Nel circuito di distribuzione intervengono numerosi soggetti:
oltre al produttore e al consumatore vi sono le imprese mercantili
(grossisti, dettaglianti), gli ausiliari del commercio (rappresentanti,
commissionari, agenti, commessi viaggiatori, piazzisti), le società
di servizi e altre imprese coadiuvanti (depositari, vettori); la loro
funzione è quella di mettere beni e servizi a disposizione dei
consumatori o degli utilizzatori industriali.
In generale, il ruolo della distribuzione è quello di ridurre le disparità
che esistono tra i luoghi, i tempi e i modi di fabbricazione e quelli di consumo,
tramite la creazione di condizioni vantaggiose sotto il profilo dell’ubicazione,
del tempo e delle modalità, condizioni che costituiscono ciò che viene chiamato
“valore aggiunto della distribuzione”.
Le principali funzioni della distribuzione sono:
- trasporto
- assortimento
- frazionamento
- magazzinaggio
- contatto
- informazione
Il carattere delle funzioni distributive è, oltre che
fisico-merceologico, anche comunicativo e psico-sociologico:
esse coinvolgono sia le attività commerciali in senso stretto che i
rapporti umani e sociali implicati nello svolgimento del servizio.
Dal punto di vista delle imprese, sono rilevanti le decisioni
concernenti il tipo di canale attraverso il quale i prodotti devono
essere presentati sul mercato : diretto o indiretto a seconda del
tipo di rapporto intercorrente tra produttore e consumatore;
quello indiretto, caratterizzato dalla presenza di intermediari che
assumono la proprietà del bene scambiato e il cui ricorso diventa
sempre più necessario per favorire l’incontro tra domanda e
offerta, può essere a sua volta breve (che prevede la sola figura
del dettagliante come anello di congiunzione tra produttore e
consumatore) o lungo (che presenta un ulteriore anello costituito
dal grossista). Importanti decisioni da prendere sono quali punti
vendita utilizzare e quali margini riconoscere loro.
Solitamente, è preferibile affidare la gestione dei compiti e dei
flussi commerciali ai terzi in quanto, grazie alla loro
specializzazione, possono occuparsene con maggiore efficienza e
minori costi rispetto al produttore che decidesse di farlo
direttamente.
La scelta dei canali di distribuzione da parte delle imprese
produttrici è vincolata da numerosi ed eterogenei fattori quali:
-la deperibilità dei prodotti,
-il loro elevato valore unitario,
-la dispersione territoriale degli acquirenti e la dispersione
quantitativa dei loro acquisti,
-la scarsa disponibilità di risorse finanziarie da parte dell’impresa
produttrice,
-l’importanza e l’efficienza della catena distributiva (il grande
commercio nelle sue più svariate modificazioni può assicurare
un’ampia distribuzione dei prodotti sempre che esistano i
presupposti materiali per il raggiungimento di quest’obiettivo).
Tali scelte interessano il consumatore in quanto comportano
differenze nella distanza da percorrere, nella fatica o nel dispendio
di tempo richiesti per acquistare un dato prodotto. Inoltre, c’è da
dire che il consumatore ha sempre più richiesto un rapporto
preciso in funzione di bisogni altrettanto precisi non solo più
circoscritti al prodotto, come tale, ma anche come sommatoria di
servizi.
La commercializzazione finale si è quindi basata su due grandi
discriminanti. Da una parte la distribuzione moderna e
organizzata, articolata soprattutto sulla Grande Distribuzione,
dall’altra la distribuzione commerciale. Rispetto a questi due
modelli il consumatore presenta atteggiamenti e comportamenti
completamente antitetici che caratterizzano ancora due modi di
rapportarsi al mercato.
In linea di massima va detto che non esiste per ogni tipo di
prodotto un canale di distribuzione migliore di altri; il grado
ottimale di classificazione di validità di un canale distributivo e la
conseguente scelta di quello più conveniente dipendono
unicamente e di volta in volta da particolari e mutevoli condizioni
di mercato e aziendali.
Due criteri da considerare basilari per stabilire la scelta del
giusto canale distributivo sono il potenziale di vendita che è in
grado di assicurare e il costo che si deve sostenere per ottenere il
volume di vendita pianificato; il canale di vendita più conveniente
è senz’altro quello che assicura la maggiore redditività a lungo
termine. Un terzo criterio collegato al consumatore-utilizzatore
deve essere scelto in funzione di ciò che lui vuole, di come lo
vuole, dove e in quali circostanze.
Con lo sviluppo dei consumi la distribuzione ha accresciuto, in
termini esponenziali, dimensioni e caratterizzazioni e l’analisi dei
canali distributivi è divenuto un fattore preciso di commercialità.
La segmentazione del mercato ha quindi creato nuovi modelli
distributivi:
a) canale tradizionale: sotto questa voce si raggruppa la
distribuzione al dettaglio costituita da punti vendita più o meno
qualificati e definiti per area merceologica. A questa formula si
rivolgono le aziende che scelgono come politica l'assenza dei
canali della distribuzione moderna;
b) canale grossista: che vede la presenza di intermediari che
vendono soprattutto agli altri rivenditori, come dettaglianti e
clienti istituzionali ma non ai singoli consumatori;
c) canale distribuzione organizzata: formato da punti vendita
indipendenti, le forniture sono centralizzate per area, il contatto
commerciale è affidato sia alle strutture interne della direzione
vendite, sia ai diversi responsabili di zona;
d) canale grande distribuzione: formato da aziende che gestiscono
un numero variabile di punti vendita propri, con il supporto di
strutture logistiche disposte in modo opportuno sul territorio.
Le forniture sono consegnate per grandi quantità e i contatti
commerciali sono realizzati direttamente dall'azienda;
e) distribuzione diretta, senza la presenza di intermediari.
La perdita del controllo di certi elementi del processo di
commercializzazione solo in alcuni casi potrebbe generare
spiacevoli inconvenienti.
Le decisioni relative alla distribuzione commerciale sono centrali
nelle strategie di marketing delle imprese, sia perché una buona
distribuzione può essere determinante per il successo o
l’insuccesso di un prodotto, sia perché la distribuzione trattiene
un cospicuo margine sul prezzo di vendita finale in corrispettivo
delle sue prestazioni.
L’intervento nel canale di distribuzione da parte degli operatori
economici introduce maggiori oneri per i compensi dovuti sia
agli intermediari sia agli ausiliari minori determinando uno scarto
maggiore tra il prezzo di vendita e quello di produzione.
Pur riconoscendo l’utilità della funzione distributiva sorge il
problema, essenzialmente organizzativo, di ridurre tali oneri. Le
imprese sono stimolate a cercare procedure di distribuzione
sempre migliori e a razionalizzare le modalità di gestione.
E’ chiaro che l’eliminazione di un livello richiede che le sue
funzioni e i suoi compiti vengano svolti da altri: le funzioni,
infatti, possono essere trasferite da un livello all’altro, ma non
eliminate.
La posizione privilegiata dei distributori in rapporto ai produttori
deriva da vari fattori: moltiplicazione dei contatti, economie di
scala, riduzione della disparità di funzionamento, assortimento
migliore, servizio più vantaggioso.
Le soluzioni al problema sono diverse.
E’ stata intrapresa una vasta azione di modernizzazione del
settore commerciale mediante la costituzione di gruppi di grossisti
(consorzi di vendita), di cooperative di dettaglianti, di
supermercati, di discount houses, di centri commerciali, di case di
vendita per corrispondenza. Alcune di queste formule, accessibili
alle aziende a struttura personale, si traducono in uno
spostamento di clientela dalle unità meno dinamiche a quelle più
moderne. Altri rimedi, anche se indiretti, sono una migliore
disciplina delle licenze di commercio, il divieto o la disciplina delle
vendite e dei concorsi a premio, una riforma della legge sull’IGE
per alleviarne l’onere introducendo un’imposta sul valore
aggiunto.
L'importanza da riconoscere oggi alla funzione di distribuzione è
indiscutibile: da un semplice ruolo passivo di appendice
dell’industria, è passata a svolgere un ruolo attivo, innovatore e
talvolta dominante, condizione che ha sensibilmente modificato i
rapporti di forza tra fabbricante e distributore.
I modelli organizzativi operanti non sono più ritenuti appropriati
alle nuove esigenze del mercato; le imprese si vedono costrette ad
adottare nuove tecnologie di informazione e di comunicazione al
fine di poter valorizzare la propria performance distributiva.
Questa evoluzione, accompagnata da mutamenti importanti
dell’ambiente socioeconomico, ha indotto i distributori ad
accordare uno spazio maggiore al marketing strategico,
ridefinendo il proprio ruolo in una prospettiva orientata a un
migliore adattamento ai bisogni dei consumatori.
Poco tempo fa, l’orientamento alla produzione era dominante in
molte imprese di distribuzione, mentre il marketing era ridotto
alla semplice distribuzione fisica e alla politica di acquisto.
Oggi la situazione è cambiata. Il marketing strategico segue
l'evoluzione del mercato di riferimento, identifica i differenti
prodotti-mercati e individua segmenti reali o potenziali presenti
sui mercati in base a un'analisi dei diversi bisogni incontrati.
L’esigenza di posizionamento strategico è, in particolare,
perseguita dalle imprese di Grande Distribuzione che operano nel
settore non alimentare; è meno evidente, invece, nel caso del
grocery dove, specie in Italia, è stato più marcato il processo di
modernizzazione del settore.
La vendita diretta senza intermediari è una pratica corrente,
specie nei mercati industriali, dove i clienti potenziali sono pochi
e, in ogni caso ben identificati, i prodotti sono complessi, spesso
fabbricati su misura e presentano un elevato valore unitario.
Il cambiamento degli ultimi anni consiste nello sviluppo di questo
tipo di distribuzione laddove meno lo si attendeva, vale a dire nel
mercato dei beni e servizi di consumo. Questa evoluzione è stata
resa possibile in gran parte dallo sviluppo dei nuovi mezzi di
informazione (Minitel, Videotex, Telematica).
La crescita del potere contrattuale nei confronti dei produttori
delle forme di distribuzione organizzata e l’esigenza di
razionalizzare i sistemi logistici hanno favorito lo sviluppo del
trade marketing nel cui contesto di riferimento è di assoluta
importanza la scelta del giusto sistema distributivo nei confronti
del grande commercio.
Si tratta, difatti, di un aspetto strategico della politica di vendita.
La realizzazione di una politica di distribuzione deve tenere conto
degli obiettivi generali e particolari dell’azione di marketing senza
ignorare il tipo di prodotto che deve essere commercializzato,
nonché il tipo di consumatore-utilizzatore cui ci s’indirizza.
La selezione del giusto sistema distributivo prenderà in
considerazione tutta una serie di elementi condizionatori come il
prodotto, la stessa realtà aziendale, il consumatore-utilizzatore.
L’importanza che riveste la scelta della più rispondente politica
distributiva, per un’azienda che voglia vendere con successo i suoi
prodotti presso il grande commercio è assoluta: infatti sono
disastrose le conseguenze che ne deriverebbero da una scelta
sbagliata.
Importanti sono le potenzialità della funzione distributiva nella
raccolta ed elaborazione iniziale delle informazioni necessarie
all’impresa per mantenere un continuo controllo sull’andamento
del mercato.
Proprio gli operatori commerciali costituiscono l’interfaccia tra
l’area funzionale di distribuzione e vendita dell’impresa e il
mercato; in tale veste assolve una funzione vitale di affinamento
delle capacità competitive dell’impresa industriale.
Nelle attuali condizioni di turbolenza ambientale caratteristiche
della situazione odierna, le imprese industriali trovano sempre
più difficile ricorrere al prezzo e al prodotto come strumenti
autonomi di lotta competitiva.
Ciò non solo a causa dell’aumentata incidenza di altri fattori e dei
rischi connessi ad una guerra dei prezzi, ma anche in seguito ai
mutamenti avvenuti nel sistema commerciale che hanno
aumentato il potere della grande distribuzione, favorendo ancor
più il ricorso al prezzo e al prodotto da parte dell’impresa
produttrice.
Dato che l’uso di queste due leve dovrà essere “contrattato” con
una piena distribuzione, il produttore avrà un minore margine di
manovra.
Per questa ragione, la rilevanza del fattore distribuzione risulta ancor più
accentuata, al punto che ormai si può dire che la distribuzione è diventata
una componente della strategia di marketing e non più solo una leva tattica.
Capitolo 2
LA DISTRIBUZIONE NEL MERCATO DEI
GIOCATTOLI
Il canale tradizionale di questo mercato, essendo i giocattoli
comunque dei beni non alimentari e quindi rientranti nel settore
dei beni non grocery, prevede una serie di collegamenti tra parti
diverse: c'è il produttore che interagisce e concentra gli sforzi sul
grossista, il grossista che dirige gli sforzi verso il distributore e a
sua volta il distributore che concentra gli sforzi sul consumatore
finale. In un canale convenzionale come questo, ogni membro
risulta allineato in maniera molto sciolta con gli altri. Il maggiore
orientamento è verso l'organizzazione successiva del canale.
Con il termine giochi si intende un universo quanto mai
complesso e variegato; non è un’impresa facile definire i confini
di un settore tecnologico ad un così alto rischio.
L’assortimento dei prodotti “giocattoli” può essere suddiviso in
tre differenti tipologie: alla prima categoria appartengono i
giocattoli, i giochi di società, la didattica, gli articoli per prima
infanzia; risulta inclusa tutta la gamma tradizionale
commercializzata, seppur in proporzioni differenti sia nei
maxistore che nei negozi specializzati. Nella seconda rientrano i
giochi elettronici, i videogiochi, la microinformatica di tipo
didattico, i giocattoli musicali; nella terza sono compresi gli
articoli di modellismo, più legati ad una fascia adulta di
consumatori.
Risulta evidente da questa ripartizione quanto possano essere
numerosi e diversificati i produttori.
Nel panorama mondiale dell’industria del giocattolo, oggi i più
attrezzati e i più interessanti nel settore della ricerca, sono i
costruttori Nord-Americani; essi si presentano come gli inventori
più qualificati di nuovi tipi di giocattoli, destinati ad essere
rapidamente imitati o introdotti in altri paesi.
I paesi dell'Estremo Oriente, dopo un'iniziale periodo in cui
erano stati all'avanguardia nella costruzione di giocattoli spaziali e
di robot, in questi ultimi anni si sono distinti nella realizzazione di
giocattoli che traggono ispirazione dai cartoni animati, mettendosi
al traino dell'enorme pubblicità che deriva a questi personaggi
televisivi di cui i bambini sono grandi ammiratori.
Gli asiatici sono invece produttori di tutta una serie di
videogiochi, che vengono realizzati su licenza americana; oggi i
principali produttori mondiali di giocattoli sono proprio quelli che
ne consumano di più: gli Stati Uniti, il Giappone, l'Inghilterra,
l'Italia e i paesi dell'Estremo Oriente come Hong Kong, Taiwan e
Singapore.
Per quanto concerne la situazione italiana, se nel 1994 il
fatturato è stato di ben 2.200 miliardi di lire, di cui 1.462 miliardi
rappresentanti il valore delle esportazioni, nel 1996 è salito a
2.700 miliardi con un valore in termini di esportazioni che
raggiunge i 1.800 (oltre il 65% del totale).
Un vanto della industria italiana dei giocattoli sono la sempre
migliore qualità dei prodotti, un costante aggiornamento del
relativo contenuto educativo e pedagogico, il rispetto puntuale
delle norme di sicurezza costantemente superiore ai livelli previsti
dalle norme in vigore. Soprattutto in questi ultimi anni, l’industria
del giocattolo si sta difendendo bene.
Nel campo delle esportazioni i giocattoli nostrani stanno
registrando una crescita massiccia. Dopo gli ottimi risultati del
1993 (+27,6%), 1994 (+27%) e 1995(+26,7%) e la leggera
flessione accusata nel 1996 (-3,2%), l’export italiano si è
prontamente ripreso nei primi mesi del 1997 (+1,6%).
Il commercio estero è un’ottima valvola di sfogo anche quando le
imprese dispongono di linee che implicano aggiustamenti.
I beni che si vogliono allocare sul mercato estero devono
rispondere al requisito della multiversatilità, con personaggi
universali, con grafica esaustiva, poco materiale scritto.
Nel settore dei giochi e del giocattolo tradizionale, i puzzle, le
costruzioni e i giocattoli a motore costituiscono i prodotti che
vanno per la maggiore sul mercato internazionale; i giocattoli
italiani traggono gran parte delle risorse dalle esportazioni:
risultano molto apprezzati nei paesi asiatici e nei paesi del Nord
America (gli Stati Uniti rappresentano il quarto maggior cliente
dopo i paesi dell’Unione Europea a cui è destinato l’80% delle
esportazioni: Germania, Francia, Regno Unito). Anche
l’Argentina si è rivelato un paese compratore assai profittevole:
nei primi nove mesi del 1997 ha incrementato difatti i suoi
acquisti del 999.9% rispetto allo stesso periodo del 1996.
Nel corso degli ultimi tre anni, le vendite all’estero effettuate nel
1° semestre del “sistema giocattolo” italiano, hanno rappresentato
mediamente il 49,1% di quanto viene venduto all’estero nell’arco
dell’intero anno.
Stimando che il primo semestre del 2000 rappresenti la
percentuale media calcolata sulla base del periodo 1996/1999 si
può ritenere che a fine anno il volume delle nostre esportazioni
presenti, rispetto a quelle registrata al 31 dicembre 1999, un
ulteriore calo del 7/ 8%.
Per quanto riguarda invece le dinamiche anno su anno, non
esiste una regola fissa essendo queste dovute ad una
concatenazione di eventi che riguardano situazioni esterne al
nostro paese. Infatti, mentre nel 1992 il primo semestre ha
mostrato un movimento molto debole, lo stesso periodo del
1993, del 1994, del 1995 ha fatto registrare dinamiche molto
elevate, le più consistenti degli ultimi otto anni, e nel caso
specifico del periodo gennaio-giugno 1994 un incremento
superiore (+32.9%) a quello medio dell’intero anno (+27%)
anche se su valori percentuali lievemente inferiori il fenomeno si è
ripetuto anche negli anni successivi.
Infine, note negative emergono negli ultimi due anni che seguono
un rallentamento consistente delle nostre vendite sul mercato
internazionale: -1,7% nel 1° semestre del 1998 e –12,3% nel
gennaio-giugno1999.
Nel periodo gennaio-giugno 1999 il settore dei giocattoli ha
esportato per 756,5 miliardi di lire con una riduzione, rispetto allo
stesso periodo dell’anno passato, del -12,3%.
ESPORTAZIONI IN ITALIA ANNI 1992-1999
ANNI TOTALEANNO 1° SEMESTRE
Miliardi ± % Miliardi ± % Peso %
1992 902 8,70% 381,7 0,40% 42,30%
1993 1.151,30 27,60% 483,6 26,70% 42,00%
1994 1.462,10 27,00% 642,7 32,90% 39,10%
1995 1.852,50 26,70% 833,5 29,70% 45,00%
1996 1.793,20 -3,20% 851,9 2,20% 47,50%
1997 1811,6 1% 877,3 3% 48,40%
1998 1678,1 -7,40% 862,4 -1,70% 51,40%
1999 1550 -7,60% 756,5 -12,30% 49,10%
Specularmente, per le importazioni, sul mercato italiano
(valutabile in oltre 2.300 miliardi di lire, se si tiene conto dei
prezzi di fabbrica, e in oltre 3.700 miliardi , considerando i prezzi
al pubblico), sono i produttori stranieri, e in particolare Cina e
Taiwan, a fare la parte del leone, con un valore complessivo delle
importazioni che supera i 1.400 miliardi. Nel prendere in
considerazione le importazioni, va detto che la frequenza degli
acquisti risulta essere abbastanza regolare.
Nel periodo 1996/1998 la frequenza media degli acquisti nel
primo semestre è stata sui mercati mondiali pari al 42,9%.