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SOMMARIO
La definizione di un “nuovo” rapporto tra pubblica amministrazione
centrale e pubbliche amministrazioni periferiche e la ricerca di un
“nuovo” equilibrio tra settore pubblico e settore privato all’interno del
sistema economico sono alcune delle esigenze che in Italia, come nel
resto d’Europa, hanno dato avvio al processo di riforma del settore
pubblico rafforzando il ruolo dell’ente locale sul territorio aumentandone
l’autonomia gestionale, politica e finanziaria. Alla maggiore autonomia
dell’ente locale si sono accompagnate la costruzione di un nuovo
rapporto con il cittadino e la realizzazione di una maggiore “vicinanza”
del sistema delle amministrazioni pubbliche alla comunità territoriale.
Ciò ha contribuito a porre l’attenzione sulle cause di non funzionamento
del settore pubblico ed ha incentivato il perseguimento di percorsi di
cambiamento volti a migliorare, attraverso la ricerca dell’efficienza,
dell’efficacia e dell’economicità, il rapporto tra la pubblica
amministrazione ed il cittadino/impresa. La scelta di una prospettiva
tipica della sociologia delle istituzioni per l'analisi del fenomeno ha
significato calarsi nel ruolo della pubblica amministrazione e analizzare
le influenze a livello operativo/gestionale, a livello organizzativo e di
impresa. Il ruolo che la pubblica amministrazione deve assumere va da
quello di facilitatore, a quello di induttore e agente del cambiamento. Il
percorso seguito inizia nel capitolo primo con l’analisi del contesto di
convergenza cui sembrano convergere le amministrazioni pubbliche nel
mondo. Il capitolo secondo affronta la tematica della distinzione tra
controllo di gestione e valutazione delle politiche per poi proseguire nel
capitolo terzo con la valutazione delle politiche di aiuto alle imprese. Il
quarto ed ultimo capitolo porta alcuni esempi positivi e negativi di
politiche pubbliche a supporto delle imprese, tracciando il cammino che
la pubblica amministrazione italiana dovrà compiere per uniformarsi al
resto d’Europa ed alle sfide internazionali.
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Capitolo Primo
IL CAMMINO DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE VERSO LA CONVERGENZA
1.1 - LE RADICI STORICHE DEL CAMBIAMENTO
L’internazionalizzazione sta via via implementando il proprio raggio
di azione, minacciando gli attori che non sanno o che non vogliono
cambiare. In quest’ambito si collocano le path dependencies, ovvero le
difficoltà a rinnovarsi date dalle assiduità nel comportamento e dalle
successioni istituzionali (Pierson 2001, 112). Infatti, le politiche attuali
sono figlie delle politiche precedenti: in primis, per far sì che siano
totalmente sfruttabili i costi sostenuti e gli investimenti realizzati, che
risultano il più delle volte irrecuperabili (sunk costs); in secundis, onde
sfruttare le routines e le procedure collaudate divenute ormai delle
“indolenze” istituzionali (Weir 1992, 123). Dunque l’innovazione è
finanziariamente costosa e dispendiosa.
I cambiamenti spesso attesi che scardinano il modus operandi delle
pubbliche amministrazioni avvengono:
- dopo eventi caratteristici e particolari come conflitti, catastrofi o,
più tranquillamente, come elezioni, nuovi attori politici o nuove
coalizioni;
- in seguito all’apprendimento delle politiche di best practices da
sistemi politici diversi (Howlett e Ramesh 2002, 36-37);
- in seguito ad una concertazione tra i vari attori istituzionali anche, a
livello locale (Zoppini 2004, 335).
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Tali mutamenti verso l’internazionalizzazione seguono un percorso
ciclico che li porta da una iniziale fase di instabilità, verso una fase di
stasi e, a lungo andare, di stallo (Kubler 2001, 351).
La convergenza internazionale degli ordinamenti giuridici, non è stata
continua nel tempo neanche nell’età moderna. Dopo un periodo di studi
comparativi nel XIX secolo con il Codice napoleonico, cessano in
Francia le comunicazioni tra i diversi sistemi giuridici europei (Cassese
1992, 25-29).
L’inversione di tendenza si impernierà sul dualismo e sulla divergenza
fra sistemi giuridici di common law e sistemi giuridici di civil law
(Garner 1929, 387).
Lo spirito populista del common law fu manifestato da Alexis de
Tocqueville, il quale sosteneva “la mancata garanzia dei diritti dei privati
nei confronti dello stato, che non concede libertà di governo locale, che
priva i sudditi del ricorso giudiziario contro i funzionari ed attribuisce
poteri esorbitanti all’apparato burocratico giustificandoli formalmente
con il diritto amministrativo” (Cominelli 2005, 3). La situazione era
analoga nel Regno Unito dove la famiglia reale godeva di immunità (The
King can do no wrong) e vi era scarsa autonomia locale.
La divergenza si assottiglia nel XX secolo grazie a due tipologie di
pressioni alla convergenza: la prima, è una convergenza “naturale”,
spontanea verso il decentramento e l’introduzione di enti locali intermedi
tra lo stato centrale e le municipalità; la seconda convergenza proviene
dalle organizzazioni internazionali e in Europa in particolare, dalla
presenza di istituzioni comunitarie, quali la Commissione e la Corte di
giustizia della Comunità europea, che affrontano le tematiche e le
questioni di interesse comune. (Koopmans 1991, 54).
Gli elementi condivisi nel processo di convergenza a livello
internazionale sono stati chiaramente schematizzati come segue (Cassese
1992, 30-31):
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1) la legge rimane il riferimento principale, pure se viene
accantonato il modello “neoassolutistico”: alle amministrazioni
non è consentito solo ciò che è vietato, ma tutto quanto serva per
raggiungere gli scopi istituzionali;
2) le aspettative giuridiche sono riconosciute come diritti non
solo tra i privati, ma anche nei confronti delle pubbliche
amministrazioni;
3) nei confronti delle pubbliche amministrazioni è sempre
prevista una tutela giurisdizionale, anche nei sistemi dualistici a
diritto amministrativo, dove essa è affidata a un giudice speciale;
vi è comunque una certa uniformità di principi tra i due
sottosistemi;
4) si instaura un rapporto di collaborazione e non più di
dominazione tra il centro e la periferia;
5) ovunque viene riconosciuta cittadinanza a una branca
speciale amministrativa del diritto.
Attualmente il cammino internazionale verso la convergenza passa:
- dalla privatizzazione e/o la creazione di enti e/o agenzie
indipendenti che svolgono servizi di interesse pubblico per conto
degli stati;
- dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro con i
dipendenti pubblici;
- dall’istituzione di organi di controllo del settore
finanziario e borsistico (Bell 1992, 4).
Si è peraltro evidenziata anche una tendenza eccessiva a interpretare
tutti gli sviluppi verso la convergenza ignorando i segnali di divergenza
(Preforms 1998, 12). Le possibili resistenze verso la convergenza
vengono in molti casi proprio da alcune differenze distintive che
separano sistemi di common law e di civil law. Nei paesi di common law
l’istituzione di un regime speciale pubblicistico in un determinato settore
deve essere giustificato con rigore, e non può essere compiuto con un
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generico richiamo al pubblico interesse (Bell 1992, 5). Inoltre, nella
generalità dei casi l’amministrazione deve agire per le vie giudiziali
ordinarie, e non dispone di un potere esecutivo d’imperio come nei paesi
di civil law (Bell 1992, 21).
Un approfondimento particolare merita nel campo della convergenza
dell’intervento pubblico, il New Public Management sviluppatosi negli
anni settanta del novecento.
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1.2 - IL NEW PUBLIC MANAGEMENT
Il New Public Management ha origine e si sviluppa nei paesi a cultura
anglosassone anche se la sua influenza è avvertibile tuttora nelle politiche
delle pubbliche amministrazioni di matrice occidentale, dove è in atto un
nuovo modo di gestione della cosa pubblica.
Negli anni ’70 dello scorso secolo a fronte di un deficit pubblico
sempre più alto e di una dilagante inadeguatezza amministrativa, i policy
makers comprendono la reale necessità di un maggior controllo della
spesa pubblica, di un miglioramento della qualità dei servizi pubblici e
della responsabilizzazione dei managers statali; viene dunque richiesto
da più parti un recupero di efficienza. Negli anni ’80 i cittadini si
abituano a standard qualitativi superiori nei settori privati. Si mette così
in moto un meccanismo di repulsione nei confronti dei servizi pubblici, i
quali non riescono a reggere il confronto con il settore privato. “La
burocrazia statale in un certo modo viene delegittimata, mentre il settore
privato (profit e non profit) viene indiscutibilmente rappresentato come il
più efficace” (Peters e Pierre 1998, 478).
A partire dagli anni ’80 nei paesi anglosassoni - sembra che a iniziare
sia stata la Nuova Zelanda - viene avviata una serie di riforme della
pubblica amministrazione ispirate a un nuovo paradigma. La spinta verso
il cambiamento viene favorita dalle nuove agende politiche neoliberali
che individueranno nel mercato le modalità organizzative più
soddisfacenti (Torres e Pina 2004, 447).
Alla base del New Public Management sta:
- il perseguimento di una precisa scissione fra funzioni politiche e
funzioni più strettamente amministrative
1
;
1
In Italia la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e gestione
amministrativa in senso proprio è stata introdotta dal D.lgs. n. 29 del 1993 ed è oggi
ribadita nel D.lgs. n. 165 del 2001 (Sgroi 2005).
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- la realizzazione di condizioni di concorrenza tra agenti privati
ed enti locali per la fornitura di servizi pubblici;
- il ridimensionamento degli uffici amministrativi e la loro
settorializzazione in sportelli organizzati per servizio o per
prodotto;
- un modello di gestione della res pubblica ispirato alle regole in
uso nel management privato;
- un’erogazione di servizi standardizzata, la cui qualità sia
facilmente verificabile e inopinabile.
Materialmente per conseguire risultati di sorta dagli obiettivi sopra
esposti, è opportuno responsabilizzare i managers e tutto l’apparato
impiegatizio, attuare un processo di devolution verso regioni ed enti
locali, informatizzare le attività e migliorare la gestione delle risorse
umane (Torres 2004, 100).
Tale utilizzo sistematico del New Public Management come strumento
per ammodernare ed implementare l’efficienza delle pubbliche
amministrazioni ha avuto come sponsor organizzazioni internazionali del
calibro della World Bank, dell’OCSE e del Fondo monetario
internazionale, e grazie a queste, ha avuto una crescita esponenziale.
Il New Public Management pur essendo un modello rivoluzionario, si
inserisce nelle teorie associabili allo stato minimale, in un sistema
dunque che garantisce solo i bisogni necessari considerati: la tutela della
proprietà privata e l’amministrazione dell’ordine e della giustizia,
tralasciando gli altri compiti al settore privato, capace, attraverso la libera
concorrenza, di autoregolarsi. Da sempre si associano al settore privato
sostantivi con accezione positiva, quali innovazione, successo,
adattamento, rapidità, progresso; ciò fa preferire l’intervento privato
rispetto a quello pubblico, reo di essere incapace, obsoleto, elefantiaco.
“Per stimolare il ricorso ai meccanismi di mercato si ricorre alla
privatizzazione” (Cominelli 2005, 6; Flynn 1995, 62). “I valori del
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settore privato sono riassunti nella dottrina delle tre “e”: economia,
efficienza ed efficacia” (Maesschalck 2004, 466).
Altro valore aggiunto raggiungibile con il New Public Management è
la glasnost (trasparenza). Attraverso una catena di responsabilità, e un
capillare sistema di controlli, è possibile individuare malfunzionamenti e
incapacità, in buona e malafede, di coloro che agiscono in un determinato
settore o ambito. Il settore pubblico finisce così sotto torchio impedendo,
soprattutto nei paesi mediterranei presi in considerazione, di giustificare
manovre azzardate con “l’interesse generale”.
Al fine di rendere il New Public Management confacente alla realtà in
cui viene applicato, esistono diversi gradi e modalità di intervento
sperimentati da ciascun paese in linea con le proprie esigenze culturali
locali e con alterni risultati. Non è possibile quindi dare un giudizio
generale sui vantaggi ottenuti tramite questo modello di gestione del
settore pubblico
2
.
Il New Public Management non è stato esentato da critiche:
generalmente opinioni e teorie in direzione contraria sono state sollevate
da studiosi conservatori e tradizionalisti raccolti sotto quello che viene
definito il movimento della Traditional Public Administration, i quali
criticano l’eccessivo potere nelle mani di attori privati tendenti più ad
aumentare i loro profitti che a migliorare la qualità dei servizi o delle
competenze offerte al pubblico. La privatizzazione impedirebbe il lavoro
di squadra dell’amministrazione e annullerebbe la dimensione etica del
decision making pubblico (Maesshalck 2004, 467-468).
2
Lo studio comparato condotto da Olsen e Peters (1996) su otto paesi (Gran
Bretagna, Norvegia, Germania, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada, Indonesia e
Portogallo) conclude che l’ideologia del New Public Management non è stata
universalmente accettata. Nei paesi presi in considerazione, le idee di managerialità, di
imprenditorialità privata e di mercato competitivo non sono stati ancora pienamente
adottati con uguale entusiasmo come modelli per il settore pubblico, e anzi in alcuni
contesti vengono rifiutati con forza.
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Tali studiosi sono stati comunque incapaci di tracciare una strada
alternativa all’inarrestabile ascesa delle teorie legate al New Public
Management.
Un compromesso tra le spinte verso la privatizzazione di ampie fette
di settore pubblico e tra la salda conservazione di quest’ultimo nelle mani
dello stato, è rappresentato dalle società a partecipazione mista , società
con un capitale sociale spartito tra stato, regioni od enti locali da un lato,
e soggetti privati dall’altro. Il tutto gestito dalle norme previste dal diritto
privato.