2
gestione dell’organizzazione, nelle problematiche occupazionali e
nell’utilizzazione strategica delle risorse umane ai fini del successo di tali
organizzazioni; nella capacità di sopperire e soddisfare al meglio le
evidenti lacune di carattere pubblico.
Nell’ultima parte si propongono alcune esperienze attuali di Terzo
Settore, sia in Italia come risposta concreta alle nuove problematiche
sociali per un possibile inserimento ed inquadramento nelle politiche
sociali a carattere pubblico, sia a livello comparato, su scala
internazionale.
3
__________________________________________________________________
PARTE PRIMA
IL TERZO SETTORE TRA SVILUPPO STORICO,
PRINCIPI MORALI E COSTITUZIONALI
4
CAPITOLO I
SVILUPPO STORICO DEL TERZO SETTORE
1. CARITÀ ED ASSISTENZA TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA
L’acquisizione molto recente del termine “non profit” nel dibattito
sociale ed economico in Italia può indurre a pensare che si tratti di un
fenomeno di nuova formazione. In realtà, pur non chiamandosi con
questo nome, il non profit in Italia ha una tradizione antica, talvolta
addirittura plurisecolare, molto spesso di gran lunga preesistente al
costituirsi dello Stato.
1
In Europa a partire dall’Alto Medioevo, la tradizione cristiana e la
dottrina canonistica, da una parte, e la rinascita degli studi romanistici
ad opera della scuola di Bologna, dall’altra, diedero impulso e fornirono il
sostrato teorico-giuridico per la costituzione di numerose opere e
congregazioni di carità, sia religiose che laiche, di associazioni e
fondazioni, le quali, disponendo spesso di notevoli capitali, vincolavano
gli stessi al perseguimento di uno scopo pio ovvero di beneficenza a favore
della collettività.
2
A partire dalle classi dirigenti, era diffusa la
consapevolezza che l’attività di assistenza, beneficenza, istruzione fosse
qualcosa di importante per tutti e che si svolgesse nell’interesse di tutti.
Nacquero organizzazioni relativamente sofisticate quanto
all’articolazione delle funzioni e alla modalità di gestione, rispetto alle
quali la pura prestazione volontaristica non era sufficiente essendo
1
Cfr. A.SANTUARI, “Aspetti giuridico-legislativi delle organizzazioni non profit. Inquadramento storico e linee
evolutive nel panorama europeo”, in D. CAVENAGO, Dirigere e governare un’organizzazione non profit, Cedam,
Padova, 1996.
2
Cfr. G.RICCAMBONI, “La regolazione sociale: il Terzo Settore oltre lo Stato e il mercato” in Il Terzo Settore tra
economicità e valori, Fondazione Lanza, Padova, Aprile 1997.
5
invece richiesta grande professionalità e altrettanto grande capacità di
guida
3
.
La maggior parte degli storici sono d’accordo nell’attribuire una sorta
di primogenitura a strutture destinate all’inizio all’assistenza dei
pellegrini e, successivamente alla cura degli ammalati e degli infermi.
Tuttavia se è nota la presenza a Lucca sin dall’anno 720 di un ricovero,
diretto da laici e destinato a quella particolare categoria di viaggiatori, è
nota anche l’esistenza nella Milano del 784 di un ospizio per trovatelli
fondati dall’arciprete Dateo. Non meraviglia peraltro constatare come,
secondo Bonvesin della Riva, alla fine del Duecento a Milano e nel
milanese esistettero dieci ospedali nella capitale (tra i quali primeggiava
quello si S.Stefano in Brolo dotato di 500 letti, capace di ospitare 350
lattanti e 1000 adulti) e 15 nel contado. E come nel 1624 a Roma fossero
in attività otto ospedali, 21 confraternite, 11 collegi, 17 confraternite e
ospedali nazionali, 16 confraternite professionali. E come nella stessa
città e all’incirca nello stesso periodo, la congregazione della SS. Trinità,
fondata da S. Filippo Neri nel Cinquecento, ospitasse ben 300.000
pellegrini, una moltitudine alla quale occorreva almeno l’alloggio se non
il vitto.
4
L’entità delle risorse necessarie per permettere lo svolgimento
dell’attività di strutture così importanti non poteva non richiedere
conoscenze specifiche. Amministrare un’opera pia dedita all’elemosina,
con un bilancio di poche migliaia di lire l’anno, non era compito
particolarmente difficile. Ma se si pensa che le citate istituzioni romane
disponevano in quel periodo di entrate per 320.000 scudi l’anno, delle
quali 192.000 di pertinenza degli otto ospedali, è di tutta evidenza che il
3
Cfr. A.COVA “La situazione italiana: una storia di non profit” in G. VITTADINI (a cura), Il non profit dimezzato,
Etaslibri, Aprile 1997.
4
Cfr. C.D. FONSECA, “Forme assistenziali e strutture caritative nella Chiesa del Medioevo”, in A. CAPRIOLI, A.
RIMOLDI, L. VACCARO (a cura), Chiesa e società. Appunti per una Storia delle Diocesi lombarde, La Scuola,
Brescia, 1986, pp. 275-291.
6
forte impegno richiesto per l’amministrazione di patrimoni formati da
terreni, crediti verso i pubblici e i privati, impieghi in mutui ed è
altrettanto evidente come tutto questo comportasse specifiche
competenze gestionali se si voleva che quelle istituzioni fossero ben
amministrate
5
Se si guarda all’Ospedale maggiore di Milano, la “Ca’ Granda”
fondata nel 1486, la complessità della gestione e l’articolazione delle
competenze necessarie per farlo funzionare emergono con altrettanta
chiarezza.
Inoltre, istituzioni come quella richiamata, comportavano specifiche e
vaste conoscenze in settori diversi, da quello medico propriamente detto a
quello amministrativo, contabile e giuridico: queste ultime di un livello
tale da far sì che il modello di contratto d’affitto dei fondi rustici redatto
dalla Cà Granda fosse assunto dai privati come schema di riferimento
per la gestione delle loro terre.
E, del resto, gli studi sull’amministrazione dei beni fondiari hanno
portato alla luce
6
uno schema di organizzazione aziendale di rilevante
complessità e modernità, orientata a rendere massima la redditività dei
fondi nella prospettiva non certo di trarre profitti, ma di destinare risorse
crescenti all’ampliamento della dimensione operativa.
Furono presi i terreni contigui alla proprietà preesistente per
incrementare la dotazione dei terreni e conseguire tutte quelle economie
di scala rese possibili dalla dimensione della superficie coltivata. Furono
inserite nell’organizzazione persone dotate
7
di istruzione superiore
(ingegneri esperti di irrigazione e di governo delle acque e agronomi), in
possesso di elevate conoscenze specifiche in grado di orientare e
controllare l’operato dei fondi, per evitare modi di gestione delle terre
5
A.SERRA, Problemi dei beni ecclesiastici nella società preindustriale: le Confraternite di Roma moderna,
Istituto Studi Romani, Roma, 1983, p.130 e ss.
6
Cfr. A.COVA, op. cit.
7
Cfr. A.COVA, op. cit.
7
dell’Ospedale suscettibili di danneggiarne la qualità e, alla lunga, la
redditività.
Considerazioni analoghe possono essere fatte per altre strutture
operanti nel sociale. Se si guarda alla storia della Biblioteca Ambrosiana,
fondata dal cardinale Federico Borromeo nel 1610, si coglie
8
la presenza
di una molteplicità di funzioni unificate da una precisa politica di
gestione finalizzata al perseguimento dei fini di una istituzione aperta ai
bisogni culturali di un’intera società.
L’assistenza ospedaliera rappresentò il primo e più importante filone
di attività, e di gran lunga il più impegnativo, di tutto il sistema delle
“imprese” operanti nel sociale
9
. Negli anni e nei secoli il progredire delle
conoscenze mediche e l’apparire di nuove malattie e di nuove infermità
determinarono, anche in un settore tradizionale come quello ospedaliero,
l’avvio di nuove iniziative che, almeno per l’Italia, furono assunte dalla
Chiesa e dalle sue organizzazioni prima che dallo Stato.
In particolare vanno menzionate le iniziative della prima metà
dell’Ottocento del beato Cottolengo, le case di don Orione, aperte dopo la
grande guerra per i reduci colpiti nel loro equilibrio mentale, le iniziative
di don Luigi Guanella a favore dei “buoni figlioli”, ossia dei dementi, per
la cura dei quali il sacerdote valtellinese non esitò a recarsi negli Stati
Uniti per apprendere le tecniche di cura e di recupero attuate in quel
paese ed applicarle, come fece, in Italia e con grande successo.
10
8
E. VERGA, Storia della vita milanese, N. Moneta, Milano, 1931.
9
Cfr. A.COVA, op. cit.
10
Cfr. A.COVA, op. cit.
8
Lo stesso spirito di carità che fu alla base del fiorire di iniziative di
assistenza sanitaria, a favore dei carcerati, degli orfani e delle vedove,
nonché il proliferare delle Compagnie della buona morte
11
, giacche ai
poveri era persino difficile concludere degnamente la vita terrena,
determinò l’assunzione di opere nuove rispondenti all’emergere di nuovi
bisogni. Ciò avvenne quando i grandi processi di trasformazione dell’età
moderna determinarono il formarsi di nuove ricchezze, ma anche
l’accentuazione del distacco fra i ricchi e i poveri e l’aumento dei livelli di
povertà. Questo spiega l‘enorme sviluppo delle attività caritative in Italia
che fece maturare come ha scritto il prof. Geremek “un atteggiamento
nuovo: l’assistenza ai poveri richiede riordino e riorganizzazione e crea la
necessità di fondare istituti specializzati”.
12
Non a caso, nel corso del XV secolo nacquero i Monti di Pietà, i quali,
superando il criterio dell’Ente di Beneficenza svolgevano attività ben
delineate di prestito di danaro ‘contro pegno’ esigendone la restituzione
maggiorata da una tenue somma, richiesta per un risarcimento delle
spese che il Monte incontrava.
13
Tale somma aggiuntiva era detta
interesse. Pertanto tale somma rappresenta la prima codificazione di un
tasso d’interesse, come pure la restituzione del prestito (che implicava la
richiesta di denaro per investimento e non per consumo) afferma per la
prima volta il principio bancario di capitale circolante per la creazione
della ricchezza sociale. Altro criterio che in termini moderni chiamiamo
di tipo aziendale, è l’organizzazione del Monte di Pietà, che prevedeva
uno statuto, un presidente (di norma sindaco della città), degli impiegati
(contabile, tesorieri e amministratori in genere) e un “consilium” di
maggiorenti per i movimenti di denaro più importanti.
14
Con la
11
Cfr. A.COVA, op. cit.
12
B.GEREMECK, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Laterza, Bari, 1986, p.9.
13
P. GIAMPAOLO PALUDET O.F.M., “Bernardino da Feltre, piccolo e poverello”, stamperia di Venezia/ L.I.E.F.,
1993.
14
Cfr. P.GIAMPAOLO PALUDET O.F.M., op. cit.
9
particolare promozione fatta dai francescani (a cominciare dal Beato
Bernardino da Feltre), e dopo la nascita del più famoso Monte di Pietà a
Perugia nel 1462 (anno riconosciuto come primo della fondazione del
Monte di Pietà in Perugia), nel giro di cento anni nacquero un numero di
225 istituti, come in ordine analitico si riporta in appendice.
15
I Monti i pietà funzionarono molto bene per quattro secoli (fino alla
prima metà del 1800) allorquando con la nuova legislazione pubblica in
campo creditizio si trasformarono in Casse di Risparmio e Banche
Popolari.
Il fenomeno delle Casse di Risparmio, istituto creditizio moderno,
prende origini nella Germania di metà Ottocento dalla creatività di
Guglielmo Reiffeisen.
16
Esse avevano lo scopo di garantire ai soci non il
raggiungimento di un profitto, ma la possibilità di svolgere con continuità
un’attività di produzione e scambio o di rendere un servizio ai minimi
costi possibili a favore delle comunità entro le quali esse operavano.
2. OTTOCENTO: INIZIATIVE DI MUTUO SOCCORSO E ISTRUZIONE
Se il Medioevo e L’Età moderna furono secoli di intensa attività nel
sociale, l’Ottocento, nonostante il mutato rapporto e la mutata funzione
dello Stato, fu un periodo di notevole effervescenza e di singolare capacità
di ideazione di nuove iniziative.
Fu il secolo delle esperienze di autotutela di cui è buon esempio il
fiorire delle società di mutuo soccorso che da una parte difendevano il
fenomeno dell’usura, i soci, dall’altra obbligavano ad una
amministrazione assai attenta delle risorse per raggiungere per
15
In Appendice: Distribuzione geografica dei Monti di Pietà: 1462-1562, da P.VITTORIO MENEGHIN O.F.M., “I
Monti di Pietà in Italia”, L.I.E.F./ Vicenza, 1986.
16
Cfr. A.COVA, op. cit.
10
raggiungere il massimo dei risultati con il minimo dispendio dei mezzi.
Nacquero così associazioni mutue tra operai di vario tipo, associazioni di
mutuo soccorso, soci di vario tipo, banche mutue cooperative, banche
mutue popolari, mutue di assicurazione,(contro i danni di incendio,
grandine, malattia del bestiame, di assistenza malattia e di previdenza),
casse mutue, corporazione per le arti di mutuo soccorso, congregazioni di
mutua carità tra soci di varia categoria e per concludere la società
nazionale di mutuo soccorso. Naturalmente come in passato fu il mondo
contadino a sviluppare le migliori esperienze. In proposito se teniamo
conto che con il 1890 riprende il fenomeno della tutela creditizia con la
nascita delle Casse Rurali patrocinate e sostenute dal mondo cattolico
(tra cui emerge la figura di Don Cerruti) la solidarietà spontanea tra
cittadini assume proporzione di grande rilievo e significato sociale. A tal
proposito piace ricordare che Marco Besso, presidente delle Assicurazioni
Generali, membro ufficiale delle commissioni parlamentari per la
legislazione previdenziale ed assistenziale, scrisse: “Chi rifaccia la storia
dei plebisciti nelle varie regioni d’Italia, avrà fatto quella della
penetrazione del mutuo soccorso nelle regioni stesse. Nelle quali si può
dire senza retorica, che appena veniva spiegato il tricolore, subito dopo
sorgevano società mutue. Il felice sviluppo delle medesime è dato dallo
sviluppo delle seguenti cifre: nel 1873 le Mutue erano 1146 con 218.000
soci; nel 1885 erano 4772 con 781.000 soci ed ora (anno 1910), abbiamo
7000 società con 1.000.000 di soci.”
17
L’Ottocento viene ricordato inoltre come il secolo nel quale si
moltiplicarono anche le iniziative nel campo della scuola.
In verità il settore dell’istruzione aveva da sempre fatto registrare una
forte presenza di religiosi e di laici. La grande iniziativa milanese della
Biblioteca Ambrosiana ne è forse l’esempio più illustre così come quella
17
MARCO BESSO, “La previdenza sociale nel Risorgimento”, Tipografia del Senato, Roma, 1910.
11
dei collegi creati da ordini religiosi particolarmente attenti ai problemi
dell’istruzione, come i Gesuiti e i Barnabiti.
18
Sono noti inoltre, anche i
grandi collegi universitari sul modello del Borromeo di Pavia, che
costituirono lo strumento di accesso all’università anche dei non
ricchissimi.
19
In alcuni protagonisti ottocenteschi come don Bosco o don Guanella
che si impegnarono nell’educazione popolare proponendo programmi
formativi identici per i giovani e i giovanissimi di tutte le classi sociali,
sono individuabili peculiari principi pedagogici che derivano non tanto da
sistematiche teoriche quanto piuttosto dall’esigenza di dare il massimo di
efficacia
20
all’azione formativa.
Accanto alla distribuzione di cibo ai poveri e alle scuole per l’istruzione
elementare furono create biblioteche e stamperie per libri da destinare
all’istruzione popolare, scuole di arti e mestieri, scuole sperimentali di
agricoltura.
Nella seconda metà del secolo XIX secolo, i cambiamenti in atto nella
struttura economico-sociale diedero forza in particolare alla formazione
professionale, sovente legata alla possibilità di sopravvivenza pura e
semplice di alcuni settori produttivi, messi in crisi dal veloce processo di
innovazione tecnica, ma anche dalla necessità di preparare ai mestieri
emergenti di una realtà in trasformazione.
21
L’agricoltura, per esempio, fu posta di fronte all’esigenza di migliorare
in modo significativo le proprie performance di fronte alla concorrenza
dei mestieri emergenti e di evitare che il processo di emigrazione, unica
18
X. TOSCANI, Scuole e alfabetismo nello Stato di Milano da Carlo Borromeo alla rivoluzione, La Scuola,
Brescia, 1993, p.99.
19
X. TOSCANI, op. cit.
20
Il termine “efficacia” va inteso nel senso di raggiungimento degli obbiettivi formativi prefissati utilizzando a
pieno i principi pedagogici preposti.
21
Cfr. A. COVA, op. cit.
12
risposta alla crisi del settore, portasse alla scomparsa di intere
comunità.
22
Il processo di industrializzazione, inoltre, portò in primo piano la
difesa del lavoro operaio. Dal punto di vista della definizione dei rapporti
con le imprese, fu il sindacato a porsi come strumento principale di
autopromozione. Le congregazioni religiose mirarono invece a tutelare e
soddisfare le esigenze materiali, morali, culturali e religiose dei
lavoratori in oggetto e in quelle dichiaratamente femminili, oltre alla vita
comunitaria di preghiera, l’impegno a favore delle donne e delle giovani
occupate nelle fabbriche.
23
3. LE OPERE SOCIALI E L’INGERENZA DELLO STATO
Ospedali, scuole assistenza ai poveri, mutuo soccorso, istituti di credito
professionale furono gli ambiti nei quali operarono, con continuità
plurisecolare, religiosi e laici di ogni gruppo sociale. Nel tempo però
venne mutando il rapporto con il potere politico e in modo particolare con
lo Stato, sempre meno disposto a lasciare ai privati la responsabilità e le
iniziative degli interventi nel sociale.
24
Difatti la concezione unitaria della società civile, che aveva
caratterizzato le epoche storiche precedenti, cominciò ad essere
sottoposta a forti critiche a far data dal 1600. La progressiva
affermazione delle dottrine giusnaturalistiche prima ed illuministiche
poi, che postulavano da un lato l’assoluta indipendenza e autonomia
dell’individuo da qualsiasi entità o potere esterno e, dall’altro la necessità
di uno Stato espressione ultima della volontà popolare, introdusse
sospetti e ostilità nei confronti delle congregazioni ed ordini religiosi e di
22
Cfr. A. COVA, op. cit.
23
Cfr. A. COVA, op. cit.
24
E. BRESSAN, “Azione caritativa e sociale nell’età moderna e contemporanea”, in Chiesa e società, cit., p. 294.
13
tutte le opere che non perseguivano uno scopo di lucro allora presenti nel
tessuto sociale.
25
Gli interventi legislativi adottati negli ultimi decenni
del diciottesimo secolo per contrastare l’accumulo di beni e di ricchezza
da parte di associazioni e corporazioni (“manomorta”) culminarono in
Francia, con l’approvazione della Le Chapelier del 1791 che sopprimeva
corporazioni, società benefiche ed educative, organizzazioni di lavoratori,
società artigiane, organizzazioni politiche e di fatto e, in Germania, con
l’editto di Giuseppe II d’Austria del 1781 che sopprimeva i monasteri che
non gestivano né scuole, né ospedali e riformava i luoghi pii.
26
Il Code Napolèon e le codificazioni ottocentesche che da esso furono
ispirate, implementazioni giuridiche ed economiche della Rivoluzione
Francese, risultarono informate da uno spirito mercantilistico, secondo il
quale l’ordinamento statuale doveva favorire e sostenere la distribuzione
della ricchezza e la massimizzazione del profitto. In altri termini, la
legislazione napoleonica fu caratterizzata dalla “convergenza tra il
dogma fisiocratico, ossia la concezione economica secondo cui la ricchezza
deve a sua volta produrre ricchezza e non rimanere immobilizzata, il
timore dell’ipertrofia dei corpi intermedi, il ripudio concettuale
prim’ancora che pratico della possibilità di frazionare il patrimonio
imputato ad un solo soggetto.
27
In tal senso le organizzazioni che non
perseguivano uno scopo di lucro venivano considerate estranee alle
dinamiche produttive e pertanto furono dapprima osteggiate e in seguito
“assorbite” dall’Amministrazione statale.
Si aggiunga che l’ideologia liberale, che ispirò le codificazioni dell’
Ottocento, sosteneva l’azione della “invisibile hand” del mercato, che
doveva operare come strumento di efficiente produzione e coordinamento
25
ALCESTE SALTUARI, “Evoluzione storica, aspetti giuridici e comparatistici” in Terzo Settore tra economicità e
valori, Fondazione Lanza, Padova, Aprile 1997.
26
Cfr. ALCESTE SALTUARI, op. cit.
27
V.H. SOLEAU, Rapport introductif, in R.- J. DUPREY (a cura di), Le droit des fondations en France et a
l’etranger, France, 1989, p.16.
14
miranti a scopi egoistico - economici (massimizzazione del profitto). Lo
Stato a sua volta era considerato come strumento di espressione della
somma delle volontà individuali, come strumento di tutela della libertà di
ciascun individuo.
28
In questa prospettiva, gli enti che non miravano alla
massima produzione di profitto, che perseguivano scopi ideali e che
potenzialmente erano in grado di immobilizzare rilevanti quantità di
ricchezza, sottraendo quest’ultima alla libera circolazione del mercato,
non potevano che essere considerati estranei e quasi di intralcio sia
all’efficiente funzionamento del mercato stesso che al nomale
funzionamento della politica e dello Stato.
L’Italia si inserisce nel contesto europeo sopra descritto: ad un certo
momento, infatti l’imponente costruzione iniziatasi nel Medioevo con la
forte presenza della Chiesa che del resto al Concilio di Vienna del 1311-
1312 aveva solennemente riaffermato la propria legittimazione a
governare tutto il sistema della beneficenza,
29
comprese le istituzioni
gestite da non religiosi, persone od enti, cominciò ad interessare i pubblici
poteri, in conseguenza del fatto che lo Stato moderno in via di
costituzione esprimeva un tendenza all’ampliamento delle funzioni anche
in ambiti della vita collettiva dai quali si era sempre mantenuto estraneo.
Dal punto di vista della dimensione dello dell’intervento dello Stato,
però non è dato riscontrare significativi cambiamenti almeno sino al
Settecento e più precisamente sino alla metà del secolo quando, almeno
una parte dell’Italia, per effetto della politica ecclesiastica di Maria
Teresa d’Austria e di suo figlio Giuseppe II, si registrò una più decisa e
pervasiva ingerenza dello Stato sul vasto universo delle istituzioni.
Relativamente a quelle più propriamente appartenenti alla Chiesa si
intervenne “controllando puntigliosamente acquisto ed uso di beni, criteri
28
D. PREITE, Il settore delle fondazioni, in Gli enti “non Profit”.Nuove figure e nuove problematiche, Atti del
Convegno Notarile Lombardo, 3 ottobre 1992, Giuffrè, 1993, p. 103.
29
Cfr. A. COVA, op. cit.
15
e modalità delle nomine per il clero secolare mentre conventi ed uffici
furono congelati”.
30
Ugualmente profondo fu l’intervento sugli enti
ecclesiastici. Con un decreto de 1767, infatti, fu segnata la fine
traumatica dell’autonomia dei luoghi pii. Le osservazioni del potere
politico nei confronti degli organi di amministrazione raggiunsero anche
il grottesco quando i responsabili del milanese Pio Albergo Trivulzio
furono rimproverati per l’eccellente trattamento riservato ai poveri.
31
Alla metà del decennio ottanta, Giuseppe II accentuò l’intervento dello
Stato, sottoponendo le strutture di assistenza e beneficenza al controllo di
merito di una giunta delle pie fondazioni. Tuttavia il meccanismo di
controllo degli atti e la regolazione - limitazione della responsabilità degli
amministratori che, d’altra parte venivano scelti con l’intervento del
governo, distrussero una tradizione di robustissime radici. In ogni caso
nobili, borghesi e perfino popolani, che avevano tradizionalmente fornito
persone e mazzi destinati al governo e alla vita delle istituzioni, furono in
parte estromessi.
La concezione statalista allora predominante, pertanto causò il
progressivo aumento di diffidenza, finanche di ostilità, nei confronti dei
corpi intermedi presenti all’interno della collettività, generando
conseguentemente l’idea che la Pubblica Amministrazione doveva
intervenire a controllare lo sviluppo di tali forme aggregative. In
particolare si determinò “la rottura dell’impianto privatistico tipico della
beneficenza milanese mediante l’imposizione di un rigido controllo
governativo sui capitali di ogni singolo ente”
32
e si procedette alla fusione
obbligata degli enti minori in cinque grandi congregazioni.
30
A.ANNONI,”Assistenza e beneficenza nell’età delle riforme”, in economia ed istituzioni, cultura in Lombardia
nell’età di Maria Teresa.III, istituzioni e società, a cura di G. Barbarisi, A. De Maddalena, E. Rotelli, Il Mulino,
Bologna, 1982, pp.897-990.
31
Ibid., p. 958.
32
E. BRESSAN, Povertà ed assistenza in Lombardia nell’età napoleonica, Laterza, Bari, 1985.