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matematica, si rapporti nuovamente con Dio e, più in generale, con il mondo della
metafisica.
Si rileverà come questo processo sia giunto a compimento tra il XVIII e il XIX secolo,
quando l’Occidente approda ormai ad una rappresentazione del mondo del tutto
disincantata, dove “ non occorre più ricorrere alla magia per dominare la natura ... -
poichè - a ciò sopperiscono la ragione e i mezzi tecnici”(Weber 1973, p. 20).
In seconda istanza, ricorreremo agli studi fatti dallo storico francese Philippe Ariès circa
i costumi e gli atteggiamenti che ogni periodo storico della nostra cultura ha avuto verso
il problema della morte. Vedremo come questa fu considerata nel Medioevo, scoprendo
un’antica familiarità dell’uomo occidentale con la morte stessa; sulla base della quale
Ariès(1982) parla della morte presso il Medioevo cristiano come di un qualcosa di
addomesticato. Rileveremo come questo tradizionale atteggiamento di confidenza e
sostanziale ritualità venga a mancare nel periodo rinascimentale, lasciando spazio ad
una reinterpretazione della morte in termini soggettivi e personali. O ancora, come, a
partire dal XVII secolo, questa cominci ad assumere nuovi ed imprevisti caratteri di
rottura che faranno emergere un’inaspettata difficoltà relazionale da parte della società
moderna; vedremo come la morte venga allora caricata di nuovi significati
emotivamente sconvolgenti e socialmente sconvenienti. Fino ad arrivare all’attuale
tentativo di espulsione ed emarginazione che caratterizza la cultura contemporanea,
come le più recenti tecniche di occultamento del cadavere, ovvero la cremazione e
l’imbalsamazione.
In seguito all’esposizione di questi due importanti studi, cercheremo di analizzare la
ricostruzione storica effettuata da Ariès alla luce della teoria del disincanto di Weber,
giungendo così a comprendere in che relazione stanno morte e (dis)incanto nelle varie
epoche della nostra società. Si osserverà dunque che la rappresentazione della morte
come fondamentalmente addomesticata e rituale sia possibile solo all’interno di un
contesto profondamente permeato dal sacro come quello medievale; vedremo poi come
il Rinascimento rivaluti la dimensione fisica, tanto mortificata dall’ascesi medievale,
riportando l’individuo e la sua unicità al centro della sua speculazione. E come l’impatto
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dell’avvento della scienza sperimentale cambi il rapporto dell’uomo occidentale con la
divinità, portandolo verso una concezione più razionale e meccanicistica; si noterà
quindi come il progressivo allontanamento di Dio dalla vita degli uomini, promosso,
anche se indirettamente, dall’etica calvinista e, soprattutto, puritana, acceleri
notevolmente il processo di disincantamento, inducendo nella società un nuovo
atteggiamento verso il morire. Vedremo come questo fenomeno di razionalizzazione
ponga problemi di interpretazione e gestione della morte, fino a giungere alla sua totale
estromissione dalla vita delle persone nel XVIII e XIX secolo.
Nel capitolo successivo, analizzeremo quali furono i significati della morte nelle culture
“incantate” della Grecia arcaica dei grandi miti, e nella Atene classica dei filosofi;
vedremo cosa significava morire allora e come gli eroi mitologici affrontavano la
questione. O, anche, per quale motivo i fedeli cristiani dei primi secoli sceglievano la
via del martirio, così come quelli dei secoli XI e XII partivano per combattere la
Crociate in Terrasanta. Arriveremo fino all’Europa dell’Ottocento risorgimentale per
capire le cause che portarono molti uomini a combattere e a morire per la libertà di una
terra; si rileverà come la questione degli Stati Nazionali degeneri presto nelle due
Guerre Mondiali che impegnarono tutte le potenze internazionali in uno dei processi
conflittuali più violenti e sanguinosi della storia. Noteremo come, anche in piena
modernità, epoca del trionfo della ragione e del progresso, siano esistite forme di
incanto di massa e esempi di vite sacrificate per ideali sacri come la patria o il suolo.
Fino ad arrivare alla pace del 1945 e al rilancio economico che caratterizzò gli stati
occidentali a partire dagli anni Cinquanta; da allora assistiamo ad una riorganizzazione
della società occidentale sulla base di nuovi modelli di democrazia e capitalismo e, nel
contempo, al tramonto di tutti gli ideali moderni dell’Ottocento positivista. Vedremo poi
come la modernità lasci terreno alla postmodernità, epoca caratterizzata da un
individualismo massificato, dove la memoria storica e il culto del passato vengono
azzerati e dove l’unica dimensione temporale degna di attenzione si rivela essere il
presente di ciascuna singola persona. Rifletteremo quindi sulla fine dell’etica, ovvero il
venir meno di un insieme di valori socialmente condivisi, a favore di una nuova cultura
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dell’immagine che promulga il culto sfrenato del proprio corpo; vedremo come anche il
futuro venga lasciato a se stesso, dimenticato o volutamente ignorato da una società
composta da individui sempre più frazionati e frammentati.
Infine, studieremo come una società del genere (quella postmoderna) affronti il
problema qui preso in esame. Si osserverà la nascita di una problematicità che si traduce
nel bisogno di un occultamento della mortalità e della morte, e anche il ruolo che la
cultura dell’immagine ha all’interno di questa nuova sensibilità. Vedremo come
l’industria dell’immagine penetri perfino nell’universo della morte, imponendo i propri
canoni di presentabilità e cura estetica; illustreremo dunque le soluzioni proposte dalla
cultura postmoderna circa il suddetto problema.
Termineremo il discorso ripercorrendo la tappe dell’iter logico seguito, cercando di
trarre conclusioni e riflessioni di carattere generale circa il posto e il ruolo occupato
dalla morte nella società occidentale contemporanea.
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IL DISINCANTO DEL MONDO: UNA SPECIFICITA’ OCCIDENTALE
Affrontare il problema della morte e del rapporto che con essa ha l’uomo occidentale
sembra impossibile senza prendere in considerazione l’importante lavoro svolto in tutta
la sua vita da Max Weber, il quale ha elaborato uno dei concetti più significativi ed
importanti non solo per il nostro lavoro, ma per una qualsiasi analisi dello spirito
moderno, ovvero il disincanto del mondo.
Questo concetto è trattato dall’autore in quasi tutte le sue opere e potrebbe essere
considerato a buon diritto l’argomento implicito cui dedicò tutta la sua vita di studioso;
eppure sembra non esserci in nessuna opera una definizione puntuale di cosa
esattamente sia il disincanto del mondo, né confini spazio-temporali stretti ed
inequivocabili. Questo probabilmente perché il processo di disincanto del mondo è un
fenomeno presente nella società occidentale da millenni, in quanto congenito alla sua
stessa cultura e che solo in epoca moderna ha trovato il proprio compimento; ma tale
fenomeno di progressiva razionalizzazione del reale, “questo processo di
disincantamento proseguitosi per millenni nella cultura occidentale e, in generale,
questo “progresso” del quale la scienza è un elemento e un impulso”(Weber 1973, p.
20), nasce agli albori della storia d’Occidente, in quella culla della filosofia e della
scienza che fu l’antica Grecia.
1.1. I primi germi: la filosofia ellenica e l’Ebraismo.
Là allora nacquero insieme ai fondamenti della civiltà moderna le premesse
indispensabili per la realizzazione di questa progressiva razionalizzazione della realtà.
Se Simmel (2002) parla di intellettualizzazione dello spirito moderno è perché in questi
tempi è venuto a compiersi un processo iniziato duemila e più anni fa in Grecia. La
ragione (speculativa tanto quanto strumentale) fu individuata da quel popolo e dalla sua
cultura come lo strumento di cui servirsi per capire e tentare di dominare un mondo
allora dominato dalla magia, dalla superstizione e dalla arbitraria volontà degli dei. Non
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che gli antichi greci non credessero nel fato, nella sventura o nella benevolenza di entità
metafisiche – la stessa Moira stava al di sopra perfino del volere di Zeus e gli dei
parlavano attraverso gli oracoli – ma , come spiega Weber (1973), con lo strumento
filosofico essi posero le basi per il primo tentativo di comprensione della realtà non già
attraverso pratiche apotropaiche, ma mediante il primo strumento razionale della storia
d’Occidente, “uno dei più importanti mezzi di ogni conoscenza scientifica”(ivi, p. 22): il
concetto. Questo era inteso come un confine tracciato a delimitare razionalmente il
perimetro di un’idea, come uno strumento geometrico di misurazione e analisi del
mondo delle idee: “un mezzo per stringere chiunque nella morsa della logica”(ibid.).
È il primo passo di una scissione tra indagabilità del mondo terreno ed imperscrutabilità
della volontà degli dei e del fato, del quale nulla è concesso sapere agli uomini. Gli
stessi uomini però, pur nel rispetto dei piani divini, cominciano qui ad avere un certo
potere sul mondo fisico e su quello teoretico. Non a caso i primi esempi (e nella
letteratura greca non ne mancano) di tracotanza dei mortali si riscontrano proprio nell’
antica Grecia.
Utile in questo senso può essere l’esempio della vicenda narrata nei “Persiani” da
Eschilo; il re di questo popolo, Serse, è destinato a regnare su di un territorio vastissimo,
ma, per volontà divina, non potrà dominare sul mare. Tuttavia egli decide di conquistare
ugualmente i mari, contravvenendo alle disposizioni degli dei, e viene punito con una
rovinosa disfatta. O ancora l’esempio di Prometeo, sempre in Eschilo, titano che,
parteggiando per gli uomini e non per gli dei olimpici, si pone in contrasto con la
volontà di Zeus numerose volte, arrivando a donare il fuoco agli uomini: sarà punito a
causa della gelosia divina, incatenato ad una roccia dove un uccello verrà a mangiargli il
fegato in eterno.
Come emerge chiaramente, le pene per i colpevoli di tracotanza era assai aspre: gli dei
volevano che l’uomo rimanesse sempre incerto e bisognoso della divinità e non che
facesse affidamento solo su se stesso. Ed è solo presso un popolo che ha conosciuto
l’utilizzo dello strumento-ragione che si possono verificare episodi di ubris da parte
degli uomini verso il volere degli immortali; un popolo ancora interamente condizionato
nel proprio agire dal magico che governa l’universo non può pensare di far affidamento
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solo su di sé per dominare le forze della natura. Soltanto dove è stato compiuto il primo
passo nel senso di un allontanamento da una concezione del mondo come terreno
interamente dominato dalla magia e dal soprannaturale può verificarsi l’errore opposto,
ovvero il voler confidare solo in se stessi senza riguardo per il volere del destino e della
divinità.
Il primo grande strumento della razionalizzazione fu fornito da Socrate con la
definizione del concetto, cui seguì Aristotele con il sillogismo; veniva così dato senso,
ordine, struttura ed intellegibilità al mondo. Il dominio dell’uomo sulla natura e la
scissione della realtà fisica da quella metafisica dovranno ancora attendere per vedere il
proprio compimento, ma i primi germi sono qui.
In contemporanea un altro grande fenomeno stava già da tempo favorendo il fondarsi
della civiltà occidentale su basi razionali: la religione ebraica.
Unica dottrina monoteista e senz’altro la più razionale tra quelle allora esistenti, non
intendeva certo negare l’esistenza di entità soprannaturali, ma snelliva la questione
metafisica incorporando tutti i suoi aspetti in un unico Dio dai tratti alquanto razionali e
maggiormente comprensibili per gli uomini. Jahvè era un Dio che puniva l’idolatria, che
relegava la magia al di fuori della propria religione; un Dio che dava al suo popolo un
compito preciso, che indicava la via attraverso i comandamenti dati a Mosè. Un Dio che
certo non intendeva svelare i propri piani o spiegarsi agli uomini: i Dieci Comandamenti
sono forse il primo esempio di volontà data dall’alto nella storia occidentale. Eppure, è
innegabile che qui non si ha più a che fare con una divinità oscura ed incomprensibile
da ingraziarsi giorno per giorno con sacrifici e doni, ma piuttosto con un Dio cui
dimostrare la propria lealtà, cui provare la propria fede con la propria vita.
E concetti come quelli di dimostrazione e di prova sono concetti che noi oggi
definiamo scientifici. Un Dio che non esige immolazioni di esseri umani –anche quando
chiederà ad Abramo di sacrificare il suo primogenito Isacco, poi fermerà la sua mano-
ma fede e rettitudine; un unico Dio che non relega le anime dei morti nell’Ade (come
invece credevano i greci), ma salva o punisce, premia o condanna a seconda del
comportamento dell’individuo.