapeutica,
nei suoi processi di comunicazione, che non colgono solo gli aspetti
verbali, simbolici, o fantasmatici. Il corpo esiste nei silenzi, nel tono di
voce, nelle posizioni che il terapeuta assume rispetto al paziente nel
setting, nei movimenti. Con il corpo si parla e si agisce anche se in modo
implicito o inconsapevole. E nella terapia ci sono ben presenti sia il corpo
del paziente che quello del terapeuta.
L’interesse per il corporeo è sempre stato vivo, e ha spinto numerosi
ricercatori ad affacciarsi su questo vasto e affascinante spazio .La storia
delle terapie è punteggiata di autori che si sono mossi in tal senso.
Reich fondò le basi di una nuova teoria corpo-mente, che teorizzò
l’approccio diretto, profondo e sistematico, al corporeo in terapia. Il suo
concetto di identità funzionale tra psiche e soma apre la strada a tutte le
discipline e le metodologie che su questa concezione si sono originate o si
sono sviluppate. Unità e identità psicosomatica si aprono alla grande
scoperta che nel corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e dello
sviluppo della nostra vita, sin da quando nasciamo.
Reich è dunque il più importante tra i ricercatori che posero le basi della
grande area teorica della psicoterapia corporea, avendo per primo
dimostrato, con intuizioni per quel tempo eccezionali, che era necessario
integrare il lavoro terapeutico tradizionale con interventi sul corpo, mirati
15
a modificare condizioni muscolari e neurovegetative che altrimenti
avrebbero continuato a retroagire sul paziente riportandolo allo stato di
malattia.
Sotto la spinta data dalla teoria reichiana, dalla pratica dei gruppi
d’incontro,dalla rivalorizzazione delle discipline corporee orientali, dalle
esperienze di danza e movimento, dalle ricerche sulla psicomotricità,
nascono e si moltiplicano numerose tecniche di psicoterapia corporea. A
volte però tali tecniche rimanevano fini a se stesse, senza una teoria di
riferimento, altre volte si perdevano nell’eccesso opposto puntando
esclusivamente al corpo. Ma tutto questo fermento ha saldamente avviato
un movimento che avrebbe portato ad una delle teoriche della psicologia
clinica più ricche di fermenti e potenzialità.
Le concezioni teoriche della psicoterapia corporea
La psicoterapia corporea si caratterizza non tanto per l’uso diretto del
corpo in terapia, ma fondamentalmente ed essenzialmente per una
differente teoria del funzionamento mente-corpo: non più di tipo
piramidale, con una mente che controlla tutto dall’alto, ma di tipo
“circolare”, in cui tutti i vari piani psicocorporei contribuiscono in modo
paritario alla complessa organizzazione dell’organismo.
La razionalità, i ricordi, il mondo simbolico, e poi le posture e i
movimenti, e ancora il mondo delle emozioni, e infine l’insieme dei
sistemi interni fisiologici, sono altrettante funzioni psicocorporee che,
profondamente integrate e interconnesse nel bambino, possono invece
successivamente sconnettersi tra di loro e diventare limitate e
sclerotizzate. La rabbia può manifestarsi solo nella mascella e nei pugni
inconsapevolmente serrati; un volto esprime tristezza senza che la persona
se ne accorga; una delusione diventa direttamente contrazione allo
stomaco; mani sudate e tachicardie svelano una paura non percepita; i
pensieri possono ritornare sempre sugli stessi punti; le fantasie possono
essere ossessivamente paurose; i muscoli tesi producono un perenne stato
di allarme; e così via.