Introduzione
contenuto del diritto ex articolo 32 della Costituzione. A tale rallentamento
hanno tentato di trovare una soluzione non solo i dibattiti dottrinali, ma
anche e soprattutto la giurisprudenza costituzionale.
La Corte Costituzionale ha, infatti, avuto un’importanza fondamentale non
solo per quanto riguarda la definizione del contenuto del diritto alla salute,
ma anche nel fornire indicazioni al legislatore circa la necessità di ulteriori
interventi in materia, necessari per rendere effettivo il diritto sancito dalla
nostra Carta.
In merito può essere utile pensare ad una significativa sentenza emessa dalla
Corte Costituzionale nel 1990
2
, che sebbene non abbia ad oggetto il diritto
alla salute, ha rappresentato l’occasione per il Giudice delle leggi di
affermare che la libertà proclamata dall’articolo 13
3
postula la libertà per
ogni individuo di disporre del proprio corpo. Con tale pronuncia si finisce,
pertanto, con il riconoscere un fondamento costituzionale alla libertà di
autodeterminazione in ordine agli atti che coinvolgono il proprio corpo.
Dalle parole usate dalla Corte emerge come il diritto alla salute abbia subito
una sostanziale evoluzione, partendo dalla sua originaria connotazione quale
problema di ordine pubblico, per finire con il configurarsi come un diritto
dell’individuo protetto erga omnes, sia verso i privati sia verso il potere
pubblico.
In sostanza viene riconosciuto all’individuo il diritto di rifiutare le cure cui
non intende sottoporsi e si afferma il principio secondo cui un trattamento
sanitario trova la propria legittimazione solo nell’accettazione consapevole
del paziente.
Tuttavia, accanto all’aspetto individuale e soggettivo del diritto alla salute
viene affermato anche quello collettivo e oggettivo: l’articolo 32 della
Costituzione, definisce, infatti, la salute anche quale “interesse della
collettività”.
determinati trattamenti sanitari purché siano imposti con disposizione di legge e salvo il
rispetto della persona umana.
2
Corte Costituzionale, sentenza n. 471 del 22 ottobre 1990, in Il Foro italiano, 1991, I, c.
14.
3
“La libertà personale è inviolabile”.
II
Introduzione
Pertanto le limitazioni al diritto dell’individuo saranno giustificate
solamente qualora entri in gioco un bene superiore: la salute collettiva.
Ciascuno potrà esercitare liberamente il suo diritto, rifiutando, se lo ritiene
opportuno, anche cure essenziali, laddove però questa scelta non abbia
conseguenze sull’eguale diritto altrui.
Dopo aver analizzato l’evoluzione della tutela del diritto alla salute nel
nostro ordinamento, sono stati presi in esame alcuni temi che rispetto ad
essa presentano diversi aspetti problematici, rappresentati dai trattamenti
sanitari obbligatori e dai trattamenti sanitari salvavita.
I primi riconoscono al legislatore la possibilità di imporre trattamenti
sanitari, anche contro la volontà del soggetto che vi è sottoposto, al fine di
tutelare la salute collettiva. A tal proposito gli esempi più significativi sono
offerti dall’obbligo di vaccinazione finalizzato a scongiurare il diffondersi di
un’epidemia e dalla disciplina prevista per i malati di mente, rispetto ai quali
il trattamento sanitario obbligatorio dovrebbe perseguire lo scopo di
reinserimento sociale.
Per quanto riguarda i trattamenti sanitari salvavita, l’attenzione verrà
dedicata all’analisi del rifiuto delle cure, in specie quando tale rinuncia
comporti la cessazione della vita.
L’orientamento prevalente tende a riconoscere tale diritto appellandosi, per
giustificare la propria posizione, in particolare al disposto contenuto
nell’articolo 32 dal quale si fa derivare il divieto per il medico di imporre
qualsiasi trattamento laddove a ciò osti il dissenso del paziente.
Trattando l’argomento ne sono emersi gli aspetti più critici tra i quali è
opportuno ricordare il rifiuto delle emostrasfusioni opposto dai Testimoni di
Geova, la vincolatività o validità di una volontà espressa mediante
testamento biologico e destinata a ricevere attuazione in un momento in cui
il suo autore non è più cosciente e capace, ed infine il tema dell’eutanasia.
Con tale ultimo termine ci si riferisce al caso in cui viene provocata o
anticipata la morte di una persona al fine di liberarla da insopportabili
tormenti.
In Italia, come del resto in molti altri Paesi, si denuncia ancora la mancanza
di una normativa adeguata all’attuale sviluppo della tecnologia medica, e la
III
Introduzione
pratica eutanasica continua ad essere punita come omicidio del consenziente
o aiuto e istigazione al suicidio.
In tal senso è doveroso precisare che anche la giurisprudenza riconosce la
necessità di un intervento diretto a colmare il vuoto legislativo.
Il problema di fondo che deve affrontare il legislatore è fino a che punto
rimettere alla volontà dei soggetti direttamente interessati le decisioni circa
il modo di vivere, curarsi e morire.
Nell’enorme difficoltà di poter trovare una soluzione a tali questioni, nelle
pagine che seguono si cercherà di definire, in primo luogo, il concetto di
diritto alla salute, attraverso una rassegna sintetica dell’evoluzione
legislativa che ha interessato i vari aspetti di tale materia.
Alla luce di ciò si cercherà, quindi, di fornire una definizione di trattamento
sanitario obbligatorio, esaminando dapprima le garanzie costituzionali e
quindi soffermandosi sulla disciplina generale dei trattamenti obbligatori
così come fissata dalla legge 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario
nazionale.
Si prenderanno quindi in esame le norme procedurali per l’imposizione dei
T.S.O. nei confronti dei malati di mente, rappresentate dagli articoli 34 e 35
della legge, per passare poi all’analisi della disciplina prevista per le
vaccinazioni obbligatorie e i trattamenti sanitari esercitati nei confronti delle
persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti e psicotrope.
Su questa linea si svilupperà, inoltre, l’analisi dell’intervento che la Corte
Costituzionale ha effettuato in materia, con il quale è giunta a stabilire,
quale condizione ulteriore di legittimità della normativa de quo, il diritto ad
un equo indennizzo per coloro che, a seguito di un trattamento sanitario
obbligatorio, abbiano riportato danni irreversibili alla salute, in virtù di un
principio di solidarietà che lega il singolo alla collettività.
L’attenzione si concentrerà da ultimo su alcuni aspetti critici dei trattamenti
sanitari salvavita, fatti emergere sia dalla giurisprudenza sia dalla dottrina,
con particolare riferimento alla posizione da assumere verso le richieste
avanzate dal paziente, specialmente se esse portino all’evento morte.
IV
Capitolo I
IL DIRITTO ALLA SALUTE
1. Premessa
I trattamenti sanitari salvavita e obbligatori costituiscono uno dei settori di
più difficile regolamentazione, poiché incidono direttamente nella vita di un
individuo o più precisamente nella sfera inerente alla sua intimità.
Questa loro caratteristica evidenzia la delicatezza e la complessità di tale
tematica, in quanto, innanzi tutto, coinvolgono interessi e valori differenti
ma egualmente importanti quali la libertà personale, la libertà religiosa, la
responsabilità medica, ed inoltre, fa sì che si vengano a creare interrogativi
pressanti quanto alle ipotesi, ai modi, alle finalità che rendono accettabile
superare il diniego del singolo all’imposizione dell’intervento.
La materia dei trattamenti sanitari rientra sicuramente in quella più ampia
del diritto alla salute, e proprio per questa loro sistemazione, i principali
problemi teorici e pratici ad essa connessi devono essere affrontati, in
primis, alla luce delle norme costituzionali e in specie del secondo comma
dell’articolo 32 della Costituzione, che dispone: “Nessuno può essere
obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana”. Tale principio va tra l’altro inquadrato con la
legislazione successiva che ha dato attuazione al disposto costituzionale.
L’analisi dell’articolo 32 comporta la necessità di indagare due aspetti
particolarmente importanti: quando la legge possa imporre trattamenti
sanitari, nonché il ruolo che in tale settore è riconosciuto al consenso
informato.
Relativamente alla prima questione, la dottrina maggioritaria, richiede la
contemporanea presenza di alcuni requisiti che s’identificano con la
finalizzazione del trattamento alla salute del singolo oltre che a quella della
1
Il diritto alla salute
collettività
4
e con la sua attuazione e ispirazione al rispetto della persona
umana.
Per quanto attiene al consenso, esso si concretizza nel riconoscimento, in
capo ad un individuo, del diritto di partecipare alle decisioni relative alla
scelta di sottoporsi o meno ad un determinato trattamento sanitario, diritto
che deve essere tenuto in considerazione anche nei casi eccezionali di
intervento medico salvavita.
Tale conclusione rileva la legittimità del rifiuto di trattamenti necessari
quali, ad esempio, le emotrasfusioni
5
.
Il dissenso, però, per poter sollevare il medico dal proprio dovere
d’intervento, deve scaturire da una manifestazione di volontà attuale,
espressa dal paziente cosciente e capace.
L’affermazione del diritto dell’uomo a decidere per se stesso, quindi del
diritto del paziente ad autodeterminarsi in ogni fase della malattia, evidenzia
la centralità della persona nella decisione medica: tale centralità è
evidentemente quella dell’individuo sofferente.
Da ciò si desume l’esistenza di un diritto a non essere curato salvo la
sussistenza di presupposti idonei a giustificare il ricorso all’esecuzione di un
trattamento sanitario obbligatorio.
Quello che fin da subito si deve precisare è che il significato di salute e
ancor meglio di diritto alla salute non è sempre stato quello di diritto
primario e assoluto dell’individuo, in quanto, prima dell’adozione della
Costituzione repubblicana
6
, la salute era semplicemente considerata alla
stregua di un problema di ordine pubblico, ovvero come necessità di lotta
alle malattie ed ai fenomeni morbosi, pericolosi per l’incolumità pubblica.
4
Caravita Beniamino, La disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1984,
pag. 21.
5
Ruffolo Ugo, La responsabilità medica, Milano, 2004.
6
Il riconoscimento del diritto alla salute quale fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività è un principio che non trova riscontro formale nello Statuto
Albertino, il quale, come del resto quasi tutte le altre Costituzioni della seconda metà del
secolo scorso, si limitavano a tutelare il diritto alla vita e alla libertà personale.
2
Il diritto alla salute
Allo stesso modo si è evoluto il concetto di tutela della salute che non
s’identifica più con la mera conservazione dell’integrità psicofisica, ma
finisce con l’includere anche la promozione e lo sviluppo della stessa.
I problemi che bisogna affrontare nel parlare di tali argomenti, sottolineano
che viviamo in un periodo contraddistinto da un pluralismo di principi e di
ideali di buona vita.
Il collegamento fra trattamenti sanitari obbligatori e salvavita ed il diritto
alla salute, oltre ad emergere dalla disciplina dettata in ambito
costituzionale, si evidenzia proprio nella molteplicità di visioni morali, di
valori ed interessi che nell’esecuzione di tali trattamenti entrano in gioco, e
che per le differenze che li caratterizzano sono suscettibili di creare
situazioni di conflitto, risentendo così della necessità di interventi per
trovare un punto d’equilibrio.
Un ragionamento sul diritto alla salute comporta quindi un bilanciamento tra
queste posizioni non sempre omogenee che ci coinvolgono sia come
cittadini sia come singoli soggetti con proprie convinzioni personali, etiche
e religiose, valutazione che quindi va ad incidere nella nostra dimensione
più interiore.
Visto che diritti come quello del rifiuto di sottoporsi a determinati
trattamenti sanitari o come il diritto di (lasciarsi) morire, oltre all’obbligo di
sottostare ad alcune cure, possono essere ricondotti al valore “salute”, sarà
proprio da quest’ultima che il nostro discorso partirà, per svilupparsi poi
successivamente.
Prima, quindi, di passare all’analisi della disciplina dei trattamenti sanitari
coattivi e necessari, appare utile premettere un breve excursus storico
sull’evoluzione della legislazione sanitaria e del concetto di salute.
3
Il diritto alla salute
2. L’evoluzione della legislazione in materia sanitaria
La necessità di rafforzare, proteggere e migliorare la tutela della salute è
stata avvertita con differente intensità a seconda del contesto storico-
giuridico di riferimento.
L’analisi dell’evoluzione legislativa che ha interessato la materia assume
pertanto un’importanza determinante per poter svolgere una riflessione sui
profili costituzionali del diritto alla salute.
E’ stato infatti rilevato come, specialmente in tale settore, la disciplina
costituzionale sia rimasta indietro rispetto al rapido sopravanzare della
normativa amministrativa.
D’altra parte lo studio di questa legislazione assume importanza anche al
fine di comprendere i mutamenti che hanno interessato la funzione svolta
dall’amministrazione pubblica in materia sanitaria. In tal senso è possibile
evidenziare una transizione da un ordinamento caratterizzato
prevalentemente da finalità protettivo/repressive e da un’assistenza
sanitaria, che seppur di carattere episodico era diretta a soddisfare un
interesse pubblico, a un ordinamento in cui i pubblici poteri assumono come
ruolo primario il compito di tutelare la salute intesa quale elemento
fondamentale per consentire il pieno sviluppo della persona umana.
Affinché la trattazione venga eseguita nel modo più completo ed esaustivo,
l’analisi si svilupperà attraverso l’individuazione di quelle che risultano
essere le tappe fondamentali della legislazione in materia.
Nel periodo successivo all’unificazione del Regno d’Italia, l’intervento
pubblico nel settore della sanità era diretto a preservare l’igiene pubblica.
Le prime norme organiche in materia di sanità, emanate con la legge 20
marzo 1865 n. 2248, infatti, identificavano la tutela della salute quale
materia di ordine pubblico, affidando al potere pubblico medesimo
l’esercizio delle attività amministrative di “vigilanza igienica, assistenza
sanitaria e gestione dei servizi in materia di igiene e sanità”.
L’intervento pubblico aveva quali unici destinatari gli indigenti, che, però
non potevano vantare alcun diritto all’azione dei pubblici poteri.
4
Il diritto alla salute
L’azione statale si limitava, infatti, a svolgere un’attività d’integrazione di
quanto era già eseguito dalle Opere pie e da altre istituzioni della società
civile – soggetti terzi rispetto allo Stato – che avevano già avvertito il
problema della salute e dei diritti sociali
7
. Furono soprattutto gli ordini
religiosi ad occuparsi di sanità e salute; attraverso l’assistenza e la
beneficenza, prendendosi cura dei soggetti più svantaggiati senza, però,
essere sottoposti ad alcun vincolo giuridico alla loro opera.
In relazione all’attività svolta da tali enti, l’intervento dello Stato si
verificava solitamente per l’esecuzione di fondamentali compiti di
regolazione o per porre rimedio a situazioni eccezionali che interessavano
l’intera collettività, come nell’ipotesi delle epidemie, manifestandosi in
prevalenza nella forma indiretta del controllo pubblico, al fine prevalente di
sottrarre le Opere pie dall’ingerenza degli organi governativi. Tale controllo
subì una decisiva accentuazione con la legge 17 agosto 1890 n. 6972,
meglio conosciuta come legge Crispi
8
.
Tale normativa, per certi aspetti cogente, ha reso assolutamente penetrante il
controllo statale, indirizzandolo, in prevalenza, agli atti di gestione del
patrimonio degli enti, allo scopo di preservarne da abusi la gestione
finanziaria, senza però arrivare ad un riconoscimento, in capo ai cittadini, di
posizioni giuridiche riconducibili ad una prima forma di diritto alla salute.
Tuttavia, lo Stato, continuava a non assumersi l’onere finanziario delle
relative attività, poiché, alla base del suo intervento, non vi era ancora un
interesse diretto allo svolgimento delle attività sanitaria e assistenziale, ma
una semplice esigenza di tutela dell’ordine pubblico.
Espressivo di come la salute continuasse ad essere identificata con un
problema di sicurezza pubblica emergeva, prima di tutto, dalla devoluzione
delle relative competenze, a livello centrale, al Ministero dell’Interno
9
, e
sotto le sue dipendenze, a livello periferico, ai Prefetti, ai sotto-Prefetti e ai
Sindaci.
7
Cocconi Monica, Il diritto alla tutela della salute, Padova, 1998.
8
Gallo Carlo Emanuele – Pezzini Barbara, Profili attuali del diritto alla salute, Milano,
1998.
9
Il Ministero della Sanità sarà istituito con la legge 13 marzo 1958 n. 296.
5
Il diritto alla salute
Durante il fascismo, nonostante si sia registrata un’importante estensione
organizzativa attraverso un aumento degli enti cui venivano affidate
funzioni di carattere sanitario-assistenziale, l’intervento pubblico non
conobbe grandi variazioni: il Testo Unico del 1934, consistente in una
raccolta di disposizioni che aveva come obiettivo l’inserimento e
l’armonizzazione, in un documento, di tutte le norme promulgate riguardanti
la sanità, affidava ancora la tutela della salute al Ministero dell’Interno e
riservava ai soli indigenti l’assistenza sanitaria pubblica. L’interesse
perseguito attraverso tali attività continuava ad essere un interesse pubblico.
Il ruolo dell’intervento pubblico in materia sanitaria fu completamente
ridefinito dalla Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. E’
sufficiente leggere il dettato costituzionale per accorgersi della novità
rispetto alla legislazione post-unitaria e fascista. Se la legislazione
previgente si limitava ad affidare al potere pubblico il perseguimento di un
interesse pubblico, il primo comma dell’articolo 32 della Costituzione,
invece, non solo identifica il compito dei poteri pubblici nel settore della
“tutela della salute”, intesa in modo più ampio e globale, ma statuisce anche
che l’intervento pubblico è diretto a soddisfare un fondamentale diritto
dell’individuo.
L’attenzione si sposta quindi sulla persona umana.
Tale articolo ha creato una vera e propria frattura rispetto agli indirizzi fino
ad allora prevalsi e, rispetto alla situazione preesistente, quattro furono gli
elementi di novità che in esso si poterono evidenziare: l’attribuzione alla
Repubblica del potere di tutelare la salute, la sua qualificazione quale diritto
fondamentale, nonché la sua duplice rilevanza individuale e collettiva.
Bisogna immediatamente notare che il disposto del primo comma
dell’articolo 32 della Costituzione non ricevette immediata attuazione
10
.
Nemmeno l’istituzione del Ministero della Sanità risultò di per sé sufficiente
10
La consapevolezza dell’effettiva portata dell’articolo 32, e quindi della complessità della
fattispecie indicata come diritto alla salute, ha stentato ad affermarsi negli anni
immediatamente successivi all’entrata in vigore della Carta repubblicana e può sostenersi
che abbia raggiunto completa maturazione solo tardivamente, parallelamente all’adozione
delle grandi linee di riforma in materia sanitaria (la legge n. 132/1968, c.d. legge
ospedaliera, e la legge n. 833/1978 istitutiva del servizio sanitario nazionale).
6
Il diritto alla salute
a realizzare l’unificazione dei compiti affidati ai pubblici poteri in materia di
sanità, tanto auspicata dall’Assemblea Costituente.
Il Ministero della Sanità, creato per cercare di riconoscere alla materia della
salute pubblica una connotazione specifica ed autonoma, discostandosi, per
tanto, dalla visione fino ad allora imperante, secondo la quale si trattava di
questione di ordine pubblico, finì con l’assorbire le competenze dell’Alto
commissariato per l’igiene e la sanità, costituito nel 1945, e di tutte le altre
amministrazioni fino ad allora operanti in tale settore; ad esso, in sostanza,
fu attribuito il compito generale di provvedere a tutto quanto riguardasse la
tutela della salute pubblica
11
.
Rimanevano così esclusi dalla sua direzione gli enti mutualistici e
previdenziali, essendo il suo interesse rivolto esclusivamente alla gestione
dei servizi sanitari atti a prevenire malattie infettive o comunque a garantire
l’igiene.
Un primo tentativo di adeguamento alla disciplina dettata in Costituzione si
è registrato ben più tardi rispetto alla sua entrata in vigore, sviluppandosi in
una duplice direzione: da un lato attraverso le esperienze di
programmazione economica degli anni ’60 e dall’altro con la realizzazione
dell’ordinamento regionale.
La necessità di adottare una politica di programmazione globale si
giustificava con l’esigenza di superare gli squilibri attraverso un
rafforzamento dell’intervento pubblico in alcuni settori che altrimenti
potevano essere esclusi dalle scelte di mercato, bisogno che fu ribadito nel
1962 da Ugo La Malfa
12
nella sua nota aggiuntiva alla “Relazione generale
sulla situazione economica del Paese”, nella quale chiaramente enunciava la
necessità di garantire validità ed efficacia, nei confronti di tutti i cittadini,
dell’assistenza sanitaria, indipendentemente dalle loro condizioni
finanziarie.
11
Sangiuliano Rosanna, Diritto sanitario e servizio sanitario nazionale, Napoli, 2001, e
Corso Guido, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1981, pag. 755.
12
La Malfa Ugo, (Palermo 1903 – Roma 1979) uomo politico; tra i fondatori del Partito
d’Azione, aderì poi al PRI di cui fu segretario e quindi presidente. Ministro dei trasporti,
del commercio estero, del bilancio, del tesoro e vicepresidente del Consiglio.
7
Il diritto alla salute
Con la legge 27 luglio 1967 n. 685, venne approvato il programma
economico nazionale per il quinquennio 1966-1970 che si poneva come
obiettivo, nel settore sanitario, assistenziale, previdenziale e di assistenza
sociale quello di realizzare un sistema di sicurezza sociale da attuare con
profonde riforme, quali: il riconoscimento al Ministero della Sanità di un
ruolo di direzione e di coordinamento della politica sanitaria nazionale,
l’estensione, a tutti i cittadini, delle prestazioni sanitarie preventive, curative
e riabilitative e, infine, la fusione degli istituti mutualistici e degli enti
operanti in tale settore.
In questo clima, si giunse, all’emanazione della legge 132/1968
13
.
Con tale normativa, lo Stato cercò di porre ordine in una materia assai
importante quanto poco regolamentata: l’assistenza ospedaliera pubblica,
dettando alcuni principi fondamentali, tra i quali quello maggiormente
qualificante detta legge, è rappresentato dal riconoscimento di una
configurazione giuridica uniforme a tutte quelle istituzioni che avevano
svolto, fino ad allora, attività di assistenza ospedaliera. Si vennero così a
creare gli enti ospedalieri, quali enti pubblici preordinati al ricovero e alla
cura degli infermi
14
.
L’intervento pubblico finiva così con l’assumere un significato che andava
oltre la semplice regolamentazione del settore “sanità” e investiva sempre
più l’assunzione e la promozione dell’attività intesa come servizio.
Alla realizzazione di questo scopo contribuì, accanto all’esperienza della
programmazione, l’azione delle Regioni che cercarono di realizzare gli
obiettivi prefigurati dalla Costituzione. Dal 1972 al 1974, infatti, le Regioni
cercarono di riorganizzare le funzioni amministrative in materia di sanità
ora incentivando ora imponendo l’aggregazione delle stesse.
L’accorpamento che ne conseguì determinò un mutamento circa la
concezione di intervento pubblico passando da un suo ruolo episodico
destinato a fronteggiare soltanto emergenze individuali ad uno che gli
riconosceva valenza sociale come servizio rivolto alla collettività.
13
Legge 12 febbraio 1968 n. 132: “Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera”.
14
Vanzetta Marina – Vallicella Franco, L’operatore socio-sanitario, Milano, 2005.
8
Il diritto alla salute
L’obiettivo che si perseguiva era il superamento della frammentazione delle
competenze esercitate in materia dai diversi enti, nonché la realizzazione
dell’unificazione dei pubblici poteri, nella prospettiva della loro
delineazione come servizi. Vennero pertanto attribuite direttamente alle
Regioni le funzioni di assistenza prima ospedaliera
15
e poi sanitaria
16
.
Questo quadro assunse confini sempre più netti sino ad arrivare
all’emanazione, il 23 dicembre 1978, della legge 833 che rappresentò uno
dei momenti più significativi del processo di attuazione dell’ordinamento
costituzionale italiano.
La norma è venuta a riempire un vuoto normativo per numerosi aspetti
incolmabile presente nel nostro ordinamento, lacuna consistente nella
mancanza di una disciplina articolata in ordine a specifici rapporti sociali
operanti in una materia che trovava nella Costituzione una sua
regolamentazione. Caso, questo, in cui l’inerzia del legislatore ha visto,
finalmente, una realizzazione positiva del disposto normativo costituzionale:
infatti, l’articolo 1 della legge 833, disponendo che “la Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività
mediante il servizio sanitario nazionale e che la tutela della salute fisica e
psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della
persona umana” si limita a riprodurre quasi letteralmente il testo
dell’articolo 32 della Costituzione.
Questa sostanziale riforma, ispirata ad un massimo garantismo, ha segnato il
superamento definitivo del pregresso sistema mutualistico-ospedaliero,
riconoscendo a tutti i cittadini italiani in quanto tali il diritto ad ottenere la
tutela della loro salute attraverso le prestazioni erogate dal servizio sanitario
nazionale.
Il servizio sanitario è stato identificato con “il complesso delle funzioni,
delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al
mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la
popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo
15
Legge 386/1974.
16
Legge 349/1977; DPR 616/1977.
9
Il diritto alla salute
modalità idonee ad assicurare l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del
servizio” (art. 1, 3° comma).
L’obiettivo della legge 833/1978 era, infatti, tutelare la salute nella sua
globalità, ovvero sotto i diversi aspetti della diagnosi e cura degli eventi
morbosi della prevenzione e della riabilitazione. L’onnicomprensività della
sfera d’azione del servizio sanitario nazionale emergeva dalla previsione
della sua operatività in tutti quei settori nei quali si riteneva necessario un
intervento pubblico a fini di tutela della salute: il servizio venne esteso, tra
l’altro, “alla formazione di una moderna coscienza sanitaria…alla
prevenzione di malattie e infortuni in ogni ambito di vita e lavoro…alla
tutela della salute degli anziani, alla salvaguardia della salubrità e
dell’igiene dell’ambiente…dell’igiene degli alimenti, delle bevande…alla
formazione professionale e permanente” (art. 2).
I principi su cui si basava il provvedimento, oltre a rendere effettivo
l’enunciato di cui all’art. 32, s’ispiravano anche alla forma di Stato sociale
delineato dalla Costituzione, in particolare agli articoli 2
17
e 3
18
i quali
sanciscono rispettivamente il primato della persona umana e la pari dignità
sociale dei cittadini oltre alla loro uguaglianza davanti alla legge.
L’azione del servizio sanitario nazionale di tutela della salute s’informava,
infatti, al rispetto della dignità e della libertà dell’individuo, ed espressione,
seppur debole, di tale postulato si poteva individuare nel diritto del malato
alla libera scelta del medico e del luogo di cura (art. 12).
Il sistema di tutela era, inoltre, improntato al principio dell’universalità della
protezione, cui era strettamente correlato il principio dell’uguaglianza di
tutti i cittadini nei confronti del servizio. Tutti i cittadini
indifferenziatamente, gli stranieri residenti in Italia e, a determinate
17
Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
18
Art. 3 Cost.: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”.
10
Il diritto alla salute
condizioni, anche gli stranieri occasionalmente presenti nel territorio
italiano, potevano beneficiare, dunque, della tutela del servizio sanitario
nazionale.
L’attuazione di tale servizio competeva allo Stato, alle Regioni e agli enti
pubblici territoriali, i quali dovevano altresì cercare di garantire la
partecipazione dei cittadini: la partecipazione democratica alla realizzazione
e alla gestione del servizio era dunque un ulteriore obiettivo della riforma.
Accessorio rispetto ai principi ispiratori indicati di cui agli articoli 1 e 2, si
presentava il principio della territorialità delle prestazioni (art. 10) che si
identificava con la forma organizzativa attraverso cui era possibile
realizzare la globalità delle prestazioni, coordinando, cioè, e collegando sul
territorio tutti i servizi sanitari di prevenzione, cura e riabilitazione, attribuiti
insieme alle altre funzioni di igiene e sanità pubblica (non espressamente
riservate allo Stato o alle Regioni) al Comune, che doveva esercitarli per
mezzo dell’Unità sanitaria locale (art. 13).
Le U.S.L. furono definite dalla legge (art. 15) “strutture operative dei
Comuni, singoli o associati, e delle Comunità montane”.
Il Ministero della Sanità conservava funzioni generali d’indirizzo e controllo
delle materie delegate alle Regioni e svolgeva altresì un ruolo di
coordinamento.
Il servizio sanitario cercava anche di garantire, in linea generale, la gratuità
delle tutele: le prestazioni venivano, infatti, erogate anche a quanti non
avessero versato alcun contributo, ma tale regola non rappresentò mai un
principio assoluto.
In realtà, la riforma del 1978 non risultò di facile gestione, soprattutto
perché, la nascita di una nuova situazione giuridica soggettiva, determinò
un’illimitata aspettativa di prestazioni nei confronti degli apparati di servizio
operanti nel campo della sanità, che influì pesantemente, in specie, sul
profilo economico-finanziario, determinando così, l’insuccesso della
riforma stessa.
La situazione che si venne a creare evidenziò la fragilità e l’inadeguatezza
del servizio sanitario rendendo palese la necessità di una nuova
modificazione della materia.
11