reale entità dei benefici apportati ai paesi destinatari dell’aiuto, troppo spesso posta in una
posizione secondaria rispetto agli altri obiettivi che l’Italia persegue attraverso la politica di
cooperazione allo sviluppo, di natura ben poco “altruistica”.
In ogni caso, questo periodo mette in evidenza un grande dinamismo ed autonomia
decisionale dell’Italia in materia di cooperazione allo sviluppo, come dimostra la crescente
attenzione per il canale bilaterale
3
, che consente al Governo di stringere rapporti con paesi
prima molto distanti dalla sua sfera di competenza, all’interno dei quali questo tipo di accordi
rappresentano il preludio a nuove alleanze di tipo geo-politico, ma soprattutto economico e
commerciale, rispetto a cui l’impresa italiana gioca un ruolo di primo piano.
I numerosi episodi di politica estera che caratterizzano il periodo in esame, dai quali
emerge la volontà di “indipendenza internazionale”
4
dell’Italia -primo fra tutti quello
avvenuto presso la base aerea di Sigonella nel 1985
5
-, riflettono un disegno politico piuttosto
evidente, che si pone la priorità di ritagliarsi un ruolo di rilievo nel mondo, consono alla
naturale posizione di “media potenza regionale” del Paese. Ciò porta ad assumere un nuovo
atteggiamento nei confronti degli stessi Stati Uniti, proprio di un alleato “coraggioso ed
orgoglioso”, anziché “umile e servile”, al quale Washington sembra rispondere in modo
sostanzialmente positivo, dimostrando grande rispetto per le decisioni prese dalla Farnesina
6
.
Il clima di distensione che caratterizza le relazioni Est-Ovest a partire dalla metà degli anni
Ottanta, grazie all’ascesa al potere di Gorbacëv, rappresenta un’ulteriore occasione per
elevare la posizione dell’Italia, che in effetti dimostra più volte di saper approfittare degli
eventi del periodo per rafforzare il proprio ruolo di mediazione in diversi scacchieri
internazionali, tra i quali, ovviamente, quello della cooperazione Nord-Sud.
A distanza di due decenni dall’adozione dell’ultima normativa generale in materia di
cooperazione allo sviluppo (legge 49/1987), che ancora oggi disciplina gran parte degli aspetti
organizzativi del settore
7
, ho trovato molto interessante ripercorrere le principali dinamiche
politiche, economiche e sociali del periodo, cercando di interpretare le principali motivazioni
3. P. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo,
Bologna, Il Mulino, 1995, p. 147.
4. S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dell’ago.
Craxi, il partito socialista e la crisi della
Repubblica, Editori Laterza, Bologna, 2005, p.
187.
5. A. Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali
dal 1943 al 1992, Bari, Laterza, 2000, pp. 221-222.
6. E. Scalfari, Guerra e pace col Grande Fratello,
“La Repubblica”, 20 ottobre 1985.
6
alla base della grande crescita del regime dell’aiuto italiano che caratterizza gli anni Ottanta e
di analizzare i riflessi sul piano nazionale ed internazionale. Tutto ciò nel tentativo di
comprendere quando l’Italia decide realmente di rompere con la politica di cooperazione del
passato, come mette in pratica tale assunto, dove dirige la maggior parte delle risorse e,
soprattutto, perché lo fa.
7. J. L. Rhi-Sausi, M. Zupi, Trends in the Debate on
Italian Aid, in P. Hoebink, O. Stokke (a cura di),
Perspectives on European Development
Cooperation, London and New York, Routledge,
2005, p. 339.
7
Introduzione
La politica internazionale di cooperazione allo sviluppo (intendendo con ciò ogni
forma di intervento volto ad incidere nella sostanza dei rapporti tra Nord e Sud del mondo,
che opera sulle strutture economiche e sociali delle aree arretrate
1
) inizialmente vede una
partecipazione assolutamente marginale dell’Italia sia nei decenni in cui si istituzionalizza
(anni ’50-’60), sia negli anni Settanta, quando la crescente attenzione generale per quei paesi
“meno fortunati” dà i suoi risultati più significativi, in termini di aiuti erogati ma anche di
prospettive -in quel periodo particolarmente ottimistiche- per il futuro
2
.
Da un’attenta osservazione della storia della politica estera italiana, è difficile non
accorgersi del cronico ritardo che solitamente accompagna le decisioni assunte dai governi
italiani, nonché il loro immobilismo rispetto a quello degli altri stati di fronte alle nuove sfide
globali
3
; caratteristica evidente di un Paese troppo dubbioso e insicuro nella sua azione rivolta
all’esterno, propenso a “mantenere la posizione”, piuttosto che interessato a sfruttare quelle
opportunità che molto spesso l’evoluzione del sistema internazionale sembra mettere a
disposizione dei soggetti più audaci e rapidi nel mutare il proprio assetto organizzativo. La
tradizionale incapacità di adattarsi ai cambiamenti globali, determinata dalla scarsa flessibilità
del modello istituzionale italiano e dalla costante tendenza a privilegiare politiche già
sperimentate da altri, portano numerosi esperti del settore a sposare la tesi che l’Italia non
abbia -e non abbia mai avuto, dalla nascita della Prima Repubblica- una politica estera vera e
propria; addirittura c’è chi arriva a paragonarla ad un “calabrone” per le sue caratteristiche
strutturali e funzionali, che per quanto inadeguate permettono, all’insetto come al Paese in
questione, di volare ugualmente
4
.
Il seguente lavoro si concentra su quella che si configura come un’importante
eccezione rispetto alla consueta politica estera della Repubblica istituita nel dopoguerra.
1. E. Toussaint, Banco Mundial. El Golpe de estado
permanente, Caracas (Venezuela), Centro
Internacional Miranda, 2006, p. 2.
2. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…, cit., pp.
33-47.
3. Ivi, pp. 18-19.
4. Ivi, p. 17.
8
A partire dal 1979 e, come vedremo, per tutto il decennio successivo, la politica di
cooperazione allo sviluppo dell’Italia rappresenta un esempio concreto di flessibilità
istituzionale, capacità di adattamento e spirito in qualche modo “pionieristico” nell’ambito
delle relazioni Nord-Sud
5
, magari offuscato dal sostanziale ripiegamento su posizioni più
tradizionali compiuto negli anni successivi
6
, ma senza dubbio in grado di mostrare come sia
possibile, anche in questo Paese, realizzare una politica estera innovativa, autonoma e, al
tempo stesso, produttiva di effetti tutto sommato positivi.
Di fronte al crescente interesse dell’opinione pubblica, di organizzazioni e gruppi
privati, di imprese e degli stessi partiti politici, l’assetto istituzionale viene modificato e
riorganizzato nell’arco di pochi anni
7
; contestualmente l’attività degli organi preposti al
settore dell’assistenza ai paesi in via di sviluppo (pvs) si fa progressivamente più efficace e,
come sarà possibile verificare anche tramite dati statistici, “sostanziosa”: le risorse destinate al
settore aumentano di circa quattro volte, in termini costanti, nell’arco del decennio preso in
esame
8
.
La considerevole crescita degli aiuti pubblici che lo Stato decide di impiegare in
questa attività, diventa ancora più importante alla luce delle dinamiche internazionali che
caratterizzano il periodo. Infatti, nello stesso momento in cui l’Italia sembra inaugurare una
nuova fase nella sua politica di cooperazione, destinando ogni anno quote di risorse maggiori
rispetto al proprio reddito nazionale, l’assistenza degli altri paesi industrializzati e ad
economia di mercato (piem) compie dei sostanziali passi indietro, in termini quantitativi ma
anche a livello prettamente ideologico, data la progressiva affermazione della dottrina
neoliberale
9
.
E’ dunque in netta controtendenza con gli altri donors che la politica italiana compie
una complessiva razionalizzazione della materia e decide di incrementare il proprio impegno
nei confronti dei pvs, cosa che rafforza la percezione di una svolta sostanzialmente autonoma
e libera -almeno in parte- dal tradizionale spirito emulativo che contraddistingue il
5. E. Calandri, L’Italia e l’assistenza allo sviluppo
dal neoatlantismo alla Conferenza di Cancùn del
1981, in F. Romero, A. Varsori (a cura di),
Nazione, interdipendenza, integrazione, I, Roma,
Carocci Editore, 2005, p. 254.
6. Rhi-Sausi, Zupi, Trends n the Debate on Italian
Aid..., cit., p. 336-337.
7. L’Italia nella politica internazionale, volume
diciottesimo, anno 1989-1990, cit., pp. 317-318.
8. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…, cit., p.
18.
9. Raimondi, Antonelli, Manuale di Cooperazione
allo Sviluppo…, cit., p. 221.
9
comportamento del Paese nelle relazioni internazionali.
Certamente, anche questo ambito dell’attività italiana degli anni Ottanta diventa
oggetto di giudizi critici, rivolti a diversi e molteplici aspetti della cooperazione allo sviluppo.
Ad essere presi di mira, infatti, non sono soltanto i lati prettamente organizzativi e burocratici
del sistema assistenziale complessivo, considerato per diverse ragioni ancora troppo lento e
farraginoso, dunque inefficiente; vengono aspramente criticate anche le linee guida e le
motivazioni alla base dell’erogazione degli aiuti -attente più agli interessi particolari del Paese
che non alla risoluzione dei problemi dei pvs, che di fatto si aggravano proprio a partire dalla
seconda metà degli anni Settanta e proseguono per tutto il decennio successivo-, nonché gli
stessi criteri di allocazione delle risorse stanziate
10
, frutto di considerazioni politiche ed
economiche non sempre razionali (nell’ottica dell’aiuto allo sviluppo) né disinteressate.
Comunque, se è ormai largamente condivisa l’opinione che questo settore rappresenti
la novità della politica italiana degli anni Ottanta
11
, pareri discordanti sono emersi sia per
quanto concerne i motivi che sono alla base dei cambiamenti avvenuti in tale ambito, e che
ancora influenzano fortemente le attuali decisioni della politica estera rivolta ai pvs, sia per
quanto riguarda gli effettivi risultati raggiunti dall’Italia
12
. Sarà dunque obiettivo della ricerca
qui condotta far luce sulle dinamiche politiche che emergono nel Paese in questo periodo e, a
questo fine -tenendo sempre in debita considerazione il contesto internazionale-, verranno
osservati i principali attori e policy makers che determinano simili cambiamenti nella politica
cooperazione, le logiche che ne guidano i comportamenti, i principi e le linee guida delle
normative adottate.
In questo modo sarà possibile fornire un quadro generale dell’attività dell’Italia nel
settore degli aiuti allo sviluppo e, esaminando anche l’impatto reale degli aiuti sui destinatari,
risulterà forse più agevole valutare la loro efficacia e la loro coerenza rispetto ai fini
dichiarati della politica di cooperazione allo sviluppo italiana.
10. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…, cit., pp.
205-207.
11. Ivi., p. 18.
12. Hoebink, Stokke, Perspectives on European
Development Cooperation..., cit., pp. 342-345.
10
CAPITOLO PRIMO
LA POLITICA DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
NEGLI ANNI OTTANTA E IL RUOLO DELL’ITALIA
Il contesto internazionale degli anni Ottanta in cui opera la politica di assistenza allo
sviluppo dell’Italia si presenta come particolarmente ostico rispetto ad ogni tentativo -da parte
di singoli stati o di organizzazioni internazionali- di mettere in pratica quelle forme di
collaborazione tra il Nord e il Sud del mondo che, nelle prospettive del decennio precedente,
sembravano ormai essere sul punto di potersi istituzionalizzare in maniera definitiva
1
. Diverse
e molteplici sono le ragioni alla base del sostanziale passo indietro compiuto dai piem, in una
direzione di fatto opposta a quella che avrebbe potuto condurre al concreto sviluppo delle
regioni economicamente più arretrate del pianeta.
Il cambio di rotta determinato dalla politica dell’Amministrazione Reagan negli Stati
Uniti, fortemente sostenuta e accompagnata da analoghe decisioni di Margharet Tatcher in
Gran Bretagna; il secondo shock petrolifero del 1979; la recessione economica internazionale;
la conseguente crisi debitoria che accomuna paesi di ogni continente e le sempre più
catastrofiche emergenze umanitarie presenti nelle zone “periferiche”, non rappresentano che
alcuni aspetti di quello che viene definito “the lost development decade”
2
. Un decennio
“perduto”, gli anni Ottanta, non soltanto per il complessivo peggioramento della situazione
dei pvs, ma anche per l’evoluzione, o meglio l’involuzione, della stessa ideologia della
cooperazione allo sviluppo, che nel periodo preso in esame sembra perdere quella carica
positiva di rivendicazioni sociali che in passato avevano caratterizzato l’approccio ai problemi
del sottosviluppo
3
, i quali non possono certo essere risolti prescindendo dai bisogni
1. R. Jolly, L. Emmerij, D. Ghai, F. Lapeyre, UN
Contributions to Development Thinking and
Practice, Bloomington, Indiana University Press,
2004, pp. 111-113.
2. F. Tarp, Foreign Aid and Development, London
and New York, Routledge, 2000, p. 33.
3. L. Tosi, L. Tosone, Gli aiuti allo sviluppo nelle
relazioni internazionali del secondo dopoguerra,
Introduzione, Padova, CEDAM, 2006, p. XVII.
11
fondamentali che ogni essere umano ha (o almeno dovrebbe avere) il diritto di soddisfare.
Alla luce di ciò, risulta particolarmente interessante analizzare la politica di assistenza
condotta negli stessi anni dall’Italia, non soltanto per gli sforzi realizzati nel settore e per le
performance di tipo quantitativo testimoniate dalle statistiche sugli aiuti, che collocano la
politica dell’aiuto ai pvs in una posizione centrale della politica estera nel periodo analizzato,
ma anche per la posizione di primo piano che il Paese riesce rapidamente a ritagliarsi in tale
importante ambito delle relazioni internazionali
4
.
Se nel corso degli anni Settanta l’auspicio dei diversi Governi retti da Aldo Moro e poi
da Giulio Andreotti era (peraltro in continuità con il passato) esplicitamente quello di porsi
nello scacchiere mondiale come “ponte” tra Nord e Sud -e tra Europa ed Africa in particolare-
5
, gli anni Ottanta segnano un discreto successo, per quanto parziale, in tale direzione. La
cooperazione allo sviluppo, in questo senso, sembra dunque potersi configurare come
importante fattore di rafforzamento di una politica estera, quella italiana, apparentemente in
grado di emanciparsi dalle tendenze generali emergenti dal comportamento della maggior
parte degli altri paesi industrializzati
6
-Stati Uniti in testa- nonché come elemento di
accelerazione della complessiva riorganizzazione istituzionale, partita proprio dalla necessità
di razionalizzare le competenze nel settore
7
.
1.1 Il quadro internazionale.
La crisi della politica internazionale di cooperazione allo sviluppo è il frutto di una
serie di eventi e di particolari strategie che si delineano nei primi anni Ottanta.
Innanzitutto la congiuntura economica sfavorevole di inizio decennio rende gli stati
industrializzati meno propensi a destinare le proprie risorse al sostegno della crescita dei pvs
8
;
4. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…,
Bologna, Il Mulino, 1995, p. 19.
5. Tosi, Tosone, Gli aiuti allo sviluppo …,
Introduzione, cit., p. XXXIII.
6. L’Italia nella politica internazionale, volume
diciannovesimo, anno 1990-1991, cit., p. 308.
7. Ivi, p. 93.
8. Raimondi, Antonelli, Manuale di Cooperazione
allo Sviluppo…, cit., p. 22.
12
il secondo shock petrolifero, infatti, rappresenta il preludio di una fase di rallentamento della
crescita che colpisce in diversa misura tutte le economie nazionali, compresa quella
statunitense, in particolare difficoltà per il crescente disavanzo pubblico nella bilancia
commerciale
9
. La reazione del Presidente Ronald Reagan, eletto proprio nel 1980, è quella di
favorire l’innalzamento dei tassi di interesse che, accompagnato a politiche monetarie
restrittive tese ad operare una forte riduzione della spesa statale (con particolare riferimento
proprio ai capitoli di assistenza allo sviluppo), determina un incremento senza precedenti del
valore del debito di moltissimi paesi
10
, buona parte dei quali deve già fare i conti con un grave
ritardo sul piano tecnologico e dunque produttivo.
La situazione dei pvs si fa dunque sempre più critica. Dagli anni Settanta la loro
crescita era dipesa sempre di più dai finanziamenti e dai prestiti esteri, consistenti per la
maggior parte in crediti pubblici che provenivano dall’Europa Occidentale e dagli Stati Uniti,
e proprio per questo, nel decennio analizzato, quegli stessi paesi che hanno maggiore
necessità di capitale per svilupparsi si trovano a dover restituire in poco tempo ingenti
quantità di denaro ai creditori
11
. Alla luce di tali dinamiche, la crisi debitoria dei pvs acquista
rapidamente grande rilevanza e diventa uno dei temi centrali nella lotta al sottosviluppo, che
ancora oggi rappresenta un grave ostacolo per la loro sostanziale emancipazione economica e
politica.
L’esempio del Messico -il cui Governo nel 1982 dichiara unilateralmente la moratoria
sul pagamento del servizio del debito-, seguito successivamente da Brasile ed Argentina
12
,
sembra inoltre confermare le preoccupazioni emerse in seno alle stesse organizzazioni create
per regolare il sistema economico internazionale come il Fondo Monetario Internazionale
(Fmi) e la Banca Mondiale; è sufficiente osservare la natura dei dibattiti tenuti nelle riunioni
ufficiali per capire quanto sia considerata pericolosa la situazione per il corretto
funzionamento dell’intero dispositivo finanziario internazionale. Non soltanto esiste il rischio
reale che i pvs si rifiutino collettivamente di risolvere gli enormi debiti accumulati (o almeno
9. Ibidem.
10. Jolly, Emmerij, Ghai, Lapeyre, UN Contributions
to Development…, cit., p. 139.
11. Ibidem.
12. Ivi, pp. 140-141.
13
di pagare gli interessi, com’era già accaduto), ma anche che una loro “fuga” generale dalle
istituzioni finanziarie e monetarie -ricercando in tal modo vie alternative e autonome allo
sviluppo- possa portare al collasso del sistema stesso
13
. In effetti, Banca Mondiale e Fondo
Monetario Internazionale affrontano il problema con grande cautela, tenendo sempre presenti
le oggettive necessità dei paesi creditori e debitori ovvero, rispettivamente, la solvenza da
parte dei pvs e la garanzia di prestare nuove somme di denaro agli stessi; alla fine però, se il
Piano Baker
14
lanciato nel 1985 si rivela totalmente inefficace, neanche il Piano Brandy
15
(1989) riesce a dare i risultati attesi.
In questo clima di generale instabilità, la politica di cooperazione internazionale allo
sviluppo subisce grandi trasformazioni anche per la diffusione dell’ideologia neoliberista in
Occidente promossa dal Presidente americano Ronald Reagan e dal Primo Ministro
britannico Margharet Tatcher
16
.
In continuità con la linea di pensiero neoclassica poi riassunta con il principio “getting
the price right” e nutrendo una fiducia incondizionata per la capacità del mercato di
autoregolarsi (“trade is enough”)
17
, i nuovi capi di governo si preoccupano di ridurre il ruolo
dello Stato nel settore dell’economia, essendo proprio “the evil government” il maggiore
responsabile del cattivo funzionamento del sistema economico internazionale; in tale ambito,
dunque, un governo realmente efficiente si deve limitare a promuovere misure che
prevengano i gravi rischi inflazionistici del periodo e non, come invece è accaduto negli
ultimi anni, arrivare a intervenire su quegli aspetti del commercio mondiale che le stesse
regole di mercato possono tranquillamente stabilizzare
18
.
Le linee guida appena menzionate determinano una vera e propria svolta nelle
politiche di assistenza dei paesi industrializzati, in particolare di quelli anglosassoni, che
naturalmente dispongono delle maggiori risorse finanziarie. Ciò che oggi viene da molti
considerato un “attacco radicale” alle politiche di aiuto allo sviluppo
19
, in quel momento si
configura non soltanto come una significativa riduzione dei programmi di assistenza dai
13. Tarp, Foreign Aid and Development…, cit., p. 53.
14. L’Italia nella politica internazionale, volume
quattordicesimo, anno 1985-1986, cit., pp. 96-98.
15. Ivi, volume diciottesimo, anno 1989-1990, pp.
236-239.
16. Raimondi, Antonelli, Manuale di Cooperazione
allo Sviluppo…, cit., p. 221.
17. Tarp, Foreign Aid and Development…, cit., p. 51.
18. Ivi, pp. 52-53.
19. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…, cit., p.
57.
14
governi che li adottano, specie da quelli di Washington e Londra, ma anche come un loro
generale riorientamento, non motivati con necessità prodotte da vincoli di bilancio o da
particolari difficoltà economiche (che pure potrebbero essere addotte), bensì in termini di
utilità socio-economica e di opportunità morale. Le tradizionali politiche di cooperazione allo
sviluppo, nella nuova ideologia, si presentano dunque come fattori di ostacolo al normale
funzionamento del mercato e la penetrazione da parte delle imprese estere nei pvs deve
avvenire al di fuori del quadro generale di tali politiche; se è innegabile che le risorse esterne
siano ad essi necessarie, queste devono però essere assicurate prevalentemente per mezzo di
trasferimenti privati
20
.
I programmi di aggiustamento strutturale approntati dalla Banca Mondiale e dal Fmi -
organismi da sempre influenzati dalle decisioni politiche ed economiche di Washington-
tengono in grande considerazione le nuove idee, e anche la concessione di certe forme di
prestito ai pvs viene condizionata dal comportamento di questi ultimi nel loro ambito
nazionale, ovvero va a dipendere dal grado di accettazione delle nuove politiche neoliberiste,
dimostrato dalle politiche economiche e sociali dei rispettivi governi. Nel tentativo di
contrastare gli squilibri interni, dati dall’elevata inflazione, ed esterni, derivanti dai crescenti
disavanzi pubblici, questi programmi impongono ai paesi beneficiari di realizzare severe
manovre restrittive e di stabilizzazione, nonché l’avvio di processi di liberalizzazione e di
privatizzazione, ritenuti in grado di garantire una più efficiente allocazione delle risorse, lo
sviluppo auto-sostenuto e l’inserimento nel commercio internazionale
21
.
Se, da una parte, l’importanza attribuita al controllo delle variabili monetarie e degli
equilibri esterni in funzione dello sviluppo economico, insieme al ruolo dell’impresa privata e
dell’integrazione nel sistema internazionale
22
, hanno certamente il merito di porre l’accento su
questioni fino a quel momento poco osservate, dall’altra -soprattutto se si guarda alle
impostazioni più radicali- possono essere criticate per non aver tenuto in debita
considerazione le diversità strutturali fra i paesi, sottovalutando le posizioni di second best e
20. Hoebink, Stokke, Perspectives on European
Development Cooperation…, Introduction, cit., p.
1.
21. Isernia, La Cooperazione allo Sviluppo…, cit., p.
51.
22. L’Italia nella politica internazionale, volume
diciottesimo, anno 1989-1990, cit., pp. 230-231.
15