La famiglia nel Diritto Comunitario pag 4
Capitolo I
Diritto di famiglia “internazionale”
1.1.Premessa
La definizione di “famiglia” può essere data in più modi, essa muta in base alle
differenze culturali ed ai particolari livelli del discorso.
All’interno di uno stesso contesto sociale o nazionale possono coesistere infatti una
definizione legale, una amministrativa, una fiscale, una religiosa. Le Nazioni Unite, ad
esempio, con la Raccomandazione del 1987 hanno offerto ai fini censuari la seguente:
“la famiglia dovrebbe essere intesa nel senso stretto di un nucleo familiare, cioè le
persone di un aggregato domestico che sono tra loro legate come marito e moglie o
genitore e figlio. L’espressione coppia sposata dovrebbe includere ove possibile coppie
che dichiarano di vivere in unione consensuale e, dove possibile, si dovrebbero dare
dati distinti sulle coppie legalmente sposate e quelle consensuali.”
Per quanto tale definizione sia stata adottata dall’Eurostat, non tutti gli stati membri
l’hanno condivisa, ciò dimostra come pur in uno spazio relativamente limitato dal punto
di vista geografico e storico, già emergano delle differenze culturali.
Mi accingo, per il momento, ad esaminare la definizione da un punto di vista
prettamente antropologico. Ritengo infatti, che l’antropologia ben possa aiutare il
giurista nel comprendere sia la vera essenza del rapporto familiare, sia come esso si
articoli nelle differenti culture. L’antropologia è lo studio dell’uomo ed in quanto
soggetto relazionale: preme esaminare qual è l’azione sociale con cui manifesta la
propria presenza nel mondo. Esigenza dell’uomo è quella di essere riconosciuto come
destinatario privilegiato di sentimenti altrui e di essere considerato sia come soggetto
individuale che collettivo. Tutelando la familiarità, si tutela la stessa struttura
istituzionale primaria di identificazione dell’io. La struttura familiare permette all’uomo
di trovare sé stesso nella duplice dimensione di soggetto che dà e soggetto che riceve.
Due sono state le argomentazioni addotte per consacrare l’“universalità”della famiglia:
una di tipo funzionalistico, l’altra di tipo strutturale. Quest’ultima si riferisce al tipo di
vincolo che unisce i membri della convivenza: che siano questi vincoli di affinità, di
consanguineità, matrimonio o discendenza.
5
Malinowski fu, invece, il padre
dell’impostazione “funzionalistica”: già nel 1913, metteva in relazione l’universalità
della famiglia con il bisogno universale di cura dei figli. Se pur le varie culture
organizzino diversamente le “funzioni”, si parla di fenomeno universale, poiché in tutte,
la famiglia ne garantisce sia il fondamento di ogni ordine sociale che la successione.
L’antropologo Lèvi Strauss discendeva la varietà di esperienze familiari dalla diversa
modalità di strutturare il “problema sociale della procreazione”.
Sosteneva che: “la saggezza sta senza dubbio nel fare riferimento alla logica interna di
ciascuna società e del suo sistema di valori, per creare le strutture familiari che si
riveleranno praticabili ed eliminare invece quelle capaci di creare contraddizioni
insolubili.” Si è spesso parlato di “morte della famiglia”
6
, quando in realtà ogni critica
mossa non ne ha mostrato né la crisi, né la fine, bensì una transizione. E’a conferma di
ciò che ricordo le parole del sociologo Emile Durkheim: “non esiste un modo di essere e
vivere che sia il migliore per tutti (..) La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta
di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse.”
5
Saraceno- Naldini, Sociologia della famiglia, Edizioni il Mulino, 2000, p. 24 ,ss.
6
Green, The war over the family .capturing the Middle Ground , Garden city-New York, 1983, p.37.
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In questi ultimi anni molte sono state le trasformazioni socio-economiche e culturali
intervenute nel condizionare la “famiglia tradizionale” fra cui : l’ingresso delle donne
nel mondo del lavoro, l’industrializzazione, il declino dei valori religiosi, l’esaltazione
dell’autonomia individuale, la realizzazione personale in sfere differenti da quella
matrimoniale. D’Agostino
7
pone la famiglia in una realtà dicotomica, caratterizzata da
due diversi modelli contrapposti tra loro: il modello che dà il primato alla famiglia sui
singoli componenti e quello che invece lo dà ai componenti. Sono entrambi inadeguati,
in quanto intrinsecamente parziali: il vincolo giuridico del matrimonio dà garanzia di
impegno e durata ma rischia di degradare nel più vuoto formalismo ove questo non sia
accompagnato ad altri valori. Punto focale della discussione è il rapporto esistente tra
famiglia e società. La famiglia è fenomeno primordiale e con essa, sotto la forma di una
ampia parentela, va a nascere la società; Lèvi Strauss afferma che non esiste famiglia
senza “una pluralità di famiglie”sottolineando come la società debba essere disposta a
riconoscere l’esistenza di legami ulteriori a quelli consanguinei.
Si denota una discrasia tra realtà giuridica e realtà sociale, che conduce ad una
ghettizzazione ideologica dei valori sentiti come propri della famiglia, etichettati poi
come conservatori. La famiglia va a svolgere le proprie funzioni in un modo
frequentemente diverso da quanto la società ritenga ottimale. Tale discrasia è
conseguenza del fatto che la cultura è praticamente sempre in movimento ed inevitabile
è il prodursi di un apprezzabile scarto tra il modo in cui concepisce se stessa ed il modo
in cui vorrebbe essere concepita.
1.2. Le fonti del diritto di famiglia
La tutela offerta dal nostro ordinamento al diritto di famiglia appare ampia e complessa,
articolata come è in principi generali, norme di diritto internazionale e codici.
Per quanto attiene ai principi mi riferisco a quelli enucleabili dalla:
ξ Costituzione della Repubblica italiana;
ξ Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948);
ξ Dichiarazione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali (1950);
ξ Dichiarazione ONU 29 novembre 1985 (regole minime per l’amministrazione
della giustizia minorile);
ξ Convenzione ONU 29 novembre 1989. Diritti del fanciullo (ratificata e resa
esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176);
La disciplina offerta dai codici è invece data dal:
ξ Codice Civile libro I delle persone e della famiglia;
ξ R.D. 30 marzo 1942, n. 318,disposizioni per l’attuazione del codice civile e
disposizioni transitorie;
ξ Codice di procedura civile;
ξ Codice penale;
ξ Legge 24 novembre 1981, n.689. Modifiche al sistema penale;
ξ Codice di procedura penale;
ξ Giudice di pace:
1. L. 21 novembre 1991, n. 374. Istituzione del giudice di pace;
2. L. 24 novembre 1999, n. 468;
3. D.L.G. 28 agosto 2000, n. 274. Disposizioni sulla competenza penale
7
D’Agostino, Una filosofia della famiglia, . Giuffrè editore, 1999, p. 43.
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del giudice di pace;
4. D.M. 26 marzo 2001 n. 165. Norme per la determinazione delle modalità
di svolgimento del lavoro di pubblica utilità;
5. D.M. 6 aprile 2001, n. 204. Regolamento di esecuzione;
Infine, per quanto riguarda le norme di diritto internazionale ricordo la:
ξ Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del diritto internazionale privato
Italiano;
ξ Dichiarazione ONU 3 dicembre 1986. Principi sociali e giuridici relativi alla
protezione ed al benessere dei minori con riferimento particolare all’affidamento
familiare e all’adozione nazionale ed internazionale.
ξ Legge 15 gennaio 1994, n. 64. Ratifica ed esecuzione della Convenzione
europea:
1. in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento
dell’affidamento (Lussemburgo 1980);
2. sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori
( L’Aja 1980);
3. in materia di protezione dei minori ( L’Aja 1961);
4. in materia di rimpatrio dei minori ( L’Aja 1970);
ξ Convenziona europea 25 gennaio 1996. Esercizio dei diritti del fanciulli.
ξ Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (14 ottobre 2000).
1.3. Diritto privato internazionale
Il nuovo diritto internazionale privato ha preso l’avvio proprio dal diritto di famiglia.
La Corte Costituzionale ha segnato un punto di rottura con il vecchio sistema allorché
nel 1987 abrogò le disposizioni delle preleggi lasciando così scoperte la disciplina dei
rapporti personali tra coniugi e la disciplina dei rapporti tra genitori e figli.
Nel primo caso, venuta ormai meno la preminenza della legge del marito, si fa
riferimento alla legge nazionale comune e altrimenti a quella dello Stato nel quale è
prevalentemente svolta la vita matrimoniale (art. 30 -31). Stessa soluzione è prevista poi
nell’ipotesi della separazione e della scioglimento del matrimonio (art. 31).
Per quanto riguarda la filiazione, vige il criterio del favor per il minore, così la legge da
applicare sarà quella del figlio al momento della nascita. E’ sempre in ossequio a tale
favor che sono impostate le seguenti disposizioni. L’art. 33 al secondo comma considera
legittimo il figlio ritenuto tale dalla legge dello stato di cui uno dei genitori è cittadino al
momento della nascita del figlio. Così anche l’art. 35, per cui il riconoscimento del
figlio naturale è disciplinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o
dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento, se questa è più favorevole.
L’art. 36 disciplina l’ambito dei rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli
applicando la legge nazionale del figlio. Rammento infine l’art. 37 che prevede la
giurisdizione italiana anche quando uno dei genitori o il figlio sia cittadino italiano o
risieda in Italia.
8
8
Ballarino, Il nuovo diritto internazionale privato della famiglia, Famiglia e diritto, N. 5/1995, p. 487
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1.4. La molteplicità dei modelli familiari
Dal secondo dopoguerra il numero delle famiglie è divenuto superiore all’aumento della
popolazione. Nello stesso tempo, si è registrata una riduzione delle famiglie medesime
così come una diversa distribuzione percentuale dei vari tipi di struttura familiare:
nucleare, de facto, con un solo genitore.
Le famiglie coniugali nucleari, sono in progressiva diminuzione e ad emergere sono
altre tipologie di famiglie. Tuttavia, esse rappresentano ancora quel fenomeno
“universale” definito da Lèvi-Strauss
9
come:“l’unione più o meno durevole, socialmente
approvata, di un uomo ed una donna e i loro figli, fenomeno universale, presente in
ogni e qualunque tipo di società. Definire la famiglia nucleare come universale significa
dire che costituisce una significativa modalità empirica, a prescindere che sia poi il
modello preminente. G.P. Murdock
10
dopo aver comparato 250 società differenti in ogni
epoca storica, sostenne che nessuna società aveva sinora sviluppato un modello
istituzionalizzato da porsi come alternativa alla famiglia nucleare. Le famiglia de facto
non è legittimata dal matrimonio, ma dalla scelta di vivere insieme. Adottando la
definizione del sociologo Marzio Barbagli, la famiglia di fatto indica “la situazione di
due persone (di solito ma non necessariamente di sesso diverso) che vivono insieme
sotto uno stesso tetto come sposi, senza essere uniti dal matrimonio”. Come fenomeno
quello della convivenza non è nuovo, prima degli anni ‘60 esso aveva una diffusione
limitata e una minore visibilità sociale: giudicato deviante, tale comportamento non era
socialmente accettato. Nato nei Paesi del nord Europa, si è poi diffuso in tutta Europa
assumendo le varie connotazioni culturali. In soli 30 anni, cioè dal 1970 al 2000, la
convivenza si è imposta come modalità di inizio della vita di coppia passando dal 10%
al 90% delle prime unioni; sono del resto in aumento anche quelle che permangono
senza poi arrivare al matrimonio. In particolare in Italia, secondo i dati ufficiali
dell’ISTAT, dal 1993 al 1998 le coppie di fatto sono passate da 246mila a più di
500mila, senza contare poi che gran parte delle convivenze costituiscono un fenomeno
sommerso essendo la modalità di rilevazione basata sulla residenza anagrafica.
La convivenza more uxorio ha uno statuto culturale e legale controverso in molti Paesi,
ma soddisfacenti linee comuni si sono tracciate in merito alla relazione tra genitori e
figli. Fra gli anni sessanta e settanta tutti i Paesi europei hanno approvato norme incisive
per la posizione giuridica dei figli nati fuori del matrimonio, equiparandola
sostanzialmente a quella dei figli legittimi. Un’equiparazione piena non si è invece
ottenuta nell’ambito delle relazioni tra coniugi. La mancanza di un patto matrimoniale
pubblico produce un tipo di unione maggiormente fragile, viene a mancare l’impegno,
assunto davanti alla comunità, di reciproci diritti-doveri. Sono molti i Paesi europei, tra
cui l’Italia, a non avere un’organica e “soddisfacente” disciplina della famiglia di fatto.
Ai conviventi si vanno ad attribuire gli stessi diritti sociali e fiscali che spettano ai
coniugi, ma una minore tutela di natura patrimoniale.
Accenno solo brevemente, in quanto sarà in seguito approfondita, la questione delle
convivenze fra omosessuali. Questo tipo di sessualità viene ad essere considerata
antitetica ad ogni idea di famiglia, poiché non potenzialmente generativa. Se in alcuni
Paesi l’idea di riconoscere l’unione civile è ancora lontana, ancora di più lo sarà la
possibilità di sposarsi, già permesso dal 2001 in Olanda ed in Germania.
Famiglie con un solo genitore rappresentano tendenzialmente la diretta conseguenza
della crisi dell’istituzione matrimoniale. Alcuni parlano di esse come “famiglie
9
D’Agostino, Una filosofia della famiglia, .Giuffrè editore, 1999, p 43
10
Murdock, La struttura sociale, Etas Kompass, 1971 p .34-48
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spezzate” prendendo a riferimento la famiglia coniugale tradizionale, in realtà esse sono
famiglie a pieno titolo. Con tale termine si indicano le famiglie in cui un genitore vive
da solo insieme al figlio minore; le cause possono essere la separazione, il divorzio, la
nascita di un figlio fuori del matrimonio e sempre meno la vedovanza.
1.5. La “famiglia” nella Convenzione europea dei diritti umani. Interrelazione tra
art. 8 e 12
Come ci insegna il caso Marckx c. Belgio
11
il concetto di famiglia è concetto autonomo
da interpretare in modo indipendente da qualsiasi legge nazionale. La Convenzione del
resto, non contiene alcuna definizione di “famiglia”: il suo contenuto deve essere
desunto dall’art.8 e dall’art. 12.
L’art. 8 provvede che:
“Ogni persona ha diritto al rispetto della vita privata e familiare, del suo domicilio e
della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un’ autorità pubblica
nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza
nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la
difesa dell’ ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della
morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
L’articolo 12 prevede che:
“Uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e formare una
famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”.
L’art. 8 va a considerare la famiglia come un’area che si autoregolamenta e la colloca
entro una sfera privata. “Rispetto per la famiglia e per la vita privata” significa
principalmente che la pubblica autorità si debba astenere dall’intervenire
arbitrariamente nella vita degli individui e della famiglia. La seconda parte dell’art. 8
esprime dunque l’esigenza di bilanciare gli interessi della famiglia o dei suoi membri
con quelli statali. La Corte e la Commissione hanno operato una distinzione tra
relazione familiare e vita familiare sebbene poi non abbiano definito pienamente alcuno
dei due termini. Una relazione familiare, intesa come legame legalmente riconosciuto di
sangue o di matrimonio, non è da sola sufficiente ad attrarre la protezione della
Convenzione: sono da provare ulteriormente la natura e la qualità; sarà da verificare se
esiste “una questione di fatto dipendente dalla reale esistenza di legami personali
stretti”. Quello della “vita familiare” è concetto che comprende famiglie de iure e de
facto. Requisito indispensabile è l’esistenza di una relazione stretta, che crei “effettiva
vita familiare”. Conseguenza di tale relazione sarà, per esempio, che il genitore sarà in
diritto di visitare il figlio, pur non avendone la custodia. Il piacere reciproco del figlio e
del genitore costituisce un fondamentale elemento della vita familiare e una relazione
tale non giunge a termine solo per il fatto che il ragazzo viva da un’altra parte.
Presupposto necessario perché una vita familiare possa esistere è il diritto di poter
fondare o creare una famiglia, previsto dall’art. 12 della CEDU.
Sebbene l’art. 8 non faccia riferimento al matrimonio, punto focale della vita familiare
rimane l’unione coniugale: l’art. 12 unisce il diritto di fondare una famiglia al diritto di
sposarsi. Le parole dell’art .12 potrebbero essere interpretate come prevedendo due
separati diritti, ma la Corte, supportata dal modo in cui il diritto di fondare una famiglia
è limitato a coloro che hanno età maritabile, ha assunto il binomio matrimonio/famiglia
come unico diritto.
11
2 EHRR 330, tratto da Yearbook of the European Convention on human rights, European Commission
of human rights, Nijhoff,1960