4
dell’occupazione fu la minaccia del comunismo che dilagava in Russia e
Cina. Gli americani non volevano che anche il Giappone seguisse tali
scelte e pertanto fecero in modo che i presupposti dei movimenti popolari
venissero allontanati.
E’ difficile definire esattamente la natura dello SCAP poiché,
considerandolo come organo di “occupazione”, verrebbe subito data una
valenza negativa. Si potrebbe utilizzare dunque il termine
“amministrazione”, anche se qualcuno potrebbe obiettare che in fondo si
trattò pur sempre di un’intromissione nel governo di un altro stato. Il giudizio
viene dunque lasciato al lettore.
Infine l’ultimo capitolo fornisce un resoconto di quel che, anche tramite lo
SCAP, il Giappone ha vissuto dal momento in cui riprese possesso delle
proprie strutture, seppur dapprima parzialmente condizionate dai vicini
oltreoceano, fino al sorgere degli anni Sessanta nell’epoca del miracolo
economico giapponese.
Ringrazio quanti hanno contribuito direttamente o indirettamente alla
realizzazione di questo breve scritto.
Luigi Cursio
5
CAPITOLO 1
Uno scontro annunciato:
la guerra del Pacifico
1.1 Il Giappone dopo la prima guerra mondiale
Immediatamente dopo la prima guerra mondiale, sotto il governo del primo
ministro Hara dal 1918 al 1921, il Giappone vide il consolidamento del
dominio della burocrazia e l’incapacità di affrontare le principali
contraddizioni politiche ed economiche della società.
La burocrazia si era gonfiata in maniera eccezionale, tanto che nel 1922 il
numero degli impiegati era cinque volte e mezzo superiore a quello del
1890. L’espansione degli organi burocratici non incoraggiava lo sviluppo
della democrazia, anzi, favoriva il rafforzamento di un apparato governativo
strettamente legato agli ambienti economici e militari, mantenendo le
masse estranee ed ostili. Hara provò a venirvi incontro estendendo, pur in
termini minimi, il suffragio e consentendo una maggiore libertà di
espressione. D’altra parte, però, non riuscì a risolvere i fondamentali
problemi economici legati all’agricoltura e non riuscì nemmeno ad eliminare
quelle contraddizioni interne che avrebbero poi portato ad iniziative
unilaterali dell’esercito.
Il clima divenne ancor più ostile quando nel 1921 Hara venne ucciso e il
suo partito cominciò a varare una serie di norme repressive anticomuniste.
La situazione rimase pressoché eguale nel susseguirsi degli anni, fino al
1927, allorché vi fu la salita alla carica di primo ministro del generale
6
Tanaka, che si aprì la strada con la corruzione, come capo di uno dei
maggiori partiti politici ufficiali, il Seiyukai. Questo fatto è estremamente
indicativo della realtà politica esistente allora in Giappone, fatta di
corruzione, violenza e soprusi
1
.
La borghesia non riuscì a conquistarsi una posizione politica autonoma, ma
si limitò a reprimere la sinistra senza riuscire ad attuare vere e proprie
riforme del sistema politico ed economico.
A partire dal 1927 l’esercito aumentò la propria influenza sul governo: basti
pensare che il primo ministro Tanaka era un generale e i suoi successori,
anch’essi militari, cercavano di attuare un compromesso fra esercito e
burocrazia civile. Gradualmente andò aumentando nel Paese il grado di
aggressività mostrato dai militari.
Data la notevole rilevanza assunta nel tempo dalle forze armate, sembra
doveroso fare un piccolo cenno riguardo alla componente militare. Da una
parte vi era l’esercito, che per sua natura vedeva il nemico principale nel
paese vicino ai suoi confini, cioè la Russia. Invece la marina, che aveva un
orizzonte ben più vasto, non si fermava all’area geografica adiacente al
Giappone, ma aveva le sue mire oltreoceano, cioè negli Stati Uniti, che
erano a loro avviso gli antagonisti principali nella futura espansione
economica del Giappone nell’area del Pacifico.
L’esercito e in particolare la marina risentirono degli accordi di Washington
del 1921 e del successivo Trattato di Londra del 1930. Dal 1930, la frangia
dell’esercito proveniente dall’accademia militare, a differenza di quella
proveniente dalla scuola di guerra, cominciò a mettere in atto una serie di
omicidi, con l’obiettivo di influire nelle scelte di politica quali risposta alla
depressione economica
2
, anche rafforzata dal terremoto del Kanto del
1923.
Soprattutto durante il governo Tanaka, il Giappone si trovò in una grave
situazione di incertezza, caratterizzata dalla contrazione di occupazione e
salari reali, e dal continuo aumento dei profitti a favore delle imprese
1
Jon Halliday, Storia del Giappone contemporaneo. La politica del capitalismo giapponese
dal 1850 ad oggi, Torino 1979
2
Jon Halliday, op. cit.
7
capitalistiche sempre più concentrate. Queste grandi imprese erano
denominate “zaibatsu” ed erano tipiche del sistema economico-industriale
giapponese.
Si trattava di grandi gruppi monopolistici che controllavano il mercato
nazionale impedendo il decollo del settore privato a causa del loro
predominio, dovuto al controllo del sistema bancario e all’eccessiva
influenza sullo stesso governo centrale.
Le zaibatsu erano profondamente integrate con lo stato e la famiglia
imperiale, soprattutto nel settore bancario e nell’industria pesante. Proprio
questa posizione di predominio nel campo della finanza e del credito fu
l’elemento determinante dello stretto legame fra stato e zaibatzu.
Pochi grandi complessi, appoggiati e rafforzati dal governo giapponese,
controllavano l’industria, favorendo il persistere di rapporti semifeudali fra
datori di lavoro e lavoratori, tenendo bassi i salari, impedendo lo sviluppo
dei sindacati, scoraggiando l’iniziativa individuale del Giappone e ritardando
quindi lo sviluppo di una borghesia giapponese.
La conferenza di Londra del 1930, sopraggiunta nel pieno della crisi,
sconvolse ulteriormente l’equilibrio che si era creato con la precedente
conferenza di Washington del 1921.
Ad aggravare la già difficile situazione economica, arrivò anche la tariffa
Smoot-Hawley, che aumentò in media del 23% i dazi sulle esportazioni
negli Stati Uniti, fino ad allora importante mercato giapponese.
La degenerazione sia politica che economica degli anni Trenta era dovuta
soprattutto all’entrata in concorrenza con le potenze occidentali, e in
particolare con gli Stati Uniti. È proprio per questo motivo che alla fine di
quegli anni il Giappone cominciò a considerare l’Occidente non più partner
commerciale con cui tenere buoni rapporti, ma piuttosto come un
avversario con cui combattere una vera e propria guerra economica.
Il Giappone non voleva più essere subalterno alle potenze occidentali: a
questo punto era chiaro che la via verso la rottura dei rapporti con
l’Occidente stava prendendo sempre più forza
3
.
3
Jon Halliday, op. cit.
8
1.2 La rottura degli accordi di Washington e il
problema cinese
Tutte le potenze imperialiste riunitesi alla conferenza di Washington erano
concordi sul fatto che fosse necessario continuare a saccheggiare e
sfruttare la Cina.
Nessuna potenza occidentale voleva riconoscerle la piena sovranità,
persistendo quindi nel continuare a volere intromettersi nei suoi affari
interni. Ma dopo tale conferenza la situazione mutò sotto diversi aspetti, in
quanto, da una parte, vi fu il colpo di stato cinese anticomunista di Chiang
Kai-shek del 1927 e dall’altra cominciarono a vedersi mosse unilaterali del
Giappone, che si presentava come un paese con cui da questo momento in
avanti le grandi potenze occidentali avrebbero dovuto confrontarsi.
Rispetto alle altre potenze firmatarie dell’accordo, il Giappone si trovava in
una situazione più arretrata, più difficile e immediatamente esposto al
pericolo di poter perdere l’esclusivo controllo della Manciuria e della Cina
Settentrionale, in cui aveva effettuato grandi e vantaggiosi investimenti.
Inoltre il commercio tessile cinese stava sempre più espandendosi e ciò
non avrebbe fatto altro che impoverire ulteriormente l’economia
giapponese.
Gli accordi di Washington erano congegnati in modo da favorire la
penetrazione dei paesi occidentali nell’economia cinese; ma tra i firmatari vi
era anche il Giappone, unico paese ad avere possedimenti nell’Asia Nord-
Orientale e nella Corea e la sola potenza ad avere diritti “semicoloniali” in
Cina, in particolare nella Manciuria meridionale
4
, che rappresentava uno
sbocco vitale per gli investimenti nipponici.
Per queste motivazioni il Giappone uscì dal gruppo dei paesi che avevano
firmato tali accordi, in quanto non voleva condividere con altri paesi gli
interessi esistenti in quel territorio.
4
Jon Halliday, op. cit.
9
Le potenze occidentali dal canto loro tolleravano la presenza del Giappone
in Manciuria; il Giappone, così, pur essendo ormai fuori dagli accordi,
continuò ad avere parte attiva nello sfruttamento della Cina aumentando i
propri investimenti a Shanghai tra il 1914 e il 1930 addirittura in quantità
maggiore che in Manciuria.
In un primo momento i giapponesi sostenevano la necessità di un forte
governo cinese in modo da mantenere intatti i diritti acquisiti in Manciuria;
ma nel 1928 lo scenario cambiò, perché la strategia giapponese mutò
allorché in maggio la situazione sfuggì di mano e truppe giapponesi su
istigazione dei loro ufficiali si scontrarono con le forze di Chiang Kai-shek
nella città di Tsinan
5
.
Nello stesso anno vi fu l’assassinio di Chang Tso-lin, compiuto da ufficiali
dell’esercito del Kwantung.
Nonostante il Giappone volesse dapprima adottare nei rapporti con la Cina
una linea più morbida per assicurarsi la Manciuria senza inimicarsi i paesi
occidentali, presto passò all’idea che avrebbe potuto ottenere il controllo
solamente con uno scontro militare. L’occasione venne nel 1931 quando un
raggruppamento di estrema destra, la cosiddetta “fazione della Manciuria”,
provocò nella regione della ferrovia
6
Sud-mancese una serie di incidenti atti
a giustificare un intervento militare del governo di Tokyo.
Nel marzo del 1932 la Manciuria fu così proclamata stato indipendente
dapprima sotto forma di protettorato e poi di impero con il nome di
Manchukuo. In realtà la sua indipendenza era assai relativa, essendo a tutti
gli effetti diventata una colonia giapponese sottoposta all’esclusivo controllo
dell’esercito. In essa, le zaibatsu coglievano l’occasione loro offerta di
sfruttare le possibilità economiche di questo vasto territorio popolato da ben
26 milioni di persone. Subito dopo i giapponesi effettuarono un ulteriore
tentativo di avanzata nella Cina settentrionale invadendo il Jehol.
Da questo momento in poi la tensione fra Giappone e Occidente non fece
che crescere: gradualmente prendeva sempre più vigore l’attrito con
l’Occidente.
5
Questo episodio viene ricordato come ”incidente di Tsinan”.
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Ferrovia costruita dal Giappone e di sua proprietà.